Editoriale
Approfondimenti
Notizie
Articoli
Le fabbriche del credere
di Andrea Camilleri
Biografia di Andrea Camilleri
Un sogno per fermare l'Aids
in Africa
di Claudia
Baldo, Irene Bertolucci,
Stefano Lusso, Giovanna Morelli, Francesco Sbrana
Sant’Egidio
e il progetto DREAM
Tre anni di cooperazione
Il piatto piange!
Il laboratorio di
Galileo Galilei
di Claudio Luperini
La missione di pace
di Pierino
di Andrea Addobbati
Le relazioni di Pedro
L'Università di Pisa
e la situazione italiana ed europea
di Luigi Russo
La percezione della
tecnologia: il caso dell'energia nucleare
di Walter Ambrosini, Giuseppe Forasassi, Marino
Mazzini, Francesco Oriolo, Giuseppe Pilonei
Ingegneria nucleare a
Pisa
di
Walter Ambrosini, Giuseppe Forasassi, Marino Mazzini, Francesco Oriolo,
Giuseppe Pilonei
Energia nucleare e pace
Il nucleare è un problema politico
L’umanista
e il bit
di Giuliana Guidotti STmoderna.it
Intervista a Elena Guarini Fasano
di Barbara Grossi

Scarica il PDF (1.2 Mb)
 |
La
missione di pace di Pierino
1944: l’Università di Pisa al passaggio del fronte
Pierino è uno
che si emoziona. Tutto quello che fa, lo fa con passione. Verso la fine
di maggio del 1944, mentre la 5a armata riesce finalmente a sfondare
il fronte a Montecassino, Piero discute la sua tesi di laurea in Glottologia
nell’Aula Magna della Sapienza. La vita a Pisa continua in un’atmosfera
irreale, con il lutto in cuore per il sanguinoso bombardamento dell’agosto
del 1943.
Anche
Piero, di fronte agli esaminatori in toga, cerca di interpretare al meglio
il suo ruolo, ma i pensieri lo portano altrove. La guerra ormai è alle
porte, e ogni antifascista deve darsi da fare per portare il suo contributo
alla Liberazione del Paese. Ottenuta la laurea, per Piero c’è soltanto
il tempo di abbracciare i familiari. Lassù sulle Carline, nella
macchia più intricata delle Maremme, nessuno più lo avrebbe
conosciuto per Piero Fornaciari, dottore in Glottologia; da allora in
poi per i compagni sarebbe stato solo Pedro, anzi, il caposquadra Pedro.
Ancor oggi, a distanza di sessant’anni, per chi visse con lui quell’esperienza
il suo nome è Pedro; il vicecomandante della I Compagnia, Vittorio
Ceccherini (Enzo), non riesce a chiamarlo diversamente.
La 23a Brigata Garibaldi «Guido Boscaglia» è stata la
più importante, la più consistente, la più organizzata
formazione partigiana della nostra regione: cinque-seicento giovani di tutte
le nazionalità sotto il comando di “Giorgio”, Alberto
Bargagna. Nel giugno del 1944, prima che arrivassero gli Alleati la Brigata
aveva già liberato una discreta porzione del territorio tra le provincie
di Pisa, Siena e Grosseto. La sua storia è stata raccontata con dovizia
di particolari da Pier Giuseppe Martufi (Ragno) ne La tavola del pane (1980), è stata
rievocata in maniera commovente nelle memorie del Biondo, Alfredo Merlo
(Avevo diciotto anni e mezza lira di speranza, 2003); ed è entrata
con tutta la sua carica umana in molte pagine dei romanzi di un giovane
partigiano che un giorno sarebbe diventato il celebre scrittore Carlo Cassola
(Fausto e Anna; 1952, La ragazza di Bube, 1960).
