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In via sperimentale l’Università di Pisa mette a disposizione della propria comunità alcuni distributori gratuiti di assorbenti compostabili. L’iniziativa promossa dalla Commissione per lo Sviluppo Sostenibile di Ateneo (CoSA) in collaborazione con il Comitato Unico di Garanzia sarà presentata giovedì 21 marzo alle 11 al Polo Piagge (Via Giacomo Matteotti, 11). L’installazione dei distributori è al momento in tre Poli, Piagge, San Rossore 1938 e Fibonacci. L’iniziativa è accompagnata da una campagna per superare lo stigma e il tabù delle mestruazioni in un’ottica di sostenibilità.

“Gli assorbenti che saranno a disposizione in Ateneo sono 100% di cotone organico, senza profumi, compostabili, non contengono plastica o microplastiche, sono senza cloro e ipoallergenici – spiega la professoressa Elisa Giuliani prorettrice per la Sostenibilità e l'Agenda 2030 - I distributori saranno messi negli antibagni e sono gratuiti. Speriamo che la nostra comunità universitaria ne faccia un uso responsabile e consapevole”.

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“L’accesso ai prodotti mestruali negli spazi universitari è una questione di riconoscimento di un aspetto fisiologico – sottolinea la professoressa Renata Pepicelli delegata del rettore per le attività in Gender Studies and Equal Opportunities – che può riguardare tutti gli aspetti della vita, quelli economici, culturali, della salute. E' necessario normalizzare questa dimensione della vita delle donne, cominciando a chiamare le cose con il loro nome, quindi mestruazioni non “le mie cose” o “il marchese” o quel “periodo del mese” e facendo sentire le donne a loro agio nei luoghi di studio e di lavoro".

L’aspetto ambientale è sottolineato anche da Danila Scalzo e Margherita Capitani, rappresentanti della Comunità studentesca della Commissione di sostenibilità.
“Crediamo molto in questa iniziativa dell’Ateneo – sostengono le due studentesse - i prodotti mestruali monouso adesivi sono mediamente composti per il 90% di plastica, l’utilizzo di un assorbente convenzionale equivale a immettere nell’ambiente circa 2 grammi di plastica non biodegradabile, circa quanto 4 sacchetti della spesa”.

 

Un drammatico innalzamento della temperatura dell’acqua di 4 o 5 gradi per almeno cinque giorni. Sono queste le ondate di calore che interessano sempre più i mari del nostro pianeta mettendo a rischio la fauna ittica e la sopravvivenza di alcune specie. Le aree marine protette sono però una risposta in grado di mitigare questo fenomeno dovuto al cambiamento climatico. La notizia arriva da uno studio internazionale pubblicato sulla rivista Nature Communications coordinato dall’Università di Pisa.

 

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“E' noto che le aree marine protette, se ben gestite e con opportuna sorveglianza, hanno effetti positivi sulla fauna marina eliminando o riducendo gli effetti diretti della pesca – spiega il professore Lisandro Benedetti-Cecchi del dipartimento di Biologia dell’Ateneo pisano primo autore dell’articolo pubblicato – per la prima volta grazie a questo studio abbiamo dimostrato che sono anche in grado di mitigare l'impatto delle ondate di calore”.

La ricerca ha riguardato 2269 specie di pesci costieri che vivono in 357 siti interni alle aree marine protette e 747 siti esterni. I dati provengono da oltre 70mila osservazioni ottenute su intervalli temporali che vanno da un minimo di 5 a un massimo di 28 anni. Le aree marine protette studiate sono sparse in tutto il globo, nel Mediterraneo soprattutto in prossimità delle coste spagnole, poi in Australia, California e Indopacifico.

“Le proiezioni suggeriscono che i cambiamenti nel clima oceanico, di cui le ondate di calore sono espressione, si acutizzeranno nei prossimi decenni e che gli attuali tassi di riscaldamento supereranno presto il margine di sicurezza termica di molte specie – sottolinea Benedetti-Cecchi – L’allarme è ancora maggiore per il Mar Mediterraneo, che si sta riscaldando a un ritmo allarmante di tre volte quello dell’oceano globale”.

A subire le conseguenze delle ondate di calore è la stabilità dell’intero ecosistema e delle popolazioni, con i pesci erbivori che tendono ad aumentare e i carnivori, come squali, barracuda, cernie o dentici, che invece sono più minacciati. Il risultato può essere il collasso dell’intero sistema sino all’estinzione locale di alcune specie. Questi effetti sono però molto mitigati dalle aree marine protette. Qui le popolazioni di pesci sono più abbondanti e funzionalmente strutturate rispetto alle aree non protette, conferendo stabilità alle comunità anche in presenza di eventi climatici estremi.

