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Se c’è troppo sole le piante si proteggono grazie a speciali proteine che agiscono come “interruttori” per accendere e spegnere specifiche interazioni tra molecole. La caratterizzazione di questo meccanismo che consente alle piante di sopravvivere a diverse condizioni di luce arriva da uno studio pubblicato sulla rivista Nature Communications e nato dalla collaborazione delle Università di Pisa e di Ginevra.

“Capire le strategie con le quali le piante riescono a proteggersi dall’eccessiva luce è importante per la nostra comprensione del mondo che ci circonda, ma non è solo questo e infatti comprendere le loro strategie di adattamento è estremamente importante per riuscire ad aumentare la produttività delle colture”, spiega la professoressa Benedetta Mennucci dell’Università di Pisa, che assieme al professor Francesco Luigi Gervasio dell’Università di Ginevra ha coordinato lo studio.

“La proteina che abbiamo studiato è presente nel fotosistema della piante ed ha il compito di raccogliere la luce solare e trasferire l’energia assorbita ad altre proteine, che portano avanti il processo fotosintetico”, racconta Edoardo Cignoni, dottorando dell’Università di Pisa, “per far questo contiene degli aggregati di molecole, clorofille e carotenoidi, che sono i principali protagonisti nella cattura della luce. Le nostre simulazioni di dinamica molecolare insieme ai calcoli quantomeccanici hanno mostrato come i moti della proteina riescono a controllare i processi fotoprotettivi, accendendo e spegnendo specifiche interazioni tra le molecole”.

Il gruppo di ricerca della professoressa Benedetta Mennucci (MoLECoLab) si studia, attraverso modelli computazionali multiscala, la risposta di sistemi biologici alla luce. Il lavoro della professoressa Mennucci è finanziato dal progetto European Research Council (ERC) Advanced Grant LIFETimeS.

Allo studio hanno inoltre partecipato il dottor Lorenzo Cupellini dell’Università di Pisa, Margherita Lapillo, all’epoca post-doc nel gruppo della professoressa Mennucci, e Silvia Acosta-Gutiérrez, all’epoca post-doc nel gruppo del professor Gervasio.

 

Se c’è troppo sole le piante si proteggono grazie a speciali proteine che agiscono come “interruttori” per accendere e spegnere specifiche interazioni tra molecole. La caratterizzazione di questo meccanismo che consente alle piante di sopravvivere a diverse condizioni di luce arriva da uno studio pubblicato sulla rivista Nature Communications e nato dalla collaborazione delle Università di Pisa e di Ginevra.

“Capire le strategie con le quali le piante riescono a proteggersi dall’eccessiva luce è importante per la nostra comprensione del mondo che ci circonda, ma non è solo questo e infatti comprendere le loro strategie di adattamento è estremamente importante per riuscire ad aumentare la produttività delle colture”, spiega la professoressa Benedetta Mennucci dell’Università di Pisa, che assieme al professor Francesco Luigi Gervasio dell’Università di Ginevra ha coordinato lo studio.

 

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“La proteina che abbiamo studiato è presente nel fotosistema della piante ed ha il compito di raccogliere la luce solare e trasferire l’energia assorbita ad altre proteine, che portano avanti il processo fotosintetico”, racconta Edoardo Cignoni, dottorando dell’Università di Pisa, “per far questo contiene degli aggregati di molecole, clorofille e carotenoidi, che sono i principali protagonisti nella cattura della luce. Le nostre simulazioni di dinamica molecolare insieme ai calcoli quantomeccanici hanno mostrato come i moti della proteina riescono a controllare i processi fotoprotettivi, accendendo e spegnendo specifiche interazioni tra le molecole”.

Il gruppo di ricerca della professoressa Benedetta Mennucci (MoLECoLab) si studia, attraverso modelli computazionali multiscala, la risposta di sistemi biologici alla luce. Il lavoro della professoressa Mennucci è finanziato dal progetto European Research Council (ERC) Advanced Grant LIFETimeS.

Allo studio hanno inoltre partecipato il dottor Lorenzo Cupellini dell’Università di Pisa, Margherita Lapillo, all’epoca post-doc nel gruppo della professoressa Mennucci, e Silvia Acosta-Gutiérrez, all’epoca post-doc nel gruppo del professor Gervasio.

