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Numero 14
Dicembre 2005

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di Andrea Camilleri

Biografia di Andrea Camilleri

Un sogno per fermare l'Aids in Africa
di Claudia Baldo, Irene Bertolucci,
Stefano Lusso, Giovanna Morelli, Francesco Sbrana

Sant’Egidio e il progetto DREAM

Tre anni di cooperazione

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Il laboratorio di Galileo Galilei
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La missione di pace di Pierino
di Andrea Addobbati

Le relazioni di Pedro

L'Università di Pisa e la situazione italiana ed europea
di Luigi Russo

La percezione della tecnologia: il caso dell'energia nucleare
di Walter Ambrosini, Giuseppe Forasassi, Marino Mazzini, Francesco Oriolo, Giuseppe Pilonei

Ingegneria nucleare a Pisa
di Walter Ambrosini, Giuseppe Forasassi, Marino Mazzini, Francesco Oriolo, Giuseppe Pilonei

Energia nucleare e pace

Il nucleare è un problema politico

L’umanista e il bit
di Giuliana Guidotti

STmoderna.it
Intervista a Elena Guarini Fasano
di Barbara Grossi


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La missione di pace di Pierino
1944: l’Università di Pisa al passaggio del fronte

Pierino è uno che si emoziona. Tutto quello che fa, lo fa con passione. Verso la fine di maggio del 1944, mentre la 5a armata riesce finalmente a sfondare il fronte a Montecassino, Piero discute la sua tesi di laurea in Glottologia nell’Aula Magna della Sapienza. La vita a Pisa continua in un’atmosfera irreale, con il lutto in cuore per il sanguinoso bombardamento dell’agosto del 1943.

