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copertina_CPP_INSIDE.jpgE’ aggiornata ad ottobre 2016 la nuova edizione del "Codice di procedura penale annotato" appena pubblicata dalla Pisa University Press. Autori e curatori del progetto sono i professori ordinari Enrico Marzaduri dell’Ateneo pisano e Alfredo Gaito dell’Università «Sapienza» di Roma. Il volume, 1280 pagine e un prezzo di copertina di 22 euro, risulta già consigliato in ambito accademico da cinque atenei – oltre a Pisa e alla Sapienza anche le Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale, di Perugia e l’Università "Niccolò Cusano", Telematica - Roma.
Pubblichiamo qui di seguito un estratto dalla prefazione del libro.

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Il Codice di procedura penale annotato inaugura una nuova Collana di norme per le aule d’udienza e per le aule d’università, che coniuga contenuti informativi di base classici (la rassegna completa delle decisioni di Corte costituzionale e Sezioni Unite della Corte di cassazione) con profili propositivi e per certi versi creativi (la selezione delle decisioni della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del Lussemburgo e della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo).

L’organizzazione del lavoro ha impegnato un ristretto e qualificato nucleo di magistrati, avvocati impegnati nella professione, ricercatori e professori universitari, accomunati nell’aspirazione a fornire una conoscenza obbiettiva e documentata dello stato della giustizia penale attuale, attraverso la ricostruzione attenta dei principi elaborati dal diritto delle Corti.

Questo Codice si ricollega, in qualche misura, a quelli separatamente realizzati negli anni passati per la UTET ma non ne costituisce la continuazione, collocandosi piuttosto in un solco di accresciuta attenzione alla norma reale, quale filtrata nella prassi e nelle decisioni delle Corti.

Cambiato l’editore, cambiato il titolo, cambiata la direzione, cambiata l’equipe degli autori, cambiato il taglio, questo Codice, che fa da battistrada a una serie di Codici pensati e calibrati per le aule delle Corti e per le aule dell’Università (seguirà a breve la pubblicazione del Codice penale diretto da Adelmo Manna e Mauro Ronco, seguito da altri il Codice penitenziario coordinato da Carlo Fiorio e Fabio Fiorentin, il Codice antimafia e delle misure di prevenzione a cura di Alberto Cisterna e Sandro Fùrfaro, un Codice di procedura penale europea diretto da Oliviero Mazza e Silvia Buzzelli), aspira ad entrare in punta di piedi tanto nella dimensione professionale quanto nel percorso della didattica universitaria (di base e specialistica) come un punto di riferimento e una base irrinunciabile.

Come tutte le iniziative nuove ci sarà bisogno di qualche assestamento e di aggiornamento costante. L’intenzione è quella di realizzare un sito web recante le novità legislative e giurisprudenziali di rilievo, da estendere, in un futuro prossimo, a tutti i temi fondamentali della giustizia penale in trasformazione meritevoli di approfondimento (parallelamente alla pubblicazione degli altri codici compresi in questa stessa Collana).

È raro trovare nella Prefazione di un Codice qualche ringraziamento. Qui intendiamo, tuttavia, ringraziare i più giovani che ci hanno aiutato - Valentina Bonini, Adele Boris, Assunta Cocomello, Sandro Furfaro, Federico Gaito, Benedetta Galgani, Filippo Giunchedi, Elvira Nadia La Rocca, Mariangela Montagna, Gianrico Ranaldi, Federico Romoli.

Alfredo Gaito
Enrico Marzaduri

La realtà aumentata entra in sala operatoria grazie ad un visore indossabile che assisterà e guiderà occhi e mani del chirurgo durante gli interventi. E’ questo l’obiettivo del progetto europeo VOSTARS coordinato dal dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell’Università di Pisa che coinvolge numerosi partner italiani ed europei, fra enti di ricerca, aziende del settore e centri clinici. Appena finanziato con circa 3,8 milioni di euro per tre anni nell’ambito dal programma d’innovazione e ricerca H2020 dell’Unione Europea, VOSTRARS - acronimo di Video Optical See-Through Augmented Reality Surgical system – punta infatti alla realizzazione di una visore indossabile con un approccio ibrido, capace di integrare e ottimizzare quanto di meglio è stato studiato e sviluppato dagli albori della realtà aumentata ad oggi.