Qui però non ci occuperemo delle azioni di guerra. Quel che ci interessa
sono le azioni partigiane di pace, come giustamente le chiama Enzo. Perciò inizieremo
il nostro racconto dal momento in cui le avanguardie della 5a armata incontrarono
i garibaldini della 23a. Non fu quell’abbraccio fraterno che i ragazzi
dal fazzoletto rosso immaginavano. Ci furono attriti e incompresioni; poi
finalmente fu trovato un accordo. I partigiani originari delle zone ancora
sotto occupazione potevano continuare a combattere alle dipendenze del comando
alleato; gli altri dovevano consegnare le armi e poi sarebbero stati liberi
di tornare alle loro case. Pedro, con un gruppo di pisani e livornesi, fu
impiegato nei combattimenti lungo il fronte dell’Arno. Ebbe il comando
dell’avanguardia che liberò Fornacette, quindi passò al
presidio di Cascina, ed infine prestò servizio a Pisa. Il 2 settembre,
dopo un mese di cannoneggiamenti, i tedeschi finalmente ripiegarono, lasciandosi
alle spalle una città prostrata. Gli Alleati passarono il fiume a
Caprona e la 23a fu ufficialmente sciolta. Iniziava allora la missione di
pace di Pedro.
Di là d’Arno non sparava più nessuno. Alla furia dei
combattimenti era subentrato un silenzio di desolazione, macerie e polvere.
Di qua d’Arno, dopo aver tirato un sospiro di sollievo, restava una
profonda inquietudine: cosa si sarebbe trovato al di là del fiume?
Quanto ci sarebbe voluto per rimettere insieme i cocci di quella devastazione
umana e materiale? E che ne era della Piazza dei Miracoli? Si sapeva che
un colpo di cannone era andato fuori bersaglio; e che una colonna di fumo
si era levata dal camposanto monumentale. Italo Bargagna, sindaco nominato
dal prefetto su indicazione del CLN cittadino, si consultò con le
autorità militari alleate, le quali avevano già incaricato
della salvaguardia dei beni artistici e monumentali delle zone liberate
il capitano Deane Keller, un professore di storia dell’arte. Pare
strano che una macchina da guerra come quella si preoccupasse delle bellezze
artistiche italiane. In realtà non c’è da stupirsi più di
tanto. Dopo che sulla testa degli alleati era piovuta l’accusa di
barbarie per la distruzione dell’Abbazia di Montecassino, il comando
fu costretto a prendere provvedimenti perché una cosa del genere
non avesse a ripetersi, ed in pratica decise di accordare pieni poteri ad
un amante dell’arte, come Keller, che quella missione avrebbe cercato
di compiere in ogni caso, anche senza il mandato dei superiori. Keller però non
conosceva Pisa; aveva bisogno di una guida. Fu così che gli fu affiancato
il partigiano Pedro.
Il ponte di Mezzo era stato fatto saltare, ma i binari del tram che lo percorrevano
erano rimasti miracolosamente uniti. I due uomini allora si avviarono verso
l’altra parte della città scavalcando il fiume come funamboli.
Nella parte centrale i binari piegavano pericolosamente fino a sfiorare
l’acqua. Sotto non era un bel vedere: i corpi dei tedeschi uccisi,
pallidi e gonfi, erano trascinati dalla corrente; alcuni erano trattenuti
dai piloni del ponte, come accade ai rami secchi dopo una piena. Sull’altra
riva, non un’anima viva. Dopo essersi guardati intorno i due si precipitarono
in piazza dei Miracoli: torre e battistero erano rimasti praticamente intatti.
Il guaio, com’era stato previsto, era nel camposanto. Il cannone aveva
distrutto parte della copertura, appiccando l’incendio alle strutture
in legno. Le lastre di piombo che componevano il tetto si erano liquefatte,
e colando lungo le mura interne avevano devastato gli affreschi… ;
altri affreschi erano stati polverizzati.
Entrato nel perimetro del camposanto, Pedro fece un incontro inatteso: “vidi
campeggiare in un ambulacro, tra le macerie sparse a terra, un teschio con
altri frammenti ossei, e vicino un’urna spezzata da cui erano stati
sbalzati. Raccolsi allora quei resti sfortunati e li radunai presso l’urna,
perché almeno non restassero sparpagliati qua e là. Che altro
potevo fare allora? Fu alla fine di questa pietosa incombenza che scopersi
di aver tenuto nelle mie mani il cranio di Arrigo VII di Lussemburgo, l’Imperatore
che tante speranze aveva risvegliato in Dante Alighieri quando scese in
Italia. Tornai a guardarlo nelle orbite vuote e non potei fare a meno di
dirgli: “Povero Arrigo, sei nato proprio sotto una cattiva stella:
bollito in vita, e cannoneggiato da morto!”.