 

Martedì, 28 Dicembre 2021 10:58

In ricordo del professore Pier Luigi Maffei

prof_maffei.jpegE’ scomparso all'inizio di dicembre all’età di 82 anni il professore Pier Luigi Maffei (foto), già ordinario Architettura tecnica presso la facoltà di Ingegneria dell’Ateneo pisano. Accanto alla lunga carriera universitaria, il professor Maffei è stato attivo nella vita civile e culturale di Pisa, come fondatore di Radio Incontro, l'emittente pisana di ispirazione cattolica tuttora in attività, e come consigliere comunale dal 1985 al 1990 tra le file della Democrazia Cristiana.

Di seguito pubblichiamo un ricordo del professore Maffei dell’amico e collega Valerio Cutini.

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Vorrei condividere con i colleghi dell'Ateneo il ricordo del prof. Pier Luigi Maffei e il dolore per la sua scomparsa, avvenuta nei primi giorni di dicembre.

Professore Ordinario di Architettura Tecnica, Pier Luigi Maffei è stato per anni Presidente del Corso di Laurea in Ingegneria Edile, e per lunghi decenni ha rappresentato uno dei punti di riferimento della Facoltà di Ingegneria e dell’area di Ingegneria Civile. Generazioni di colleghi e di studenti ne ricordano le qualità di studioso e l’impegno appassionato nella ricerca e nella didattica, che, animato da un forte senso etico e da sentimenti di profonda umanità, ha sempre coniugato con una costante presenza e l’impegno civile sul territorio.

In campo nazionale è riconosciuto come uno dei riferimenti dell’analisi del valore, e ricordato per essere stato fondatore del CESAV e Presidente dell’AIAV, Associazione Italiana per la Gestione e l'Analisi del Valore, della quale è rimasto Presidente Onorario fino alla scomparsa.

Prof. Ing. Valerio Cutini
Ordinario di tecnica e pianificazione urbanistica
DESTeC - Dipartimento di Ingegneria dell'Energia, dei Sistemi, del Territorio e delle Costruzioni

Il Distretto Rotaract 2071 - Toscana ha donato la somma di 10.000 Euro per un progetto di ricerca volto a sviluppare le tecniche necessarie per l’esecuzione del trapianto d’utero.

 Il trapianto d’utero costituisce la forma più avanzata di applicazione della medicina e della chirurgia dei trapianti ed ha lo scopo permettere una gravidanza a donne con infertilità secondaria a patologie esclusivamente uterine. I primi casi di trapianto di utero sono avvenuti all’estero con organi donati da persone viventi. In Italia da vivente è possibile donare un rene, parte del fegato, parte del pancreas, un lobo polmonare, ed un segmento di intestino ma non l’utero a causa della mancanza di una legge che lo permetta in modo specifico. Non resta quindi che sviluppare questa attività da donatore deceduto.

Al momento in Italia è stato eseguito un solo trapianto d’utero, da donatrice deceduta, ma per il momento non vi è stata gravidanza. Infatti, la vera sfida di questo nuovo trapianto è proprio quella di ripristinare nell’organo trapiantato le condizioni fisiologiche che permettono una gravidanza. Lo studio finanziato grazie al Distretto Rotaract 2071 - Toscana si prefigge proprio di porre le basi scientifiche per raggiungere questo ambizioso obiettivo anche nel nostro paese.

