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Si chiamano ipossia e acidificazione i due pericoli che insieme possono minacciare gravemente la salute degli oceani e l’intero clima del nostro pianeta. L’unione di questi due stress ambientali di origine antropica è infatti in grado di minare l’equilibrio dei fondali marini, un ecosistema fragile ma fondamentale per contribuire alla cattura ed al sequestro di CO2 dall’atmosfera. Questo rischio ambientale è stato per la prima volta messo a fuoco da uno studio coordinato dai ricercatori dell’Università di Pisa e pubblicato sulla rivista “Global Change Biology”. La ricerca, finanziata in parte dal MIUR tramite il progetto TETRIS, è stata condotta da Chiara Ravaglioli e Fabio Bulleri del Dipartimento di Biologia dell’Ateneo pisano, in collaborazione con il Plymouth Marine Laboratory, la Southampton University e la Florida State University.

 

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Da destra Chiara Ravaglioli dell’Università di Pisa e Ana Queiros del Plymouth Marine laboratory, durante lo svolgimento dell’esperimento

 


Secondo i ricercatori a minacciare l’equilibrio dei fondali marini sarebbe proprio l’azione congiunta di questi due fenomeni in gran parte dipendenti dalle attività umane. L’acidificazione corrisponde infatti ad un aumento della concentrazione di CO2 nei mari provocato da un incremento delle emissioni di CO2 nell’atmosfera; l’ipossia è invece un fenomeno che deriva da una diminuzione di ossigeno negli oceani causato da accumulo eccessivo di nutrienti, legato per esempio all’uso dei fertilizzanti in agricoltura.

“Eventi di ipossia, come quello simulato nel nostro studio, si osservano frequentemente lungo le zone marine costiere e la previsione è che si intensifichino ulteriormente a causa dei cambiamenti climatici – spiega la dottoressa Chiara Ravaglioli prima autrice dell’articolo - Valutarne gli effetti legati all’azione simultanea dell’acidificazione è quindi fondamentale per capire come gli ecosistemi marini risponderanno a queste condizioni in un possibile scenario futuro”.

Per condurre la sperimentazione, i ricercatori hanno utilizzato dei “mesocosmi” di ultima generazione, cioè dei laboratori in cui vengono simulate le condizioni degli ecosistemi marini. Durante i test, gli scienziati hanno marcato le alghe con carbonio-13 per seguire il flusso di carbonio, dalla sua assunzione da parte degli invertebrati marini sino al successivo accumulo nel sedimento.

“I risultati della nostra ricerca forniscono indicazioni importanti per la gestione dei sistemi marini – sottolinea Fabio Bulleri - ad esempio, la riduzione di uno stress che agisce su scala locale o regionale, come ad esempio un apporto eccessivo di nutrienti, può mitigare gli impatti del cambiamento climatico come l’acidificazione sui sedimenti marini”.

 

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La vasca di mesocosmi (1m3), riempita di acqua di mare, in cui sono stati collocati i cilindri trasparenti contenenti il sedimento con la comunità di invertebrati marini. All’interno di ciascun cilindro sono state manipolate le diverse condizioni sperimentali (alcuni erano mantenuti in condizioni naturali, altri sottoposti ad un aumento di CO2 o una diminuzione di O2 o la combinazione dei due stress). La CO2 è stata iniettata all’interno di ciascun cilindro grazie all’utilizzo dei piccoli tubi di plastica che si vedono in foto. La concentrazione di O2 è stata manipolata sigillando con silicone tutte le aperture del cilindro per circa 48 h.



Lo studio degli habitat marini è un filone di ricerca consolidato nell’Ateneo pisano. Protagonista di questa ricerca è Chiara Ravaglioli, 31 anni di Sinalunga (Siena), attualmente assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Biologia, unità di Biologia Marina ed Ecologia. I suoi principali interessi di ricerca riguardano lo studio degli effetti dei cambiamenti climatici globali e delle attività umane sulle comunità marine costiere.

Insieme a lei ha coordinato lo studio Fabio Bulleri, 49 anni di Livorno, professore associato del Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa dove tiene i corsi di Ecologia ed Impatto dei Cambiamenti Climatici in Ambienti Marini. La sua attività di ricerca che conta all’attivo circa 90 articoli su riviste scientifiche indicizzate è incentrata sugli ambienti marini costieri, utilizzati come sistemi modello per affrontare tematiche di ecologia di base.

