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I disturbi dello spettro autistico sono le più frequenti condizioni patologiche legate allo sviluppo cerebrale nell’uomo e portano a gravi problemi di comunicazione e di interazione sociale.  Una delle cause recentemente individuate per i disturbi dello spettro autistico sono le mutazioni nel gene SETD5 che generano l’inattivazione di una delle due copie del gene (aploinsufficienza). Un nuovo studio, appena pubblicato su “International Journal of Molecular Sciences”, ha messo a punto per la prima volta un modello di aploinsufficienza di SETD5 nel pesce zebra (zebrafish) che riproduce importanti tratti dei disturbi dello spettro autistico.

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La ricerca è stata condotta da un team del Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa, coordinato dal professor Massimiliano Andreazzoli, che vede coinvolti la professoressa Chiara Gabellini, il dottor Davide Martini, il dottor Matteo Digregorio e, tra i collaboratori esterni, il dottor William Norton della University of Leicester (UK). 

Mutanti di zebrafish con aploinsufficienza di setd5, generati nell’unità di Biologia Cellulare e dello Sviluppo con l’innovativa tecnologia del CRISPR/Cas9 (un sistema che consente di modificare in modo rapido una precisa regione del DNA), presentano difetti nei comportamenti sociali legati all’aggregazione e al riconoscimento di nuovi stimoli sociali. L’analisi molecolare ha permesso di evidenziare una significativa riduzione dell’espressione di RNA messaggeri che codificano per proteine fondamentali nel funzionamento delle sinapsi neurali, suggerendo, come conseguenza, una ridotta connettività del cervello nei mutanti per il gene setd5.

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Da sinistra: Massimiliano Andreazzoli, Davide Martini, Chiara Gabellini, Matteo Digregorio.

La validità di questo modello di malattia è ulteriormente sostenuta dall’osservazione che i deficit comportamentali possono essere notevolmente ridotti dal trattamento dei mutanti con risperidone, un farmaco usato per alleviare alcuni sintomi negli individui con disturbi dello spettro autistico. Questi dati indicano un promettente futuro utilizzo di questo modello di aploinsufficienza di SETD5 per lo screening di molecole atte a compensare i deficit causati dalla mutazione, contribuendo quindi allo sviluppo di nuovi trattamenti terapeutici per i disturbi dello spettro autistico.

Sono sette i Dipartimenti universitari di eccellenza dell’Università di Pisa ammessi al finanziamento del MUR per il quinquennio 2023-2027. Un risultato importante, che certifica la qualità della ricerca e nella progettualità scientifica dell’Ateneo pisano in alcuni dei campi che, peraltro, ne hanno scritto la storia: Biologia; Civiltà e Forme del Sapere; Filologia, Letteratura e Linguistica; Fisica; Ingegneria dell'informazione; Matematica e Scienze Veterinarie. Con Civiltà e Forme del Sapere e Ingegneria dell'informazione che ottengono questo riconoscimento per la seconda volta.

“In soli cinque anni siamo passati da due a sette dipartimenti d’eccellenza finanziati dal Ministero. Una crescita significativa, che premia il grande lavoro e le scelte fatte dal 2017 ad oggi – commenta il Rettore, Riccardo Zucchi – Di tutto ciò non posso che ringraziare il mio predecessore, i direttori dei dipartimenti, i docenti e il personale tecnico-amministrativo che hanno permesso di concretizzare un risultato importante per il nostro Ateneo e per la città”.

“Se, peraltro, sommiamo ai nostri sette, quelli ottenuti dalla Scuola Normale Superiore, dalla Scuola Superiore Sant'Anna e dalla Scuola IMT – conclude Zucchi - i dipartimenti finanziati salgono ad undici. Numero che riflette la vitalità del nostro sistema universitario, oltre che la straordinaria concentrazione di eccellenze che può vantare il nostro territorio. È da qui che adesso dobbiamo partire, per incrementare ulteriormente la qualità della nostra ricerca e la nostra capacità di attrarre studenti e giovani ricercatori”.

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La graduatoria dei 180 Dipartimenti assegnatari del finanziamento è stata pubblicata ieri dall’ANVUR, l’Agenzia nazionale di valutazione del Sistema universitario e della ricerca. Complessivamente erano 14 su 20 i Dipartimenti dell’Università di Pisa ammessi alla procedura di selezione sulla base del valore dell’Indicatore Standardizzato di Performance Dipartimentale (ISPD).

