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Martedì, 20 Marzo 2018 11:23

Supports in Roman Marble Sculpture

copertina libro"Supports in Roman Marble Sculpture. Workshop Practice and Modes of Viewing" (Cambridge University Press 2018) è il titolo dell'ultimo libro di Anna Anguissola, ricercatrice in Archeologia Classica presso il dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere dell'Ateneo.

Fra gli altri suoi lavori "Difficillima Imitatio. Immagine e lessico delle copie tra Grecia e Roma" (L'Erma di Bretschneider 2012) e "Intimità a Pompei. Riservatezza, condivisione e prestigio negli ambienti ad alcova di Pompei" (De Gruyter 2010).

Pubblichiamo di seguito una introduzione al volume, buona lettura!

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‘Inartistic’, ‘obtrusive’, ‘disfiguring’, ‘unseemly’, ‘unsightly’, ‘visually disturbing’ e ‘distracting’ sono solo alcuni dei commenti che gli studiosi di lingua inglese hanno riservato ai supporti della scultura romana in marmo – giudizi che trovano pieno riscontro nell’ostilità tedesca verso elementi ‘unorganisch’, ‘störend’, ‘überflüssig’, ‘hässlich’ e ‘leblos’ e nell’avversione italiana per gli ‘orribili puntelli’. In effetti, in nessun altro periodo nella storia della scultura occidentale è altrettanto frequente la presenza di supporti e puntelli, di dimensioni talora esorbitanti rispetto alla figura che (apparentemente) sostengono e in forme non di rado sorprendentemente elaborate.

Proprio ai puntelli e ai problemi iconografici ed esegetici che sollevano è dedicato questo volume, le cui pagine ripercorrono la lunga storia della scultura in marmo dall’età greca arcaica alla tarda antichità. Da sempre ai margini degli studi sull’arte antica, il tema è stato finora trattato essenzialmente in una duplice prospettiva. Da un lato, nei puntelli si sono visti strumenti utili a tradurre, in pesante pietra, composizioni ideate in bronzo. I supporti, cioè, sarebbero caratteristici delle copie romane in marmo da antichi e celebri originali greci in bronzo. D’altro canto, si è suggerito che i puntelli fungessero, essenzialmente, come precauzioni per il trasporto. La presenza di sostegni, dunque, rivelerebbe la provenienza di una certa statua da un luogo assai lontano rispetto al contesto di esposizione.

Entrambe queste letture sono qui per la prima volta esplorate in maniera sistematica, nel quadro di un’approfondita analisi delle tecnologie della produzione statuaria nel Mediterraneo romano, oltre che dei modi e contesti di esibizione e lettura dell’arte.

In quale misura l’analisi di elementi estranei alla dimensione narrativa dell’opera può guidarci alla scoperta di fenomeni relativi al gusto e alle convenzioni visive di quanti producevano, acquistavano e osservavano la scultura nel mondo antico?

Lunedì, 19 Marzo 2018 13:05

Figure di donne

“Figure di donne” è il titolo dell’incontro con lo scrittore francese Didier Decoin che svolge martedì 20 marzo alle 14,15 nell’aula magna di Palazzo Matteucci dell’Università di Pisa (Piazza Torricelli, 2).
Insieme allo scrittore, interverranno Anne Marie Jaton, Charles Barone, Antonietta Sanna e Rolando Ferri. Didier Decoin incontrerà anche un gruppo di studenti impegnati nella traduzione della sua opera e in collaborazione con la Libreria Ghibellina sarà organizzata un’esposizione dei libri dell’autore in edizione italiana.
Didier Decoin è scrittore, giornalista, sceneggiatore cinematografico e televisivo. Nel 1977 ha ricevuto il prestigioso prix Goncourt. Ha collaborato con registi del calibro di Marcel Carné, ha ottenuto il premio speciale della giuria al Festival di Cannes per la sceneggiatura del film Hors-la-vie (La vita sospesa) del regista libanese Maroun Bagdadi. Fra i suoi romanzi sono stati pubblicati in italiano: Il magistero dei giardini e degli stagni (Ponte alla Grazie) e Un’inglese in bicicletta (Clichy).

 

Lunedì, 19 Marzo 2018 10:01

Dimmi come giochi e ti dirò chi sei

Dimmi come giochi e ti dirò chi sei e, soprattutto, come stai con gli altri. Il gioco è infatti una cartina di tornasole fondamentale per comprendere la qualità delle relazioni che legano gli individui fra loro. A svelare i risvolti sociali dei comportamenti ludici arriva una nuova ricerca di un team di etologi delle Università di Pisa e Torino appena pubblicata sulla rivista PlosOne.