 

Sono stati resi noti lo scorso 28 giugno, durante il presidio settimanale dei Fridays for Future, i risultati del sondaggio “Riempi la borraccia, svuota il cestino”, promosso dall’Università di Pisa in collaborazione con Legambiente, Sinistra Per… e Greenpeace gruppo locale Pisa. A studenti e personale UNIPI è stato sottoposto un questionario per sodare le loro abitudini in fatto di consumo di acqua in bottiglia.

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“Il questionario – afferma Simone d'Alessandro, docente del dipartimento di Economia e Management e del Centro REMARC - ha messo in luce alcune abitudini all'interno dell'Università di Pisa riguardo al consumo di acqua in bottiglia. In particolare abbiamo notato che la maggior parte di coloro che acquistano acqua confezionata all'Università lo fanno anche a casa propria, un trend che potrebbe essere modificato se una volta installati gli erogatori e abbandonate le bottiglie in plastica questa abitudine fosse imitata anche a casa. Inoltre, è risultato che a un maggiore consumo di bottigliette è associata una ridotta consapevolezza sui temi ambientali, segno che l’Università, come centro di creazione e diffusione della conoscenza, deve farsi parte attiva nel diffondere una maggior consapevolezza della gravità e dell’urgenza del problema e di come cambiamenti nei nostri comportamenti possono contribuire alla riduzione degli impatti”.

Chiarissimi in ogni caso i risultati del sondaggio: la quasi totalità degli oltre 3.300 partecipanti ritiene che le bottigliette di plastica vadano sostituite con erogatori di acqua.

“L'Università crede fino in fondo a questa necessità – prosegue Elisa Giuliani, docente del dipartimento di Economia e Management e direttrice del Centro REMARC –- e sta mettendo pieno impegno in questo progetto. In questo momento stiamo cercando di superare tutti gli ostacoli burocratici per poter procedere il più rapidamente possibile”.

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Un primo passo, come sottolineano Jacopo Bettin e Elena Giusti, di Legambiente Pisa e Ruggero Castaldi, di Sinistra Per..., affinché l'Università promuova una visione di sostenibilità al suo interno e all'esterno, che vada a scardinare le nostre abitudini fondate sull’usa e getta.

“Chi ha risposto alla domanda aperta al questionario lo ha evidenziato bene – dice Elena Giusti - l’entusiasmo per l’iniziativa sugli erogatori c’è, ma si è detto anche che i livelli di spreco generale sono alti, e non solo riguardo la distribuzione dell’acqua. L’Università deve ridurre la quantità di rifiuti che produce, eliminare il monouso nelle mense e nei bar dell'Ateneo, nei distributori automatici; migliorare poi la gestione della differenziata, e modellare una vera e propria campagna di informazione su quali sono i comportamenti più sostenibili e quali gli impatti di una comunità numerosa come quella dell'Università di Pisa".

“L’acqua del rubinetto è sicura e controllata molto più frequentemente di quella in bottiglia – conclude Myriam Bartolucci, Fridays for Future - E la sua potabilità è garantita per legge. Come hanno evidenziato alcuni dei partecipanti al questionario, l’accesso all’acqua è un diritto e quindi l’Università pubblica deve poterlo garantire”. (Fonte Fridays for Future Pisa).

Negli ultimi 40 anni l’inverno sulla costa toscana è diventato meno freddo: la temperatura media a gennaio e a febbraio è infatti aumentata di quasi 2 gradi, da circa 8°C a 9.9°C, e se si considera tutta la stagione, da novembre a marzo, l’incremento è stato di 1,6 gradi, da 9.9°C a 11.5°C. Il dato emerge da una ricerca pubblicata sulla rivista “Scientia Horticulture” e condotta dal gruppo di lavoro del professore Rolando Guerriero, oggi in pensione, composto da Raffaella Viti, Rossano Massai e Calogero Iacona del dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-Ambientali dell’Università di Pisa e da Susanna Bartolini dell’Istituto di Scienze della Vita della Scuola Superiore Sant’Anna.