“Il nostro lavoro – conclude Benedetti Cecchi – vuole enfatizzare l'importanza delle aree marine protette per salvaguardare la fauna marina fornendo supporto alle politiche di conservazione, articolate nelle varie direttive internazionali, come ad esempio la Convention for Biological Diversity, secondo le quali entro il 2030 almeno il 10% della superficie degli oceani dovrebbe essere sottoposta a protezione”.



 

Uscire dagli steccati e dalle barriere per cogliere la complessità del presente. Con questo intento ripartono all’Università di Pisa i corsi trasversali rivolti a studenti e studentesse indipendentemente dal corso di laurea di iscrizione. Sono due le iniziative che prendono il via a febbraio dedicate a genere e sostenibilità. Chi invece ha perso il corso su imprenditoria e star up del primo semestre coordinato dal professore Corrado Priami, dovrà aspettare la nuova edizione, tutte le informazioni sui contenuti sono al sito: https://startupedu.unipi.it/.

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Da sinistra Giovanna Pizzanelli, Elettra Stradella, Corrado Priami

Il 21 febbraio intanto inizia “Studi di genere e prospettive interdisciplinari”, il corso coordinato dalla professoressa Elettra Stradella nell’ambito della cattedra Jean Monnet “EUWONDER” finanziata dalla Commissione europea. Diciotto lezioni in Sapienza il mercoledì e il giovedì dalle 17,15 alle 19 per un totale di 6 CFU con docenti dell’Ateneo pisano e non solo.

“Il genere è una chiave di lettura fondamentale della realtà, sia del passato che del presente - racconta la professoressa Stradella – è importante che studenti e studentesse abbiano questa consapevolezza, qualsiasi sarà il loro mestiere futuro e la loro posizione nel mondo”.

Il 23 febbraio prenderà avvio il corso “L’Agenda 2030 e gli obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile” coordinato dalla professoressa Giovanna Pizzanelli. Dodici lezioni per un totale di 3 CFU che si terranno al Polo Piagge il venerdì̀ pomeriggio dalle 14, con docenti ed esperti dell’Ateneo di diverse aree disciplinari.

“Vogliamo introdurre studentesse e studenti al concetto di Sviluppo Sostenibile come articolato nei 17 obiettivi dell’Agenda 2030 – spiega la professoressa Giovanna Pizzanelli promotrice dell’iniziativa per la Commissione per lo sviluppo sostenibile di Ateneo presieduta dalla prorettrice Elisa Giuliani -, l’approccio è multidisciplinare e comprende la dimensione economica, ambientale e sociale, capire queste tre dimensioni dello sviluppo sostenibile significa conoscere il ruolo delle imprese, della tecnologia e delle istituzioni pubbliche nel perseguimento degli obiettivi dell’Agenda 2030”.

benedetta_mennucci.jpgL’Università di Pisa ha stanziato 120mila euro come contributo per favorire la ripresa dell’attività di ricerca dopo la pausa obbligatoria per la maternità.

La misura, che ha pochissimi eguali nel panorama accademico italiano, è stata approvata dal Senato accademico il 9 febbraio. I 120mila euro, da suddividere in quote individuali di 10.000,00 euro, sono per il 2024 e potranno essere integrati anche da altri fondi.

Il sostegno è destinato a professoresse e professori e a ricercatrici e ricercatori a tempo determinato che nel 2024 rientreranno in servizio dal congedo obbligatorio di maternità o paternità alternativa. I contributi sono previsti anche in caso di adozione o affidamento di minori.

“Si tratta di un modo concreto per aiutare professoresse e ricercatrici dell’Ateneo al momento della ripresa della propria attività di ricerca a seguito del periodo di congedo obbligatorio di maternità e ci fa molto piacere dare il via a questa iniziativa a pochi giorni dalla Giornata Internazionale delle Donne e Ragazze nella Scienza dell’11 febbraio – racconta la professoressa Benedetta Mennucci (foto), prorettrice Unipi per la promozione della ricerca – Sono pochissimi gli atenei che hanno adottato politiche simili e quindi speriamo che la nostra azione possa fare da traino per altri atenei”.