Il professore Ugo Boggi dell’Università di Pisa, direttore dell’unità operativa Chirurgia generale e dei trapianti dell'Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana e presidente della Società italiana dei trapianti d’organo e di tessuti, ha dichiarato: “siamo entusiasti di questa importante donazione anche perché viene dai giovani e ci ricorda come il contributo privato sia indispensabile per sostenere la ricerca pubblica. Ciò avviene spesso all’estero, ma raramente in Italia. Sul piano clinico noi siamo formalmente pronti ad iniziare l’attività di trapianto d’utero ed abbiamo inviato la documentazione necessaria al Ministero per ottenere la necessaria autorizzazione. Trattandosi però di un trapianto di cui si ha poca esperienza, soprattutto quando la donatrice è deceduta, restano molti aspetti che devono essere messi a punto per consentire, oltre che l’attecchimento dell’organo, anche la sua funzione e quindi la gravidanza. Questo è lo scopo della nostra ricerca dalla quale aspettiamo risultati importanti”. Il professor Boggi ha dichiarato inoltre: “al di là del potenziale meraviglioso del trapianto d’utero, e cioè il consentire la nascita di un bambino, si devono valutare i benefici indiretti di questo tipo di trapianto avrà su tutte le donne in età fertile che hanno ricevuto il trapianto di un qualsiasi organo. Infatti per consentire il successo della gravidanza in una donna trapiantata d’utero è necessario mettere in essere un sistema di farmacovigilanza particolarmente attento per impedire che i farmaci antirigetto possano risultare lesivi per il nascituro. Quindi, l’esperienza che sarà maturata in questa nuova forma di trapianto consentirà alle giovani donne trapiantate di poter diventare madri con maggior margine di sicurezza rispetto a quanto già avviene oggi”.

 Il Rappresentante del Distretto Rotaract 2071 – Toscana per l’anno 2020-2021, Francesco Corti, ha quindi dichiarato: “Siamo molto orgogliosi di sostenere questo importante lavoro di ricerca e partecipare al progresso scientifico portato avanti dal professore Ugo Boggi e dalla sua equipe, un progetto di eccellenza e unico a livello europeo. Il Rotaract, come associazione giovanile, sostiene e sosterrà sempre il perfezionamento in qualsiasi campo con particolare attenzione alla salute collettiva e alle piccole e grandi esigenze del territorio”.

 

Il Distretto Rotaract 2071 - Toscana ha donato la somma di 10.000 Euro per un progetto di ricerca volto a sviluppare le tecniche necessarie per l’esecuzione del trapianto d’utero.

 Il trapianto d’utero costituisce la forma più avanzata di applicazione della medicina e della chirurgia dei trapianti ed ha lo scopo permettere una gravidanza a donne con infertilità secondaria a patologie esclusivamente uterine. I primi casi di trapianto di utero sono avvenuti all’estero con organi donati da persone viventi. In Italia da vivente è possibile donare un rene, parte del fegato, parte del pancreas, un lobo polmonare, ed un segmento di intestino ma non l’utero a causa della mancanza di una legge che lo permetta in modo specifico. Non resta quindi che sviluppare questa attività da donatore deceduto.

Al momento in Italia è stato eseguito un solo trapianto d’utero, da donatrice deceduta, ma per il momento non vi è stata gravidanza. Infatti, la vera sfida di questo nuovo trapianto è proprio quella di ripristinare nell’organo trapiantato le condizioni fisiologiche che permettono una gravidanza. Lo studio finanziato grazie al Distretto Rotaract 2071 - Toscana si prefigge proprio di porre le basi scientifiche per raggiungere questo ambizioso obiettivo anche nel nostro paese.

 

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Il professore Ugo Boggi (a sinistra) riceve la donazione da Marco Iacopini del Rotaract

Il professore Ugo Boggi dell’Università di Pisa, direttore dell’unità operativa Chirurgia generale e dei trapianti dell'Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana e presidente della Società italiana dei trapianti d’organo e di tessuti, ha dichiarato: “siamo entusiasti di questa importante donazione anche perché viene dai giovani e ci ricorda come il contributo privato sia indispensabile per sostenere la ricerca pubblica. Ciò avviene spesso all’estero, ma raramente in Italia. Sul piano clinico noi siamo formalmente pronti ad iniziare l’attività di trapianto d’utero ed abbiamo inviato la documentazione necessaria al Ministero per ottenere la necessaria autorizzazione. Trattandosi però di un trapianto di cui si ha poca esperienza, soprattutto quando la donatrice è deceduta, restano molti aspetti che devono essere messi a punto per consentire, oltre che l’attecchimento dell’organo, anche la sua funzione e quindi la gravidanza. Questo è lo scopo della nostra ricerca dalla quale aspettiamo risultati importanti”. Il professor Boggi ha dichiarato inoltre: “al di là del potenziale meraviglioso del trapianto d’utero, e cioè il consentire la nascita di un bambino, si devono valutare i benefici indiretti di questo tipo di trapianto avrà su tutte le donne in età fertile che hanno ricevuto il trapianto di un qualsiasi organo. Infatti per consentire il successo della gravidanza in una donna trapiantata d’utero è necessario mettere in essere un sistema di farmacovigilanza particolarmente attento per impedire che i farmaci antirigetto possano risultare lesivi per il nascituro. Quindi, l’esperienza che sarà maturata in questa nuova forma di trapianto consentirà alle giovani donne trapiantate di poter diventare madri con maggior margine di sicurezza rispetto a quanto già avviene oggi”.