Giada Cordoni, Ivan Norscia, Maria Bobbio ed Elisabetta Palagi hanno studiato come giocano scimpanzé e gorilla, due specie che condividono con noi il 98-99% del DNA e che rappresentano un ottimo modello per capire qualcosa di più anche sull’evoluzione del nostro comportamento. La fase sperimentale del lavoro si è svolta in Francia, nello ZooParc de Beauval a St. Aignan sur Cher, dove i ricercatori per tre mesi hanno osservato le colonie di 15 scimpanzé e 11 gorilla e stilando dei report giornalieri.

 

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Da sinistra Giada Cordoni, Ivan Norscia, ed Elisabetta Palagi


“Abbiamo messo in relazione il gioco con la propensione a costruire rapporti attraverso comportamenti di affiliazione e supporto – racconta Elisabetta Palagi del Museo di Storia Naturale dell’Università di Pisa - quello che è emerso è che gorilla e scimpanzé sono profondamente diversi per l’organizzazione sociale e il modo di creare amicizie e alleanze”.

Da un lato c’è quindi la società degli scimpanzé, unita e coesa, dove i soggetti hanno molti contatti affiliativi come ad esempio la pulizia reciproca (il cosiddetto “grooming”). Questo si rispecchia in sessioni di gioco allargate che coinvolgono molti membri del gruppo, giovani e adulti, e sebbene ci possano essere momenti concitati il gioco raramente sfocia in situazioni di vero scontro. La società dei gorilla invece è organizzata ad harem: le femmine stanno semplicemente vicine al maschio, ma senza mostrare particolari interazioni sociali. In questo caso a giocare sono soltanto i giovani gorilla mentre gli adulti non lo fanno praticamente mai. Nonostante poi le sessioni ludiche nei gorilla siano molto caute ed equilibrate, è molto più probabile che il gioco di lotta si trasformi in un vero e proprio conflitto aperto.


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 Una sequenza di gioco fra gorilla


“Il gioco è un comportamento attraverso cui si costruiscono legami sociali che possono durare nel tempo non saper giocare di fatto ostacola la formazione di relazioni positive e la capacità di mantenerle – conclude Elisabetta Palagi – Nell’uomo, unendo l’approccio etologico-naturalistico a quello psicologico, sarebbe interessante capire se chi è più competente nel gioco da bambino o ha semplicemente avuto più opportunità di giocare è anche un adulto socialmente più competente ed integrato”.




 

Lunedì, 19 Marzo 2018 09:58

Dimmi come giochi e ti dirò chi sei

Dimmi come giochi e ti dirò chi sei e, soprattutto, come stai con gli altri. Il gioco è infatti una cartina di tornasole fondamentale per comprendere la qualità delle relazioni che legano gli individui fra loro. A svelare i risvolti sociali dei comportamenti ludici arriva una nuova ricerca di un team di etologi delle Università di Pisa e Torino appena pubblicata sulla rivista PlosOne. Giada Cordoni, Ivan Norscia, Maria Bobbio ed Elisabetta Palagi hanno studiato come giocano scimpanzé e gorilla, due specie che condividono con noi il 98-99% del DNA e che rappresentano un ottimo modello per capire qualcosa di più anche sull’evoluzione del nostro comportamento. La fase sperimentale del lavoro si è svolta in Francia, nello ZooParc de Beauval a St. Aignan sur Cher, dove i ricercatori per tre mesi hanno osservato le colonie di 15 scimpanzé e 11 gorilla e stilando dei report giornalieri.
“Abbiamo messo in relazione il gioco con la propensione a costruire rapporti attraverso comportamenti di affiliazione e supporto – racconta Elisabetta Palagi del Museo di Storia Naturale dell’Università di Pisa - quello che è emerso è che gorilla e scimpanzé sono profondamente diversi per l’organizzazione sociale e il modo di creare amicizie e alleanze”.
Da un lato c’è quindi la società degli scimpanzé, unita e coesa, dove i soggetti hanno molti contatti affiliativi come ad esempio la pulizia reciproca (il cosiddetto “grooming”). Questo si rispecchia in sessioni di gioco allargate che coinvolgono molti membri del gruppo, giovani e adulti, e sebbene ci possano essere momenti concitati il gioco raramente sfocia in situazioni di vero scontro. La società dei gorilla invece è organizzata ad harem: le femmine stanno semplicemente vicine al maschio, ma senza mostrare particolari interazioni sociali. In questo caso a giocare sono soltanto i giovani gorilla mentre gli adulti non lo fanno praticamente mai. Nonostante poi le sessioni ludiche nei gorilla siano molto caute ed equilibrate, è molto più probabile che il gioco di lotta si trasformi in un vero e proprio conflitto aperto.
“Il gioco è un comportamento attraverso cui si costruiscono legami sociali che possono durare nel tempo non saper giocare di fatto ostacola la formazione di relazioni positive e la capacità di mantenerle – conclude Elisabetta Palagi – Nell’uomo, unendo l’approccio etologico-naturalistico a quello psicologico, sarebbe interessante capire se chi è più competente nel gioco da bambino o ha semplicemente avuto più opportunità di giocare è anche un adulto socialmente più competente ed integrato”.

