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barillaro.jpegUna tecnologia innovativa per produrre condensatori robusti, flessibili e a basso costo, capaci di accumulare energia in pochi nanometri e posizionabili su ogni tipo di substrato, anche flessibile. Lo studio del team del Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell’Università di Pisa coordinato da Giuseppe Barillaro (foto) è stato condotto in collaborazione con il Surflay Nanitec GmbH di Berlino e il Dipartimento di Fisica dell’Università di Pisa, ed è stato pubblicato su Advanced Materials, la rivista più prestigiosa nel settore della scienza dei materiali.

“Un condensatore - spiega Giuseppe Barillaro - è in grado di immagazzinare energia in un materiale isolante posto tra due conduttori metallici. La sua capacità aumenta al diminuire dello spessore del materiale isolante.
Il metodo che abbiamo sviluppato ci consente di controllare l’assemblaggio dei condensatori chiamati elettrolitici, cioè quelli che tipicamente usano come materiale isolante un liquido o un gel con un'elevata concentrazione di ioni (detto elettrolita). I condensatori elettrolitici prodotti con il nostro metodo hanno spessore ridotto di almeno cinquanta volte rispetto ai condensatori attuali, mentre una frequenza di funzionamento di almeno cinquanta volte superiore. A differenza degli attuali condensatori elettrolitici, che funzionano per applicazioni a bassa frequenza, come le reti elettriche, i nano-condensatori dell’Università di Pisa possono essere usati per applicazioni a media ed alta frequenza, come per esempio le comunicazioni wireless".

Il processo di produzione individuato dai ricercatori è molto semplice: un substrato metallico sul quale è stata indotta una carica superficiale viene immerso in un liquido contenente un polielettrolita di spessore nanometrico con carica opposta, che quindi si deposita sul metallo. Il substrato può essere poi immerso di nuovo in un altro liquido contenente un polielettrolita con carica opposta alla prima, per formare un altro strato. Il processo è semplicissimo e può essere automatizzato con una macchina che immerge alternativamente il metallo nei due liquidi, il che lo rende anche estremamente economico.

“Il condensatore - conclude Barillaro - è realizzabile su qualunque tipo di substrato, anche su materiali curvi e flessibili, e su aree molto vaste, aprendo la strada a diverse possibili applicazioni in campo di sistemi wearable, automotive, e energy storage. Per esempio, la flessibilità intrinseca dei polielettroliti permetterebbe di usarli all’interno di una pelle elettronica – electronic skin -, come sensori di pressione e/o per immagazzinare energia, ma le potenzialità sono infinite, e in settori che nella nuova rivoluzione industriale del 5.0 assumeranno una rilevanza sempre più marcata.

Il lavoro su materiali innovativi per immagazzinare energia infatti è una delle ricerche condotte nel laboratorio FoReLab del Dipartimento, dedicato allo sviluppo delle tecnologie per industria e società 5.0.




Romano Prodi è l’ultimo ospite della rassegna “Sguardi nel futuro” organizzata dall’Università di Pisa. L’appuntamento è martedì 19 marzo alle 16 al Polo Carmignani dell’Università di Pisa (Piazza dei Cavalieri). L’economista e politico, già Presidente della Commissione Europea e Presidente del Consiglio dei Ministri, incontrerà studentesse e studenti dell’Ateneo e delle ultime classi delle scuole superiori per parlare di crisi mondiale e crisi europea. Lo scenario che tratteggerà Prodi va dal 1945 ad oggi, un periodo in cui nonostante molti conflitti locali, gran parte del mondo ha avuto 75 anni di pace. Ma il futuro appare meno rassicurante come raccontano le notizie che arrivano da Ucraina, Palestina, Taiwan. Tramontati i poli Est e Ovest, il pianeta è diventato infatti multipolare: Occidente, Russia, Cina, India, Sud America, paesi arabi e l’Africa in pieno boom demografico. Una delle questioni centrali è quindi di capire il ruolo che avrà l’Unione Europea, se riuscirà per esempio a darsi una politica estera con un peso pari alla sua importanza economica.

L’evento sarà trasmesso in streaming, per la partecipazione in presenza di studentesse e studenti Unipi è richiesta la registrazione.

“Sguardi nel futuro” è una iniziativa a cura del professore Dario Pisignano, del Centro per l’Innovazione e la Diffusione della Cultura (CIDIC) dell’Università di Pisa, e del divulgatore e giornalista Piero Bianucci.