“L’Ateneo è impegnato in campagne di riduzione del gender gap e questo provvedimento si inserisce in questo contesto – dice la professoressa Renata Pepicelli, delegata Unipi per le pari opportunità – la situazione nel nostro Ateneo sul fronte del rapporto genere/carriera, seppur migliorata sensibilmente negli ultimi anni, vede il persistere di un problema, in particolere nell'ambito delle materie Stem e nelle posizioni apicali dove si riscontra un disequilibrio di genere. Anche con questa misura vogliamo quindi imprimere un’accelerazione significativa a quel percorso di cambiamento culturale che stiamo portando avanti, in modo da raggiungere un reale equilibrio di genere all'interno della nostra comunità”.

“Credo che siano importanti le misure che vadano nella direzione di livellare il campo da gioco e ridurre gli svantaggi oggettivi - conclude il prorettore vicario Giuseppe Iannaccone - questa iniziativa è un piccolo passo nella giusta direzione e un segnale di attenzione al problema da parte dell’Università”.

Gestire l’impatto dell’inquinamento luminoso e acustico di laghi, fiumi e mari e difendere la biodiversità dei sistemi acquatici. Sono questi gli obiettivi del nuovo progetto AquaPLAN che ha preso il via nel 2024 con un finanziamento europeo di circa 2,6 milioni di euro. Per quattro anni sino al 2027, l’Università di Pisa coordinerà un partenariato internazionale con lo scopo di studiare gli impatti e suggerire soluzioni per mitigare questi tipi di inquinamento.

“Negli ultimi decenni sappiamo di più sugli impatti dell’inquinamento luminoso e acustico (Light and Noise Pollution - LNP) sulla biodiversità acquatica – spiega Elena Maggi docente di Ecologia al Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa e coordinatrice del progetto - Tuttavia, non conosciamo ancora bene gli effetti combinati di questi fenomeni su larga scala e per lunghi periodi di tempo; grazie ad AquaPLAN vogliamo colmare questa lacuna”.

Il campo di azione di AquaPLAN è molto ampio, dal Mare del Nord al Mediterraneo, fino al Mar Rosso. Saranno studiate, ad esempio, le coste rocciose del Devon e della Cornovaglia nel sud-ovest del Regno Unito, zone caratterizzate da livelli contrastanti di inquinamento luminoso e acustico. Per determinare l’impatto a lungo termine sulle macroalghe e sulle piante acquatiche (come la Posidonia oceanica) saranno monitorati due habitat costieri lungo le coste toscane e liguri. Ancora più a sud, i livelli di inquinamento acustico e luminoso saranno valutati in città costiere come Eilat (Israele) e Aqaba (Giordania), caratterizzate da una popolazione di decine di migliaia di persone e da complessi industriali lungo i litorali, porti commerciali, militari e turistici per navi da diporto. Fiumi ed estuari saranno invece al centro delle indagini nei Paesi Bassi, dove si analizzerà in particolare il passaggio dei pesci migratori in riferimento a punti critici quali chiuse o sbarramenti. Non ultimi i laghi in Germania, dove verranno utilizzati sistemi video ad alta risoluzione combinati con strumenti di riconoscimento delle immagini ad alto rendimento attraverso l’uso di Intelligenza Artificiale, per monitorare i movimenti dello zooplancton.

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Il team del progetto al Museo di Storia Naturale dell'Ateneo in occasione del kick-off meeting

L’avvio ufficiale di AquaPLAN (Aquatic Pollution from Light and Anthropogenic Noise: Management of Impacts on Biodiversity) è avvenuto il 24 e 25 gennaio all’Università di Pisa. Il progetto sarà sviluppato da un consorzio composto da 13 partner provenienti da cinque Stati membri dell’UE (Italia, Spagna, Paesi Bassi, Germania, Irlanda), tre paesi associati a Horizon Europe (Norvegia, Israele, Regno Unito) e un partner associato proveniente da un Paese Terzo (Australia). Il partenariato vede la collaborazione di cinque istituti/centri di ricerca, sei università e due imprese private.

Per diminuire le emissioni di CO2 nell’atmosfera, il geotermico è la fonte di energia rinnovabile più efficace, seguito da idroelettrico e solare. La notizia arriva da uno studio su 27 paesi OCSE dal 1965 al 2020 pubblicato sul Journal of Cleaner Production.

