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Giuseppe Pilonei
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La
percezione della tecnologia: il caso dell’energia nucleare
Nel nostro
Paese, lo sviluppo delle applicazioni pacifiche dell’energia nucleare è stato
avversato da un’opinione pubblica sostanzialmente preoccupata
dei possibili rischi ad essa legati. Sebbene si possa pensare che una
tale opposizione sia strettamente legata a caratteristiche proprie della
tecnologia nucleare, negli ultimi anni appare invece evidente come simili
atteggiamenti si presentino sistematicamente anche nei confronti di
molte altre problematiche tecnico-scientifiche.
Ciò mette
in luce quanto critico sia il problema della percezione che l’opinione
pubblica ha del ruolo della tecnologia nella vita quotidiana e di quanto
ampio sia il divario tra il progresso scientifico e la capacità di
comprensione dei suoi costi e benefici da parte della gente.
Percezione del ruolo della tecnologia nella società industrializzata
L’elevato tenore di vita di cui oggi godono gli abitanti dei Paesi
industrializzati è stato raggiunto anche grazie all’innovazione
tecnologica e al progresso delle scienze verificatosi nel secolo scorso.
Ciononostante, in vaste fasce della popolazione esiste una generale mancanza
di consapevolezza della stretta correlazione tra benessere e sviluppo tecnico-scientifico.
Al contrario, vi è invece la tendenza a sottolineare gli inevitabili
aspetti negativi legati alle innovazioni tecnologiche, dimenticandone i
molteplici aspetti positivi.
Evidentemente, il modo di percepire il ruolo del progresso scientifico nella
vita quotidiana è viziato da una sorta di disillusione nei confronti
della tecnologia che, pur garantendo una vita meno condizionata dalle secolari
piaghe che affliggevano la civiltà contadina (fame, malattie, mortalità infantile,
ignoranza e così via), ha inaspettatamente manifestato anche alcuni
lati oscuri (degrado e inquinamento delle città, stress e altro).
Ormai si è disposti soltanto ad accettare i vantaggi provenienti
dalla tecnologia, dati per acquisiti, rifiutando di pagare per essi la benché minima
contropartita. Così, pur essendo assidui utenti della telefonia mobile,
si protesta contro l’installazione di nuove antenne; pur possedendo
fuoristrada insaziabili di carburante, si considera con sospetto ogni forma
di inquinamento prodotto da attività di utilità comune; pur
installando ovunque condizionatori, ci si lamenta del traliccio dell’alta
tensione che soddisfa ai sempre più voraci bisogni energetici.
Ma non è solo l’uomo della strada a vivere il suo rapporto
con la tecnologia in modo irrazionale e fondamentalmente contraddittorio.
Talora, anche gruppi di opinione che fanno uso sapiente dei mass media si
pronunciano in modo da confermare questo vago sentimento di ostilità nei
confronti della tecnologia, teorizzando una natura madre turbata dall’intervento
dell’uomo. Questa teoria banalizzante che ipotizza una natura di per
sé buona e che le attività antropiche non possono che peggiorare,
cozza con la millenaria consapevolezza dell’uomo di dover lottare
duramente per garantirsi la sopravvivenza e migliorare le proprie condizioni
di vita.
Il caso dell’energia nucleare
L’energia nucleare da fissione rappresenta oggi l’unica fonte
energetica in grado di assicurare un approvvigionamento continuo, economico
ed eco-compatibile per il futuro. I 440 e più reattori di potenza
attualmente in funzione, la cui vita utile sta venendo prolungata oltre
le iniziali aspettative sulla base dei dati relativi al loro buon funzionamento,
sono la dimostrazione chiara di una tecnologia matura, solida ed affidabile.
Infatti, a fronte dell’attuale produzione per via nucleare di circa
il 17% dell’energia elettrica mondiale (il 35% in Europa), gli incidenti
potenzialmente gravi avvenuti negli impianti nucleari in cinquant’anni
di impieghi pacifici si contano sulle dita di una mano. Le loro conseguenze, è bene
chiarirlo, sono state del tutto trascurabili o comunque ben inferiori a
quelle causate da molti altri eventi industriali. Il più grave incidente
nucleare, quello di Chernobyl, è stato un caso limite di cattiva
gestione di procedure operative, che, a buona ragione, si ritiene non verificabile
nei reattori occidentali.
Con queste considerazioni non si vuole sostenere che la tecnologia nucleare
sia esente da rischi, dato che nulla ha rischio nullo, ma si vuole affermare
che i pericoli in essa coinvolti sono paragonabili a quelli delle altre
tecnologie e possono essere considerati ampiamente accettabili a fronte
dei molteplici benefici che ne derivano.
Sostenibilità ambientale e costi dell’energia nucleare
Secondo previsioni dell’Agenzia Interna-zionale per l’Energia
dell’OCSE, i consumi energetici e le emissioni di gas serra nell’atmosfera
da parte dei Paesi in via di sviluppo supereranno nel 2020 quelle dei Paesi
industrializzati, inficiando i risultati dell’applicazione integrale
del protocollo di Kyoto. L’effetto serra dovrà quindi essere
affrontato con misure decise e tempestive e l’energia nucleare appare
oggi l’unica fonte in grado di produrre energia elettrica e garantire
al contempo uno sviluppo sostenibile.
La sostenibilità dell’energia nucleare investe, fra l’altro,
l’efficace utilizzo del combustibile, la gestione sicura delle scorie
radioattive e la resistenza alla proliferazione delle armi atomiche. Questi
problemi, mai trascurati dalla tecnologia nucleare, trovano nuove risposte
anche nello sviluppo dei reattori di nuova generazione (“Generation
IV”). Nella progettazione di questi reattori, oltre a tenere conto
degli obiettivi di sicurezza, affidabilità e competitività economica,
viene infatti maggiormente sottolineato il problema della sostenibilità ambientale.