 Il Rappresentante del Distretto Rotaract 2071 – Toscana per l’anno 2020-2021, Francesco Corti, ha quindi dichiarato: “Siamo molto orgogliosi di sostenere questo importante lavoro di ricerca e partecipare al progresso scientifico portato avanti dal professore Ugo Boggi e dalla sua equipe, un progetto di eccellenza e unico a livello europeo. Il Rotaract, come associazione giovanile, sostiene e sosterrà sempre il perfezionamento in qualsiasi campo con particolare attenzione alla salute collettiva e alle piccole e grandi esigenze del territorio”.

 

Lunedì, 27 Dicembre 2021 11:01

La letteratura ci salverà dall’estinzione

978880624827HIG.JPGLa professoressa Carla Benedetti del Dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica è l'autrice del saggio "La letteratura ci salverà dall’estinzione" (Einaudi, 2021) di cui pubblichiamo alcuni estratti dal capitolo primo "Gli acrobati del tempo".

Il volume vuole stimolare un radicale cambiamento di rotta di fronte ai rischi dell’Antropocene. Per questo è necessario, afferma l'autrice, mettersi nei panni di chi vivrà dopo di noi, farsi cioè "acrobati del tempo". Ma non è cosí semplice. C’è resistenza a guardare lontano nel futuro. L’empatia scatta per i viventi di oggi, non per quelli che devono ancora nascere. Occorre una metamorfosi. E cosa c’è di piú potente della parola per mutare il nostro modo di ragionare e di sentire? Le opere del presente e del passato, da Omero a Amitav Ghosh, formano un campo di forze capace di liberare energie che portano in un’altra direzione. Dove l’economia, il diritto e la politica continuano a fallire, forse la letteratura e la filosofia potranno salvarci dall’estinzione.

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Mettersi nei panni degli uomini che vivranno dopo di noi è un processo cognitivo ed emotivo piú complicato di quanto si potrebbe pensare. Solo pochi «acrobati del tempo» ci riescono. L’espressione è del filosofo ebreo tedesco Günther Anders, che nel 1989 scriveva:

Oggi, a parte due o tre “acrobati del tempo”, non c’è nessuno che sia capace di mettersi nei panni di chi sarà domani (per non parlare di quelli che domani non ci saranno piú), e di anticipare il loro sguardo verso il passato (e quindi anche verso il nostro oggi)

La frase potrà sembrare un po’ sibillina sul momento, ma diventa chiarissima non appena si pensa a quanto sta accadendo nei nostri anni. I danni irreversibili che i viventi di oggi stanno procurando all’ambiente e che verranno pagati dalle generazioni piú giovani, e ancor piú da quelle che devono ancora nascere, sono ormai noti. Eppure si continua a immettere quantità proibitive di CO2 nell’atmosfera, a usare combustibili fossili, a consumare indiscriminatamente risorse non rigenerabili. La prima convenzione quadro sui cambiamenti climatici proposta dalla Conferenza sull’Ambiente e sullo sviluppo delle Nazioni Unite risale al 1992. Da piú di due decenni le autorità di ogni Paese, gli apparati militari e di sicurezza sono a conoscenza della gravità dei rischi ambientali a cui stiamo andando incontro, con grande anticipo sulla consapevolezza pubblica. Eppure chi avrebbe potuto prendere decisioni per fermare questo processo non lo ha fatto, e ancora oggi le contromisure possibili stentano a essere messe al primo posto nell’elenco delle priorità dei governi mondiali. Evidentemente gli uomini di oggi non sono in grado di farsi acrobati del tempo, di mettersi nei panni di chi si troverà, in un futuro assai prossimo, a vivere su un pianeta dal clima sconvolto, dove scarseggiano l’acqua, il cibo e l’energia […]