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“Grazie a questa tecnologia, il chirurgo potrà avere di fronte ai propri occhi, senza dover distogliere lo sguardo dal campo operatorio, informazioni come il battito cardiaco, l’ossigenazione del sangue e tutti i parametri del paziente – spiega il coordinatore del progetto Vincenzo Ferrari, ricercatore d’ingegneria biomedica dell’Ateneo pisano che da anni porta avanti ricerche sul tema della realtà aumentata in chirurgia– grazie al visore sarà inoltre possibile visualizzare tutte le immagini medicali acquisite prima e durante l’intervento che, perfettamente allineate con l’anatomia del paziente, daranno a chi opera ‘una vista ai raggi X’ virtuale per guidare la sua mano con estrema precisione”.



Buona parte del progetto sarà svolta presso Centro EndoCAS dell’Università di Pisa per la chirurgia assistita dal calcolatore, dove l’ingegner Fabrizio Cutolo, esperto di sistemi di realtà aumentata indossabili, affiancherà Vincenzo Ferrari nel coordinamento del progetto. Sempre in ambito pisano, il gruppo di ricerca di economia sanitaria guidato dal professore Giuseppe Turchetti della Scuola Superiore Sant’Anna lavorerà al fine di ottenere un dispositivo non solo clinicamente efficace ma anche economicamente sostenibile.

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In alto, i partner del progetto Vostars all’Università di Pisa per l’avvio ufficiale del progetto a il 12 e 13 dicembre 2016
Sotto, una applicazione della realtà aumenta in sala operatoria

don giovanni insideDopo il festival il libro: nasce così “Una gigantesca follia. Sguardi sul Don Giovanni” (Ets, 2016) curato dalle professoresse Maria Antonella Galanti, Sandra Lischi e Cristiana Torti.

Il volume raccoglie le molte riflessioni e conversazioni sul mito del grande seduttore che, dall’ottobre del 2014 a tutto il 2015, hanno animato il festival nato dalla collaborazione fra Università di Pisa e Teatro Verdi. Anticipiamo qui alcuni passi dall’introduzione al volume.

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Sì, è stata “una gigantesca follia” quella di collegare teatro, università e città, in vari luoghi e in vari modi, sulle tracce delle diverse sollecitazioni e dei tanti echi del “Don Giovanni Festival”. Una follia che ci ha impegnato, divertito, appassionato nell’organizzare, nel far dialogare, nel creare relazioni fra enti, istituzioni, intellettuali, artisti, pubblico.

Il libro si articola in tre sezioni: la prima dedicata al mito del seduttore e di Don Giovanni in particolare, nelle sue varie declinazioni filosofiche e psicologiche. La seconda dedicata alle origini letterarie e filosofiche e agli echi successivi; la terza, infine, incentrata sul riverbero che questo personaggio-mito ha avuto nell’ambito iconografico, scenografico, cine-televisivo, e in tutte quelle rappresentazioni mediatiche che hanno dato spazio alla creatività. Chiudono il volume la ricognizione sul Don Giovanni a teatro e quella sul percorso didattico nelle scuole.

Nel testo sono raccolti i saggi di vari studiosi attorno alla figura di Don Giovanni e al suo mito, che raggiunge il proprio apice con la rappresentazione mozartiana, ma si innesta su differenti versioni precedenti, popolari e colte, e si irradia nel futuro, mostrandosi vitale ancora oggi. Si tratta di un mito profondo e perciò perdurante, che abbiamo scelto come perno attorno al quale individuare percorsi formativi estesi.

L’incontro tra università e comunità territoriale può riguardare gli aspetti politici e sociali, l’ambiente e il territorio urbano, le tematiche strettamente scientifiche o quelle legate alla cura di sé in senso psichico e biologico e alla prevenzione sanitaria, ma anche il mondo letterario, artistico e musicale. A quest’ultima dimensione appartiene il volume, e soprattutto il dialogo a più voci portato avanti con passione e coinvolgimento.

La ricerca universitaria diventerebbe asfittica e autoreferenziale se non si legasse anche ai bisogni del territorio e della società tutta. E’ dunque anche eticamente doveroso, per chi opera nell’ambito accademico, restituire al mondo in termini di conoscenza gli stimoli e le opportunità di studio e di ricerca che dal mondo stesso ha ricevuto. Proprio questo abbiamo provato a fare.