In totale sono 271 i milioni di euro stanziati dal Ministero e ogni dipartimento di Eccellenza può aspirare ad essere finanziato con un budget annuale che va dai 1,620 ai 1,080 milioni di euro per cinque anni. Per i dipartimenti delle aree CUN da 1 a 9 sarà assegnato anche un budget di 250 mila euro annui vincolato a infrastrutture di ricerca.

Il progetto europeo SCORE a cui partecipa anche l’Università di Pisa è uno dei due casi studio che appare nel nuovo report "Sea’ties Regional Report - Adaptating Coastal Cities and Territories to Sea Level Rise in the Mediterranean Region, Challenges and Best Practices”, che verrà presentato sabato 12 novembre alla COP27 di Sharm el-Sheikh, nel Padiglione del Mediterraneo.

"L'innalzamento del livello del mare è una questione particolarmente importante per il bacino del Mediterraneo, così come per le città costiere in tutto il mondo- spiega Filippo Giannetti, docente di Telecomunicazioni al Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione e referente scientifico di SCORE per l’Università di Pisa -  Proprio questo è il problema affrontato dal progetto SCORE, un consorzio che conta 28 partner di 12 nazioni, impegnati a delineare una strategia condivisa per aumentare la resilienza delle città costiere di fronte ed eventi meteorologici estremi causati dall’aumento del livello della temperatura globale”.

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Le attività di SCORE prevedono in particolare la creazione di una rete di 10 città e aree costiere europee accomunate da problematiche simili. Ciascuna di queste è oggetto di studi scientifici e costituisce un laboratorio partecipativo (Coastal City Living Lab, CCLL), un concetto innovativo in cui i processi di ricerca vedono il coinvolgimento di tutti i cittadini, associazioni, istituzioni pubbliche ed operatori economici privati attraverso la co-creazione, l'esplorazione, la sperimentazione e la valutazione di idee innovative, di scenari, concetti e relativi manufatti tecnologici in casi d'uso reali utilizzando dei modelli virtuali altamente complessi. “Il progetto sfrutta anche il contributo dei cittadini attivamente coinvolti tramite sensori a basso costo e/o autocostruiti ("citizen science kit") per realizzare un monitoraggio e un controllo intelligenti e istantanei della resilienza climatica nelle città costiere – aggiunge Giannetti – Siamo molto fieri che il nostro lavoro venga portato a modello fin un evento così importante per il pianeta come la COP27”.

Proprio il meccanismo innovativo dei Coastal Cities Living Labs (CCLL) del progetto SCORE viene infatti portati ad esempio di strategie virtuose per aumentare la resilienza dei territori fragili, come le città costiere, ai cambiamenti climatici. Il rapporto è pubblicato con il sostegno del Comune di Marsiglia, Plan Bleu e MedECC, ed è consultabile a questo link.

L'iniziativa Sea'ties mira a facilitare lo sviluppo di politiche pubbliche e l'attuazione di soluzioni di adattamento per supportare le città costiere minacciate dall'innalzamento del livello del mare. È guidato dalla piattaforma Ocean & Climate. Il report sarà presentato anche in streaming alle 11.15 (UTC+2) a questo link.

Transizione ecologica in agricoltura, intelligenza artificiale, mobilità sostenibile, big data e calcolo quantistico, scenari energetici del futuro e life sciences sono solo alcuni dei temi al centro dei 13 progetti in cui è coinvolta l’Università di Pisa finanziati con i fondi del PNRR – il Piano nazionale di ripresa e resilienza “Italia domani” – per un totale di circa 42 milioni di euro.