I ricercatori hanno analizzato i dati sulla fioritura di 40 diverse varietà di albicocco coltivate nell’Azienda Sperimentale dell’Ateneo pisano a Venturina (Livorno) per oltre quaranta anni, dal 1973 al 2016. Il periodo di fioritura degli alberi da frutto è infatti strettamente legato alle temperature dei mesi invernali e proprio per questo è uno degli indicatori più utilizzati per gli studi sui cambiamenti climatici. Da questo punto di vista la ricerca pisana è poi un caso unico: a Venturina si trova una delle più importanti collezioni di germoplasma di albicocco di tutto il bacino del Mediterraneo e così è stato possibile osservare la fioritura di più varietà nelle stesse condizioni sperimentali e per un periodo molto lungo.


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Fioritura dell'albicocco


I risultati dello studio hanno mostrato un aumento significativo delle temperature medie mensili del periodo autunno-invernale con incremento più marcato a partire dagli anni '90. In particolare, l'escursione termica media giornaliera, cioè la differenza fra la temperatura massima diurna e la minima notturna, è diminuita di quasi 1 grado e mezzo passando da 10.1°C degli anni '70-'80 a 8.8°C del 2013-2016. Un calo drammaticamente significativo c’è stato poi anche per le Unità di Freddo, cioè le ore con una temperatura inferiore ai 7 °C che servono alle piante per il superamento della dormienza delle gemme a fiore, che sono passate da circa 1.300 negli anni '70-'80 a 800 nel 2012-2016.


“Dal punto di vista delle coltivazioni, si tratta di cambiamenti climatici che incidono negativamente sui principali processi biologici stagionali causando spesso produzioni irregolari e, di conseguenza, significative riduzioni della produttività dei frutteti – spiega Rossano Massai - La maggior parte delle varietà esaminate, appartenenti sia al germoplasma italiano che straniero, opportunamente raggruppate in funzione della diversa epoca di fioritura, ha mostrato negli anni importanti ritardi nell’epoca di fioritura e rilevanti riduzioni dell’intensità della fioritura”.

Un mancato o insufficiente superamento della dormienza influisce infatti negativamente sulla schiusura delle gemme e, di conseguenza, sull’epoca e sulla abbondanza della fioritura. Come risultato negli ultimi 40 anni, l'abbondanza della fioritura (cioè il numero di fiori per cm di ramo ed espressa con un indice da 1, scarsa, a 5, molto abbondante) si è quasi dimezzata rispetto al passato soprattutto per le varietà a fioritura precoce, passando da un valore medio di 3.7 negli anni '70 a poco più di 2 nel periodo 2010-16.

“Il quadro complessivo che emerge dalla ricerca lascia ipotizzare un cambiamento di scenario con uno spostamento più a nord della coltura – conclude Susanna Bartolini – se in passato nell’area della Maremma Toscana si potevano ottenere produzioni interessanti e economicamente sostenibili anche con varietà a fioritura più tardiva ora appare più opportuno orientarsi verso varietà a basso fabbisogno in freddo e adatte a climi caldi o semiaridi; inoltre il calo complessivo della produttività potrebbe portare ad una forte limitazione all’approvvigionamento locale di frutta e alla necessità di importazione dall’esterno del fabbisogno”. Questa ricerca diviene quindi importante proprio nell’ottica del contenimento delle conseguenze negative dovute all’impatto del cambiamento climatico, garantendo il mantenimento della produttività del frutteto.

fridays for future pisaVenerdì 28 giugno, alle ore 18.00 in Piazza XX Settembre il presidio settimanale dei ragazzi dei “Venerdì del futuro” contro l’emergenza climatica vedrà anche la partecipazione dell’Università di Pisa. Nelle scorse settimane infatti l’Ateneo  ha lanciato un sondaggio sul consumo di acqua in bottiglia di plastica "Riempi la borraccia, svuota il cestino", in occasione del Festival dello Sviluppo Sostenibile 2019. La campagna di sensibilizzazione, condotta in collaborazione con Legambiente Pisa, Sinistra per… e Greenpeace gruppo locale Pisa, punta a rendere l’Università di Pisa un luogo plastic-free.