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La ricerca ha analizzato l’impatto di alcune fonti di energia rinnovabile per la produzione di energia elettrica: geotermico, solare, eolico, biofuel, idroelettrico. Dai risultati è emerso che ognuna di esse contribuisce a ridurre le emissioni di CO2 e dunque è utile agli obiettivi della transizione ecologica. Fra tutte, le migliori sono il geotermico, l’idroelettrico, e il solare, in ordine decrescente di importanza. A livello quantitativo, 10 terawattora di energia elettrica prodotti da geotermico, idroelettrico, e solare, consentono infatti di ridurre le emissioni di CO2 pro capite rispettivamente di 1.17, 0.87, e 0.77 tonnellate.

I 27 paesi OCSE esaminati dal 1965 al 2020 sono stati scelti come campione perché contribuiscono notevolmente al rilascio di emissioni di CO2 nell’atmosfera e rappresentano circa un terzo del totale delle emissioni globali di CO2. Nello specifico si tratta di Australia, Austria, Canada, Cile, Cipro, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Islanda, Irlanda, Israele, Italia, Giappone, Messico, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Norvegia, Polonia, Portogallo, Corea del Sud, Spagna, Svezia, Svizzera, Regno Unito e Stati Uniti. Per ricavare i dati, la ricerca ha analizzato molteplici fonti, le principali sono: Food and Agriculture Organization (FAO), International Energy Agency (IEA), OECD, Our World in Data (OWID), e World Bank.

“E’ noto che circa due terzi degli italiani si dichiara appassionato del tema della sostenibilità e ritiene importante l’uso delle rinnovabili per avere città più sostenibili – dice Gaetano Perone, ricercatore del dipartimento di Economia e Management dell’Università di Pisa e autore dell’articolo – la mia analisi spiega in modo dettagliato l’impatto di ciascuna energia rinnovabile sulle emissioni di CO2, considerando anche altri aspetti legati ai costi di implementazione e costruzione delle centrali e delle opportunità date dalle caratteristiche geografiche e climatiche dei paesi considerati”.



Le praterie di Posidonia possono ridurre in modo significativo gli effetti dell’acidificazione dei mari, la prova arriva da una specie sentinella come i ricci di mare. E’ questo quanto emerge da alcuni studi condotti dall’Università di Pisa nell’ambito del progetto europeo FutureMARES e pubblicati sulle riviste Science of the Total Environment e Environmental Research.

 

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Sistema di mesocosmi composto da vasche con acqua di mare, utilizzate per testare gli effetti dell’acidificazione dei mari e della presenza della pianta marina, Posidonia oceanica, sullo sviluppo delle larve di riccio, Paracentrotus lividus

I ricercatori dell’Università di Pisa hanno condotto gli esperimenti nei mesocosmi collocati presso l’Acquario di Livorno, un sistema di vasche di grandi dimensioni che riproduce gli ecosistemi marini. Le analisi hanno dimostrato che Posidonia oceanica, la principale pianta marina che popola il Mediterraneo, contribuisce a difendere lo sviluppo delle larve del riccio di mare (Paracentrotus lividus). Questa specie, che ha anche un interesse commerciale, è minacciata dall’acidificazione delle acque marine che ostacola lo sviluppo dello scheletro composto da carbonato di calcio. Ma grazie alla propria attività fotosintetica, la Posidonia è stata in grado di alzare il pH dell’acqua di 0.15 unità. In presenza delle piante, le larve di riccio hanno così sviluppato meno malformazioni e raggiunto una grandezza maggiore nella fase finale dello sviluppo.

Le praterie di Posidonia possono quindi rappresentare un rifugio per alcune delle specie minacciate dall’acidificazione dei mari anche perché il fenomeno in sé non ha effetti significativi su queste piante. E tuttavia, come hanno dimostrato ulteriori indagini dell’Università di Pisa, se l’acidificazione è associata ad un innalzamento della temperatura dell’acqua, possono subentrare alterazioni fisiologiche e molecolari, specialmente nelle piante più in profondità, che potrebbero ridurre la funzione protettiva.

“I nostri studi dimostrano le praterie di piante marine come Posidonia oceanica possano mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici su altre specie, con importanti ricadute in termini sia di biodiversità che economici – spiega il professore Fabio Bulleri del Dipartimento di Biologia e del Centro Interdipartimentale di Ricerca per lo Studio degli Effetti del Cambiamento Climatico (CIRSEC) dell’Università di Pisa – questa capacità però può essere compromessa da un ulteriore riscaldamento del mare e per questo è necessario individuare popolazioni di piante più tolleranti allo stress termico e siti caratterizzati da un minore tasso di riscaldamento che possano funzionare da rifugi in scenari futuri”.