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L’Ateneo pisano è presente in ben quattro dei cinque Centri nazionali che hanno da poco iniziato l’attività e che sono dedicati alla realizzazione e allo sviluppo di programmi e attività di ricerca di frontiera:  HPC, Big Data and Quantum Computing è il Centro Nazionale di Supercalcolo, il più grande sistema italiano dedicato al calcolo ad alte prestazioni, alla gestione dei big data e al calcolo quantistico che svolgerà attività di ricerca e sviluppo a livello nazionale e internazionale a favore dell'innovazione nel campo delle simulazioni, del calcolo e dell'analisi dei dati ad alte prestazioni; il Centro Nazionale Agritech lavora allo sviluppo di tecnologie per l’agricoltura e in particolare l’Università di Pisa si occuperà di progettare allevamenti e filiere agroalimentari smart, rendere le produzioni sostenibili e certificarne la qualità; il Centro Nazionale “Sviluppo di terapia genica e farmaci con tecnologia a RNA che ha l’obiettivo di costruire una filiera di ricerca e innovazione che permetta all’Italia di essere competitiva nelle tecnologie su cui si basano nuove cure sempre più mirate sia per le malattie ad alto impatto socio-economico che per le malattie rare; il Centro Nazionale per la Mobilità Sostenibile promuove la ricerca su temi legati alla decarbonizzazione, alla decongestione stradale, alla mobilità autonoma connessa e smart, alla sicurezza dei veicoli e delle infrastrutture, all’accessibilità, all’inserimento nel mercato di nuove professionalità e competenze.

L'Università di Pisa è inoltre coinvolta nella linea di investimento del PNRR che prevede la creazione o il rafforzamento di 12 Ecosistemi dell’innovazione “leader territoriali di R&S” sul territorio nazionale. Il progetto finanziato in cui è coinvolta UNIPI è THE – Tuscany Health Ecosystem, un ecosistema dell’innovazione sulle scienze e le tecnologie della vita in Toscana.

Sono in totale quattro le Infrastrutture di Ricerca e le Infrastrutture tecnologiche dell’Innovazione finanziate dal PNRR in cui è coinvolta l’Università di Pisa: si tratta di SEE LIFE (StrEngthEning the ItaLIan InFrastructure of Euro-bioimaging), So Big Data, Einstein telescope (ETIC) e Simulazione e il monitoraggio del sistema energetico.

Infine ci sono i Partenariati Estesi, una linea di investimento che promuove la creazione di almeno 10 e fino a un massimo di 14, partenariati estesi alle università, agli enti pubblici di ricerca e a soggetti pubblici e privati altamente qualificati, su scala nazionale, per il finanziamento di progetti di ricerca fondamentale o applicata caratterizzati da un approccio fortemente interdisciplinare. I quattro Partenariati Estesi finanziati in cui è coinvolta l’Università di Pisa sono Intelligenza artificiale: aspetti fondazionali; Scenari energetici del futuro; Diagnostica e terapie innovative nella medicina di precisione; Modelli per un’alimentazione sostenibile.

Maggiori dettagli sui progetti PNRR sono disponibili nella pagina web dedicata https://pnrr.unipi.it/.

Con una conferenza di apertura nell’Aula Magna Storica dell’Università di Pisa, ha preso il via a fine settembre il progetto europeo TOLIFE (Combining Artificial Intelligence and smart sensing TOward better management and improved quality of LIFE in chronic obstructive), coordinato dall’Università di Pisa, che punta a migliorare la gestione e la personalizzazione del trattamento di patologie croniche complesse tramite l’Intelligenza Artificiale e dispositivi sensorizzati non invasivi. La malattia che costituisce il caso studio del progetto è la broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO).

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“Malattie come la BPCO – spiega Alessandro Tognetti, docente di Bioingegneria al Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione e coordinatore di TOLIFE – portano con sé un quadro clinico che dipende da molti fattori, e spesso sono associate ad altre patologie, come malattie cardiache, metaboliche, e anche depressione, dovuta alla condizione invalidante che l’infermità porta con sé.  Le malattie correlate e lo stato generale del paziente spesso non sono trattate nel percorso clinico, che si concentra invece solo sulla cura dei polmoni. Noi vorremmo proporre invece un approccio più organico, che includa fattori correlati alla malattia e anche, in modo essenziale, che miri a migliorare la qualità della vita delle persone affette da malattie croniche. Le nuove tecnologie e l’intelligenza artificiale ci forniscono i mezzi per poter ritagliare terapie mirate e che tengano conto di molti più fattori rispetto alla sola cura della singola patologia”.