Questo primo ciclo iniziato a ottobre 2023 ha ospitato personalità come Umberto Agrimi dell’Istituto Superiore di Sanità, l’ex magistrato Gherardo Colombo, Nicola Armaroli del CNR-ISOF, la senatrice a vita Elena Cattaneo, Roberto Battiston, già Presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana, Fosca Giannotti, professoressa di Informatica alla Scuola Normale Superiore, e Gianfausto Ferrari, presidente Digital Universitas, fondatore di Talent Garden e Superpartes Innovation Campus, e la presidente del CNR Maria Chiara Carrozza Ad oggi sono circa 1000 le studentesse e gli studenti che hanno partecipato ai vari eventi del ciclo.

Romano_Prodi.JPGRomano Prodi è l’ultimo ospite della rassegna “Sguardi nel futuro” organizzata dall’Università di Pisa. L’appuntamento è martedì 19 marzo alle 16 al Polo Carmignani dell’Università di Pisa (Piazza dei Cavalieri). L’economista e politico, già Presidente della Commissione Europea e Presidente del Consiglio dei Ministri, incontrerà studentesse e studenti dell’Ateneo e delle ultime classi delle scuole superiori per parlare di crisi mondiale e crisi europea. Lo scenario che tratteggerà Prodi va dal 1945 ad oggi, un periodo in cui nonostante molti conflitti locali, gran parte del mondo ha avuto 75 anni di pace. Ma il futuro appare meno rassicurante come raccontano le notizie che arrivano da Ucraina, Palestina, Taiwan. Tramontati i poli Est e Ovest, il pianeta è diventato infatti multipolare: Occidente, Russia, Cina, India, Sud America, paesi arabi e l’Africa in pieno boom demografico. Una delle questioni centrali è quindi di capire il ruolo che avrà l’Unione Europea, se riuscirà per esempio a darsi una politica estera con un peso pari alla sua importanza economica.

L’evento sarà trasmesso in streaming, per la partecipazione in presenza di studentesse e studenti Unipi è richiesta la registrazione.

“Sguardi nel futuro” è una iniziativa a cura del professore Dario Pisignano, del Centro per l’Innovazione e la Diffusione della Cultura (CIDIC) dell’Università di Pisa, e del divulgatore e giornalista Piero Bianucci.

Questo primo ciclo iniziato a ottobre 2023 ha ospitato personalità come Umberto Agrimi dell’Istituto Superiore di Sanità, l’ex magistrato Gherardo Colombo, Nicola Armaroli del CNR-ISOF, la senatrice a vita Elena Cattaneo, Roberto Battiston, già Presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana, Fosca Giannotti, professoressa di Informatica alla Scuola Normale Superiore, e Gianfausto Ferrari, presidente Digital Universitas, fondatore di Talent Garden e Superpartes Innovation Campus, e la presidente del CNR Maria Chiara Carrozza Ad oggi sono circa 1000 le studentesse e gli studenti che hanno partecipato ai vari eventi del ciclo.

Un drammatico innalzamento della temperatura dell’acqua di 4 o 5 gradi per almeno cinque giorni. Sono queste le ondate di calore che interessano sempre più i mari del nostro pianeta mettendo a rischio la fauna ittica e la sopravvivenza di alcune specie. Le aree marine protette sono però una risposta in grado di mitigare questo fenomeno dovuto al cambiamento climatico. La notizia arriva da uno studio internazionale pubblicato sulla rivista Nature Communications coordinato dall’Università di Pisa.

 

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“E' noto che le aree marine protette, se ben gestite e con opportuna sorveglianza, hanno effetti positivi sulla fauna marina eliminando o riducendo gli effetti diretti della pesca – spiega il professore Lisandro Benedetti-Cecchi del dipartimento di Biologia dell’Ateneo pisano primo autore dell’articolo pubblicato – per la prima volta grazie a questo studio abbiamo dimostrato che sono anche in grado di mitigare l'impatto delle ondate di calore”.

La ricerca ha riguardato 2269 specie di pesci costieri che vivono in 357 siti interni alle aree marine protette e 747 siti esterni. I dati provengono da oltre 70mila osservazioni ottenute su intervalli temporali che vanno da un minimo di 5 a un massimo di 28 anni. Le aree marine protette studiate sono sparse in tutto il globo, nel Mediterraneo soprattutto in prossimità delle coste spagnole, poi in Australia, California e Indopacifico.