Fabio Bulleri, responsabile scientifico del progetto FutureMARES, si occupa della valutazione degli effetti dei cambiamenti climatici in ambiente marino. Insieme a lui hanno collaborato, per l’Università di Pisa, Chiara Ravaglioli assegnista di ricerca del Dipartimento di Biologia che si occupa degli effetti antropici sulle piante marine; Lucia De Marchi e Carlo Pretti, esperti in ecotossicologia del Dipartimento di Scienze Veterinarie. Partner esterni sono il Dipartimento di Scienze Della Vita dell’Università di Trieste, il Centro Interuniversitario di Biologia Marina “G. Bacci” (CIBM) di Livorno, la Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli, il National Institute of Oceanography, Israel Oceanographic and Limnological Research, Haifa in Israele e il National Biodiversity Future Centre (NBFC) di Palermo.


In alto: esemplare adulto di riccio di mare, Paracentrotus lividus; in basso a sinistra una larva di riccio normale ed a destra una larva anormale

 

 

 

 

Liguria, Friuli Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige sono le regioni più ricche di flora in Italia, anche se tanta ricchezza comprende presenze record di specie aliene. Il dato arriva da uno studio pubblicato sulla rivista Plants e coordinato da Lorenzo Peruzzi, professore del Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa e direttore dell'Orto e Museo Botanico dell'Ateneo.

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“In ambito ecologico è noto che, all'aumentare dell'area disponibile, aumenta anche il numero di specie – spiega Peruzzi – Pertanto, quando si parla di ricchezza floristica, non basta riferirsi al numero di specie presenti, ma bisogna anche tenere conto dell'ampiezza del territorio. Il fenomeno, modellizzabile con funzioni matematiche, è noto col nome di Relazione Specie-Area (acronimo SAR, Species-Area Relationship, in inglese) ed è sullo studio di questa relazione nella flora italiana che si è basata la nostra ricerca”.

Dai risultati emerge così che le regioni più ricche di flora sono Liguria, Friuli Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige, Abruzzo e Valle d’Aosta, mentre Sardegna, Puglia, Sicilia, Emilia-Romagna e Calabria sono le più povere. Considerando solo le specie autoctone, la classifica varia leggermente: il Trentino-Alto Adige esce dai primi posti e terzo sul podio arriva l’Abruzzo, mentre resta tutto invariato in coda. Per quanto riguarda infine le specie aliene, le regioni più ricche sono Liguria, Lombardia, Friuli Venezia-Giulia, Trentino-Alto Adige e Veneto, mentre Basilicata, Valle d’Aosta, Molise, Calabria e Puglia sono le più povere.

“Abruzzo, Valle d'Aosta e Molise sono regioni di particolare interesse naturalistico poiché mostrano una ricchezza floristica autoctona superiore all'atteso e una aliena inferiore – dice Peruzzi – Lombardia, Veneto, Toscana ed Emilia-Romagna mostrano invece problemi di conservazione potenzialmente gravi a causa alle invasioni biologiche, poiché in queste regioni tali rapporti sono invertiti. In particolare, la Toscana mostra livelli di ricchezza floristica solo lievemente inferiore all’atteso. Ciò significa, semplificando, che in questa regione vi sono più o meno tante specie native quante era lecito attendersi sulla base dell’ampiezza del suo territorio, ma anche purtroppo molte più aliene dell’atteso”.

"Abbiamo costruito un dataset di 266 flore di varie estensioni, da minuscoli isolotti come Stramanari in Sardegna ai circa 302mila km2 dell’intero territorio nazionale, e poi applicato la Relazione Specie-Area per l'intera flora vascolare italiana, per le sole specie native e per le sole specie aliene – aggiunge Marco D'Antraccoli, curatore dell'Orto Botanico dell’Università di Pisa – in questo modo siamo riusciti a valutare, per ogni flora, se il numero di specie censito fosse al di sopra o al di sotto dei valori attesi per l’area del territorio in esame".

"L'utilità di questo studio va oltre il poter confrontare in modo oggettivo la ricchezza floristica delle varie regioni italiane, ricavandone una sorta di ‘classifica’ – conclude Lorenzo Peruzzi – Infatti, per la prima volta abbiamo ricavato delle costanti specificatamente calibrate per il territorio italiano che consentiranno d'ora in poi agli studiosi di calcolare agevolmente il numero di specie di piante vascolari attese per una data area".