Il progetto TOLIFE mira, infatti, al monitoraggio di molti aspetti della vita delle persone affette da malattie croniche, come i dati ambientali, di qualità dell’aria e meteo, misurati da sensori posti negli ambienti domestici, dati fisiologici, come il battito cardiaco, e le interazioni sociali, misurati tramite smartwatch e smartphone, dati sul movimento del paziente, misurati da smartphone e scarpe sensorizzate, fino alla qualità del sonno, monitorata tramite un coprimaterasso sensorizzato realizzato dal team di bioingegneri del DII.

Una piattaforma di intelligenza artificiale, primo obiettivo del progetto, integrerà tutti i dati per restituire un quadro clinico complessivo che tenga finalmente conto di tutti i fattori e le complessità in gioco. “In questo modo - prosegue Tognetti - potremo avere una chiara idea dell’impatto della malattia sulla qualità della vita delle persone e pensare a cure personalizzate, a seconda delle diverse esigenze dei singoli pazienti. Inoltre, grazie alla piattaforma possiamo arrivare a prevedere, e quindi prevenire, peggioramenti improvvisi, che purtroppo di solito portano all’ospedalizzazione o peggio, avviando terapie precoci ai primi segnali.”

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La piattaforma sarà ottimizzata e validata in condizioni di “vita reale” su pazienti affetti da broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) in Italia, Germania e Spagna. Tra i partner del progetto figura l’Istituto Superiore di Sanità, in modo da valutare l’inserimento della procedura sviluppata in protocolli clinici standard.

Oltre a UNIPI e ISS, il consorzio, altamente interdisciplinare, è composto da CNR IFC e Adatec SRL (Italia), beWarrant (Belgio), Universidad Politecnica de Madrid (Spagna), Techedge España (Spagna), Fundacion Privada Instituto de Salud Global Barcelona (Spagna), Consorcio Mar Parc de Salut de Barcelona (Spagna), Time.Lex (Belgio), European Federation of Asthma&Allergy Associations (Belgio) ePneumologisches Forschungsinstitut an der LungenClinic Grosshansdorf GmbH (Germania).

Il progetto TOLIFE è finanziato sui fondi del Programma quadro dell’Unione europea per la ricerca e l’innovazione Horizon Europe nell’ambito della call “Tackling diseases”.

Ha preso il via il progetto ENCORE, un progetto ERASMUS+ guidato dall’Università di Pisa che mira a sviluppare strumenti di supporto alla progettazione didattica da mettere a disposizione degli educatori. Tali strumenti saranno basati sul riuso dei dati testuali di contenuti educativi aperti, grazie a strumenti di Intelligenza Artificiale.

Il team ENCORE, il cui acronimo sta per ENriching Circular use of OeR for Education, è composto da cinque università (Università di Pisa, Università di Salamanca, Università Chalmers, Università di Padova, Università aperta ellenica); da tre enti di formazione professionale (Knowledge Foundation at Reutlingen University, Institut Polytechnique UniLaSalle e Adecco Training France); da tre attori del mercato del lavoro (ValueDo, Beam Me Up e Reconnaitre-Open Recognition Alliance); un istituto di ricerca (Fondazione Bruno Kessler) e una Ong: (Associazione europea delle università che insegnano a distanza).

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Il team ENCORE al kick-off meeting del progetto che si è tenuto a Pisa il 5 e 6 luglio 2022.

Le università coinvolte avranno una grande responsabilità nella prima fase del progetto che avrà un approccio data-driven, con l’Ateneo pisano responsabile della definizione delle competenze GDE (Green, Digital and Entrepreneurial) e l’Università di Salamanca responsabile della collaborazione con i fornitori di tecnologia. Nella seconda fase (guidata da esperti di pedagogia), l’Università di Padova si occuperà di definire l'approccio ENCORE. Tutti i fornitori di servizi educativi, guidati dalla Università Chalmers, saranno coinvolti in egual misura nei test interni ed esterni.

Il coordinatore del progetto è Filippo Chiarello, ricercatore presso il Dipartimento di Ingegneria dei Sistemi, del Territorio e delle Costruzioni.