 

Lunedì 19 marzo, alle ore 11, nell'Aula Magna di Palazzo Boilleau, in via Santa Maria 85, Katja Petrowskaja, autrice di "Forse Esther", sarà protagonista di un incontro organizzato dal dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica dell'Università di Pisa, in collaborazione con il Centro Interdipartimentale di Studi Ebraici "Michele Luzzati". La scrittrice sarà presentata da Fabrizio Cambi. È prevista mediazione linguistica. L’incontro, organizzato come una conversazione a più voci, è aperto al pubblico.
Katja Petrowskaja, nata a Kiev da genitori ebrei, immigrata non ancora trentenne a Berlino, nel 2013 ha vinto il prestigioso Premio Bachmann, e nel 2015 il premio Strega Europeo. La scrittrice dialogherà con il pubblico a partire dal suo romanzo “Forse Esther” (Adelphi), ripercorrendo l’infanzia sovietica trascorsa ignara di qualsiasi appartenenza religiosa, fino al ritrovamento di un disco polacco di vecchi canti Yiddish, alla scoperta delle sue origini, alla ricerca di volti e personaggi mai incontrati, ma legati indissolubilmente alla sua storia.
L’iniziativa promossa dall’Università di Pisa fa parte di un ciclo nazionale di incontri (Firenze, Pisa e Milano), nati dal progetto nazionale promosso da RE.T.E. (Rete Toscana Ebraica) e dedicati alla conoscenza dell'ebraismo moderno e contemporaneo e a temi di rilievo (letteratura, memoria, storia, razzismo, antisemitismo, migrazione), in dialogo con la città e le istituzioni del territorio. Il progetto è realizzato con il patrocinio di Regione Toscana, Comune di Firenze, Comune di Pisa, e in collaborazione con Università degli Studi di Milano, Università di Pisa, CISE – Centro Interdipartimentale di Studi Ebraici “Michele Luzzati”, ACIT Pisa in collaborazione con Goethe Institut Italien.

