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Materiali sostenibili ricavati a partire da scarti agro-alimentari, da cui vengono estratte le molecole essenziali per la produzione di rivestimenti per substrati di carta-cartone e plastica, in particolare usando gli scarti di frutta, crostacei e legumi. Questo era l’obiettivo, raggiunto, del progetto europeo ECOFUNCO, coordinato dall'unità di ricerca del Dipartimento di Ingegneria Civile e Industriale dell’Università di Pisa (DICI) che fa parte del Consorzio Interuniversitario di Scienza e Tecnologia dei Materiali (INSTM). I 17 partners europei, sia di ricerca sia industriali, si riuniranno a Pisa il 17 e 18 giugno per la prima conferenza internazionale di Chimica Verde e imballaggi sostenibili, durante la quale verranno presentati i risultati del progetto.

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“Le ricadute sono evidenti - commenta Patrizia Cinelli, docente di Fondamenti chimici delle tecnologie al DICI e coordinatrice di ECOFUNCO - se pensiamo che quasi il 60% della plastica non riciclabile viene da imballaggi alimentari. Le difficoltà nel riciclo dei packaging per alimenti, dei contenitori e posate monouso e dei prodotti per la cura della persona derivano sia dall’uso di materiali non sostenibili sia dalla composizione, un multistrato di materiali diversi, molto difficili da separare quando vanno differenziati. ECOFUNCO ha messo a punto gli strumenti per una economia circolare nel campo dei monouso perché dà nuova vita agli scarti agro-alimentari, ora usati per produrre materiali sostenibili che possono sostituire le confezioni di plastica non biodegradabile, difficilmente riciclabili. Per esempio, dalla buccia del pomodoro e dal melone si estrae la cutina, le proteine da scarti dei legumi, e chitina e chitosano dall’esoscheletro dei crostacei”.

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 La sostituzione della plastica convenzionale con un materiale sostenibile e compostabile assume una grande importanza nel settore agroalimentare, dove il 70% della plastica adoperata non viene riciclata, ma è dispersa nel suolo e nel mare o bruciata nei termovalorizzatori, con danni immensi all’ambiente.

“Al Dipartimento di Ingegneria Civile e Industriale – prosegue Cinelli – abbiamo attivato diversi progetti per evitare un futuro in cui il nostro ambiente sarà sommerso dalla plastica, sia studiando tecniche di smaltimento e biodegradazione dei rifiuti plastici più efficienti ed efficaci, che consentano la riduzione della quantità di materiale disperso nell’ambiente, sia, come nel caso di ECOFUNCO, lavorando per la sostituzione degli imballaggi con confezioni biodegradabili con le medesime prestazioni”.

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Queste soluzioni sono ora possibili grazie alla ricerca. Dopo la conferenza “Green chemistry and sustainable coatings” (chimica verde e imballaggi sostenibili) si apre una nuova fase, il cui scopo, grazie alla collaborazione con partner industriali, sarà progettare la produzione su vasta scala del packaging alternativo.


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emanuele neriL’Innovation Radar, iniziativa lanciata dalla Commissione europea per individuare e valorizzare le innovazioni e gli innovatori ad alto potenziale, ha assegnato il titolo di “Key Innovators” all’Università di Pisa e alla Fundacion Para La Investigacion Del Hospital Universitario La Fe de la Comunidad Valenciana, in quanto partner del progetto di ricerca europeo PRIMAGE condotto al Dipartimento di Ricerca traslazionale e nuove tecnologie in medicina e chirurgia e all’ImagingLab diretto dal professor Emanuele Neri, ordinario di Radiologia dell’Ateneo pisano.

Con più di 16 partner europei, PRIMAGE è uno dei più ambiziosi progetti di ricerca nel campo dell’imaging e dell’intelligenza artificiale con focus sui tumori in età pediatrica. Il progetto è stato selezionato nell’ambito della tematica di innovazione “Computational tools for the processing and analysis of imaging data”.

