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Numero 14
Dicembre 2005

Editoriale
Approfondimenti
Notizie

Articoli

Le fabbriche del credere
di Andrea Camilleri

Biografia di Andrea Camilleri

Un sogno per fermare l'Aids in Africa
di Claudia Baldo, Irene Bertolucci,
Stefano Lusso, Giovanna Morelli, Francesco Sbrana

Sant’Egidio e il progetto DREAM

Tre anni di cooperazione

Il piatto piange!

Il laboratorio di Galileo Galilei
di Claudio Luperini

La missione di pace di Pierino
di Andrea Addobbati

Le relazioni di Pedro

L'Università di Pisa e la situazione italiana ed europea
di Luigi Russo

La percezione della tecnologia: il caso dell'energia nucleare
di Walter Ambrosini, Giuseppe Forasassi, Marino Mazzini, Francesco Oriolo, Giuseppe Pilonei

Ingegneria nucleare a Pisa
di Walter Ambrosini, Giuseppe Forasassi, Marino Mazzini, Francesco Oriolo, Giuseppe Pilonei

Energia nucleare e pace

Il nucleare è un problema politico

L’umanista e il bit
di Giuliana Guidotti

STmoderna.it
Intervista a Elena Guarini Fasano
di Barbara Grossi


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Un sogno per fermare l’aids in Africa
L’Università e la Comunità di Sant’Egidio insieme con DREAM

L’aids abita soprattutto in Mozambico. 30 dei 40 milioni di persone già colpite dal virus Hiv/aids vive oggi, infatti, nell’Africa sub-sahariana. Eppure l’aids si può fermare. In Africa il programma DREAM della Comunità di Sant’Egidio ha raggiunto fin’ora risultati straordinari. Da circa un anno anche l’Università di Pisa è impegnata attivamente in questo progetto, con medici specializzandi e studenti della facoltà di Medicina che partecipano in prima persona alle missioni della Comunità. Quello che riportiamo qui non è solo il reportage della prima missione in Mozambico degli studenti dell’Ateneo pisano, ma soprattutto una storia d’amore e di coraggio.