Maria Antonella Galanti
Sandra Lischi
Cristiana Torti

copertina libro guido carpi“Storia della letteratura russa. Dalla rivoluzione d'ottobre a oggi” (Carocci, 2016) è il nuovo libro di Guido Carpi, professore di Slavistica al dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica. Un volume che arriva dopo il primo del 2010, “Storia della letteratura russa. Da Pietro il Grande alla Rivoluzione d'ottobre” sempre edito da Carocci. 

Il nuovo libro traccia l’evoluzione della letteratura russa dopo la cesura storica della rivoluzione del 1917 da cui scaturiscono tre filoni principali - la letteratura ufficiale, quella "sotterranea" (poi samizdat) e quella dell'emigrazione – sino ad arrivare alla crisi dell'esperimento sovietico nel 1991 che ha segnato un altro punto di svolta e ha innescato un processo di ulteriore ridefinizione tuttora in corso. Presentiamo qui, a firma di Guido Carpi, l’incipit dell’introduzione del volume.

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Il libro del comunismo. Un secolo tondo dalla rivoluzione d'Ottobre e un quarto di secolo dalla fine dell'esperimento di civiltà a cui quella rivoluzione aveva dato inizio: una doppia "data rotonda" che impone la necessità di tirare qualche somma su cosa sia stata la cultura letteraria sovietica e quale il suo lascito. Quali che siano le persistenze simboliche di tale passato, «il libro del comunismo giace oggi aperto. Ora che in esso non si deve vivere, è diventato possibile leggerlo» (Dobrenko, 2000, p. 639): se per decenni si è discettato dell'esperienza sovietica per assegnare patenti o imprimere marchi d’infamia, oggi possiamo affrontarla come oggetto di indagine epistemica, in tutto il suo carattere complesso e contraddittorio, ché quegli è tra gli stolti bene abbasso, che senza distinzione afferma o nega.

Tanto le motivazioni che l'impianto concettuale di fondo sono qui le stesse esposte nell'Introduzione al volume in cui trattavo la cultura letteraria russa nel corso del periodo imperiale (2010): «L'interesse della letteratura russa», – ha osservato Sveltana Aleksievič questo 7 dicembre nella sua Lectio per il Nobel, – «sta nel fatto che essa sola può narrare l'esperimento unico attraverso cui è passato un immenso paese».

Càpita che una generazione di intellettuali pensi se stessa come coronamento di un'epoca, come ultima parola di una lunga tradizione culturale, e allo stesso tempo intuisca confusamente di essere già distribuita ai blocchi di partenza di un'epoca nuova. Per alcuni mesi i processi di sviluppo organico della cultura paiono arrestarsi e confondersi: allo spartiacque fra due cicli storici, gli attori stanno ballando su un reticolo che li setaccerà, scindendo i composti esistenti e creando aggregazioni nuove, e ai loro destini futuri imprimerà traiettorie impensabili fino al giorno prima. Ed essi non vorranno prenderne atto, e penseranno di poter giudicare il presente con le categorie del proprio passato, finché la nuova realtà non si sarà imposta imperiosa alle loro coscienze.

Guido Carpi

inside2È stato testato per la prima volta su un paziente l'innovativo sistema di imaging INSIDE (“Innovative Solution for Dosimetry in Hadronthreapy”) sviluppato per rendere ancora più efficace l’adroterapia, una terapia oncologica avanzata che cura i tumori non operabili e resistenti alla radioterapia tradizionale con fasci di protoni e ioni carbonio generati da acceleratori di particelle. INSIDE è frutto di un progetto di ricerca che è stato coordinato dall'Università di Pisa in collaborazione con gli Atenei di Torino e di Roma "La Sapienza", il Politecnico di Bari, l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e, per la fase sperimentale, con il Centro Nazionale di Adroterapia Oncologica (CNAO) di Pavia dove si è svolto il test sul paziente.

INSIDE è un sistema di monitoraggio innovativo, basato sulla tecnologia dei rivelatori, capace di fotografare ciò che avviene nel paziente durante il trattamento. In adroterapia, infatti, le cellule tumorali vengono irraggiate con fasci di particelle cariche (protoni o ioni) emessi da un acceleratore. Questa tecnica di altissima precisione consente di minimizzare il danno prodotto ai tessuti sani circostanti. INSIDE misura con un brevissimo scarto temporale la profondità di penetrazione nel tessuto dei fasci di particelle cariche durante il trattamento e consente di verificare che sia in accordo con il valore desiderato.