Il progetto PRIMAGE propone una piattaforma open e cloud-based per supportare il processo decisionale nella gestione clinica di due rare neoplasie pediatriche, utilizzando nuovi biomarcatori di imaging. Il primo tumore è il neuroblastoma (NB), che è il più frequente tumore solido nell’età pediatrica, e il secondo è il glioma pontino intrinseco diffuso (DIPG), principale causa di morte per tumori cerebrali nei bambini.

Questo importante riconoscimento è stato aggiudicato da esperti indipendenti coinvolti nella revisione dei progetti nell'ambito di Horizon Europe, Horizon 2020, Programma LIFE, e altri, con l'obiettivo di rendere visibili e accessibili al pubblico le informazioni sulle innovazioni sostenute dalla Commissione Europea attraverso la piattaforma Innovation Radar della Commissione Europea. Maggiori informazioni a questo link.

Le emozioni nascono nel cuore, e non nel cervello, dicevano i poeti. Ora la ricerca scientifica conferma le fondamenta di questo topos letterario. Uno studio dei bioingegneri dell’Università di Pisa in collaborazione con l’Università di Padova e l'University of California Irvine e pubblicato sulla rivista “Proceedings of the National Academy of Science of the USA” analizza il meccanismo che ci porta a provare una specifica emozione a fronte di determinati stimoli e trova nel cuore la radice delle emozioni.

"Che il corpo giochi un ruolo fondamentale nel definire gli stati emotivi è ormai ampiamente riconosciuto dalla comunità scientifica – spiega Gaetano Valenza, docente di bioingegneria al Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell’Università di Pisa e ricercatore al Centro “E. Piaggio” – Tuttavia, se escludiamo alcune teorie proposte agli inizi del secolo scorso, fino ad ora l’attività cardiovascolare è stata vista come un semplice supporto metabolico a sostegno del cervello. E solo il cervello sarebbe la sede dei processi biologici responsabili dell’esperienza emotiva cosciente. Noi abbiamo invece evidenze del fatto che l’attività cardiovascolare gioca un ruolo causale nell'iniziare e nel sentire una specifica emozione, e precede temporalmente l’attivazione dei neuroni della corteccia cerebrale. In sostanza, per dirla parafrasando William James, che fu il padre, insieme a John Lange, della cosiddetta teoria periferica delle emozioni, non abbiamo la tachicardia perché abbiamo paura, ma la sensazione di paura è l’esperienza emotiva cosciente innescata dalla tachicardia”.

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Per dimostrare questa teoria sono stati utilizzati modelli matematici complessi applicati ai segnali elettrocardiografici ed elettroencefalografici in soggetti sani durante la visione di filmati con contenuto emotivo altamente spiacevole o piacevole. I ricercatori hanno così scoperto che nei primi secondi lo stimolo modifica l’attività cardiaca, che a sua volta induce e modula una specifica risposta della corteccia. Un continuo e bidirezionale scambio di informazioni tra cuore e cervello sottende quindi l’intera esperienza cosciente dell’emozione e, soprattutto, della sua intensità. “Ovviamente – prosegue Valenza – la complessità delle emozioni che proviamo deriva da uno scambio molto complesso tra il nostro sistema nervoso e i vari sistemi "periferici", ma è l’attività cardiaca, e non quella cerebrale, a dare il via all’esperienza emotiva.”

Per potere estrarre da una semplice analisi dell’ECG la valutazione di uno stato emotivo, i ricercatori hanno sviluppato delle equazioni matematiche in grado di "decodificare" continuamente la comunicazione cuore-cervello nei diversi stati emozionali. In pratica, data una certa dinamica cardiaca, in un futuro prossimo, potrebbe essere possibile comprendere quale emozione è stata provata dal soggetto sotto osservazione, per esempio utilizzando uno smartwatch.