gIl 15 Gennaio 2005 siamo arrivati a Maputo, capitale del Mozambico, per sostenere in modo concreto il programma DREAM di lotta all’aids che la Comunità di Sant’Egidio ha avviato in alcuni Paesi dell’Africa sub-Sahariana. Eravamo in cinque: tre medici specializzandi e due studenti del corso di laurea in Scienze infermieristiche. Siamo andati con entusiasmo per concretizzare un lavoro lungo, iniziato con il viaggio in Mozambico del professor Generoso Bevilacqua e del dottor Mauro Lazzeri, che ha portato l’Università, grazie anche all’aiuto dei professori Roberto Barsotti e Brunello Ghelarducci, a sostenere un programma ambizioso che intende offrire l’eccellenza delle cure a tanti pazienti africani malati di aids.
L’impatto con il terzo mondo è stato molto forte, ci ha messi tutti a dura prova. Vedere la povertà estrema, il degrado, i mercati sopra le discariche, i bambini che giocano nelle fogne a cielo aperto, la gente che vive per strada senza niente è stato sconvolgente.
La pandemia del virus HIV, responsabile del nuovo e più grave dramma africano, quello dell’aids, non accenna a indebolirsi. Minaccia ormai centinaia di milioni di persone in tutto il continente, corrodendo il suo precario sistema economico, scolastico e sanitario.
In Africa l’aids costituisce un problema drammatico sia dal punto di vista socio-sanitario che economico perché colpisce moltissimi individui soprattutto giovani e bambini. La speranza di vita in Africa sta scendendo rapidamente in tanti paesi. In Mozambico la prevalenza della malattia è di circa il 13% fino a raggiungere percentuali più alte in alcune realtà, come il 40% nella città di Beira. A questo si aggiunge il problema della malnutrizione essendo la maggior parte della popolazione minacciata dalla povertà e dall’insicurezza alimentare.
Il programma DREAM (Drugs Resource Enhancement against aids and Malnutrition) nasce per la lotta alla malnutrizione e all’infezione da HIV e significa per migliaia di malati del continente la possibilità di curarsi con standard occidentali e vivere bene e a lungo e per tanti bambini la possibilità di nascere sani.
immagineIl primo contatto con questa realtà lo abbiamo vissuto visitando l’ospedale di Machava, il principale centro per la cura della tubercolosi nella capitale. L’edificio è una struttura fatiscente, con crepe nei muri, pavimenti allagati e l’acqua che gocciola dal soffitto per le tubature rotte. I servizi igienici sono in condizioni pessime, i pazienti fanno i propri bisogni dove possono, l’odore d’urina arriva nei corridoi. I letti sono insufficienti per il numero dei pazienti, molti dei quali sono costretti a distendersi su stuoie direttamente sul pavimento, in evidenti condizioni di disagio. Ci sono pochissimi infermieri ad assistere i pazienti, pochi farmaci per curarli mentre i medici, escluso poche ore la mattina, sono raramente presenti in corsia. Sembra che in Mozambico ci siano circa 500 medici per 20 milioni d’abitanti. Cosa incredibile se si pensa all’alta incidenza di malattie infettive e alla malnutrizione che affliggono questo paese, soprattutto se paragonato con i paesi europei dove c’è un medico ogni 500 abitanti e dove, come dice un medico spagnolo che abbiamo conosciuto qui in Mozambico, si “fanno le terapie per i tutan kamen”.
Anche l’Ospedale Centrale di Maputo è in una condizione poco migliore rispetto a quello di Machava. Un giovane medico mozambicano, che per un periodo di qualche mese ha frequentato un laboratorio di microbiologia dell’Università di Pisa, ci ha guidato tra le vecchie infrastrutture e per i corridoi deserti, dove ci ha colpito l’assenza completa di personale sanitario. Abbiamo visitato il reparto di Oncologia che purtroppo ospita soprattutto bambini. In Mozambico è impossibile praticare la radioterapia, ci sono scarsissimi mezzi per diagnosticare precocemente i tumori e pochissimi per curarli.
Il progetto DREAM nasce concretamente dall’ospedale centrale di Maputo. Qui è stato creato un laboratorio di biologia molecolare in grado di determinare la conta dei linfociti CD4 positivi e la carica virale, che sono parametri fondamentali per il monitoraggio del paziente che assume farmaci antiretrovirali. Il passo successivo è stato quello di aprire ambulatori dove seguire i pazienti con l’infezione da HIV e intraprendere la terapia antiretrovirale consapevoli di poter effettuare un corretto follow-up del paziente in terapia.