Oltre a Lorenzo Peruzzi e Marco D'Antraccoli, hanno collaborato alla ricerca Francesco Roma-Marzio, curatore dell’Erbario del Museo Botanico dell’Università di Pisa, Fabrizio Bartolucci e Fabio Conti dell'Università di Camerino, e Gabriele Galasso del Museo Civico di Storia Naturale di Milano.

Rapporto-sostenibilita-2023-verticale.jpgE’ on line il nuovo Rapporto di sostenibilità dell’Università di Pisa, il quarto della serie che testimonia l’impegno dell’Ateneo per il raggiungimento degli Obiettivi dello Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. La rendicontazione riguarda il triennio dal 2020 al 2022, circa 200 pagine che raccontano l’Università di Pisa in quattro sezioni: Identità e cifre, La nostra Agenda per la sostenibilità, Politiche di benessere e inclusione sociale e Il nostro impegno per l’ambiente. Completano il volume le due lettere introduttive del rettore Riccardo Zucchi e della prorettrice per la Sostenibilità e l’Agenda 2030 e presidente della Commissione per lo Sviluppo Sostenibile di Ateneo (CoSA) Elisa Giuliani.

Il Rapporto è stato curato dalla professoressa Giovanna Pizzanelli della Commissione per lo Sviluppo Sostenibile di Ateneo (CoSA) con la collaborazione del professore Nicola Salvati, con il contributo della dottoressa Cristina Sagliocco, di Fabio Pomini e di molti altri che sono citati nella nota metodologica.

 

Professoressa Giuliani, quali sono i punti salienti del nuovo Rapporto di sostenibilità?

Diciamo che questo Rapporto mostra il progressivo sviluppo di una strategia più strutturata orientata al perseguimento della sostenibilità in Ateneo. Si inizia a vedere, attraverso il lavoro della Commissione per lo Sviluppo Sostenibile di Ateneo (CoSA), che deriva dalla precedente gestione e  che oggi si è arricchita di nuove figure, il lavoro di squadra che si sta portando avanti in Ateneo su questi temi. 

Il rapporto, che è riferito agli anni 2020-21-22, evidenzia inoltre che ci sono tante energie tra il personale e anche negli studenti che si sono mobilitate sui diversi temi dell'Agenda 2030 - sia nella didattica, che nei lavori di tesi di laurea, nella ricerca dei docenti o nelle iniziative portate avanti anche dalla componente tecnico-amministrativa.  

 

Come l’Università di Pisa può fare la sua parte per raggiungere gli obiettivi dell’Agenda 2030?

Aver istituito dal novembre 2022 un Prorettorato per la Sostenibilità e Agenda 2030 aiuta perché serve a coordinare a tempo pieno i lavori della CoSA e serve a dare direzionalità ai diversi temi su cui lavoriamo che riguardano ad oggi la gestione dei rifiuti, dell'acqua, della mobilità sostenibile, dell'energia, del verde e biodiversità, delle pari opportunità, la promozione e la comunicazione della sostenibilità e non ultimo la rendicontazione delle attività svolte. 

L'Università di Pisa può dunque contribuire all'Agenda 2030 non solo attraverso l'insegnamento e l'avanzamento della conoscenza scientifica e delle sue applicazioni, ma anche attraverso la riorganizzazione di tanti aspetti che prima erano ritenuti accessori o secondari. L'università di Pisa è una città nella città, dobbiamo diventare un punto di riferimento su questi temi, e dobbiamo dare l'esempio, facendo anche i nostri compiti a casa. Ci sono ambiti come quello della gestione dei rifiuti, per esempio, che stiamo ripensando per poter migliore la qualità della nostra raccolta differenziata, ci sono questioni come quella dell'accesso all'acqua pubblica e della eliminazione dell'acqua in bottiglia su cui abbiamo fatto diversi passi avanti. Insomma gli ambiti sono molti, e vengono anche dalla sollecitazione degli studenti. 

 

“Il dito che spegne l’interruttore della luce e la bicicletta al posto dell’auto”, nella sua introduzione al Rapporto lei richiama i comportamenti e il senso di responsabilità che tutti dovremmo avere, quali sono in questo senso i gesti quotidiani da fare e non fare?