Nel dettaglio il progetto, finanziato con un PRIN di un milione di euro nel triennio 2013-2016, ha realizzato un sistema di imaging bi-modale, con uno scanner per la Tomografia a Emissione di Positroni (PET) e un tracciatore di particelle cariche in grado di funzionare durante l'erogazione del fascio di trattamento di tumori del distretto testa-collo. Dopo la sua costruzione nel febbraio 2016 presso l’INFN di Torino, il prototipo è stato installato al CNAO di Pavia, l’unico centro in Italia (e il quinto al mondo) per il trattamento di tumori mediante fasci di protoni e ioni carbonio, con cui è stato sottoscritto un accordo scientifico finalizzato alla sperimentazione dello scanner. A oggi, nel mondo, ci sono in totale 10 acceleratori impiegati nel trattamento dei tumori con adroterapia con ioni carbonio, le particelle più pesanti e “distruttive” per le cellule tumorali: 5 in Giappone, 2 in Cina e 3 in Europa. Solo 5, tra cui il CNAO di Pavia, sono in grado di utilizzare sia gli ioni carbonio che i protoni a seconda delle necessità cliniche. Alcuni giorni fa, il sistema PET è stato testato per la prima volta durante il trattamento di un paziente affetto da tumore alle ghiandole lacrimali, con risultati molto promettenti.

Il progetto INSIDE - la cui descrizione dettagliata è disponibile all'indirizzo: http://131.114.131.146/insidewiki/- è stato coordinato da Maria Giuseppina Bisogni, dell'Università di Pisa. Le unità di ricerca sono state coordinate da Piergiorgio Cerello, dell’INFN e Università di Torino, Vincenzo Patera, dell’Università "La Sapienza" di Roma, Francesco Corsi, del Politecnico di Bari, Giuseppe Battistoni, dell’INFN di Milano, e Sandro Rossi per il CNAO.

“L’impiego clinico di INSIDE - ha dichiarato la professoressa Maria Giuseppina Bisogni, dell'Università di Pisa - potrà permettere la verifica in tempo reale della qualità dei trattamenti in adroterapia, aumentandone così la sicurezza e l’efficacia". “Questa tecnologia - ha aggiunto Piergiorgio Cerello dell’INFN di Torino - rappresenta un eccellente esempio di integrazione tra rivelatori per il medical imaging, sviluppati per la diagnostica, e l’adroterapia, nata dalla fisica degli acceleratori”. “INSIDE - ha concluso Mario Ciocca, responsabile Fisica Medica della Fondazione CNAO - è un sistema che si sta dimostrando affidabile, accurato e non invasivo nel verificare in tempo reale sui nostri pazienti la corrispondenza tra la dose pianificata e quella effettivamente erogata. È un ulteriore salto in avanti in termini di sicurezza e qualità dei trattamenti con adroterapia”.

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Foto in alto: il sistema di imaging INSIDE.
Foto in basso: il gruppo di ricerca con al centro la professoressa Maria Giuseppina Bisogni.

È stato inaugurato nell’Edificio E dell'Area Pontecorvo l’anno accademico dottorale dell’Università di Pisa, con un incontro rivolto ai dottorandi del primo anno finalizzato a sviluppare una riflessione sul ruolo della ricerca nel contesto nazionale e internazionale, condividendo nello stesso tempo le informazioni tra giovani studiosi di discipline diverse e raccogliendo indicazioni sul percorso da intraprendere.

L’incontro è stato aperto dai saluti del rettore Paolo Mancarella e dall’introduzione della professoressa Marcella Aglietti, delegata al Dottorato di ricerca. Subito dopo è intervenuto il professor Fernando García Sanz, della Escuela Española de Historia y Arqueología di Roma, che ha tenuto una lectio magistralis dal titolo “Clerici vagantes: la ricerca come professione internazionale”.

Nella seconda parte dell'iniziativa sono stati illustrati il contesto normativo, gli aspetti procedurali e le opportunità del percorso formativo del dottorato, terminando successivamente con domande e approfondimenti moderate da Mauro Bellandi, dirigente della Direzione Didattica e servizi agli studenti.