Lo sviluppo sostenibile richiede la disponibilità di combustibile
nucleare per un lungo periodo, risultato ottenibile, ad esempio, mediante
l’impiego di sistemi che permettano alta efficienza nell’utilizzazione
delle risorse di uranio e di torio. L’uso di elementi di combustibile
di tipo avanzato porterà inoltre ad una riduzione dei costi di esercizio
e del volume delle scorie radioattive prodotte.
Un impianto nucleare da 1000 MWe, in assenza di riprocessamento, produce
in un anno una quantità di scorie radioattive pari a circa 500 t
a bassa attività, 200 t a media attività e solo 25 t ad alta
attività, quantità trascurabili rispetto alle enormi masse
di gas serra prodotte dagli impianti fossili a parità di produzione
di energia. Le scorie a bassa e media attività vengono dapprima trasformate
in forme chimicamente stabili, ridotte di volume (di un fattore 30÷70)
mediante compattazione, cementificazione o vetrificazione e successivamente
depositate in formazioni geologiche costituite da matrici ad altissima stabilità (si
veda, ad esempio, il deposito svedese di Forsmark, operativo da circa un
ventennio). La trasmutazione delle scorie ad alta attività in rifiuti
a media attività mediante il bruciamento in reattori autofertilizzanti
o in appositi trasmutatori rappresenta un’opzione attraente per l’ulteriore
riduzione di queste già limitate quantità di rifiuti. In definitiva
si può affermare che il problema delle scorie radioattive non è affatto
di natura tecnologica, ma politica e sociale: è indispensabile che
l’opinione pubblica comprenda che un deposito di scorie radioattive
non è una discarica nucleare, bensì un impianto tecnologicamente
all’avanguardia.
In merito alla non proliferazione degli armamenti nucleari è necessario
ricordare che il plutonio contenuto nel combustibile esaurito delle centrali
di potenza non è facilmente utilizzabile per scopi militari, ma richiede
complessi e costosi impianti di riprocessamento e separazione isotopica,
accessibili solo alle grandi potenze.
Per quanto attiene al costo dell’energia elettrica (e.e.) da fonte
nucleare, studi recenti svolti dal Dipartimento dell’Energia statunitense
e dalla Comunità Europea dimostrano la sua assoluta competitività con
quello da fonti fossili, anche senza tener conto dei probabili ulteriori
aumenti dei costi e delle “esternalità” ambientali di
queste ultime, che, se considerati, renderebbero il confronto largamente
a favore del nucleare.
Secondo l’Osservatorio Europeo del Prezzo dell’e.e. (EEPO) nel
2001 in Francia (77% dell’e.e. da fonte nucleare) tale prezzo per
gli utenti industriali è stato pari a 40,3 €/MWh, mentre in
Italia (79% dell’e.e. da fonti fossili) è stato di 83,9 €/MWh.
Come è noto, nel 2002 il Parlamento finlandese ha approvato la costruzione
di una centrale nucleare di tipo EPR da 1600 MWe che dovrà entrare
in funzione nel sito di Oikiluoto nel 2009, con un costo previsto di 3 miliardi
di euro. È interessante osservare che fra le ragioni più importanti
della scelta (politica ed economica) finlandese sono stati indicati, oltre
alla necessità del rispetto del Protocollo di Kyoto (sottoscritto
dalla Finlandia come dall’Italia) e alla riduzione della dipendenza
dall’importazione di energia elettrica (6% per la Finlandia, 15% per
l’Italia), la sicurezza, la stabilità e la prevedibilità dei
costi di produzione di e.e. da fonte nucleare.
I costi di produzione in €/MWh, tenendo conto delle citate “esternalità” come
pure dei rifiuti nucleari (stoccaggio in un deposito esistente), con tasso
di sconto reale del 5% ed “emission trade” di 20 €/t di
CO2, per una produzione sulla base di 8000 h/anno, sono i seguenti (fonte
World Energy Council): Nucleare (EPR): 24; Carbone: 49; Ciclo Combinato:
38; Legno: 47; Eolico (2200h/anno): 50.
Quanto sopra a fronte di un prezzo medio di mercato del Nord Pool pari a
35,3 €/MWh.
Considerazioni conclusive
Non è questa la sede adatta per prolungare oltremodo la discussione
circa i rischi e i benefici dell’energia nucleare. La quantità di
materiale disponibile sull’argomento è tale che chi lo voglia
approfondire seriamente non ha che l’imbarazzo della scelta.
Sembra invece più opportuno riflettere sulla necessità di
stimolare nell’opinione pubblica una più consapevole e serena
valutazione del rapporto con le tecnologie oggi disponibili, mettendo in
evidenza i legami, spesso non immediatamente riconosciuti, tra il loro uso
e il tenore di vita. A questo proposito, è inevitabile chiamare in
causa le agenzie educative, deputate a fornire conoscenze di base adeguate
e non ideologiche, e i mass media, invitate a proporre una informazione
realistica e non necessariamente allarmistica sulle problematiche tecnico-scientifiche.
In ogni caso, non è più possibile rimandare a lungo la soluzione
di questo problema se non si vuole rischiare di veder approfondirsi il solco
tra la tecnologia e la capacità di ognuno di prendere posizione in
modo consapevole sulle potenzialità e i rischi ad essa associati.
Walter
Ambrosini, Giuseppe Forasassi, Marino Mazzini, Francesco Oriolo, Giuseppe
Pilone
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