L’evento vedrà gli interventi di Elisa Giuliani, del dipartimento di Economia e Management e direttrice del Centro REMARC, Università di Pisa, Simone D’Alessandro, del dipartimento di Economia e Management dell’UNIPI e membro del gruppo energia di RUS (Rete delle Università per lo Sviluppo Sostenibile), Elena Giusti, Greenpeace gruppo locale Pisa, Jacopo Bettin, Legambiente Pisa, e Myriam Bartolucci, Fridays for Future. Subito dopo, la premiazione con dieci borracce, estratte a sorte tra le persone che hanno compilato il questionario.

“Renderemo noti i risultati del sondaggio per poter avviare delle riflessioni – conclude Simone D’Alessandro – tra i dati più interessanti, il 70% di coloro che hanno partecipato conferma di fare uso di bottigliette di plastica, ma il 100% ritiene che dovrebbero essere eliminate all’interno dell’Ateneo. Le Università, come centro di creazione e diffusione della conoscenza, devono farsi parte attiva nel diffondere una maggior consapevolezza della gravità e dell’urgenza del problema ambientale e di come piccole innovazioni e cambiamenti nei nostri comportamenti possono contribuire alla riduzione degli impatti”.

“Venerdì, il nostro consueto presidio si unisce volentieri all’iniziativa dell’Università – commenta Myriam Bartolucci, educatrice ambientale e attivista Fridays for Future – Il tema è di importanza capitale nella lotta per la salvaguardia del nostro pianeta, dove ogni anno vengono utilizzati 1,5 milioni di tonnellate di plastica per produrre bottiglie di acqua. In Italia, il paese con il più alto consumo di acqua in bottiglia in Europa (e terzo al mondo dopo Messico e Thailandia), ogni anno devono essere smaltiti oltre 10 miliardi di bottiglie di plastica. Un italiano infatti consuma annualmente in media 200 bottiglie di acqua. Per produrle vengono usati circa 86 kg di acqua e 10 kg di petrolio, e dispersi in atmosfera ben 11,5 kg di Anidride Carbonica. Tutto questo quando potremmo usare l’acqua del rubinetto, che è controllata e non reca danni a salute e ambiente. Dobbiamo invertire rotta ora, perché la produzione e l’uso della plastica devono subire una diminuzione radicale”.

 

 

Si chiamano Francesco Palumbo, Gianluca Persia e Lorenzo Moscatelli e sono i primi tre "climatologi" laureati all’Università di Pisa. I ragazzi hanno discusso la tesi rispettivamente con i professori Sergio Pinna, Antonello Provenzale ed Eleonora Regattieri, presentando i risultati di studi che hanno riguardato le variazioni termometriche della Toscana negli ultimi venti anni, gli scambi gassosi negli ecosistemi montani del parco nazionale del Gran Paradiso e l'evoluzione climatica e idrologica del bacino di Sulmona in Abruzzo circa 400.000 anni fa. Il curriculum climatologico è stato istituito - primo in Italia - poco più di due anni fa all'interno del corso di laurea magistrale in Scienze ambientali, un percorso di studi che, secondo gli ultimi dati di Alma Laurea, garantisce ai suoi laureati un tasso di occupazione a tre anni dalla laurea pari al 100%.

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Immagine tratta da https://svs.gsfc.nasa.gov.

«Introducendo il curriculum climatologico abbiamo colmato una lacuna formativa nel panorama universitario nazionale - commenta la professoressa Marta Pappalardo del dipartimento di Scienze della Terra dell’Ateneo pisano, presidente del corso di laurea al momento dell’introduzione del curriculum - Le professioni legate alla tutela del territorio e dell'ambiente rappresentano un settore in forte crescita e i nostri laureati, con la loro formazione, riescono inserirsi molto facilmente nel mondo del lavoro».

«I primi tre laureati mostrano bene all’esterno la variegate opportunità di formazione e studio proposte nell’ambito di questo percorso di studio, all'interno della magistrale di Scienze ambientali - aggiunge l’attuale presidente del corso di studi, professor Giovanni Zanchetta - Il nostro lavoro  si sta focalizzando sull’aumentare le opportunità per gli studenti di interfacciarsi con il mondo del lavoro e della ricerca, sia in ambito climatologico sia sulle problematiche ambientali, per offrire sempre maggiori opportunità di lavoro e di soddisfazione. D’altra parte i numeri ci danno ragione. Sebbene laureiamo pochi studenti l’anno, le indagini di settore mostrano come i nostri laureati siano assorbiti nel mondo del lavoro in modo importante, e nell’ultimo trienno il 100% degli interpellati lavora in settori pertinenti con il loro titolo di studio».