“La scoperta può avere delle ricadute molto rilevanti sulla comprensione dei disturbi psichici e sulla loro relazione con la salute fisica – afferma Claudio Gentili, del Dipartimento di Psicologia Generale e Centro per i Servizi Clinici Psicologici dell’Università di Padova – e può spiegare perché soggetti con disturbi affettivi, come la depressione, sono associati ad una maggior probabilità di sviluppare patologie cardiache, o, viceversa, tra soggetti con problemi cardiaci quali patologie coronariche o aritmie si riscontra un incremento di ansia e depressione. Il nostro lavoro, oltre a riportare in auge la teoria della genesi periferica delle emozioni, conferma le più recenti posizioni neuroscientifiche che propongono di superare il dualismo tra il cervello inteso come organo esclusivo della mente e il corpo, suggerendo come noi non siamo (solo) il nostro cervello”.

Il microbiota intestinale – conosciuto da tutti come microflora intestinale – svolge un ruolo fondamentale nello sviluppo e nel mantenimento della funzione del sistema immunitario e nella regolazione del peso corporeo. Nuovi studi suggeriscono che il microbiota potrebbe essere coinvolto anche nella via di comunicazione tra centro e periferia chiamata asse intestino-cervello, modulando le funzioni cerebrali e infine il nostro comportamento.

Per esaminare in modo dettagliato la connessione tra microbiota e cervello, Paola Tognini, ricercatrice del Dipartimento di Ricerca traslazionale (Unità di Fisiologia) dell’Università di Pisa, in collaborazione con il professor Tommaso Pizzorusso della Scuola Normale Superiore, hanno studiato come segnali provenienti dai batteri intestinali possano influenzare la plasticità neuronale. Lo studio, dal titolo The gut microbiota of environmentally enriched mice regulates visual cortical plasticity, è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica internazionale Cell Reports ed è frutto di una collaborazione tra Università di Pisa, Scuola Normale Superiore, Istituto di Neuroscienze del CNR, Fondazione Stella Maris e Università di Milano.

“La plasticità cerebrale o neuronale è la capacità del nostro cervello di cambiare in risposta a stimoli provenienti dall’ambiente esterno e/o in risposta alle nostre esperienze. Il cervello è più plastico, e quindi tende a modificarsi durante l’età giovanile, mentre i suoi circuiti sono più stabili e quindi resistenti al modificarsi durante l’età adulta. Nel nostro studio abbiamo cercato di capire se segnali provenienti dal microbiota intestinale potessero riattivare la plasticità nel cervello adulto – spiegano Paola Tognini e Tommaso Pizzorusso – Per raggiungere questo obiettivo, abbiamo sfruttato il sistema visivo come modello, proprio perché gli animali adulti normalmente non mostrano plasticità in questa area del cervello”.

I ricercatori hanno allevato i topolini in un ambiente particolare caratterizzato da un incremento nelle esperienze sensoriali, sociali e che favorisce l’attività fisica. Questi topi, definiti “arricchiti”, avevano un microbiota differente da quello dei topi allevati nelle classiche gabbie da laboratorio e mostravano plasticità cerebrale, come accade negli animali giovani. Tuttavia, quando questi topi erano privati del loro microbiota, la riattivazione della plasticità neuronale era completamente annullata, suggerendo che segnali provenienti dall’intestino fossero responsabili dell’effetto. Infine, il trasferimento del microbiota intestinale tramite trapianto fecale da topi arricchiti plastici a topi standard, che non hanno un cervello plastico, causava un aumento di plasticità neuronale nei topi riceventi.

“Il nostro studio introduce un concetto nuovissimo, ossia quello dell'esistenza di una connessione “esperienza-microbiota intestinale-cervello”: le nostre esperienze non solo influenzano il cervello direttamente ma anche tramite segnali provenienti dal nostro intestino”. Allo studio hanno dato un fondamentale contributo anche i giovani dottorandi della Scuola Normale Superiore Leonardo Lupori e Sara Cornuti.