Il primo centro del progetto DREAM che abbiamo visitato si trova nel giardino dell’ospedale di Machava; la prima cosa che colpisce all’arrivo sono i cartelli “nao se paga” per sottolineare che le prestazioni sono gratuite, cosa non trascurabile in un paese dove le persone spesso non hanno i soldi a sufficienza per pagarsi lo “chapa”, il mezzo pubblico che li conduce al centro. Il personale presente nel centro si è dimostrato accogliente fin dall’inizio. Abbiamo trovato, tra gli altri, Ana Maria chiamata affettuosamente “la Gladiatora” che lavora qui come attivista, e gira mostrando una sua foto di quando, prima di iniziare il trattamento, pesava 27 Kg. Come lei adesso ci sono molte altre persone che hanno ripreso a vivere con la terapia antiretrovirale e che ora lavorano come attivisti presso i vari centri DREAM. L’attivista è una figura fondamentale perché media il rapporto tra il personale sanitario e i malati facendo capire a questi ultimi l’importanza dell’aderenza alla terapia anche perché vive in prima persona la malattia. Le attiviste si occupano anche di tutti gli aspetti del programma DREAM connessi all’alimentazione. Periodicamente frequentano dei corsi di formazione il cui obiettivo principale è quello di fornire le competenze necessarie a educare i pazienti che vengono ai centri DREAM, a una corretta alimentazione, al fine di prevenire la malnutrizione nell’adulto e nel bambino.
Oltre ad Ana Maria abbiamo conosciuto altre attiviste, che lo scorso anno hanno fondato l’associazione “Mulheres para o DREAM” ovvero “Donne per un Sogno”. L’associazione è nata dalle prime donne affette da aids che, ritrovate le forze per vivere e sperare, grazie alla terapia antiretrovirale fornita gratuitamente nei centri della Comunità di Sant’Egidio, hanno deciso di utilizzarle per aiutare altri a sperare, cioè a rivolgersi anch’essi, con fiducia, alla terapia. Ma quasi subito anche alcuni uomini si sono uniti a queste donne coraggiose, tanto che, nel corso di una recente assemblea dell’associazione, c’è stato chi ha proposto di cambiarne il nome in “Humanidade para o DREAM”. Il loro scopo è quello di diffondre un messaggio semplice ma decisivo: “L’aids si può curare”. Come fa R. che ha contratto la malattia in prigionia: “Ho cominciato a parlare a molti e ho percorso anche molti chilometri a piedi, per raggiungere i distretti più lontani, per comunicare che dall’aids si può guarire. Nelle varie scuole e centri di salute in cui ho parlato ho incontrato più di 15.000 persone, negli ultimi due mesi, e durante questo viaggio ho partecipato anche a molti funerali. Il mio obiettivo è educare, cambiare la mentalità di questo paese. Io non sono solo un’attivista, ma un paziente modello, e sono un esempio per tanti”. C’è chi, parlando, si è commosso ricordando una storia di sofferenze e d’abbandono, che ha trovato improvvisamente una svolta positiva quando è avvenuto l’incontro con la Comunità di Sant’Egidio. Rappresentano un elemento importante di DREAM, gli attivisti con la loro tenacia. Portano sul corpo i segni dell’efficacia della terapia: “Pesavo 26 kg, ora ne peso 58”, ha detto G. con un sorriso. È tale il suo cambiamento, che qualcuno, in famiglia, non vuole più credere che sia veramente malata di aids. È una ulteriore vittoria di DREAM sull’aids, da non sottovalutare: il superamento del timore dello stigma sociale. Non negano più di avere una malattia che prima della terapia significava la condanna a una doppia morte, sia sociale che fisica, ma diventano i più tenaci e convincenti alleati del programma di lotta all’aids della Comunità. Accettando di condividere con gli altri la loro esperienza, realizzano infatti un contagio al “contrario”, una propagazione di speranza e di fiducia nella cura.
immagine“Ti ricordi di me? Forse non mi riconosci. Un anno fa stavo molto male, ero magrissima e quasi non riuscivo a camminare da sola. Ora lo vedi come sto bene? Questo non è un sogno, è possibile anche per te”. Sono più o meno queste le parole con cui, in dialetto changane, Honoria si rivolge alle donne che vengono ogni mattina al Centro DREAM.