I viventi di oggi – o una parte di essi, poiché non siamo tutti responsabili in egual misura – stanno alterando la biosfera, intaccando le riserve del pianeta accumulate in miliardi di anni, stanno consumando i ghiacci polari, le foreste, il petrolio, sterminando la fauna, la flora, condannando cosí a una terribile agonia le generazioni future. La storia dell’umanità è disseminata di sterminî e ferocie. Ma non era mai successo prima d’ora che la violenza genocida si esercitasse sui viventi di domani. Questa è in assoluto la novità piú “disumana” del nostro tempo, che rende ancora piú atroce e intollerabile l’inerzia di oggi, ciò che non viene fatto finché si sarebbe ancora in tempo. Non basterebbe forse questo pensiero a smuovere tutti i nostri simili e suscitare in loro il senso dell’intollerabilità di ciò che stanno provocando? Eppure non è cosí semplice.
Qualcosa li blocca e impedisce loro di provare un sentimento empatico che pure sembrerebbe cosí primario.

Carla Benedetti

Uno studio italiano ha individuato un nuovo potenziale approccio terapeutico per la Sclerosi laterale amiotrofica (SLA), evidenziando l’efficacia di un farmaco nel rallentare la progressione della neurodegenerazione e nell’aumentare la sopravvivenza dei modelli murini.

Il gruppo di ricerca, coordinato da Alberto Ferri e Cristiana Valle della Fondazione Santa Lucia IRCCS di Roma e dell’Istituto di farmacologia traslazionale del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ift), ha dimostrato che i meccanismi molecolari alla base delle disfunzioni metaboliche correlate con la SLA possono essere normalizzati da un farmaco, la Trimetazidina, suggerendo che questo approccio possa contribuire a rallentare il decorso della malattia. Il farmaco, già in uso per altre patologie, è stato sperimentato su un modello murino di SLA dove ha agito ripristinando il corretto bilancio energetico cellulare e ostacolando lo sviluppo di processi infiammatori e neurodegenerativi, sia nel midollo spinale che nel nervo periferico. Questa azione neuroprotettiva si è manifestata rallentando la degenerazione dei motoneuroni e della giunzione neuromuscolare e incrementando la forza muscolare.

Questo importante risultato è frutto di uno studio preclinico finanziato da Fondazione AriSLA che ha coinvolto diversi centri nazionali e internazionali, tra cui l’Università di Pisa con il lavoro di Elisabetta Ferraro, ricercatrice del Dipartimento di Biologia (nella foto a destra). L’incontro tra le competenze della dott.ssa Ferraro, che studiava da anni il potenziale ruolo protettivo della Trimetazidina sul muscolo scheletrico, e di quelle di Alberto Ferri e di Cristiana Valle, che si occupano della patologia SLA, ha dato origine a questo studio che è stato pubblicato sulla rivista scientifica British Journal of Pharmacology.

“Il nostro laboratorio si occupa da anni della comprensione dei meccanismi molecolari che sono alla base delle disfunzioni metaboliche precoci nella SLA”, spiega Alberto Ferri, ricercatore del Cnr-Ift e responsabile del Laboratorio di neurochimica della Fondazione Santa Lucia IRCCS di Roma dove si è svolto lo studio. “L’obiettivo che ci siamo posti è identificare nuovi potenziali approcci terapeutici promuovendo sia lo sviluppo di nuovi farmaci che l’utilizzo di farmaci già approvati, come la Trimetazidina, oggetto di questo studio. L’utilizzo di questo farmaco, che agisce come modulatore metabolico e già utilizzato nella terapia delle disfunzioni coronariche, ha permesso di normalizzare la spesa energetica in un modello preclinico, migliorando le performance motorie e prolungando in modo significativo la sopravvivenza degli animali. Siamo soddisfatti di questi risultati, che hanno contribuito a disegnare uno studio clinico pilota condotto dal gruppo di ricerca australiano dell’Università di Queensland, con cui abbiamo collaborato, per verificare innanzitutto la sicurezza di questo farmaco in pazienti fragili come quelli affetti da SLA”.