L’implicazione dei risultati raggiunti con questo studio è ampia e non limitata ai sistemi sensoriali e alla corteccia visiva. Infatti, la ricerca potrebbe aprire nuove frontiere per promuovere la plasticità neuronale in malattie del neurosviluppo o neurodegenerative, basandosi su strategie terapeutiche atte a modulare l’asse intestino-cervello.

Il microbiota intestinale – conosciuto da tutti come microflora intestinale – svolge un ruolo fondamentale nello sviluppo e nel mantenimento della funzione del sistema immunitario e nella regolazione del peso corporeo. Nuovi studi suggeriscono che il microbiota potrebbe essere coinvolto anche nella via di comunicazione tra centro e periferia chiamata asse intestino-cervello, modulando le funzioni cerebrali e infine il nostro comportamento.

Per esaminare in modo dettagliato la connessione tra microbiota e cervello, Paola Tognini, ricercatrice del Dipartimento di Ricerca traslazionale (Unità di Fisiologia) dell’Università di Pisa, in collaborazione con il professor Tommaso Pizzorusso della Scuola Normale Superiore, hanno studiato come segnali provenienti dai batteri intestinali possano influenzare la plasticità neuronale. Lo studio, dal titolo The gut microbiota of environmentally enriched mice regulates visual cortical plasticity, è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica internazionale Cell Reports ed è frutto di una collaborazione tra Università di Pisa, Scuola Normale Superiore, Istituto di Neuroscienze del CNR, Fondazione Stella Maris e Università di Milano.

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Da destra: Tommaso Pizzorusso, Paola Tognini, Leonardo Lupori e Sara Cornuti.


“La plasticità cerebrale o neuronale è la capacità del nostro cervello di cambiare in risposta a stimoli provenienti dall’ambiente esterno e/o in risposta alle nostre esperienze. Il cervello è più plastico, e quindi tende a modificarsi durante l’età giovanile, mentre i suoi circuiti sono più stabili e quindi resistenti al modificarsi durante l’età adulta. Nel nostro studio abbiamo cercato di capire se segnali provenienti dal microbiota intestinale potessero riattivare la plasticità nel cervello adulto – spiegano Paola Tognini e Tommaso Pizzorusso – Per raggiungere questo obiettivo, abbiamo sfruttato il sistema visivo come modello, proprio perché gli animali adulti normalmente non mostrano plasticità in questa area del cervello”.

I ricercatori hanno allevato i topolini in un ambiente particolare caratterizzato da un incremento nelle esperienze sensoriali, sociali e che favorisce l’attività fisica. Questi topi, definiti “arricchiti”, avevano un microbiota differente da quello dei topi allevati nelle classiche gabbie da laboratorio e mostravano plasticità cerebrale, come accade negli animali giovani. Tuttavia, quando questi topi erano privati del loro microbiota, la riattivazione della plasticità neuronale era completamente annullata, suggerendo che segnali provenienti dall’intestino fossero responsabili dell’effetto. Infine, il trasferimento del microbiota intestinale tramite trapianto fecale da topi arricchiti plastici a topi standard, che non hanno un cervello plastico, causava un aumento di plasticità neuronale nei topi riceventi.

“Il nostro studio introduce un concetto nuovissimo, ossia quello dell'esistenza di una connessione “esperienza-microbiota intestinale-cervello”: le nostre esperienze non solo influenzano il cervello direttamente ma anche tramite segnali provenienti dal nostro intestino”. Allo studio hanno dato un fondamentale contributo anche i giovani dottorandi della Scuola Normale Superiore Leonardo Lupori e Sara Cornuti.

L’implicazione dei risultati raggiunti con questo studio è ampia e non limitata ai sistemi sensoriali e alla corteccia visiva. Infatti, la ricerca potrebbe aprire nuove frontiere per promuovere la plasticità neuronale in malattie del neurosviluppo o neurodegenerative, basandosi su strategie terapeutiche atte a modulare l’asse intestino-cervello.