Anche Piero, di fronte agli esaminatori in toga, cerca di interpretare al meglio il suo ruolo, ma i pensieri lo portano altrove. La guerra ormai è alle porte, e ogni antifascista deve darsi da fare per portare il suo contributo alla Liberazione del Paese. Ottenuta la laurea, per Piero c’è soltanto il tempo di abbracciare i familiari. Lassù sulle Carline, nella macchia più intricata delle Maremme, nessuno più lo avrebbe conosciuto per Piero Fornaciari, dottore in Glottologia; da allora in poi per i compagni sarebbe stato solo Pedro, anzi, il caposquadra Pedro. Ancor oggi, a distanza di sessant’anni, per chi visse con lui quell’esperienza il suo nome è Pedro; il vicecomandante della I Compagnia, Vittorio Ceccherini (Enzo), non riesce a chiamarlo diversamente.
La 23a Brigata Garibaldi «Guido Boscaglia» è stata la più importante, la più consistente, la più organizzata formazione partigiana della nostra regione: cinque-seicento giovani di tutte le nazionalità sotto il comando di “Giorgio”, Alberto Bargagna. Nel giugno del 1944, prima che arrivassero gli Alleati la Brigata aveva già liberato una discreta porzione del territorio tra le provincie di Pisa, Siena e Grosseto. La sua storia è stata raccontata con dovizia di particolari da Pier Giuseppe Martufi (Ragno) ne La tavola del pane (1980), è stata rievocata in maniera commovente nelle memorie del Biondo, Alfredo Merlo (Avevo diciotto anni e mezza lira di speranza, 2003); ed è entrata con tutta la sua carica umana in molte pagine dei romanzi di un giovane partigiano che un giorno sarebbe diventato il celebre scrittore Carlo Cassola (Fausto e Anna; 1952, La ragazza di Bube, 1960).
Qui però non ci occuperemo delle azioni di guerra. Quel che ci interessa sono le azioni partigiane di pace, come giustamente le chiama Enzo. Perciò inizieremo il nostro racconto dal momento in cui le avanguardie della 5a armata incontrarono i garibaldini della 23a. Non fu quell’abbraccio fraterno che i ragazzi dal fazzoletto rosso immaginavano. Ci furono attriti e incompresioni; poi finalmente fu trovato un accordo. I partigiani originari delle zone ancora sotto occupazione potevano continuare a combattere alle dipendenze del comando alleato; gli altri dovevano consegnare le armi e poi sarebbero stati liberi di tornare alle loro case. Pedro, con un gruppo di pisani e livornesi, fu impiegato nei combattimenti lungo il fronte dell’Arno. Ebbe il comando dell’avanguardia che liberò Fornacette, quindi passò al presidio di Cascina, ed infine prestò servizio a Pisa. Il 2 settembre, dopo un mese di cannoneggiamenti, i tedeschi finalmente ripiegarono, lasciandosi alle spalle una città prostrata. Gli Alleati passarono il fiume a Caprona e la 23a fu ufficialmente sciolta. Iniziava allora la missione di pace di Pedro.
Di là d’Arno non sparava più nessuno. Alla furia dei combattimenti era subentrato un silenzio di desolazione, macerie e polvere. Di qua d’Arno, dopo aver tirato un sospiro di sollievo, restava una profonda inquietudine: cosa si sarebbe trovato al di là del fiume? Quanto ci sarebbe voluto per rimettere insieme i cocci di quella devastazione umana e materiale? E che ne era della Piazza dei Miracoli? Si sapeva che un colpo di cannone era andato fuori bersaglio; e che una colonna di fumo si era levata dal camposanto monumentale. Italo Bargagna, sindaco nominato dal prefetto su indicazione del CLN cittadino, si consultò con le autorità militari alleate, le quali avevano già incaricato della salvaguardia dei beni artistici e monumentali delle zone liberate il capitano Deane Keller, un professore di storia dell’arte. Pare strano che una macchina da guerra come quella si preoccupasse delle bellezze artistiche italiane. In realtà non c’è da stupirsi più di tanto. Dopo che sulla testa degli alleati era piovuta l’accusa di barbarie per la distruzione dell’Abbazia di Montecassino, il comando fu costretto a prendere provvedimenti perché una cosa del genere non avesse a ripetersi, ed in pratica decise di accordare pieni poteri ad un amante dell’arte, come Keller, che quella missione avrebbe cercato di compiere in ogni caso, anche senza il mandato dei superiori. Keller però non conosceva Pisa; aveva bisogno di una guida. Fu così che gli fu affiancato il partigiano Pedro.
gIl ponte di Mezzo era stato fatto saltare, ma i binari del tram che lo percorrevano erano rimasti miracolosamente uniti. I due uomini allora si avviarono verso l’altra parte della città scavalcando il fiume come funamboli. Nella parte centrale i binari piegavano pericolosamente fino a sfiorare l’acqua. Sotto non era un bel vedere: i corpi dei tedeschi uccisi, pallidi e gonfi, erano trascinati dalla corrente; alcuni erano trattenuti dai piloni del ponte, come accade ai rami secchi dopo una piena. Sull’altra riva, non un’anima viva. Dopo essersi guardati intorno i due si precipitarono in piazza dei Miracoli: torre e battistero erano rimasti praticamente intatti. Il guaio, com’era stato previsto, era nel camposanto. Il cannone aveva distrutto parte della copertura, appiccando l’incendio alle strutture in legno. Le lastre di piombo che componevano il tetto si erano liquefatte, e colando lungo le mura interne avevano devastato gli affreschi… ; altri affreschi erano stati polverizzati.