Ne hanno parlato:
Tirreno Pisa
Nazione Pisa
Nazione Pisa (13/12)

incontro dottorato1

copertina libroÈ uscito da poco "La scrittura e il mondo. Teorie letterarie del Novecento" (Carocci, 2016) di Stefano Brugnolo, professore di Critica Letteraria e Letterature Comparate del dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica del nostro Ateneo, un volume scritto insieme ai colleghi Davide Colussi, Sergio Zatti e Emanuele Zinato dell'Università di Padova. "Quali bisogni o desideri esprime la letteratura?", si legge nel risvolto di copertina "Esistono criteri per stabilire il valore di un testo? Il suo significato muta a seconda del lettore?" Il libro risponde a tali domande, ripercorrendo – in modo chiaro ma anche problematico – le idee, le parole-chiave, le forme discorsive che hanno segnato la teoria della letteratura dal primo Novecento a oggi". Presentiamo qui l'introduzione del libro dal titolo "Di cosa parliamo quando parliamo di letteratura"

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Questo manuale aspira ad essere divulgativo ma contemporaneamente problematico e critico. Non intendiamo infatti elencare in sequenza i nomi e le idee dei principali teorici novecenteschi, ma semmai affrontare alcune grandi questioni e raccontare come quei teorici hanno preso posizione rispetto ad esse, e se e come ne sono venuti a capo; questo a partire dalla questione preliminare, la più immediata ma anche la più difficile di tutte, quella che corrisponde al titolo di un memorabile saggio di Jean-Paul Sartre (1905-1980): Che cos’è la letteratura? I criteri che solitamente sono stati adottati per rispondervi sono tre: quello istituzionale (è letteratura quel che una società definisce tale), quello immaginario (sono letterari i discorsi che ci fanno evadere dalla realtà), quello formale (sono letterari quei discorsi che presentano specifiche caratteristiche linguistiche). Come vedremo, a seconda della prospettiva che si adotta cambia la risposta che si dà. Ma se questo è l’interrogativo di base è vero anche che resterà un po’ sullo sfondo, mentre affronteremo più puntualmente e diffusamente altre questioni più vicine alla comune prassi interpretativa. La prima di esse sarà: da dove viene la letteratura? Da quali realtà psichiche o culturali, individuali o collettive emana? O se preferiamo: quali istanze, bisogni o desideri esprime? La seconda: la letteratura è un gioco fine a sé stesso, un puro divertimento, oppure ci parla del mondo, lo rispecchia, lo imita? E, in questo caso, secondo modalità trasparenti o deformanti? La terza: di che tipo è il messaggio o il significato che veicola un’opera letteraria? È traducibile in parole piane e razionali o presenta caratteristiche che la rendono refrattaria al discorso logico? La quarta: tale significato è fisso nel tempo o cambia a seconda del lettore, delle epoche, delle società, e insomma della prospettiva che si adotta? La quinta: esistono criteri o procedure per stabilire l’eccellenza estetica di un testo o, ancora una volta, tutto è demandato alla sensibilità soggettiva, oppure alle scelte di élite che impongono di considerare valide solo certe opere? E infine l’ultima: a cosa e a chi serve la letteratura? Che funzione svolge dentro una certa comunità o anche nello sviluppo della specie umana? Serve a diffondere immagini del mondo che confermano l’ordine vigente o a proporcene di originali e scomode?

Anche se è sempre possibile proporre altre domande e articolarle in modo diverso, sono questi i nodi concettuali fondamentali con cui si sono confrontati tutti i teorici della letteratura. Ad essi perciò ci riferiremo continuamente anche quando non li evocheremo esplicitamente. Come si può constatare non sono problemi che riguardano solo gli specialisti ma possono interessare tutti coloro che consumano romanzi, poesia, teatro, canzoni, cinema ecc., e amano rifletterci sopra. In fondo cercare di comprendere cosa sia, come funzioni, a cosa serva la letteratura significa cercare di comprendere che tipo di relazione intercorra tra le parole e le cose, tra i testi e la vita che conduciamo, e significa anche chiedersi se e come, rappresentando e raccontando il mondo, possiamo dargli un senso condiviso. Anche se non sono stati solo i teorici della letteratura a porsi questi problemi, crediamo che le loro risposte possano aiutare tutti ad orientarsi meglio. Ci piace dunque immaginare che un libro come il nostro contribuisca a fare uscire il discorso critico-teorico dal suo attuale isolamento, per renderlo parte viva della discussione intellettuale pubblica.