È stato finanziato all’Università di Pisa il primo progetto del programma Horizon Europe (HEU), il nuovo Programma Quadro Europeo per la Ricerca e l’Innovazione promosso dall’Unione europea per il periodo 2021-2027, succeduto a Horizon 2020. Il titolo del progetto è RESORB, coordinato dal professor Giuseppe Barillaro del Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione e finanziato nel quadro della call EIC Pathfinder Open per un totale di 2.7 milioni di euro, di cui 712.000 euro andranno all’Università di Pisa. Partecipano al progetto anche l’Institut Mines-Telecom (Francia), l’Università del Salento, l’University College London (Regno Unito) e l’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia.

Il progetto RESORB (“On-Demand Bioresorbable OptoElectronic System for In-Vivo and In-Situ Monitoring of Chemotherapeutic Drugs”) ha l’obiettivo di sviluppare – usando materiali bioriassorbibili – componenti elettronici, fotonici e (bio)sensori per la realizzazione di un sistema optoelettronico miniaturizzato e impiantabile, per la quantificazione di molecole target di interesse clinico/diagnostico in-vivo, in-situ e in tempo reale. Il sistema trasmette i dati della misura in maniera wireless e, su richiesta, può essere dissolto in prodotti biocompatibili attraverso l’invio di un opportuno segnale esterno. Come caso di studio, RESORB si concentrerà sulla quantificazione di un farmaco chemioterapico, la doxorubicina, con lo scopo di ottimizzarne il dosaggio durante il trattamento di pazienti con tumore, attraverso una misura diretta e continua - nel tempo - del quantitativo di farmaco nel sito di impianto.

Con un budget di 95,5 miliardi di euro, Horizon Europe è il più ambizioso programma di ricerca e innovazione europeo di sempre. Le principali novità del programma sono le cinque Missioni che mirano ad affrontare le grandi sfide in materia di salute, clima e ambiente; la revisione dei Partenariati europei; la costituzione del Consiglio Europeo per l’Innovazione (EIC); il potenziamento della cooperazione internazionale; il rafforzamento della politica della Open Science. Il progetto RESORBE è stato finanziato nell’ambito del Consiglio Europeo per l’Innovazione, programma di finanziamento con il quale l’Unione Europea mira a supportare le innovazioni game changing sostenendole lungo tutta la filiera: dai primi risultati della ricerca, al trasferimento tecnologico allo scale-up di start up e PMI.

È stato finanziato all’Università di Pisa il primo progetto del programma Horizon Europe (HEU), il nuovo Programma Quadro Europeo per la Ricerca e l’Innovazione promosso dall’Unione europea per il periodo 2021-2027, succeduto a Horizon 2020. Il titolo del progetto è RESORB, coordinato dal professor Giuseppe Barillaro del Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione e finanziato nel quadro della call EIC Pathfinder Open per un totale di 2.7 milioni di euro, di cui 712.000 euro andranno all’Università di Pisa. Partecipano al progetto anche l’Institut Mines-Telecom (Francia), l’Università del Salento, l’University College London (Regno Unito) e l’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia.

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Il progetto RESORB (“On-Demand Bioresorbable OptoElectronic System for In-Vivo and In-Situ Monitoring of Chemotherapeutic Drugs”) ha l’obiettivo di sviluppare – usando materiali bioriassorbibili – componenti elettronici, fotonici e (bio)sensori per la realizzazione di un sistema optoelettronico miniaturizzato e impiantabile, per la quantificazione di molecole target di interesse clinico/diagnostico in-vivo, in-situ e in tempo reale. Il sistema trasmette i dati della misura in maniera wireless e, su richiesta, può essere dissolto in prodotti biocompatibili attraverso l’invio di un opportuno segnale esterno. Come caso di studio, RESORB si concentrerà sulla quantificazione di un farmaco chemioterapico, la doxorubicina, con lo scopo di ottimizzarne il dosaggio durante il trattamento di pazienti con tumore, attraverso una misura diretta e continua - nel tempo - del quantitativo di farmaco nel sito di impianto.