Entrato nel perimetro del camposanto, Pedro fece un incontro inatteso: “vidi campeggiare in un ambulacro, tra le macerie sparse a terra, un teschio con altri frammenti ossei, e vicino un’urna spezzata da cui erano stati sbalzati. Raccolsi allora quei resti sfortunati e li radunai presso l’urna, perché almeno non restassero sparpagliati qua e là. Che altro potevo fare allora? Fu alla fine di questa pietosa incombenza che scopersi di aver tenuto nelle mie mani il cranio di Arrigo VII di Lussemburgo, l’Imperatore che tante speranze aveva risvegliato in Dante Alighieri quando scese in Italia. Tornai a guardarlo nelle orbite vuote e non potei fare a meno di dirgli: “Povero Arrigo, sei nato proprio sotto una cattiva stella: bollito in vita, e cannoneggiato da morto!”.
Il capitano Keller mise subito in azione la macchina organizzativa americana; fece affluire uomini e mezzi per mettere in sicurezza il monumento in previsione del restauro. I primi ad accorrere non furono però i carpentieri e i muratori, ma gli uomini di Hollywood: tutto il mondo doveva sapere che gli alleati avevano a cuore il patrimonio artistico italiano. I cineoperatori in forza alla 5a armata approntarono rapidamente un set, e nel copione fu riservata una parte, senza controfigura, anche all’arcivescovo… che allora aveva: “…ricordo - dice Pierino - che fu fatto intervenire il Vescovo di Pisa, persona molto anziana, il quale condotto nella zona dei peggiori disastri fu cortesemente indotto a salire su un’alta scala a pioli perché osservasse da vicino la zona del tetto colpita… Confesso di aver trepidato per quello che in quel momento vedevo come un fragile vecchietto su una scala tentennante, anche se ben tenuta da robusti militari; e di essermi chiesto come potesse sentirsi lassù. Perché d’altronde anche un Vescovo è un uomo!”.
Il capitano americano si gettò anima e corpo nell’opera di recupero del camposanto monumentale; ma a Pisa non c’era solo il camposanto ad aver bisogno di interventi urgenti; c’erano altri monumenti, chiese, e c’erano le strutture e le collezioni scientifiche dell’Università. Pedro allora corse a Palazzo Gambacorti e ottenne dal sindaco l’incarico di effettuare un primo inventario dei danni: “la mia - dice - fu un’opera di buona volontà fatta senza mezzi e senza un piano prestabilito, come intervento di emergenza”. Per circa un mese Pedro corse da una parte all’altra col suo taccuino in mano, prendendo appunti sui tetti scoperchiati, i muri crollati, i monumenti danneggiati, le collezioni librarie da mettere sotto chiave, i laboratori da trasferire e così via. È rimasta traccia di quell’opera meritoria, che permise di porre in salvo un patrimonio pubblico di inestimabile valore, in alcuni rapporti al sindaco, il cui stile secco e nervoso tradisce la preoccupazione dell’autore: sono come foto istantanee, che ci restituiscono l’immagine della nostra Università all’indomani del passaggio del fronte. L’Istituto di Fisica, che ha una parte distrutta da un’esplosione, deve essere chiuso per impedire l’intrusione di estranei. Il materiale librario di tutti gli istituti deve essere raccolto e posto al riparo dalle intemperie (fortunatamente la biblioteca della Sapienza e quella della Domus Galileiana erano state trasferite a Calci prima dell’inizio dei combattimenti). Ad Agraria non è possibile effettuare il sopralluogo perché c’è il sospetto che l’edificio sia minato. All’Orto Botanico occorre riparare le serre, se si vuole salvare le piante; e così via. Nel suo taccuino Pedro prende nota di tutti gli interventi più urgenti. Visita gli istituti di cultura, le chiese cittadine, i monasteri, le scuole medie e superiori; prende contatti con i professori, con i tecnici, con tutti quelli che possono dare una mano. Cerca di cordinare i lavori di sgombro delle macerie; particolarmente delicati al Museo di Storia Naturale, a Geologia e Paleontologia, dove c’è il rischio che fossili e materiale mineralogico restino confusi con i calcinacci. “Cessai la mia attività - dice Pedro - verso la fine di settembre, quando la vita civile iniziò a riprendere il suo corso ordinario, e le autorità cittadine furono in grado di predisporre interventi concreti, e non soltanto monitoraggi di emergenza”.
Oggi il professor Piero Fornaciari ha 85 anni e vive nella sua Livorno. Ha dovuto smettere di dipingere, ma non gli mancano certo gli interessi. Quando ci lasciamo mi confessa di avere un rimpianto: “quel lavoro a Pisa avrei dovuto portarlo fino in fondo, non avrei dovuto smettere così presto. Ho come l’impressione di aver lasciato il lavoro a metà”. Me lo ripete più volte, e io non capisco a cosa si riferisca, ma sono sicuro che ha ragione.
Grazie Piero.

Andrea Addobbati
ad.stampa@adm.unipi.it



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