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Francesco Palumbo e Gianluca Persia al momento della proclamazione.

  

image.pngFrancesco Palumbo ha 25 anni, è originario di Taranto e la sua tesi si intitola "Analisi delle caratteristiche termometriche della Toscana, dal 1998 al 2017”: «Il mio lavoro ha riguardato principalmente lo studio della termometria della Toscana tramite l’utilizzo del database del servizio idrografico regionale - spiega Francesco - In sintesi, si è trattato di delineare le caratteristiche termometriche della regione, come le variazioni termometriche negli ultimi 20 anni o ad esempio la differenza tra microclimi marittimi e continentali. L'ambito climatologico mi affascina da anni e l'Università di Pisa è stata l'unica che è riuscita a darmi ciò che cercavo. Ho intenzione di completare la mia preparazione con un master in Meteorologia e la mia aspirazione lavorativa è quella di diventare un meteorologo. Mi sento di consigliare il curriculum climatologico ai giovani laureati in Scienze ambientali perché lo studio del clima, a mio parere, sarà decisivo in futuro, oltre al fatto che potrebbe dare molte opportunità di lavoro, come ad esempio all'Ente Italia Meteo di prossima apertura a Bologna».

persia discussioneGianluca Persia, 24 anni, originario di La Spezia, si è laureato con una tesi dal titolo "Studio sulle interazioni suolo-vegetazione-atmosfera nella Critical Zone montana": «Per il mio lavoro ho preso parte a un progetto di monitoraggio dei flussi di carbonio nelle praterie di alta quota del parco nazionale del Gran Paradiso – spiega Gianluca – Nello specifico, la tesi ha riguardato la validazione del metodo strumentale di misura per la stima della variabilità spaziale dei flussi. In quanto laureati in Scienze ambientali, il nostro curriculum ci ha permesso di avere conoscenza dei collegamenti tra eventi climatici e fenomeni ambientali, nel mio caso tra vegetazione e clima. Al momento sto seguendo un progetto di ricerca sulla stima dei flussi di carbonio, acqua ed energia in una foresta tropicale secca della Thailandia del nord. Più che dell’aspetto climatico, mi occupo di aspetti ecofisiologici o al più micrometeorologici e stare qui mi permette di approfondire alcuni aspetti pratici non affrontati nel corso di studio, tra cui ad esempio la parte di programmazione e di analisi dati. In futuro proverò a candidarmi per un dottorato, il mio topic prediletto sarebbe il monitoraggio della vegetazione con riguardo all'ambito agricolo e alla disponibilità alimentare mondiale».

Lorenzo MoscatelliLorenzo Moscatelli ha 24 anni e viene dalla provincia di La Spezia. La dua tesi si intitola "Sedimentological and biogeochemical investigation of lacustrine sediments from Sulmona Basin (Abruzzo, Italy): Marine Isotope Stage 11c (420-370 ka) environmental and hydrological changes": «Mediante analisi sedimentologiche e biogeochimiche su sedimenti lacustri, mi sono occupato dello studio dell’evoluzione climatica e idrologica del bacino di Sulmona (Abruzzo), durante il MIS 11c (420-370 ka), un periodo chiave nella ricerca del paleoclima, in quanto, in termini di parametri orbitali, rappresenta il più recente analogo dell'attuale interglaciale, l'Olocene – spiega Lorenzo - Lo studio degli interglaciali del passato simili a quello attuale è di fondamentale importanza perchè consente di acquisire maggiori conoscenze su quali sarebbero i naturali cambiamenti futuri in assenza dell'influenza antropogenica. Dato questo presupposto, nella mia tesi mi sono proposto di ricostruire nel modo più preciso possibile i cambiamenti ambientali e idrologici avvenuti durante il MIS 11c nella regione del Mediterraneo, un’area densamente popolata e particolarmente sensibile a variazioni climatiche, soprattutto per quanto concerne la disponibilità di risorse idriche». Lorenzo è soddisfatto del suo corso di studi, perchè gli ha consentito di approfondire le conoscenze sul funzionamento del sistema climatico: «La climatologia rappresenta un argomento molto attuale e ritengo necessario che venga formato un maggior numero di esperti in questo settore. Per il mio futuro, sto orientando le mie scelte verso la ricerca scientifica e spero di ottenere un dottorato che mi consenta di intraprendere questo percorso».