Con un budget di 95,5 miliardi di euro, Horizon Europe è il più ambizioso programma di ricerca e innovazione europeo di sempre. Le principali novità del programma sono le cinque Missioni che mirano ad affrontare le grandi sfide in materia di salute, clima e ambiente; la revisione dei Partenariati europei; la costituzione del Consiglio Europeo per l’Innovazione (EIC); il potenziamento della cooperazione internazionale; il rafforzamento della politica della Open Science. Il progetto RESORBE è stato finanziato nell’ambito del Consiglio Europeo per l’Innovazione, programma di finanziamento con il quale l’Unione Europea mira a supportare le innovazioni game changing sostenendole lungo tutta la filiera: dai primi risultati della ricerca, al trasferimento tecnologico allo scale-up di start up e PMI.

C’è il basso bacino del fiume Serchio e in particolare il comprensorio del lago di Massaciuccoli al centro di un progetto di ricerca europeo che vede impegnata in prima linea l’Università di Pisa, insieme all’Autorità di Bacino Distrettuale dell’Appennino Settentrionale e altri 13 partner in Europa che studieranno a loro volta aree a rischio idrogeologico in Austria, Germania, Spagna e Norvegia. Il progetto si chiama PHUSICOS (in greco φυσικός), che significa “in accordo con la natura”, e ha l’obiettivo di definire, realizzare e collaudare soluzioni basate sulla natura (Nature Based Solutions - NBSs) che favoriscano il recupero ambientale del lago di Massaciuccoli, migliorando gli ecosistemi ad esso collegati, favorendo la biodiversità e la fruibilità delle aree naturali. Il coinvolgimento dell’Ateneo pisano vede la collaborazione del Dipartimento di Scienze agrarie, alimentari e agro-ambientali e del Dipartimento di Scienze della Terra.

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Il progetto, che è stato finanziato nell’ambito di Horizon 2020 con quasi dieci milioni di euro – di questi circa 1.5 milioni destinati a finanziare opere NBSs nel comprensorio del lago di Massaciuccoli – punta a dimostrare come le soluzioni basate sulla natura possano rappresentare misure robuste, sostenibili ed economiche per incrementare la resilienza del territorio, ridurre il rischio di eventi meteorologici estremi nei comprensori pede-montani e collinari. “La premessa di fondo di PHUSICOS è considerare la natura stessa una fonte di idee e soluzioni per mitigare il rischio rappresentato dai pericoli naturali causati dal clima – spiegano i professori Nicola SilvestriMonica Bini e Roberto Giannecchini – Il progetto cercherà di colmare il vuoto di conoscenze specifiche relative all’uso di NBSs per i rischi idro-meteorologici (inondazioni, erosione, frane, siccità) implementando soluzioni apposite in diversi siti di studio”.  

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Nella foto il professor Nicola SIlvestri.

Un esempio? L’utilizzo di tecniche agronomiche in grado di meglio contenere i rischi di erosione e di perdita dei nutrienti dai campi coltivati che costituiscono una delle cause del degrado del Lago di Massaciuccoli. Con il coinvolgimento di due diverse aziende agricole del comprensorio, sono già iniziati i primi sopralluoghi per mettere a punto due tipi di sistemi alternativi di coltivazione di terreni intorno al lago: il primo prevede il ricorso alle fasce tampone (buffer-strip), cioè a delle strisce vegetate larghe tre metri che circondano il campo su tre lati, lasciando libero solo il lato necessario per consentire l’accesso alle macchine. L’altro si ispira ai principi dell’agricoltura conservativa ed è caratterizzato da una sostanziale riduzione dell’intensità della lavorazione del terreno e dal ricorso alle cover-crops, cioè a coperture vegetali, inserite fra una coltura e la successiva a meri scopi agro-ecologici, senza alcuna finalità economica. “Le performances dei tre sistemi colturali saranno valutate sia in termini agronomici, economici e ambientali, così da poter fornire tutte le informazioni utili per un auspicabile trasferimento di queste tecniche dal piano dimostrativo a quello operativo”, aggiunge il professor Nicola Silvestri.