Il gruppo di Elisabetta Ferraro si è occupato di analizzare alcuni aspetti del metabolismo e dell’atrofia muscolare nonché gli aspetti molecolari relativi alla giunzione neuromuscolare nei modelli in studio in seguito alla somministrazione di Trimetazidina. “Vedere potenzialmente applicabili anni di studio sulla possibile efficacia di questo farmaco anti-anginoso anche alle patologie muscolari e, in particolare alla SLA, dà senso al nostro lavoro, alla nostra perseveranza e a tutti le difficoltà incontrate. La nostra profonda speranza e ciò che guida le nostre azioni è che lo stesso effetto benefico osservato in preclinica si esplichi anche sui pazienti”, ha commentato la ricercatrice.

“Siamo molto felici di aver sostenuto questo studio preclinico”, commenta il presidente di Fondazione AriSLA, Mario Melazzini, “che ha prodotto risultati così importanti su aspetti rilevanti nell’identificare sul modello animale potenziali bersagli terapeutici e consentire l’avvio di uno studio clinico nello stesso ambito di ricerca. Siamo consapevoli dell’urgente bisogno di terapia per le persone che combattono contro la malattia, ma è necessario rispettare i tempi della ricerca, affinché si valuti la sicurezza e l’efficacia di ogni nuovo approccio terapeutico. Il nostro impegno come Fondazione è di continuare ad investire nell’eccellenza della ricerca con l’obiettivo di poter ottenere ulteriori risultati utili alla sconfitta della malattia”. 

La SLA è una malattia neurodegenerativa grave dell’età adulta, progressivamente invalidante, dovuta alla compromissione dei motoneuroni (le cellule responsabili della contrazione dei muscoli volontari) spinali, bulbari e corticali, che conduce alla paralisi dei muscoli volontari fino a coinvolgere anche quelli respiratori. Una parte rilevante dei pazienti affetti da SLA mostra un dispendio energetico aumentato, ovvero una condizione in cui viene utilizzata più energia di quella necessaria. Questa alterazione, detta ipermetabolismo, insieme ad una diminuzione dell’indice di massa corporea è in genere correlata con una prognosi peggiore della malattia. (Fonte Ufficio stampa Fondazione Santa Lucia IRCCS).

Si è tenuto negli scorsi giorni il taglio del nastro della Biblioteca di Giurisprudenza e Scienze politiche dell’Università di Pisa, collocata nel Palazzo della Sapienza, alla presenza del rettore Paolo Maria Mancarella, del presidente del Sistema Bibliotecario di Ateneo, Antonella Gioli, e del coordinatore organizzativo dello stesso SBA, Gabriella Benedetti. Si è trattato di un momento atteso da dieci anni e della massima importanza per l’Ateneo, come ha sottolineato il rettore citando “Le memorie di Adriano” di Marguerite Yourcenar: "fondare biblioteche è come costruire ancora granai pubblici, ammassare riserve contro un inverno dello spirito”.

In una veloce ricostruzione la dottoressa Benedetti ha ripercorso la storia degli anni di chiusura della Sapienza: nel 2012 le sezioni della Biblioteca Giuridica presenti in Sapienza sono state velocemente sgombrate per i problemi statici del Palazzo, che le conseguenze del terremoto dell'Emilia avevano aggravato.  

Da allora è iniziato un lavoro lungo, complesso, difficile, su due fronti: quello del restauro e rifunzionalizzazione del Palazzo della Sapienza, curata dalla Direzione Edilizia, e quello di mantenimento dell'attività della biblioteca, nonostante la sua suddivisione in cinque sedi, in locali inadeguati, con molto materiale necessariamente trasferito nel deposito di Montacchiello.