Il capitano Keller mise subito in azione la macchina organizzativa americana;
fece affluire uomini e mezzi per mettere in sicurezza il monumento in previsione
del restauro. I primi ad accorrere non furono però i carpentieri
e i muratori, ma gli uomini di Hollywood: tutto il mondo doveva sapere che
gli alleati avevano a cuore il patrimonio artistico italiano. I cineoperatori
in forza alla 5a armata approntarono rapidamente un set, e nel copione fu
riservata una parte, senza controfigura, anche all’arcivescovo… che
allora aveva: “…ricordo - dice Pierino - che fu fatto intervenire
il Vescovo di Pisa, persona molto anziana, il quale condotto nella zona
dei peggiori disastri fu cortesemente indotto a salire su un’alta
scala a pioli perché osservasse da vicino la zona del tetto colpita… Confesso
di aver trepidato per quello che in quel momento vedevo come un fragile
vecchietto su una scala tentennante, anche se ben tenuta da robusti militari;
e di essermi chiesto come potesse sentirsi lassù. Perché d’altronde
anche un Vescovo è un uomo!”.
Il capitano americano si gettò anima e corpo nell’opera di
recupero del camposanto monumentale; ma a Pisa non c’era solo il camposanto
ad aver bisogno di interventi urgenti; c’erano altri monumenti, chiese,
e c’erano le strutture e le collezioni scientifiche dell’Università.
Pedro allora corse a Palazzo Gambacorti e ottenne dal sindaco l’incarico
di effettuare un primo inventario dei danni: “la mia - dice - fu un’opera
di buona volontà fatta senza mezzi e senza un piano prestabilito,
come intervento di emergenza”. Per circa un mese Pedro corse da una
parte all’altra col suo taccuino in mano, prendendo appunti sui tetti
scoperchiati, i muri crollati, i monumenti danneggiati, le collezioni librarie
da mettere sotto chiave, i laboratori da trasferire e così via. È rimasta
traccia di quell’opera meritoria, che permise di porre in salvo un
patrimonio pubblico di inestimabile valore, in alcuni rapporti al sindaco,
il cui stile secco e nervoso tradisce la preoccupazione dell’autore:
sono come foto istantanee, che ci restituiscono l’immagine della nostra
Università all’indomani del passaggio del fronte. L’Istituto
di Fisica, che ha una parte distrutta da un’esplosione, deve essere
chiuso per impedire l’intrusione di estranei. Il materiale librario
di tutti gli istituti deve essere raccolto e posto al riparo dalle intemperie
(fortunatamente la biblioteca della Sapienza e quella della Domus Galileiana
erano state trasferite a Calci prima dell’inizio dei combattimenti).
Ad Agraria non è possibile effettuare il sopralluogo perché c’è il
sospetto che l’edificio sia minato. All’Orto Botanico occorre
riparare le serre, se si vuole salvare le piante; e così via. Nel
suo taccuino Pedro prende nota di tutti gli interventi più urgenti.
Visita gli istituti di cultura, le chiese cittadine, i monasteri, le scuole
medie e superiori; prende contatti con i professori, con i tecnici, con
tutti quelli che possono dare una mano. Cerca di cordinare i lavori di sgombro
delle macerie; particolarmente delicati al Museo di Storia Naturale, a Geologia
e Paleontologia, dove c’è il rischio che fossili e materiale
mineralogico restino confusi con i calcinacci. “Cessai la mia attività -
dice Pedro - verso la fine di settembre, quando la vita civile iniziò a
riprendere il suo corso ordinario, e le autorità cittadine furono
in grado di predisporre interventi concreti, e non soltanto monitoraggi
di emergenza”.
Oggi il professor Piero Fornaciari ha 85 anni e vive nella sua Livorno.
Ha dovuto smettere di dipingere, ma non gli mancano certo gli interessi.
Quando ci lasciamo mi confessa di avere un rimpianto: “quel lavoro
a Pisa avrei dovuto portarlo fino in fondo, non avrei dovuto smettere così presto.
Ho come l’impressione di aver lasciato il lavoro a metà”.
Me lo ripete più volte, e io non capisco a cosa si riferisca, ma
sono sicuro che ha ragione.
Grazie Piero.
Andrea
Addobbati
ad.stampa@adm.unipi.it
|