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Le attività del Dipartimento di Scienze della Terra, con il supporto e la collaborazione del dott. Nicola Del Seppia dell’Autorità di Bacino Distrettuale dell’Appennino Settentrionale, si concentreranno sulla ricostruzione dell’evoluzione paleo-ambientale del sito mediante realizzazione di carotaggi dei primi metri di terreno, con analisi stratigrafica, granulometrica e datazione di alcuni orizzonti ritenuti chiave per l’interpretazione dell’evoluzione del territorio. “Ci occuperemo della caratterizzazione climatica recente in relazione alla variabilità delle precipitazioni e delle temperature, anche nel contesto dei cambiamenti climatici, e della caratterizzazione idrogeologica e geochimica dei terreni e delle acque, nonché del monitoraggio idrometrico, qualitativo e di trasporto solido delle acque superficiali per la quantificazione dei processi erosivi”, spiegano ancora i professori Monica Bini e Roberto Giannecchini.

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I ricercatori coinvolti nel progetto sono il prof. Nicola Silvestri, il prof. Marco Mazzoncini, il dott. Nicola Grossi e il dott. Daniele De Nisco per il Dipartimento di Scienze agrarie, alimentari e agro-ambientali; la prof. Monica Bini, il prof. Roberto Giannecchini, il dott. Marco Luppichini e la dott. Francesca Pasquetti per il Dipartimento di Scienze della Terra.

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Robot che si muovono facilmente in ambienti naturali, in grado di camminare su superfici sabbiose e su sentieri scoscesi e rocciosi, con il compito di monitorare foreste, praterie, dune e montagne minacciate dal surriscaldamento globale e dall’inquinamento. Nei prossimi tre anni l’Università di Pisa coordinerà il progetto “Natural Intelligence for Robotic Monitoring of Habitats” (NI), finanziato dall’Unione Europea con un budget totale di tre milioni di euro (di cui uno destinato all’Ateneo pisano), il cui obiettivo è proprio quello di sviluppare sistemi robotici capaci di “uscire” dai laboratori e muoversi in habitat naturali. Responsabile del progetto è Manolo Garabini, ricercatore del Centro di Ricerca “E. Piaggio” e del Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione, che guiderà un consorzio di partner internazionali. Con lui collaborano all’Università di Pisa Franco Angelini e Riccardo Mengacci, rispettivamente post doc e dottorando in Robotics.  

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“Il progetto NI mira a sviluppare nuovi sistemi in grado di sfruttare un corpo basato su tecnologie soft robotiche in grado di adattarsi ad ambienti non strutturati – spiega Garabini - A questi corpi speciali, verranno affiancati dei nuovi algoritmi che costituiranno la mente dei robot. L’obiettivo di questi algoritmi sarà molteplice: da un lato faciliteranno la locomozione, rendendola energeticamente più efficiente, più robusta a disturbi e a terreni irregolari e permettendo anche movimenti più ardui, quali salti dinamici o camminare su sentieri ripidi; dall’altro lato, questi nuovi algoritmi renderanno i robot in grado di svolgere in modo (parzialmente) autonomo la missione preposta, ovvero permettendo di muoversi liberamente nell’ambiente, di rimediare a eventuali cadute, e anche di identificare e catalogare le varie specie tipiche degli ambienti naturali sotto analisi”.

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Nella foto il team di ricerca dell'Università di Pisa: da sinistra Manolo Garabini (coordinatore del progetto), Franco Angelini e Riccardo Mengacci.

Nell’ambito del progetto saranno anche redatte delle linee guida per il monitoraggio ambientale mediante l’utilizzo di sistemi robotici, con lo scopo ultimo di includere queste teologie nei Manuali per il monitoraggio di specie e habitat di interesse comunitario in Italia (Direttiva 92/43/CEE). “Le nuove tecnologie sviluppate da NI permetteranno di facilitare e rafforzare la salvaguardia ambientale, rendendo l’Unione Europea leader mondiale nel settore – conclude Garabini – In aggiunta a ciò, le nuove tecnologie potranno essere applicate anche in altri settori, come quello agroalimentare o quello di ispezione e manutenzione”.