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andrea mogliaPercorsi di formazione personalizzati, capaci di adattarsi alla curva di apprendimento di ciascun discente e favorire la formazione dei futuri chirurghi che andranno ad operare con il robot. Tutto questo grazie all’intelligenza artificiale e a un simulatore basato su realtà virtuale, come dimostra uno studio svolto all’Università di Pisa che ha visto coinvolto un gruppo di ricerca internazionale guidato dall’ingegner Andrea Moglia del Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia (nella foto a destra) in collaborazione col professor Sir Alfred Cuschieri dell’Università di Dundee (Regno Unito).

Lo studio prevedeva che un gruppo di studenti di medicina eseguisse specifici esercizi al simulatore per chirurgia robotica fino al raggiungimento del livello di competenza richiesto. Successivamente sono stati sviluppati via software vari modelli di intelligenza artificiale per prevedere il tempo e il numero di tentativi di ciascun esercizio in cui i partecipanti avrebbero completato il loro percorso di formazione. Utilizzando una particolare configurazione (chiamata ensemble learning) in cui si aggregavano più modelli di reti neurali è stato possibile ottenere un’accuratezza più elevata (fino al 95% in alcuni casi) rispetto a qualunque altro modello di machine learning, una branca dell’intelligenza artificiale. I risultati dello studio, al quale ha partecipato anche il gruppo di chirurgia generale del professor Luca Morelli, sono stati pubblicati su Surgical Endoscopy, una delle riviste più autorevoli in chirurgia.

Lo studio condotto presso l’Ateneo pisano rappresenta la più elevata casistica internazionale nel settore e si basa sull’esperienza di Andrea Moglia nella simulazione in chirurgia robotica iniziata nel 2009 presso il centro EndoCAS, diretto dal professor Mauro Ferrari, e che lo ha visto utilizzare per primo in Italia i simulatori virtuali per il sistema di chirurgia robotica da Vinci. “Esattamente dieci anni fa in questo periodo – commenta Moglia – raccoglievo i dati dello studio per valutare l’abilità innata per la chirurgia tra gli studenti di medicina. Questa volta abbiamo pensato di utilizzare l’intelligenza artificiale per predire la loro curva di apprendimento con lo scopo di ritagliare il percorso formativo in base alle capacità innate dei discenti. Il nostro approccio non si limita al robot da Vinci ma può essere applicato anche ai sistemi per chirurgia robotica di nuova generazione che stanno facendo il loro ingresso sul mercato. Inoltre, può essere esteso a qualunque simulatore chirurgico”.

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L’intelligenza artificiale consente ai computer di imparare a svolgere determinati compiti, tra cui la previsione di trend, attraverso modelli matematici costruiti a partire dai dati. La disponibilità di computer e modelli sempre più avanzati ha fatto sì che negli ultimi anni l’intelligenza artificiale sia stata applicata con successo a vari settori, in primis quello delle auto a guida autonoma. Anche la sanità ne sta beneficando. Una delle ultime branche della medicina ad essersi affacciata all’intelligenza artificiale è la chirurgia che potenzialmente offre numerose applicazioni a cominciare dalla formazione dei chirurghi.

Al via la fase di sperimentazione clinica del progetto di ricerca TELOS (Tailored neurorehabilitation thErapy via multi-domain data anaLytics and adaptive seriOus games for children with cerebral palSy), uno studio cui partecipano numerosi enti di ricerca finalizzato a valutare l’efficacia di una terapia riabilitativa innovativa supportata dalla realtà virtuale, paragonata alla terapia riabilitativa standard in bambini con paralisi cerebrale infantile (forme emiplegiche e diplegiche). In Aoup la sperimentazione sarà avviata nella Sezione dipartimentale di Riabilitazione neurocognitiva dell’età evolutiva (diretta dal professore Luca Bonfiglio, docente del Dipartimento di ricerca traslazionale e delle nuove tecnologie in Medicina e Chirurgia dell'Università di Pisa e responsabile scientifico del progetto per l’Azienda ospedaliero-universitaria pisana) del Dipartimento materno-infantile (diretto dal dottore Pietro Bottone). Nell’Azienda USL Toscana nord ovest la sperimentazione è avviata invece nel reparto di Medicina riabilitativa (diretto dal dottor Federico Posteraro) dell’Ospedale Versilia (responsabile scientifico la dottoressa Sara Aliboni).