“Le proiezioni suggeriscono che i cambiamenti nel clima oceanico, di cui le ondate di calore sono espressione, si acutizzeranno nei prossimi decenni e che gli attuali tassi di riscaldamento supereranno presto il margine di sicurezza termica di molte specie – sottolinea Benedetti-Cecchi – L’allarme è ancora maggiore per il Mar Mediterraneo, che si sta riscaldando a un ritmo allarmante di tre volte quello dell’oceano globale”.

A subire le conseguenze delle ondate di calore è la stabilità dell’intero ecosistema e delle popolazioni, con i pesci erbivori che tendono ad aumentare e i carnivori, come squali, barracuda, cernie o dentici, che invece sono più minacciati. Il risultato può essere il collasso dell’intero sistema sino all’estinzione locale di alcune specie. Questi effetti sono però molto mitigati dalle aree marine protette. Qui le popolazioni di pesci sono più abbondanti e funzionalmente strutturate rispetto alle aree non protette, conferendo stabilità alle comunità anche in presenza di eventi climatici estremi.

“Il nostro lavoro – conclude Benedetti Cecchi – vuole enfatizzare l'importanza delle aree marine protette per salvaguardare la fauna marina fornendo supporto alle politiche di conservazione, articolate nelle varie direttive internazionali, come ad esempio la Convention for Biological Diversity, secondo le quali entro il 2030 almeno il 10% della superficie degli oceani dovrebbe essere sottoposta a protezione”.



 

L’ambientalismo di facciata, il cosiddetto greenwashing, influisce negativamente sugli affari, ma l’effetto è mitigato dalla presenza femminile, quando cioè nei consigli di amministrazione c’è una sostanziale parità di genere. La notizia arriva da uno studio pubblicato sulla rivista Research in International Business and Finance e condotto dalla professoressa Giuliana Birindelli (foto) del Dipartimento di Economia e Management dell’Università di Pisa in collaborazione con la professoressa Helen Chiappini dell’Università G. d’Annunzio di Chieti-Pescara, e il dottor Raja Nabeel-Ud-Din Jalal dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. La ricerca si è concentrata su un campione di banche europee quotate in borsa (in totale 77, di cui 15 italiane) nel periodo 2013-2020.

“Le banche sono imprese sulle quali l’attenzione della comunità è molto alta – spiega Giuliana Birindelli – tant’è che quando il greenwashing viene scoperto o anche solo percepito scatta la punizione degli investitori e dei clienti. In altre parole, il mercato reagisce con rabbia al tradimento della fiducia, i clienti diventano scettici e personale qualificato può allontanarsi dall’azienda, così come brillanti partner”.

Ma pur rischiando una perdita di legittimità sul mercato e un deterioramento delle performance aziendali, gli esempi di ambientalismo di facciata sono molti. Nel gennaio 2024, la Banca Centrale Europea (BCE) per esempio ha pubblicato un report che ha sollevato preoccupazioni sul greenwashing delle banche europee. Il documento ha infatti rilevato che le banche che si dichiarano più attente all’ambiente hanno in realtà concesso ingenti prestiti alle aziende inquinanti. E tuttavia, come dimostra la ricerca, questi effetti negativi si riducono in presenza di una diversità di genere nei consigli di amministrazione.

Come dimostrano anche altri studi che abbiamo condotto, le donne sono più sensibili alle tematiche ambientali e più orientate alla trasparenza informativa – sottolinea Birindelli – questi aspetti giocano un ruolo importante nel mitigare una pratica scorretta come il greenwahing, ampiamente diffusa anche nel settore bancario, attenuando gli impatti negativi in termini di performance finanziarie. In sostanza, la ricerca dimostra che il greenwashing peggiora la performance bancaria, ma l’effetto si riduce se nei CdA siedono anche le donne”.

Giuliana Birindelli è professoressa ordinaria di Economia degli Intermediari finanziari dell’Università di Pisa. È membro del Banking Advisory Panel presso l’European Financial Reporting Advisory Group, del Comitato scientifico della Fondazione “Organismo Italiano di Business Reporting” e del Comitato Tecnico-Scientifico dell’Associazione Italiana Financial Industry Risk Managers. È Associate Editor di “Economics Notes” (Wiley) e dal dicembre 2017 è sindaca della Banca d’Italia.