Più arido e con minori precipitazioni, potrà essere così il clima del Mediterraneo nei prossimi cento anni secondo quanto emerge da uno studio internazionale pubblicato su Nature Communications e al quale hanno partecipato come unici italiani Eleonora Regattieri e Giovanni Zanchetta del dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa. La ricerca, che complessivamente ha coinvolto 12 istituzioni fra cui l’University College di Londra come capofila, si basa sull’idea che l’analisi del clima passato, in questo caso l’ultimo periodo interglaciale (129-116 mila anni fa), possa fornire fondamentali indicazioni per capire le tendenze attuali e future.

“Lo studio dell'ultimo periodo interglaciale è particolarmente rilevante perché è stato caratterizzato da un intenso riscaldamento artico, con temperature più alte di alcuni gradi rispetto a quelle attuali e quindi paragonabili agli scenari di riscaldamento previsti per la fine di questo secolo”, spiega Giovanni Zanchetta.

Come conseguenza del riscaldamento, la ricerca ha stimato che il livello globale del mare nell’ultima epoca interglaciale sia stato di circa 6-9 metri superiore al livello attuale, un innalzamento in buona parte dovuto alla fusione della calotta glaciale della Groenlandia.

“Un tale scioglimento dei ghiacci potrebbe quindi aver contribuito ad un’instabilità, della circolazione oceanica del Nord Atlantico, con momenti di indebolimento corrispondenti a periodi di scarsità di precipitazioni in Europa”, aggiunge Zanchetta.

 

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Stalagmiti dall'Antro del Corchia (Lucca) (Foto I. Isola).


Per definire in dettaglio i cambiamenti oceanici e atmosferici dell'Atlantico settentrionale e dell'Europa meridionale, i ricercatori hanno prodotto una sorta di "stele di rosetta stratigrafica" analizzando una carota di sedimento marino proveniente dal margine atlantico della penisola iberica. I dati emersi, relativi ad esempio ai pollini e ai cambiamenti della vegetazione, sono stati quindi confrontati con l’andamento delle precipitazioni, registrato nelle stalagmiti della grotta “Antro del Corchia”, nel nord Italia, già studiate dai geologi dell’Università di Pisa. Il collegamento tra Corchia e il margine atlantico della penisola iberica ha così permesso ai ricercatori di datare per la prima volta in modo dettagliato e preciso i cambiamenti climatici nel Nord Atlantico. L'Antro del Corchia possiede infatti un vero e proprio archivio del clima passato, conservato nella stratigrafia e nelle proprietà chimiche delle sue concrezioni, che copre più di un milione di anni.

“Sebbene l’ultimo periodo interglaciale non sia un del tutto sovrapponibile a quanto accade oggi come conseguenza dell’attività umana – conclude Zanchetta - il profilo climatico che emerge, su scala secolare, indica che il progressivo riscaldamento che stiamo osservando possa generare in futuro un’instabilità del clima associata a fenomeni significativi di siccità”.

Giovanni Zanchetta ed Eleonora Zanchetta sono ricercatori del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa, dipartimento da anni leader nelle ricerche paleoclimatiche che a livello didattico offre, fra i primi in Italia, un nuovo curriculum di Climatologia nell’ambito un corso di laurea magistrale di Scienze ambientali.

 

Il Curriculum Climatologico del corso di laurea magistrale in Scienze Ambientali dell’Università di Pisa è stato presentato al Festivalmeteorologia ospitato a Rovereto dal 17 al 19 novembre. L’evento, giunto alla sua terza edizione, è stato organizzato da Università degli Studi di Trento, Comune di Rovereto, Trentino Sviluppo e Fondazione Museo Civico di Rovereto. Quest’anno nell’ambito della manifestazione è stata organizzata, nella giornata di domenica 19 novembre, una sessione sulla formazione universitaria. Nell'Aula Magna del dipartimento di Psicologia e Scienze cognitive dell'Università di Trento a Rovereto una dozzina di docenti universitari hanno illustrato l'offerta formativa dei vari atenei nel settore della meteorologia.