Ecco adesso qualche premessa e istruzione per l’uso di questo manuale. Mentre nei capitoli successivi approfondiremo alcune specifiche teorie, in questa introduzione vi proponiamo un rapido inquadramento delle principali linee di ricerca e riflessione, scegliendo come motivo dominante il conflitto tra l’approccio mimetico e quello anti-mimetico. Quest’ultimo ha cominciato ad affermarsi a partire dalla metà dell’Ottocento in Francia. È stato infatti Charles Baudelaire (1821-1867), che però sviluppava alcuni spunti di Edgar Allan Poe (1809-1849), il primo a proporre con enfasi l’idea che la poesia non debba mirare all’Insegnamento o alla Morale o alla Verità, perché essa «non ha per oggetto [...] che sé stessa» (Baudelaire, 1857, p. 828). È la linea dell’autonomia del bello, che dopo Poe e Baudelaire altri scrittori e poeti – Flaubert, Mallarmé, Proust – proseguiranno e approfondiranno. Spesso questi scrittori sono stati considerati antesignani delle posteriori teorie autoreferenzialiste ma va ricordato che essi avevano una idea altissima della funzione sociale della letteratura, tanto che ritenevano che soltanto essa, dopo la fine della religione, avrebbe potuto trasfigurare e “salvare” il senso dell’esperienza umana, altrimenti destinata all’insignificanza e all’oblio. Solo nel Novecento questo tipo di visione attecchirà negli studi letterari veri e propri – si pensi alla concezione estetica di Benedetto Croce, al formalismo russo ma soprattutto allo strutturalismo francese (cfr. i CAPP. 1 e 5) – e anzi si radicalizzerà fino al punto di trasformarsi nella concezione autoreferenzialista vera e propria, secondo cui i testi poetici non rimanderebbero a nessuna realtà extra-testuale, ma unicamente a sé stessi. Tale concezione, che ha rotto con le poetiche della mimesi prevalenti in Europa da Aristotele in poi, è stata da allora sostanzialmente egemone fino ad oggi. Tutte le riflessioni che si sono date intorno alla letteratura hanno in qualche modo fatto i conti con questo nuovo paradigma, sia per aderire ad esso che per contestarlo.

Stefano Brugnolo

Gli investimenti socialmente responsabili al centro di uno studio finanziato dall’Unione Europea e coordinato dall’Università di Pisa. Si chiama Development and Harmonisation of Socially Responsible Investment in the European Union ed è un progetto Jean Monnet coordinato dal professor Luca Spataro (nella foto) dal dipartimento di Economia e Management, che coinvolge anche il dipartimento di Giurisprudenza dell’Ateneo pisano, due università europee (Universität Luzern e Universität Hamburg) e un ateneo indiano (Indian Institute of Management). Il 6 dicembre scorso si è svolto a Pisa primo evento ufficiale del progetto dal titolo “Le nuove prospettive sugli Investimenti Socialmente Responsabili: parlano i protagonisti”, a cui hanno partecipato docenti, studenti e operatori finanziari del territorio.

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«Negli ultimi anni l'importanza attribuita alla sostenibilità e alla responsabilità sociale nel fare impresa e nelle politiche di investimento è aumentata in modo significativo – spiega il professor Spataro – Il nostro progetto, di natura interdisciplinare, si pone l’obiettivo di promuovere un dibattito tra studiosi e istituzioni internazionali, operatori economici e policy makers per sostenere lo sviluppo della responsabilità sociale degli investimenti finanziari, anche in ottica di armonizzazione europea e di politiche di nuovo welfare».

L’interesse sul tema nasce dal fatto che la globalizzazione, le tematiche ambientali e le crisi innescate dalla finanza fine a se stessa hanno accelerato il processo di avvicinamento tra economia e temi quali la sostenibilità e la responsabilità sociale. «Argomenti come l'integrità imprenditoriale e la tutela dell'ambiente non appartengono più solo al settore non profit, ma sono diventati fattori decisivi per la competitività di tutti i settori di business – aggiunge Spataro – Da qui, lo sviluppo significativo degli investimenti sostenibili e responsabili negli ultimi due decenni, strumenti che associano, agli obiettivi tipici dell’analisi finanziaria, indicatori extra-finanziari (ESG - Environmental, Social, Governance)». Il progetto, mediante seminari, workshop e conferenze che si svolgeranno nel biennio 2016-2017, intende porre al centro del dibattito lo sviluppo di tali strumenti, mediante il coinvolgimento di operatori e studiosi internazionali. 