 

 

 

giuliana_birindelli.jpgL’ambientalismo di facciata, il cosiddetto greenwashing, influisce negativamente sugli affari, ma l’effetto è mitigato dalla presenza femminile, quando cioè nei consigli di amministrazione c’è una sostanziale parità di genere. La notizia arriva da uno studio pubblicato sulla rivista Research in International Business and Finance e condotto dalla professoressa Giuliana Birindelli (foto) del Dipartimento di Economia e Management dell’Università di Pisa in collaborazione con la professoressa Helen Chiappini dell’Università G. d’Annunzio di Chieti-Pescara, e il dottor Raja Nabeel-Ud-Din Jalal dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. La ricerca si è concentrata su un campione di banche europee quotate in borsa (in totale 77, di cui 15 italiane) nel periodo 2013-2020.

“Le banche sono imprese sulle quali l’attenzione della comunità è molto alta – spiega Giuliana Birindelli – tant’è che quando il greenwashing viene scoperto o anche solo percepito scatta la punizione degli investitori e dei clienti. In altre parole, il mercato reagisce con rabbia al tradimento della fiducia, i clienti diventano scettici e personale qualificato può allontanarsi dall’azienda, così come brillanti partner”.

Ma pur rischiando una perdita di legittimità sul mercato e un deterioramento delle performance aziendali, gli esempi di ambientalismo di facciata sono molti. Nel gennaio 2024, la Banca Centrale Europea (BCE) per esempio ha pubblicato un report che ha sollevato preoccupazioni sul greenwashing delle banche europee. Il documento ha infatti rilevato che le banche che si dichiarano più attente all’ambiente hanno in realtà concesso ingenti prestiti alle aziende inquinanti. E tuttavia, come dimostra la ricerca, questi effetti negativi si riducono in presenza di una diversità di genere nei consigli di amministrazione.

Come dimostrano anche altri studi che abbiamo condotto, le donne sono più sensibili alle tematiche ambientali e più orientate alla trasparenza informativa – sottolinea Birindelli – questi aspetti giocano un ruolo importante nel mitigare una pratica scorretta come il greenwahing, ampiamente diffusa anche nel settore bancario, attenuando gli impatti negativi in termini di performance finanziarie. In sostanza, la ricerca dimostra che il greenwashing peggiora la performance bancaria, ma l’effetto si riduce se nei CdA siedono anche le donne”.

Giuliana Birindelli è professoressa ordinaria di Economia degli Intermediari finanziari dell’Università di Pisa. È membro del Banking Advisory Panel presso l’European Financial Reporting Advisory Group, del Comitato scientifico della Fondazione “Organismo Italiano di Business Reporting” e del Comitato Tecnico-Scientifico dell’Associazione Italiana Financial Industry Risk Managers. È Associate Editor di “Economics Notes” (Wiley) e dal dicembre 2017 è sindaca della Banca d’Italia.

 

 

 

Umberto_Agrimi.jpegLo scienziato Umberto Agrimi (foto) dell’Istituto Superiore di Sanità, è il nuovo ospite del ciclo Sguardi nel Futuro. Venerdì 23 febbraio alle 16 al Polo Carmignani dell’Università di Pisa (Piazza dei Cavalieri), Agrimi incontrerà studentesse e studenti dell’Ateneo e delle ultime classi delle scuole superiori per parlare del nostro rapporto con il Pianeta Terra in una prospettiva di salute unica.

L’evento sarà trasmesso in streaming, la partecipazione in presenza di studentesse e studenti Unipi è previa registrazione.

Sguardi nel futuro ha già ospitato personalità come l’ex magistrato Gherardo Colombo, Nicola Armaroli del CNR-ISOF, la senatrice a vita Elena Cattaneo, Roberto Battiston, già Presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana, Fosca Giannotti, professoressa di Informatica alla Scuola Normale Superiore, e Gianfausto Ferrari, presidente Digital Universitas, fondatore di Talent Garden e Superpartes Innovation Campus, e la presidente del CNR Maria Chiara Carrozza. Ad oggi sono circa 1000 le studentesse e gli studenti che hanno partecipato ai vari eventi del ciclo.

“Sguardi nel futuro” è una iniziativa a cura del professore Dario Pisignano, del Centro per l’Innovazione e la Diffusione della Cultura (CIDIC) dell’Università di Pisa, e del divulgatore e giornalista Piero Bianucci.