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L’organizzazione del Festival ha voluto includere tra le presentazioni anche quella del presidente del corso di laurea magistrale in Scienze ambientali dell’Università di Pisa, Marta Pappalardo, che ha presentato il Curriculum Climatologico, attivato nell’ambito del corso di laurea a partire dall’anno accademico 2016-17. Questo progetto didattico, infatti, rappresenta un unicum nel panorama italiano, ed è complementare all’offerta didattica in ambito meteorologico. Le due discipline, infatti, sono accomunate, nel nostro paese, dall’esistenza di un’offerta didattica insufficiente a fronte di un loro crescente impatto sociale. È indispensabile che meteorologi e climatologi sviluppino forme di collaborazione, anche a livello didattico, che consentano loro di acquisire peso specifico che nell’ambito delle politiche di pianificazione territoriale e di mitigazione dei dissesti, anche nell’ottica della prossima istituzione dell’Agenzia Nazionale “Italia Meteo”.

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Il Festival rappresenta un’ormai collaudata occasione di incontro, di conoscenza e interazione tra le diverse realtà della meteorologia italiana, riunendo i ricercatori del settore, gli operatori dei servizi meteorologici istituzionali e privati, i professionisti e i rappresentanti delle aziende del settore, ma anche gli appassionati di meteorologia, le scuole di diverso ordini e grado e il grande pubblico. Il programma comprende incontri e conferenze, attività didattiche e ludiche, laboratori, mostre e concorsi, oltre a spazi espositivi dedicati a enti, aziende ed associazioni. All’Università di Trento il Presidente della Repubblica ha voluto conferire la Medaglia d’Onore come segno di riconoscimento per la rilevanza assunta da questa iniziativa.

All’Università di Pisa è nato un nuovo centro di ricerca che si occuperà di management responsabile e sviluppo sostenibile. Il suo nome è REMARC e raccoglie le expertise di alcuni docenti del dipartimento di Economia e Management e quelle di numerosi collaboratori esterni.

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“Il nostro obiettivo è quello di avere un impatto sui manager e policy maker a tutti i livelli – spiega la direttrice Elisa Giuliani – e intanto nei prossimi mesi, per avere visibilità internazionale, abbiamo fatto richiesta di inserimento fra i Sustainability Centres, una rete di istituzioni che si occupano del tema della sostenibilità”.

La genesi del centro, nato ufficialmente a nell’autunno del 2017, risale a due anni fa, quando la professoressa Giuliani si è aggiudicata un finanziamento dell’Ateneo per un progetto di ricerca su "Responsabilità Sociale d'Impresa nelle Multinazionali da Peasi Emergenti: Quale impatto in Europa?".

“In qualche modo quel progetto ha consentito di far convergere alcuni docenti del dipartimento intorno al tema della responsabilità sociale – ha aggiunto Elisa Giuliani – ora il nuovo finanziamento per progetti di ricerca di Ateneo di cui sono risultata vincitrice nel 2017 rappresenta sicuramente un ulteriore supporto per le future attività del centro”.

Intanto per chi volesse saperne di più c’è il sito internet del centro https://remarc.ec.unipi.it/ e un canale facebook dedicato per essere aggiornati su tutte le principali iniziative.

Il “Latte Sostenibile” Selezione Mugello, marchio dell’azienda Centrale del Latte della Toscana S.p.A. e frutto di un progetto finanziato dalla regione Toscana e coordinato scientificamente dal Centro di Ricerche Agro-Ambientali “Enrico Avanzi” dell’Università di Pisa, ha ricevuto il premio Italian Resilience Award (IRA) per il 2016. Il riconoscimento, promosso da EcoNewsweb.it, Primaprint e Kyoto Club con il patrocinio del Ministero dell’Ambiente e dell’ANCI, viene assegnato ogni anno ai Comuni e alle aziende che si sono impegnati in attività a favore dello sviluppo sostenibile.

una delle aziende agricole del mugello dove è stato condotto il progetto

“Al centro del progetto di filiera CASET, il cui capofila è stata la Centrale del Latte della Toscana S.p.A. e che abbiamo coordinato dal punto di vista scientifico – spiega il professore Marcello Mele direttore del Centro “Enrico Avanzi” - c’era la produzione di latte dell’area del Mugello, con particolare riguardo alla sostenibilità del processo produttivo e alle innovazioni di mercato collegate alla responsabilità ambientale, sociale ed etica”.