Si è conclusa con la cerimonia di consegna dei diplomi ai 24 allievi la prima edizione del master universitario in CyberSecurity, che aveva preso il via nel febbraio 2017 grazie alla collaborazione tra il dipartimento di Ingegneria dell’informazione dell’Università di Pisa e l’Istituto di informatica e Telematica del Cnr (Iit-Cnr) di Pisa. Alla presenza dei direttori dei due istituti e di diverse aziende che hanno investito nell’iniziativa, è stato anche dato il via ufficiale alla seconda edizione. Scopo del master è formare i nuovi “guardiani del web”, fornendo le competenze per riconoscere e intervenire in modo efficace contro le minacce informatiche che possono interessare privati cittadini, imprese e le istituzioni.
“Questo corso orientato nello specifico alla CyberSecurity – commenta Gianluca Dini, docente al dipartimento di Ingegneria dell’informazione e direttore del master – è il primo in Toscana, e risponde all’esigenza sempre più pressante, da parte di aziende e istituzioni, di avere figure professionali in grado di operare nel campo della sicurezza informatica, dove si stimano, a livello globale, 1,5 milioni di posti di lavoro vacanti. Proprio questa richiesta ha portato la prima e soprattutto la seconda edizione del master, appena partita, ad avere un numero di domande di ammissione molto superiore ai posti disponibili, con candidati provenienti da tutta Italia”.
Domenico Laforenza, direttore dello Iit-Cnr, dichiara: “La cybersecurity era un argomento fantascientifico fino a pochi anni fa, mentre oggi è uno degli asset strategici in ogni organizzazione su cui si concentrano investimenti in infrastrutture tecnologiche, sviluppo di competenze, definizione di profili professionali. È un settore in continua evoluzione destinato a crescere enormemente e sinergicamente anche con le prospettive di Industria 4.0. Pisa passa da essere culla dell’informatica, a protagonista del presente e del futuro delle applicazioni internet più evolute e dagli orizzonti più futuribili; il tutto non perdendo mai di vista le necessità occupazionali che esigono una formazione multidisciplinare come quella realizzata nel master appena conclusosi e che va a colmare un gap di preparazione per il “nuovo” mondo del lavoro”.
"Il tema della CyberScurity - aggiunge Giuseppe Anastasi, direttore del dipartimento di Ingegneria dell’informazione - è una delle chiavi nella nuova rivoluzione industriale, e aziende e amministrazioni sono pronte a investire in questo settore, come dimostra la nascita, lo scorso 27 febbraio, del centro regionale per la CyberSecurity, con sede proprio a Pisa. Il Centro, frutto della collaborazione tra Regione Toscana, le Università di Pisa, Firenze e Siena, il Cnr e l’IMT di Lucca, avrà il compito di proteggere dagli attacchi i sistemi informatici di Comuni, Asl, centri dell'amministrazione pubblica, ma anche le piccole e medie imprese della Toscana. Un passaggio importante nella strategia di concretizzazione del piano Industria 4.0.”.
"Oltre alle istituzioni - conclude Dini - anche le aziende, sia piccole che grandi, sono consce che uno dei nodi fondamentali per l’innovazione è la sicurezza informatica. Il master ha visto la sponsorizzazione di diverse imprese, che erano presenti alla cerimonia. Nell’immediato futuro i diplomati del master potrebbero diventare figure professionali chiave in moltissime realtà, sia pubbliche che private”.

È scomparso all’età di 80 anni il professor Andrea Maggiolo Schettini, a lungo docente di Informatica all’Università di Pisa. Nato a Genova nel 1938, ha insegnato nell’Ateneo pisano dal 1979 ed è stato direttore del dipartimento di Informatica dal 1983 al 1986. Dal 1996 al 2006 è stato presidente del dottorato in Informatica e dal 2002 al 2005 è stato direttore della Scuola di dottorato in Scienze di base "Galileo Galilei". Nel 2001 è stato insignito dell'Ordine del Cherubino.

Qui di seguito pubblichiamo un intervento del professor Giorgio Levi in cui ricorda la figura umana e professionale di Andrea Maggiolo Schettini, a lungo suo collega al dipartimento di Informatica.

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Andrea Maggiolo Schettini, ordinario di Informatica a Pisa per molti anni e professore emerito dell’Ateneo, era prima di tutto una persona squisita, intelligente, colta, generosa e piena di curiosità. Si è sempre interessato di Storia dell’Arte, di Archeologia di Storia Medioevale, fino ad iscriversi all’Università in età avanzata, sostenendo anche molti esami. Genovese di nascita, formatosi inizialmente a Napoli e a Salerno, si è trasferito a Pisa dopo aver vinto un concorso da Ordinario.

Per tutta la vita, ha portato avanti una linea di ricerca rigorosa, a partire dai suoi primi contributi importanti sui linguaggi formali e proseguendo con modelli di calcolo come gli statecharts e, nell’ultimo periodo, con modelli orientati alla biologia. Andrea è stato per molti anni un ottimo Direttore della Scuola di Dottorato in Informatica.

Ma è stato soprattutto un grandissimo maestro, che ha saputo allevare varie generazioni di brillanti ricercatori, mantenendo relazioni di vera amicizia con tutti, anche quando si sono spostati in altri Atenei. Andrea non lascia parenti, ma alcuni amici di una vita e tanti figli “scientifici” che lo adorano e gli sono stati vicini anche negli ultimi tristi anni, rovinati da una grave malattia.
Giorgio Levi

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Nella foto: il professor Andrea Maggiolo Schettini con l'ex rettore Massimo Augello alla cerimonia di conferimento del titolo di emerito.