Un estratto di bucce e semi di melagrana completamente solubile in acqua, ottenuto mediante una tecnica innovativa, verde, efficiente e scalabile fino a capacità produttive industriali, si rivela efficace nel trattamento dell’ipertensione, sia acuta che cronica. Lo dimostra una ricerca in vivo condotta su un modello murino, pubblicata sulla rivista Nutrients e realizzata da un gruppo di ricerca dell’Istituto per la bioeconomia del Consiglio nazionale delle ricerche di Firenze (Cnr-Ibe) e dell’Università di Pisa.
L’estrazione del succo di melagrana genera sottoprodotti non edibili, bucce e semi, pari al 60% del peso del frutto, che sono disponibili in grandi quantità e conosciuti da tempo per le loro proprietà salutari, in gran parte dovute ai cosiddetti ellagitannini, in particolare punicalagina e acido ellagico.

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Processo estrattivo del succo di melagrana


“Finora, il recupero e la valorizzazione di questi sottoprodotti sono stati ostacolati dalla mancanza di una tecnica di estrazione adeguata, in grado di restituire un prodotto completamente solubile in acqua e più sicuro per l’organismo. Infatti, la qualità e le proprietà degli estratti di prodotti naturali, tra cui i sottoprodotti della melagrana, dipendono anche dalla tecnica estrattiva. L’applicazione della cavitazione idrodinamica, già verificata con successo su sottoprodotti degli agrumi e delle filiere forestali, ha consentito di estrarre una grande quantità di bucce e semi di melagrana in sola acqua, a bassa temperatura e in pochi minuti, con un consumo energetico molto limitato, restituendo un prodotto completamente solubile”, sottolinea Francesco Meneguzzo, ricercatore del Cnr-Ibe.
Lo studio ha previsto la somministrazione dell’estratto di melagrana per via orale a ratti spontaneamente ipertesi. “Dopo la somministrazione orale, i risultati hanno dimostrato una buona bioaccessibilità intestinale e la capacità di contrastare efficacemente l’incremento della pressione in un modello sperimentale di ipertensione, migliorando la disfunzione e riducendo lo spessore dell’endotelio, che è il tessuto che riveste l’interno dei vasi sanguigni. In aggiunta a questo, la somministrazione dell’estratto di melagrana ha dimostrato importanti effetti a livello cardiaco, perché ha consentito di abbassare i livelli di citochine, le molecole responsabili dei processi infiammatori e fibrotici a livello cellulare. Questi riscontri suggeriscono la possibilità di sviluppare meccanismi diversi e a più ampio spettro, rispetto alla protezione cardiovascolare”, afferma Lara Testai dell’Università di Pisa.

Questo tipo di ricerca scientifica dimostra come gli scarti della lavorazione di prodotti vegetali come la melagrana siano ricchi di sostanze preziose per la salute, rappresentando anche un valore aggiunto in un’ottica di sostenibilità. Gli esiti dello studio, infatti, oltre a suggerire i potenziali benefici per la salute umana, potranno contribuire ad aumentare il valore della filiera della melagrana e ad abbattere l’impatto ambientale connesso ai relativi sottoprodotti.

 

Per diminuire le emissioni di CO2 nell’atmosfera, il geotermico è la fonte di energia rinnovabile più efficace, seguito da idroelettrico e solare. La notizia arriva da uno studio su 27 paesi OCSE dal 1965 al 2020 pubblicato sul Journal of Cleaner Production.

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La ricerca ha analizzato l’impatto di alcune fonti di energia rinnovabile per la produzione di energia elettrica: geotermico, solare, eolico, biofuel, idroelettrico. Dai risultati è emerso che ognuna di esse contribuisce a ridurre le emissioni di CO2 e dunque è utile agli obiettivi della transizione ecologica. Fra tutte, le migliori sono il geotermico, l’idroelettrico, e il solare, in ordine decrescente di importanza. A livello quantitativo, 10 terawattora di energia elettrica prodotti da geotermico, idroelettrico, e solare, consentono infatti di ridurre le emissioni di CO2 pro capite rispettivamente di 1.17, 0.87, e 0.77 tonnellate.