Onoria è una delle prime pazienti di DREAM. Le sue condizioni sono molto cambiate dopo un anno di terapia. I farmaci antiretrovirali le hanno restituito la salute e la voglia di vivere. Oggi non sta soltanto meglio, ma può anche fare qualcosa per gli altri. Anzi, può fare molto, perché può insegnare a tante altre donne a intraprendere con fiducia la sua stessa strada. Per questo, da qualche giorno, ha iniziato un nuovo lavoro: è attivista nel centro di Machava. Il suo ruolo è quello di accogliere le donne che vengono per i test e per la terapia, spiegare loro quanto sia importante seguire con scrupolo le prescrizioni dei medici, fornire i chiarimenti di cui hanno bisogno. Il suo sorriso è la dimostrazione migliore dell’efficacia della terapia e le donne la ascoltano con interesse e con speranza. 
Insieme a Honoria, un’altra donna ha iniziato lo stesso lavoro nel centro di Matola. Presto, a queste prime attiviste se ne aggiungeranno altre. 
Nei giorni successivi, dopo aver iniziato a partecipare all’attività ambulatoriale ci siamo accorti che i pazienti erano piacevolmente stupiti dal fatto che in ambulatorio oltre all’infermiera trovassero un medico che li visitasse.
Altro importante centro è quello di Matola nato allo scopo di evitare la trasmissione verticale, cioè la trasmissione materno-fetale, dell’infezione. Secondo i dati statistici, in assenza di un’adeguata terapia, su 1000 bambini nati da madri sieropositive, 400 sono destinati a nascere affetti da HIV. Invece, tra i nati da madri in cura con il programma DREAM, si stima che siano solo 45 quelli che hanno contratto l’infezione nel primo anno di vita. In questo centro che è stato creato all’interno di un reparto di maternità, recuperato e ristrutturato sempre dalla Comunità di Sant’Egidio, viene effettuato il test a tutte le donne gravide che lo richiedono e quelle che risultano sieropositive vengono poi persuase a effettuare il trattamento. Sembra una cosa da niente, invece la triterapia antiretrovirale effettuata in gravidanza e la Nevirapina somministrata al neonato, più altri accorgimenti come l’allattamento artificiale, hanno impedito nei paesi industrializzati la nascita di altri bambini con la malattia. Tutto ciò è possibile anche a Matola, in Africa, dove attualmente sono seguite circa 600 donne gravide sieropositive. È bello lavorare a Matola perché quasi tutti i bambini che arrivano per le visite ogni mattina sono sani senza la malattia che invece colpisce la madre. Un giorno vediamo Johanino piangere in braccio alla sua mamma come tanti altri bambini appena venuti alla luce, ma intorno a lui c’è gran festa. Infatti Johanino è il bambino numero 1000 nato da una madre sieropositiva in cura con il programma DREAM e, come quelli che lo hanno preceduto, ha una ottima probabilità di essere sano e destinato ad una vita in buona salute. Johanino ha anche un’altra ottima ragione per smettere di piangere e godersi la vita: sua mamma vivrà e lo accudirà nei prossimi anni. La terapia infatti ha fatto bene anche a lei, tanto bene che nella fase di interruzione dei farmaci il suo sistema immunitario è rimasto forte e quasi integro. La buona fama del centro e del trattamento si è sparsa a Matola e ora anche qualche marito si è deciso a farsi avanti per sottoporsi al test. Insomma è molto probabile che Johanino non resterà orfano di padre o di madre. Il progetto DREAM non si occupa solo di aids: infatti con frequenza bimensile viene creato un ambulatorio medico in un “canisso”, una capanna fatta di canne, nello sperduto villaggio di Goba, situato al confine tra Mozambico e Swaziland, dove si svolgono visite mediche per gli abitanti del paese che aspettano pazientemente il loro turno sotto la supervisione del capo villaggio. Questa è l’unica occasione per queste persone di accedere con tranquillità ai servizi sanitari per patologie ambulatoriali.