La nota dolente, che evidenzio anche nella mia lettera di introduzione al Rapporto, è che, mentre c'è senza dubbio una parte crescente della nostra comunità universitaria che sta lavorando molto seriamente sui diversi ambiti dalla sostenibilità, non c'è ancora una cultura molto radicata su questi temi, ci sono invece ancora molti automatismi ben radicati che sono espressione di cultura di consumo insostenibile. In altri paesi, si arriva alle riunioni con la propria tazza o la propria borraccia dell'acqua, non ci sono i bicchieri di plastica e le bottiglie di plastica sui tavoli. Piccoli gesti, basta poco, ma è necessaria una trasformazione culturale. La famosa questione dei coriandoli di plastica è un'altra delle situazioni paradossali. Possibile che i nostri studenti e le loro famiglie non capiscano che si tratta di una pratica insostenibile? Che la plastica che lasciano in giro si disperde, va nelle fognature, si trasforma in microplastica? Davvero abbiamo bisogno dei coriandoli ad una celebrazione di soli adulti? 

Ho fatto solo due esempi banali, ce ne sono di molto più complessi, ma tutti legati ad automatismi comportamentali di vecchio stampo che vanno scardinati. 

 

Progetti sostenibili per il 2024?

Molti. A parte la nuova gestione dei rifiuti che ho accennato, abbiamo intenzione di lavorare di più su mobilità sostenibile e su cibo. Ci sarà una nuova referente nella CoSA che si occuperà di questa ultima questione. Ci interessa per esempio, lavorare nella direzione di ridurre lo spreco di cibo nei convegni organizzati dai docenti UniPI, così come ridurre il cosiddetto "cibo spazzatura" nelle vending machine. Abbiamo molte altre iniziative che bollono in pentola e verranno annunciate sui nostri canali social  ad esempio su Instagram.

Una cosa che mi preme molto per questo 2024 è anche rispondere, per quanto nelle mie facoltà, ai numerosi studenti e studentesse che ci chiedono maggiore attenzione sui temi come quelli del cambiamento climatico e della protezione della biodiversità. E' crescente la sensibilità tra i giovani che si organizzano per la difesa dell'ambiente - penso a FFF ma anche al gruppo End Fossil o alle sollecitazioni che ci arrivano dalle associazioni ambientaliste pisane, come Legambiente. Dobbiamo ringraziali perché fanno domande utili ed intelligenti, e ci spronano a fare di più e meglio.  Solo così possiamo migliorare. 

 

 

Con un evento finale che si è tenuto mercoledì 6 dicembre al Dipartimento di Scienze agrarie, alimentari e agro-ambientali dell’Università di Pisa, 25 studenti provenienti dai corsi di laurea in Scienze Agrarie, Biosicurezza e Qualità degli Alimenti, Innovazione e Sostenibilità in Viticoltura ed Enologia, Sistemi Agricoli Sostenibili hanno concluso il loro percorso avviato nell’ambito dell’iniziativa “Quanto ne sai di sostenibilità?” in cui erano chiamati a cogliere le sfide del territorio della Garfagnana ed elaborare soluzioni relative legate alla sostenibilità. L’iniziativa è nata in seno al progetto Erasmus+ NEMOS, che ha lo scopo di mettere in connessione studenti e territorio attraverso attività di “service learning” (servizio alla comunità) per favorire l’acquisizione di competenze sulla sostenibilità. La giornata al Dipartimento di Agraria è stata aperta da Alessio Cavicchi, referente del progetto NEMOS, a cui sono seguiti i saluti del rettore Riccardo Zucchi, del prorettore per la Didattica Giovanni Paoletti, del professor Daniele Antichi, della Commissione per lo Sviluppo Sostenibile di Ateneo (CoSA).

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Tutto ha preso avvio da una macro-sfida legata al contrasto dello spopolamento della Garfagnana, di cui era “simbolica” referente la Comunità del Cibo e dell’Agrobiodiversità della Garfagnana e che ha coinvolto diversi attori del territorio. In particolare, i ragazzi e le ragazze hanno elaborato soluzioni per 6 sfide specifiche, dopo una serie di incontri preliminari online, approfondimenti attraverso delle interviste ai referenti e poi attraverso visite sul territorio. Le sfide hanno riguardato la valorizzazione dell’agro-biodiversità della Garfagnana; l’innovazione nella filiera del tessile; la riqualificare gli spazi e terreni abbandonati per creare nuove opportunità lavorative; nuove forme di valorizzazione della professione pastorale; soluzioni per una migliore sostenibilità energetica per le aziende del territorio; soluzioni per favorire un futuro passaggio di consegne e una continuità nel tempo e nei valori dell’attività agricola delle aziende in Garfagnana.