I 27 paesi OCSE esaminati dal 1965 al 2020 sono stati scelti come campione perché contribuiscono notevolmente al rilascio di emissioni di CO2 nell’atmosfera e rappresentano circa un terzo del totale delle emissioni globali di CO2. Nello specifico si tratta di Australia, Austria, Canada, Cile, Cipro, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Islanda, Irlanda, Israele, Italia, Giappone, Messico, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Norvegia, Polonia, Portogallo, Corea del Sud, Spagna, Svezia, Svizzera, Regno Unito e Stati Uniti. Per ricavare i dati, la ricerca ha analizzato molteplici fonti, le principali sono: Food and Agriculture Organization (FAO), International Energy Agency (IEA), OECD, Our World in Data (OWID), e World Bank.

“E’ noto che circa due terzi degli italiani si dichiara appassionato del tema della sostenibilità e ritiene importante l’uso delle rinnovabili per avere città più sostenibili – dice Gaetano Perone, ricercatore del dipartimento di Economia e Management dell’Università di Pisa e autore dell’articolo – la mia analisi spiega in modo dettagliato l’impatto di ciascuna energia rinnovabile sulle emissioni di CO2, considerando anche altri aspetti legati ai costi di implementazione e costruzione delle centrali e delle opportunità date dalle caratteristiche geografiche e climatiche dei paesi considerati”.



Le praterie di Posidonia possono ridurre in modo significativo gli effetti dell’acidificazione dei mari, la prova arriva da una specie sentinella come i ricci di mare. E’ questo quanto emerge da alcuni studi condotti dall’Università di Pisa nell’ambito del progetto europeo FutureMARES e pubblicati sulle riviste Science of the Total Environment e Environmental Research.

I ricercatori dell’Università di Pisa hanno condotto gli esperimenti nei mesocosmi collocati presso l’Acquario di Livorno, un sistema di vasche di grandi dimensioni che riproduce gli ecosistemi marini. Le analisi hanno dimostrato che Posidonia oceanica, la principale pianta marina che popola il Mediterraneo, contribuisce a difendere lo sviluppo delle larve del riccio di mare (Paracentrotus lividus). Questa specie, che ha anche un interesse commerciale, è minacciata dall’acidificazione delle acque marine che ostacola lo sviluppo dello scheletro composto da carbonato di calcio. Ma grazie alla propria attività fotosintetica, la Posidonia è stata in grado di alzare il pH dell’acqua di 0.15 unità. In presenza delle piante, le larve di riccio hanno così sviluppato meno malformazioni e raggiunto una grandezza maggiore nella fase finale dello sviluppo.

Le praterie di Posidonia possono quindi rappresentare un rifugio per alcune delle specie minacciate dall’acidificazione dei mari anche perché il fenomeno in sé non ha effetti significativi su queste piante. E tuttavia, come hanno dimostrato ulteriori indagini dell’Università di Pisa, se l’acidificazione è associata ad un innalzamento della temperatura dell’acqua, possono subentrare alterazioni fisiologiche e molecolari, specialmente nelle piante più in profondità, che potrebbero ridurre la funzione protettiva.

“I nostri studi dimostrano le praterie di piante marine come Posidonia oceanica possano mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici su altre specie, con importanti ricadute in termini sia di biodiversità che economici – spiega il professore Fabio Bulleri del Dipartimento di Biologia e del Centro Interdipartimentale di Ricerca per lo Studio degli Effetti del Cambiamento Climatico (CIRSEC) dell’Università di Pisa – questa capacità però può essere compromessa da un ulteriore riscaldamento del mare e per questo è necessario individuare popolazioni di piante più tolleranti allo stress termico e siti caratterizzati da un minore tasso di riscaldamento che possano funzionare da rifugi in scenari futuri”.

Fabio Bulleri, responsabile scientifico del progetto FutureMARES, si occupa della valutazione degli effetti dei cambiamenti climatici in ambiente marino. Insieme a lui hanno collaborato, per l’Università di Pisa, Chiara Ravaglioli assegnista di ricerca del Dipartimento di Biologia che si occupa degli effetti antropici sulle piante marine; Lucia De Marchi e Carlo Pretti, esperti in ecotossicologia del Dipartimento di Scienze Veterinarie. Partner esterni sono il Dipartimento di Scienze Della Vita dell’Università di Trieste, il Centro Interuniversitario di Biologia Marina “G. Bacci” (CIBM) di Livorno, la Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli, il National Institute of Oceanography, Israel Oceanographic and Limnological Research, Haifa in Israele e il National Biodiversity Future Centre (NBFC) di Palermo.



 

 

 

 

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