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Gli esercizi riabilitativi, indirizzati a promuovere il miglioramento delle capacità manuali e dell’equilibrio, verranno svolti in forma di videogioco (i cosiddetti serious games) ed eseguiti in realtà virtuale immersiva, con tecnologie sviluppate dai laboratori della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa (Istituto di Intelligenza meccanica), coordinatrice del progetto. L’immersione virtuale consentirà ai bambini di partecipare ad un’esperienza di gioco multisensoriale, ove agli stimoli visivi e uditivi percepiti a 360 gradi si aggiungeranno anche stimoli tattili percepiti attraverso attuatori indossabili. In questo modo, sarà possibile percepire anche il contatto tattile con gli oggetti virtuali obiettivo delle azioni di presa e manipolazione.

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L’ambiente virtuale, l’aspetto ludico, la variabilità degli esercizi, la progressione per tappe successive di upgrading gestita dal terapista, sono tutti elementi fortemente coinvolgenti, motivanti e gratificanti e, come tali, capaci di promuovere e sostenere l’apprendimento motorio. L’ambiente virtuale, inoltre, consente di misurare oggettivamente, tramite il rilevamento di nuovi indici cinematici e tecnologie avanzate di analisi dati - sviluppate nel progetto dall’Istituto di Fisiologia clinica del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ifc) - le prestazioni dei bambini nelle azioni richieste e, di conseguenza, di monitorarne fedelmente i progressi nel corso della terapia. Elemento da non sottovalutare, alla luce della situazione pandemica, è infine la prospettiva di proporre questo tipo di assetto riabilitativo anche a domicilio del paziente, in uno scenario di monitoraggio, controllo e supervisione anche da remoto (telemedicina).

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Il progetto è finanziato dalla Regione Toscana nell’ambito del Bando ricerca salute 2018 e vede coinvolti la Scuola Superiore Sant’Anna (coordinatore, ingegnere Daniele Leonardis, gruppo HRI del professore Antonio Frisoli), il Cnr (responsabile scientifico l’ingegnere Ilaria Bortone, Istituto di Fisiologia clinica), l’Azienda ospedaliero-universitaria pisana (Sezione dipartimentale di Riabilitazione neurocognitiva dell’età evolutiva), l’Azienda USL Toscana nord ovest (unità operativa di Medicina riabilitativa, Ospedale Versilia) e l’Istituto Irccs De Bellis di Castellana Grotte (responsabile scientifico, dottor Rodolfo Sardone).

Per eventuali contatti per la sperimentazione, in Aoup l’indirizzo email di riferimento è Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo., per l’Azienda USL Toscana nord ovest è Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..

(Comunicato Ufficio Stampa AOUP).

 

Un sensore più sottile di un francobollo (in foto), biocompatibile e bioriassorbibile, e impiantabile sottopelle, riuscirà a monitorare in tempo reale alcuni parametri del corpo come il pH, e l’efficacia dei farmaci somministrati, aprendo così la strada a nuove procedure cliniche e diagnostiche.

sensore3_1_copy.jpgIl risultato è pubblicato nella rivista Advanced Science, e reca la firma del team di ingegneri elettronici del Dipartimento di Ingegneria dell'Informazione dell'Università di Pisa (DII), coordinati da Giuseppe Barillaro, in collaborazione con l’Università di Modena e Reggio Emilia e Surflay Nanotec GmgH di Berlino.

“Il livello del pH, da cui emerge una eventuale acidificazione dei tessuti - spiega Giuseppe Barillaro – è, tra altre cose, indicativo dell’insorgenza e della progressione di malattie come il cancro e problemi cardiaci. Fino ad ora la misura del pH viene svolta con analisi di laboratorio, che richiedono in genere il prelievo di fluidi corporei e non riescono a misurare l’eventuale acidificazione di una zona di interesse specifico con elevata accuratezza. Il nostro sensore, costituito da una membrana di silicio nanostrutturato ricoperta da un polimero fluorescente riesce a fornire un risultato immediato, accurato e soprattutto continuo nel tempo del livello di pH nel tessuto di interesse. È sufficiente illuminare la zona della pelle in cui il sensore è impiantato con una luce verde. Il sensore emetterà una luce rossa più o meno intensa, indicativa del livello di pH. Infine, il sensore si degraderà dopo l’uso all’interno del corpo, senza necessità di rimozione chirurgica.”