I partner del progetto coordinato dall’Università di Pisa sono: Imperial College (UK), Politecnico di Zurigo (CH), Università di Kingston (UK), Università di Delft (NL), Consiglio Superiore per la Ricerca Scientifca (E), Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, Qbrobotics Srl. Come terze parti che forniranno le competenze in ambito botanico per il monitoraggio ambientale sono coinvolte anche le Università di Siena, Sassari, Perugia e Milano.

La nostra conoscenza delle scuole filosofiche greche è in gran parte basata sulle “Vite dei filosofi” di Diogene Laerzio (III secolo d.C.). Tra le fonti a cui quest’opera attinge figura la monumentale “Rassegna dei filosofi” del filosofo epicureo Filodemo di Gadara (110-post 40 a.C.), scritta alla fine dell’età ellenistica tra il 75 e il 50 a.C. Da questo trattato, trasmesso dai papiri carbonizzati di Ercolano, è possibile ricavare un resoconto sistematico della storia delle scuole filosofiche greche storicamente più attendibile e cronologicamente più vicino alle figure e ai fatti narrati. I manoscritti originali, sopravvissuti grazie all’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. e conservati a Napoli presso l’Officina dei Papiri Ercolanesi della Biblioteca Nazionale ‘Vittorio Emanuele III’, sono di difficile lettura e le edizioni attualmente disponibili delle opere in essi contenute sono ampiamente superate.

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Basandosi sui progressi più recenti della ricerca, il nuovo progetto GreekSchools dello European Research Council coordinato da Graziano Ranocchia (nella foto in basso), docente del Dipartimento di Filologia Letteratura e Linguistica dell’Università di Pisa, in cooperazione con il CNR-ISPC, il CNR-ILC e il MiBACT-Biblioteca Nazionale di Napoli, si prefigge di testare le più avanzate tecnologie oggi a disposizione per la decifrazione di questi preziosi manoscritti.

ranocchiaIn particolare, personale del CNR-ISPC e della Biblioteca Nazionale, facendo uso di laboratori mobili della piattaforma MOLAB appartenente all’infrastruttura di ricerca europea E-RIHS, applicherà tecniche non invasive a papiri opistografi e stratificati al fine di leggere il testo inaccessibile sul verso o nascosto all’interno di strati multipli.

Combinando queste tecniche d’indagine con i metodi propri della filologia e della papirologia i docenti e i ricercatori del Dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica dell’Università di Pisa produrranno un testo critico affidabile e accresciuto della “Rassegna dei filosofi” di Filodemo attraverso un nuovo sistema editoriale.

Infine, personale del CNR-ILC svilupperà un ambiente innovativo orientato alla filologia computazionale, web-based, open access, open source e supportato da tecniche avanzate di analisi automatica del testo, finalizzato alla produzione collaborativa e conservazione a lungo termine, l’indicizzazione multidimensionale, la pubblicazione digitale e la fruizione intelligente dell’edizione.

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Il progetto, della durata di cinque anni e del valore di quasi 2.500.000 euro, si svolgerà prevalentemente a Napoli presso l’Officina dei Papiri della Biblioteca Nazionale e sarà ospitato nella sede partenopea del CNR-ISPC nei locali messi a disposizione dall’Università Suor Orsola Benincasa. Le discipline coinvolte saranno la papirologia e la paleografia, la filologia classica e la storia della filosofia antica, la fisica e la chimica, la linguistica computazionale e il settore trasversale delle digital humanities. Dalla nuova edizione si attendono importanti ricadute in vari ambiti delle scienze dell’antichità e dello studio del patrimonio culturale.

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Copyright immagini: Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo (Biblioteca Nazionale 'Vittorio Emanuele III', Napoli – Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale).

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