Nel febbraio 2020 gli spazi erano pronti e lo SBA ha iniziato a organizzare il trasferimento del materiale bibliografico dalle sedi della Biblioteca di Giurisprudenza e della vicina Biblioteca di Scienze politiche verso il Palazzo della Sapienza con il supporto della Direzione Gare Contratti e Logistica. A marzo 2020 è arrivato il lockdown e tutto si è fermato. L’attività di trasloco è ripresa pochi mesi dopo e a fine ottobre 2020 si è conclusa la movimentazione del nucleo principale dei testi. I lavori di allestimento e controllo del materiale bibliografico nella nuova sede - sei chilometri di libri e riviste - sono proseguiti nei mesi successivi e finalmente, nel luglio di quest’anno, il primo giorno di apertura: cauta, all'inizio con pochi utenti. Poi da settembre, con la ripresa della didattica in presenza, con sempre maggiore utenza, per quanto ancora ridotta per motivi di sicurezza.

Il 18 ottobre 2021 la Biblioteca è stata inaugurata simbolicamente dal rettore alla presenza del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e del ministro dell’Università e della Ricerca, Maria Cristina Messa, nell’ambito della loro visita a Pisa in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico 2021/2022 dell’Ateneo pisano. Per ragioni di sicurezza, quella inaugurazione è stata assai ristretta nei partecipanti, motivo per cui l’Ateneo ha voluto replicarla ora dicembre in forma più ampia.

La nuova biblioteca raccoglie in un'unica sede gran parte del patrimonio bibliografico di ambito giuridico e socio-politico, tra cui importanti fondi librari donati da autorevoli ex docenti dell’Ateneo, quali Alessandro Pizzorusso, Muzio Pampaloni e Nicola Coviello.
La biblioteca si articola su tre livelli sul lato destro del Palazzo della Sapienza.

Al piano terra è stato allestito il deposito librario che accoglie la quasi totalità del materiale bibliografico al fine di non gravare di peso eccessivo i piani superiori. Gli scaffali in cui sono collocati i testi sono scaffali compatti ignifughi che garantiscono la massima capienza e un elevato livello di sicurezza per la conservazione del materiale bibliografico.

Al primo piano è presente la Sala rari che ospita una selezione dei più pregevoli testi antichi e di pregio della Biblioteca che si collocano tra il 1500 e il 1800. La sala dispone di 17 posti di consultazione conformi alle normative Covid.

Il secondo piano è molto accogliente con sale di consultazione ampie, luminose, con stupenda vista su Pisa e, in fondo, la Torre. I posti di consultazione attuali, conformi alle normative Covid, sono 50. Al secondo piano sono disponibili le opere di consultazione generale e giuridica: enciclopedie, dizionari, repertori, codici, commentari e così via, oltre alle annate correnti dei periodici sottoscritti dalla Biblioteca.

Tutto il materiale bibliografico è disponibile a scaffale aperto con accesso diretto da parte degli utenti. Attualmente la biblioteca è aperta con orario continuato dalle ore 9 alle ore 19:30 dal lunedì al venerdì. L’accesso è libero per tutti gli utenti fino a esaurimento dei posti disponibili, con priorità previa prenotazione per le figure precarie o a scadenza (assegnisti, dottorandi, specializzandi, laureandi, borsisti, ricercatori a tempo determinato) nel rispetto delle norme previste dal protocollo di sicurezza anticontagio in vigore. Per i dettagli sui servizi offerti dalla biblioteca e sulle relative modalità di fruizione si rinvia al sito dello SBA (https://www.sba.unipi.it/it) e alla pagina dedicata a informazioni specifiche sui servizi bibliotecari in relazione alle norme anticontagio (https://www.sba.unipi.it/it/coronavirus-informazioni-sui-servizi-bibliotecari).

Come ha ricordato la professoressa Antonella Gioli, “l’apertura è frutto di un lungo lavoro dello SBA e di tante componenti dell’Ateneo, a cui va il nostro ringraziamento.

Non si è trattato soltanto di un trasloco dalle varie sedi provvisorie, che già di per sé è complesso, ma del fondare e iniziare a costruire una nuova biblioteca, operazione che comprende azioni integrate e di lunga durata, come ad esempio interventi di riordino e riorganizzazione delle collezioni. Il nostro fine è quello di offrire sempre maggiore supporto alla didattica e alla ricerca, scopo primario del Sistema Bibliotecario.

L’apertura di questa nuova e bella biblioteca rafforza inoltre la restituzione del Palazzo della Sapienza alla città e ai cittadini e in questo particolare momento è anche un ulteriore passo verso un faticoso ma necessario ritorno alla normalità”.

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