“Il sensore funziona per circa 5 giorni - aggiunge Martina Corsi, dottoranda in elettronica al DII - poi inizia a biodegradarsi, e in un periodo breve di tempo viene completamente riassorbito dal corpo senza conseguenze.”

“Di solito i dispositivi impiantabili sono protetti da una rivestimento opportuno - aggiunge Alessandro Paghi, ricercatore presso il DII - per non essere aggrediti e messi fuori uso dal nostro sistema immunitario. Questo rende molto difficile realizzare dei sensori chimici impiantabili, che non possono essere protetti perché funzionano solo se interagiscono chimicamente con il nostro corpo. Noi abbiamo dimostrato che può essere realizzato un sensore chimico non solo impiantabile, ma anche biodegradabile, una scoperta che apre la porta a innumerevoli applicazioni in ambito biomedico”.

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La biodegradazione del sensore

Il team di Barillaro ha infatti di recente vinto un progetto Europeo, RESORB (www.resorb-project.eu), del programma Horizon Europe, il nuovo Programma Quadro per la Ricerca e l’Innovazione dell’Unione Europea per il periodo 2021-2027, che ha l’obiettivo di sviluppare ulteriormente il sensore, aggiungendo dei biorecetttori per la quantificazione di molecole target di interesse clinico/diagnostico in-vivo, in-situ e in tempo reale. RESORB si concentrerà sulla quantificazione di un farmaco chemioterapico, la doxorubicina, con lo scopo di ottimizzarne il dosaggio durante il trattamento di pazienti con tumore, attraverso una misura diretta e continua - nel tempo - del quantitativo di farmaco nel sito di impianto.

“Il sensore sviluppato, e la sua ulteriore evoluzione nel progetto RESORB - conclude - apre la strada per la messa a punto di sensori chimici capaci di effettuare analisi cliniche direttamente all’interno del corpo, per poi dissolversi senza necessità di rimozione chirurgica. Tali sensori, impiantabili e bioriassorbibili, hanno la potenzialità di rivoluzionare le procedure cliniche/diagnostiche garantendo un monitoraggio continuo di una molecola specifica nel tessuto di interesse, e quindi informazioni in tempo reale sia sullo stato di salute del paziente sia sull’efficacia dei farmaci. Un ulteriore passo avanti verso una medicina di precisione e personalizzata ”.

A quasi 2000 anni dall’eruzione del Vesuvio che nel 79 d.C. distrusse gran parte del territorio e delle città circostanti, un team internazionale di ricercatori ha analizzato nuovamente l’evento per offrire un piano esaustivo dello stato dell’arte sulle conoscenze dell’eruzione più famosa della storia, partendo dalla sua datazione, che uno studio di alcuni anni fa ha posticipato di alcuni mesi, da agosto a ottobre. L’integrazione tra lo studio sul campo, le analisi in laboratorio e la rilettura delle fonti storiche ha consentito di seguire temporalmente tutte le fasi dell’eruzione, dalla camera magmatica fino alla deposizione della cenere in aree lontanissime dal Vesuvio, trovandone traccia fino in Grecia.

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Lo studio “The A.D. 79 eruption of Vesuvius: a lesson from the past and the need of multidisciplinary approaches for developments in volcanology”, recentemente pubblicato sulla rivista ‘Earth Science Reviews’, è stato condotto dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) in collaborazione con il Centro Interdipartimentale per lo Studio degli Effetti del Cambiamento Climatico (CIRSEC) e il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa, l’Istituto di Geologia Ambientale e Geoingegneria del Consiglio Nazionale delle Ricerche (IGAG-CNR), il Laboratoire Magmas et Volcans di Clermont-Ferrand (LMV) in Francia e la School of Engineering and Physical Sciences (EPS) della Heriot-Watt University di Edimburgo nel Regno Unito. La ricerca è stata realizzata nell’ambito del progetto di ricerca ‘Pianeta Dinamico’ finanziato dall’INGV.