Alla giornata pisana, coordinata dal professor Spataro, ha portato i suoi saluti il prorettore all’internazionalizzazione, Francesco Marcelloni, e sono intervenuti Renato Guerriero, membro del Comitato esecutivo e direttore commerciale Europa e Medio Oriente del Candriam Investors Group; Maurizio Agazzi, direttore del Fondo pensione Cometa e presidente di Forum per la Finanza Sostenibile; Luigi Ballanti, direttore di Mefop, istituto che raccoglie circa 90 soci quali fondi pensione con la partecipazione del Ministero dell’Economia e delle Finanze, che ha lo scopo di favorire lo sviluppo dei fondi pensionistici e delle altre forme di previdenza.

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Ne hanno parlato:
InToscana.it

New footprints of early bipedal hominins discovered at Laetoli, Tanzania, indicate marked body size variation among our 3.65 million-years-old ancestors and suggest a new insight into their social behaviour. This discovery is being published on the open-access journal eLife. Giovanni Boschian, professor at the University of Pisa, is one of the author of the study, together with Marco Cherin, University of Perugia, Giorgio Manzi, Sapienza University of Rome, Jacopo Moggi-Cecchi, University of Florence, and Fidelis T. Masao, University of Dar es Salaam.

Reconstruction of the Laetoli palaeolandscape

Fossil bones and teeth tell us a lot about various aspects of human evolution, but footprints are a different story. Footprints are rare: they can be impressed in the ground, preserved over time and eventually discovered millions of years later only because of unique circumstances. Like a spotlight on a prehistoric scene, fossil tracks provide data about the locomotion biomechanics and body size of the extinct creatures and reveal the diversity among individuals, explaining even their reproductive strategies.

The new trackway was found at Laetoli, in the Ngorongoro Conservation Area of northern Tanzania, in the same area where the legendary Mary Leakey and her team of researchers discovered in the late 1970s a trackway of more than 3.6 million years ago, commonly attributed to Australopithecus afarensis (the species of the renowned Lucy). Surrounded by dozens of footprints of other mammals and birds and by raindrop impressions, this new trackway was left by two bipedal individuals walking on the same palaeosurface, at the same time and direction and at a similar moderate speed as those documented in the late 1970s. This novel evidence, taken as a whole with the previous one, portrays several bipedal early hominins moving as a group through the landscape, after a volcanic eruption and a subsequent rainfall. Of course, this is a fascinating image, but there is more. The footprints of one of the new individuals are astonishingly larger than anyone else’s in the group, suggesting he was a very large male of the species. This exceptional body size makes him the largest Australopithecus afarensis specimen identified so far.

A conclusion is that the Laetoli individuals were one male, two or three females and one or two juvenile individuals. This suggests that the traditional representation of the 1970s trackway with a couple of Australopithecus, romantically walking arm in arm and followed by their kid, can be misleading.

Conversely, both the new composition of the group and the impressive body size difference suggested by the inclusive Laetoli footprint-set point to a considerable sexual dimorphism in Australopithecus afarensis. In turn, this view supports social organization and reproductive strategies closer to the polygynous gorillas than to other moderately dimorphic species, like the promiscuous chimpanzees and bonobos or most of the extant and, possibly, the extinct humans.

Four hominin tracks photographed at sunset in test pit L8 at Laetoli Site

Giovanni Boschian University of Pisa and Giorgio Manzi Sapienza University of Rome observe some rock fragments sampled from the Laetoli sequence

The Italian Tanzanian research group working at Laetoli

Marco Cherin University of Perugia cleans the footprint bearing surface at Laetoli Site

Preliminary digging and cleaning operations at Laetoli Site

6.Minimum and maximum estimated statures of selected fossil hominins

Nuove orme di ominini scoperte a Laetoli, nella Ngorongoro Conservation Area in Tanzania, aprono prospettive inedite sullo studio del comportamento sociale dell’Australopithecus afarensis, la stessa specie della famosa Lucy, rivoluzionando l’immagine “romantica” che abbiamo dei nostri antenati vissuti 3.6 milioni di anni fa. Lo studio, pubblicato sulla rivista eLife, è stato condotto dalla Scuola di Paleoantropologia dell’Università di Perugia in collaborazione con ricercatori delle università di Pisa, Sapienza di Roma, Firenze e Dar es Salaam. 