Insieme alla Centrale del latte di Firenze, Pistoia, Livorno (oggi Centrale del Latte della Toscana S.p.A.), alla Società Agricola Poggiale e all’Università di Firenze, il Centro “Enrico Avanzi” ha sviluppato un sistema per la stima delle emissioni di gas ad effetto serra nelle aziende di bovine lattifere del Mugello. In particolare, la valutazione della sostenibilità aziendale ha tenuto conto degli aspetti agro-ambientali, socioeconomici ed etici con particolare riguardo al benessere animale. Il progetto, terminato nel 2014, ha generato un protocollo di filiera e una dichiarazione ambientale di prodotto per comunicare ai consumatori le caratteristiche del latte e sottolineare l’impegno delle aziende della filiera al rispetto dell’ambiente e della qualità dei prodotti. A progetto concluso il Centro “Enrico Avanzi” continua a collaborare con la centrale del latte nel monitoraggio della filiera.

Dal 6 al 10 giugno il CiRAA - Centro di Ricerche Agro-Ambientali “Enrico-Avanzi" - ha ospitato educatori e formatori provenienti da vari Paesi europei (Repubblica Ceca, Finlandia, Ungheria, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Regno Unito), coinvolti in percorsi di formazione formali e non formali e attivi nel settore agricolo e ambientale. Nel corso delle cinque giornate è stato realizzato un seminario sul tema dell’Agricoltura Sociale (AS) che ha visto la partecipazione di docenti e ricercatori del nostro ateneo e di altri soggetti, sia pubblici che privati, che da anni sono coinvolti a vario titolo nelle pratiche di AS.

 

gruppo life from soil


Sono state inoltre realizzate visite conoscitive ad alcune aziende agricole e associazioni presenti sul territorio toscano che nel tempo hanno sviluppato progetti di AS. Tra le realtà visitate, particolare attenzione è stata data al progetto Orti E.T.I.C.I. (acronimo di Orticoltura, Economia, Tecnica e Inclusione soCiale Innovativa), progetto nato dalla collaborazione tra soggetti del mondo del privato, del pubblico e del terzo settore con l’obiettivo di promuovere integrazione sociale attraverso la produzione di cibo e l’inserimento lavorativo di persone con bassa capacità contrattuale.

I partner del progetto sono la Cooperativa Sociale Ponteverde Onlus, la Cooperativa sociale Arnera, l’azienda agricola BioColombini, il Centro di Ricerca Agro-Ambientale E. Avanzi (CiRAA), il dipartimento di Scienze veterinarie dell’Università di Pisa, l’Ateneo Pisano, costituiti in associazione temporanea di impresa (ATI).

Questa attività di formazione si inserisce nell’ambito del progetto Erasmus+ dal titolo Life From Soil, che vede da settembre 2015 il coinvolgimento del CiRAA e il coordinamento locale da parte della dott.ssa Roberta Moruzzo. Obiettivo generale del progetto è quello di arrivare alla condivisione di conoscenze e di buone pratiche in ambito di agricoltura sociale e sostenibile, concentrandosi sui bisogni di formazione e istruzione di specifici gruppi target (formatori, insegnanti, professionisti e rappresentanti delle autorità locali coinvolti in percorsi di formazione formali e non formali e gruppi di persone vulnerabili - disoccupati, studenti, minoranze etniche svantaggiate, migranti).

Le attività del progetto saranno primariamente focalizzate sulla predisposizione, preparazione, testaggio e sulla diffusione degli strumenti di apprendimento (linee guida su best practice, corsi di formazione a moduli e dimostrazioni pratiche – pilot specifici e test - per la valutazione degli strumenti di apprendimento).

Per condividere e sviluppare conoscenze, stabilire gemellaggi e collaborazioni durevoli, il progetto svilupperà attività di apprendimento e insegnamento transnazionali, attraverso percorsi di mobilità coinvolgendo oltre 40 formatori ed educatori.

 

Floriddia

 

paesaggio 2

 

gruppo avanza

 

aula Di Iacovo

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