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Il team di ricercatori pluridisciplinari ha raccolto e analizzato criticamente la vasta produzione scientifica disponibile sull’eruzione, integrandola con nuove ricerche. “Il nostro lavoro esamina con un approccio ampio e multidisciplinare diversi aspetti dell’eruzione del 79 d.C., integrando dati storici, stratigrafici, sedimentologici, petrologici, geofisici, paleoclimatici e di modellazione dei processi magmatici ed eruttivi di uno degli eventi più famosi e devastanti che hanno interessato l’area vulcanica napoletana – spiega Mauro A. Di Vito, vulcanologo dell’INGV e coordinatore dello studio – L’articolo parte dalla ridefinizione della data dell’eruzione, che sarebbe avvenuta nell’autunno del 79 d.C. e non il 24 agosto come si è ipotizzato in passato, e prosegue con l’analisi vulcanologica di siti in prossimità del vulcano per poi spostarsi progressivamente fino a migliaia di chilometri di distanza, dove sono state ritrovate tracce dell’eruzione sotto forma di ceneri fini”.

“Fin dal XVIII secolo, la data del 24 agosto è stata oggetto di dibattito fra storici, archeologi e geologi perché incongruente con numerose evidenze, come ad esempio i ritrovamenti a Pompei di frutta tipicamente autunnale o le tuniche pesanti indossate dagli abitanti che mal si conciliavano con la data del 24-25 agosto” – spiega Biagio Giaccio, ricercatore dell’Igag-Cnr e coautore dell’articolo. La prova definitiva dell’inesattezza della data è però emersa solo pochi anni fa: “Un’iscrizione in carboncino sul muro di un edificio di Pompei che tradotta cita ‘Il sedicesimo giorno prima delle calende di novembre, si abbandonava al cibo in modo smodato’, indicando che l’eruzione avvenne certamente dopo il 17 ottobre”, aggiunge Giaccio. La data più accreditata è, quindi, quella del 24-25 ottobre.

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La ricerca è stata poi integrata dalla valutazione quantitativa dell’impatto delle singole fasi dell’eruzione sulle aree e sui siti archeologici vicini al vulcano. “Lo spirito del nostro lavoro è stato quello di comprendere come un evento del passato possa rappresentare una finestra sul futuro, aprendo nuove prospettive per lo studio di eventi simili che potranno verificarsi un domani – prosegue Domenico Doronzo, vulcanologo dell’INGV e coautore della ricerca – Questo studio, quindi, consentirà di migliorare l’applicabilità di modelli previsionali, dai fenomeni precursori all’impatto dei vari processi eruttivi e deposizionali, ma potrà anche contribuire a ridurre la vulnerabilità delle aree e delle numerose infrastrutture esposte al rischio vulcanico, non solo in prossimità del vulcano, ma - come ci insegna questo evento - anche a distanza di centinaia di chilometri da esso”.

FIG 3 lahars“Negli ultimi anni è diventato sempre più importante comprendere l’impatto delle eruzioni sul clima anche per poter studiare l’origine e l’impatto di alcune variazioni climatiche brevi. Tuttavia, non conosciamo ancora molto - e con la risoluzione adeguata - delle condizioni climatiche al tempo dell’eruzione del 79 d.C.”, commenta Gianni Zanchetta dell’Università di Pisa e coautore della ricerca.

“In questo lavoro abbiamo cercato di mettere insieme le conoscenze sulle condizioni climatiche regionali al tempo dell’eruzione per tentare una prima sintesi, anche per indirizzare le ricerche future su questo aspetto che ha ancora molti lati oscuri”, aggiunge Monica Bini dell’Università di Pisa.

I risultati di questo studio hanno ricevuto l’apprezzamento di autentiche icone della vulcanologia mondiale come Raymond Cas, professore emerito presso la School of Earth Atmosphere and Environment della Monash University (Australia): “L'eruzione del Vesuvio del 79 d.C. è una delle più iconiche nel campo della vulcanologia fisica – dice il noto ricercatore australiano – Le osservazioni su questa eruzione, così come gli innumerevoli studi sui depositi e l'interpretazione dei processi eruttivi, sono alla base di molti dei concetti e della comprensione dei meccanismi delle eruzioni esplosive nella moderna vulcanologia. Una revisione di ciò che si sa sull'eruzione e sui suoi depositi è quindi molto importante per i vulcanologi e giustifica un documento completo e articolato, come questo articolo. Agli autori vanno fatte senz’altro le congratulazioni per i dettagli estremamente completi, estratti dall'enorme documentazione storica e dalla letteratura scientifica contemporanea su questa iconica eruzione”.

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