I challenger hanno potuto presentare le loro proposte davanti ai docenti e agli attori del territorio. Tra le varie idee emerse, si è parlato di attivare dinamiche di rete tra produttori locali e altre realtà del territorio impegnate nella valorizzazione della Garfagnana anche ai fini turistici per puntare sul marketing dei prodotti online e offline, sostenendo la creazione di marchi territoriali, di consorzi e cooperative e lavorando anche sulla creazione di itinerari turistici tematici relativi ai prodotti individuati come “bandiera”. Inoltre è stato proposto un percorso di accompagnamento alla creazione di una filiera locale della lana a partire dagli scarti di tosatura, con un processo di animazione e accompagnamento verso la creazione di una cooperativa locale di pastori che lavori in forte collaborazione, per la promozione e distribuzione, con l’azienda tessile lanciatrice della sfida.

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Si è fatto, poi, un focus sull’agriturismo come forma di recupero e rigenerazione di spazi e terreni abbandonati, con l’integrazione dell’attività di ospitalità all’interno di itinerari storici (come la via Francigena) e dei percorsi della transumanza. In questo senso, con il coinvolgimento di istituti culturali si è proposto di attivare iniziative di animazione culturale per le comunità e per i turisti, affermando l’agriturismo anche come spazio di aggregazione sociale. Per rendere attrattiva la professione del pastore sono stati proposti percorsi di formazione imprenditoriale che favoriscano la creazione di impresa basata su un’idea di moderna società cooperativa pastorale.

Per favorire un “dopo di noi” alle aziende agricole della Garfagnana, si è, ancora, proposto di creare una “Scuola di formazione teorico-pratica e di accompagnamento alla creazione d’impresa” i cui partecipanti, con tirocinio continuo svolto presso le aziende della Comunità del Cibo, possano ereditare saperi, valori e capacità organizzative e imprenditoriali delle aziende esistenti, lavorando anche nell’ottica dell’agricoltura sociale e della creazione di impresa al femminile. Infine, la sfida sull’efficientamento energetico ha visto proporre una combinazione di tre tipologie di fonti rinnovabili: fotovoltaico, biomassa e idroelettrico, con diverse forme di gestione pubblico-privata.

Agriturismo Braccicorti

Alla fine di questo percorso, i partecipanti hanno ricevuto dalle organizzazioni presenti alcuni riscontri sul lavoro svolto: si è discusso dei punti di originalità e sulle criticità in termini di fattibilità delle proposte avanzate, nell’ottica di proseguire il dialogo con forme di collaborazione più strutturata. «“Quanto ne sai di sostenibilità?”, arrivata alla sua terza edizione, si conferma un’iniziativa in grado di creare ponti concreti tra i nostri studenti e le realtà del territorio – commenta il professor Alessio Cavicchi – Essendo formulata come un percorso di apprendimento a contatto con la comunità, ha infatti come obiettivo primario lo scambio e l’apprendimento reciproco in termini di competenze per la sostenibilità, una delle sfide principali per il nostro presente e futuro».

L’iniziativa “Quanto ne sai di sostenibilità” è stata co-finanziata nell’ambito dei Progetti Speciali per la Didattica. Il progetto ha visto coinvolti i docenti Alessio Cavicchi, Lucia Guidi, Silvia Tavarini, Andrea Lucchi e Giuseppe Conte, supportati da Sabrina Tommasi e Annapia Ferrara in qualità di referenti scientifiche e pedagogiche. Fondamentale è stato inoltre il contributo degli studenti tutor Eugenia Maria Ida Ronga, Alfonso Maria Boccia, Sofia Panzani, che hanno accompagnato i challenger nel loro percorso didattico.

Le organizzazioni della Garfagnana coinvolte nelle sfide sono: Comunità del Cibo e dell’Agrobiodiversità della Garfagnana, l’Azienda agricola Il Corniolo, la Società Agricola Podere Braccicorti, Progetto CambioVia, Cantine Bravi, Ente Parco Alpi Apuane, Unione dei Comuni della Garfagnana e Banca del Germoplasma, ASR Cascio, ARTES Antica Valserchio. Hanno partecipato e supportato l'iniziativa anche il Comune di Camporgiano e il Museo italiano dell'immaginario folklorico.

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