Fotogallery: Le immagini della ricerca

 

«Le vecchie impronte rinvenute negli anni settanta da Mary Leakey avevano portato a numerose interpretazioni, la più famosa delle quali è quella della coppia di ominini che passeggia col braccio di lui sulla spalla di lei seguiti da un terzo individuo di medie dimensioni – spiega Giovanni Boschian dell’Università di Pisa – Le tracce appartenevano infatti a tre individui, due che procedevano affiancati (grande e piccolo/maschio e femmina) e il terzo (il medio) che camminava nelle impronte del più grande. Le nuove orme, ritrovate a circa 150 metri dalle vecchie, appartengono ad altri due individui, uno molto più grosso degli altri, probabilmente un maschio, l’altro di medie dimensioni. Ne consegue che probabilmente non si trattava di una famigliola formata da una coppia monogamica padre-madre più figlio, ma di un gruppo costituito da un grande maschio dominante e vari altri individui di vari sessi e dimensioni».

Circondata da centinaia di impronte appartenenti a mammiferi, uccelli e persino a gocce di pioggia, la nuova pista di Laetoli è stata impressa da due individui bipedi, in movimento sulla stessa paleosuperficie, nello stesso intervallo di tempo, nella stessa direzione e con simile velocità dei tre individui documentati negli anni settanta. Questa nuova prova, associata alla precedente, permette dunque d’immaginare un gruppo di ominini bipedi in movimento compatto attraverso un tipico ambiente africano di savana. Le orme del grosso maschio sono sorprendentemente più grandi di quelle del resto del gruppo, suggerendo dimensioni corporee che lo rendono il più grande rappresentante di Australopithecus afarensis identificato finora, con una statura stimata di 1.65 metri.

L’ipotesi è dunque che il “quintetto” di Laetoli fosse composto da un maschio, due/tre femmine e uno/due giovani, fatto che porta a smentire la ricostruzione classica. La nuova ipotesi sulla composizione del gruppo sociale e le significative differenze di taglia tra gli individui di Laetoli portano a riconoscere Australopithecus afarensis come una specie ad alto livello di dimorfismo sessuale. A sua volta, ciò consente d’ipotizzare che questi ominini estinti potessero avere un’organizzazione sociale e delle strategie riproduttive più simili all’attuale gorilla (scimmia antropomorfa poligama ad alto dimorfismo sessuale), piuttosto che a specie moderatamente dimorfiche come i promiscui scimpanzé e bonobo, oppure la maggior parte degli uomini moderni e, forse, di quelli estinti.

Come un’istantanea su una scena preistorica, le tracce fossili forniscono dati sulla biomeccanica della locomozione, sulle dimensioni corporee, rivelano indizi sulla variabilità tra individui, permettendo come in questo caso di formulare ipotesi sulla struttura sociale e sulle strategie riproduttive degli organismi estinti: «Il mio lavoro è stato prevalentemente geologico – specifica Boschian – Ho verificato che le nuove orme appartenessero al medesimo strato e che di conseguenza avessero la stessa età geologica delle precedenti e soprattutto che fosse probabile che si trovassero sulla stessa superficie, ovvero che fossero state impresse contemporaneamente a quelle della vecchia serie. Altrimenti tutta la nuova interpretazione non reggerebbe».

Il lavoro ha incluso l’osservazione e il rilevamento degli strati con impronte in un’area ampia vari km quadrati attorno al sito principale e il riconoscimento dei caratteri sedimentologici delle sequenze di ceneri vulcaniche affioranti nell’area. «L'Africa, dove lavoro ormai da diversi anni, è un luogo eccezionale per lo studio degli ominidi antichi, del loro comportamento e della loro evoluzione – conclude il professore – Le impronte che abbiamo trovato sono impressionanti: il loro stato di conservazione quasi perfetto ci fa quasi credere che persone vissute 3.6 milioni di anni fa siano passate di lì poco prima di noi e che guardando avanti le si possa distinguere mentre camminano, in distanza. Se poi si considera il fatto che l'ambiente attuale non è molto diverso da quello in cui loro si trovavano, l'impressione è ancora più forte».


Ne hanno parlato:
Corriere della Sera
Repubblica
Ansa
AGI 
ADNkronos
National Geographic (Italia)
Le Scienze 
Rai News

Greenreport.it 
InToscana.it 
QuiNewsPisa
gonews.it

BBC News
Live Science
National Geographic
Daily Mail 
Chicago Tribune

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