Sono stati annunciati in Regione Toscana i vincitori della XVIII edizione del Premio Touring ai "Centri di innovazione per l’agricoltura sostenibile” e tra loro c’è il Centro di Ricerche Agro-Ambientali "E. Avanzi” dell’Università di Pisa, selezionato tra le dieci realtà che in Toscana operano in maniera innovativa per lo sviluppo sostenibile del mondo agricolo. I destinatari del premio sono stati presentati nel corso di una conferenza stampa a Firenze, a cui hanno partecipato la vicepresidente del Touring Club Italiano Claudia Sorlini, il console regionale del Touring Gianluca Chelucci e i dirigenti del settore agricoltura della Regione Toscana. La consegna del premio, che sarà ritirato dal direttore del Centro Avanzi Marcello Mele, è prevista a Pisa l’11 maggio prossimo.

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Il Premio Touring è un riconoscimento assegnato annualmente a realtà artistiche, ambientali, produttive, culturali e sociali tipiche della terra di Toscana, che ben ne traducano e rappresentino nel mondo l'immagine di pregio. L’edizione 2017 è dedicata all’innovazione per lo sviluppo agricolo sostenibile: un riconoscimento che vuole premiare la missione e l’impegno dei Centri di ricerca (CReA), degli Istituti scolastici e delle Aziende agricole sperimentali operanti nella Regione. Il premio è organizzato in collaborazione con Assessorato Agricoltura, Politiche per la Montagna e Politiche per il Mare della Regione Toscana.

Nelle motivazioni, si legge che il premio è assegnato “ai centri di ricerca, agli istituti di formazione e alle imprese della Toscana che operano a fianco delle istituzioni per lo sviluppo sostenibile del mondo agricolo promuovendo la cultura dell’innovazione, l’utilizzo di nuove tecnologie e la valorizzazione delle eccellenze produttive nella consapevolezza che innovare vuol dire utilizzare con maggior parsimonia e meglio le risorse disponibili per un miglioramento complessivo delle condizioni economiche, ambientali e sociali.

Per questa edizione del premio sono state identificate dieci realtà, una per ogni provincia: il Centro di ricerca Viticoltura ed Enologia di Arezzo, il Centro Agricoltura e Ambiente e Centro Difesa e Certificazione di Firenze, la Tenuta di Alberese (Grosseto), l'Istituto Tecnico Agrario "C. Cattaneo" di Cecina (Livorno), l'Istituto Tecnico Agrario "N.B. Busdraghi" (Lucca), l'Istituto d'Istruzione Superiore "A. Pacinotti" di Bagnone (Massa Carrara), il Centro di Ricerche Agro-Ambientali "E. Avanzi" di Pisa, l'Istituto Tecnico Agrario "D. Anzillotti" di Pescia (Pistoia), il Polo Universitario "Città di Prato" e l'Istituto Tecnico Agrario "B. Ricasoli" di Siena

Centro di Ricerche Agro-Ambientali "Enrico Avanzi"
Il Centro di Ricerche Agro-Ambientali "Enrico Avanzi" (CiRAA) è uno dei più grandi centri di ricerca per lo studio dei sistemi agricoli sostenibili, si trova all'interno del Parco Naturale di "Migliarino - San Rossore - Massaciuccoli" e della riserva della biosfera "Selva Pisana", accanto alla basilica di San Piero a Grado.

La sua storia comincia nel 1963, quando l'ex tenuta di Tombolo fu concessa all’Università di Pisa per sviluppare ricerca e didattica nei settori delle scienze agrarie e veterinarie. Il Centro è intitolato al professor Enrico Avanzi, studioso, agronomo e docente dell’Università di Pisa, della quale è stato rettore dal 1947 al 1959.

La missione del CiRAA è quella di promuovere l'innovazione socialmente responsabile in campo agro-zootecnico e ambientale. Con questo intento, il CiRAA opera nel campo della ricerca, della formazione, dell'educazione ambientale e alimentare e dei servizi, valorizzando la multifunzionalità dell'agricoltura. In quasi cinquanta anni di vita il CiRAA ha seguito un modus operandi basato su ricerca, sperimentazione e trasferimento dell’innovazione, indispensabile per identificare modelli di sviluppo sostenibile del territorio e del suo tessuto sociale. Il rapporto tra società moderna e agricoltura è sostanzialmente cambiato, l’agricoltura non produce solo alimenti, ma svolge anche altri ruoli altrettanto importanti: produzioni non alimentari e energia rinnovabile (biomassa); conservazione del paesaggio; mantenimento della biodiversità; conservazione della fertilità del suolo; riduzione dell’inquinamento ambientale; conservazione della cultura contadina; ospitalità rurale.

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