È povero ma è ben organizzato il nuovo “Centro di Salute” della Comunità di Sant’Egidio. È un po’ diverso da tutti gli altri: è in “canisso”, come le povere case di qui, e l’insegna è un arcobaleno colorato. Quando arriviamo, come ogni giovedì, per la consueta visita settimanale, il capo del villaggio ci aspetta con tanti pazienti. La costruzione è stata ben ideata: la prima stanzetta per l’accettazione, dove si pesano e si misurano i bambini, si rileva la temperatura e per ciascuno si prepara una scheda sanitaria; il secondo locale per la visita medica (qualcuno intanto porta un tavolino con tre sedie) e l’ultima stanza è la farmacia, dove si ritirano i farmaci, si fanno le medicazioni, si ricevono indicazioni su come assumere la terapia. 
Noi abbiamo pensato alla sala d’attesa: delle belle stuoie nuove di zecca per far riposare all’ombra la tanta gente che aspetta. 
E la gente che ci aspetta è veramente tanta: ogni giovedì sono più di cento i bambini e gli adulti che visitiamo. A Goba, sette mesi dopo la “prima visita” della Comunità di Sant’Egidio le novità non mancano: i bambini stanno meglio, non si vedono più tante pance gonfie per le parassitosi, le ferite - disinfettate e curate - guariscono e tanti piccoli incidenti della vita quotidiana non rischiano di trasformarsi in invalidità permanenti.
Ci portano un bambino che da qualche giorno non muove più il braccio destro. Visitandolo, ci accorgiamo che ha una frattura della clavicola. Non è una cosa grave ma senza cure, lo sarebbe diventato! Possiamo tranquillizzare la mamma. Lo porteremo all’ospedale per una fasciatura adeguata e, in qualche settimana, sarà tutto a posto! 
Con la gente di Goba, ormai ci sentiamo in famiglia. E la costruzione dell’ambulatorio, per loro ha proprio questo significato: tra le altre case, il “canisso” di Sant’Egidio, ci dice il capo del villaggio, è il segno che “qui ormai siete di casa!”. 
DREAM non si esaurisce qui: ci sono 13 centri sparsi in tutto il Mozambico alcuni dei quali in collaborazione con altre organizzazioni non governative; ci sono due laboratori di biologia molecolare e un terzo sta nascendo a Nampula. Da sottolineare la prossima espansione del progetto ad altri sei Paesi dell’Africa sub-Sahariana.
Il 7 febbraio, a Maputo, si è aperto il V Corso di Formazione Panafricano del Programma DREAM. Partecipano al corso medici, infermieri, tecnici di laboratorio, biologi, farmacisti, informatici e coordinatori, per un totale di 130 persone, da 11 Paesi africani. Oltre che dal Mozambico, infatti, i partecipanti provengono dal Kenya, dal Congo, dalla Guinea-Bissau, dall’Eritrea, dall’Etiopia, dalla Nigeria, dalla Tanzania, dal Camerun, dall’Angola e un folto gruppo dal Malawi. Sono loro, infatti, che sosterranno DREAM in alcuni Paesi, in cui si va avviando il programma. Ma il corso riveste un interesse particolare anche per altri operatori, che intendono replicare il modello di DREAM nelle proprie strutture. Per questo, seguono il corso alcune suore vincenziane, che avvieranno la terapia antiretrovirale nei propri centri, e le équipe sanitarie di alcune tra le maggiori imprese operanti in Mozambico, che intendono introdurre la terapia dell’aids tra i dipendenti. All’inaugurazione del corso hanno portato il loro saluto alcune autorità, tra cui i rappresentanti del Ministero della Salute e del Consiglio Nazionale per Combattere il Sida, il rappresentante dell’arcivescovo di Maputo, una rappresentante dell’associazione di attiviste “Mulheres para o DREAM”. Il corso prevede, dopo una prima fase teorica, un periodo di tirocinio nei centri DREAM in Mozambico. Contemporaneamente al corso di formazione per il personale sanitario, si svolge un corso per 30 attiviste dell’associazione “Mulheres para o DREAM”, di Maputo e di Beira. Obiettivo di questo secondo corso è l’approfondimento degli aspetti nutrizionali legati all’infezione da HIV. Le attiviste, infatti, affiancano la terapia effettuata nei centri DREAM con un’attività domiciliare di cura degli aspetti nutrizionali. Il loro compito consiste nell’insegnare e controllare la nutrizione delle madri in cura e dei loro bambini, verificare la corretta preparazione del latte, delle pappe per lo svezzamento ed eventuali problemi clinici da segnalare tempestivamente ai medici.

Claudia Baldo, Irene Bertolucci, Stefano Lusso, Giovanna Morelli, Francesco Sbrana

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