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Sono quattro le iniziative del Sistema museale d’Ateneo (SMA) organizzate nell’ambito di “Aspettando BRIGHT 2018”, il ciclo di eventi che questo fine settimana accompagneranno alla “Notte delle ricercatrici e dei ricercatori” in programma il prossimo 28 settembre.
Il primo appuntamento, in programma venerdì 21 settembre, è una visita guidata e laboratorio creativo per bambini dai 7 agli 11 anni all’Orto e museo botanico. Dalle ore 16.30 alle ore 18.30, attraverso “I racconti di Gaetano”, i bambini incontreranno dal vivo Gaetano Savi, prefetto dell’Orto dal 1814 al 1843, che li accompagnerà nella visita della serra tropicale, della serra delle succulente e della serra del banano. Gaetano spiegherà ai piccoli partecipanti le peculiarità delle specie botaniche ospitate nelle serre, evidenziandone le differenze morfologiche e funzionali legate ai diversi adattamenti alle specifiche condizioni ambientali. Alla visita seguirà un laboratorio creativo, durante il quale i bambini realizzeranno la propria serra, utilizzando materiale vegetale e di riciclo. L’evento è gratuito, la partecipazione è su prenotazione fino a esaurimento dei posti disponibili, massimo 15 partecipanti (Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo., tel. 050 2211355-2211368. Le prenotazioni si accettano entro le ore 13 di giovedì 20 settembre).
Sabato 22 settembre, alle 16.30, il Museo della Grafica ospita “RobotArte”, un laboratorio creativo per famiglie (bambini e bambine dai 6 ai 11 anni, con adulto accompagnatore). Sarà un pomeriggio all’insegna dell’arte e della robotica dove robot artisti e artisti amanti dei robot si incontreranno per creare sensazionali opere d’arte. L’evento è gratuito, partecipazione su prenotazione fino a esaurimento dei posti disponibili, massimo 20 partecipanti con adulto accompagnatore. Prenotazioni entro le ore 13 di giovedì 20 settembre: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo., tel. 050 2216059-060.
Il Museo della Grafica e l’Orto e museo botanico ospiteranno inoltre due iniziative organizzate in occasione del mese dedicato all’Alzheimer. Venerdì 21 settembre, alle ore 16, al Museo della Grafica appuntamento con “Musei per l’Alzheimer - Segni tra le mani”, una tavola rotonda sul tema della comunicazione, prevenzione e gestione della malattia. L’iniziativa è promossa dal Museo della Grafica, che da anni organizza iniziative per le persone affette da Alzheimer e per coloro che se ne prendono cura attraverso attività dedicate alla stimolazione dell’espressione creativa, con la collaborazione dell’AIMA – sezione di Pisa. È prevista anche la presentazione di un libro sul tema. L’ingresso è libero e gratuito.
Sabato 22 settembre, alle ore 10, l’Orto e museo botanico ospiterà “Musei per l’Alzheimer - Le radici della memoria”, un itinerario con tappe dedicate a conversazioni, esperienze sensoriali, creatività. Con i suoi manti erbosi e gli elementi arborei, l’Orto botanico offre numerosi spazi dei sensi e spazi connettivi adatti a realizzare esperienze polisensoriali ed essere spunto per attività che favoriscano le abilità residue. L’itinerario durerà circa 75 minuti. Il percorso è riservato a persone affette da Alzheimer o altra demenza accompagnati da almeno un caregiver. L’evento è gratuito. Prenotazioni entro la mattina di giovedì 20 settembre: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo., tel. 050 2213629.

A ottanta anni di distanza dall’adozione del primo provvedimento antisemita voluto dal regime fascista, le università italiane hanno riconosciuto le proprie responsabilità per l’applicazione delle leggi razziali, che solo in ambito universitario portarono all’allontanamento di 448 docenti e all’espulsione di 727 studiosi, oltre a colpire un migliaio di studenti. Lo hanno fatto giovedì 20 settembre a Pisa, nel Palazzo della Sapienza, simbolo dell’Ateneo, con la "Cerimonia del ricordo e delle scuse", in cui il rettore Paolo Mancarella, a nome e alla presenza dell’intera Accademia italiana, ha fatto ammenda per gli atti che, a partire dalla plebiscitaria adesione al “Giuramento di fedeltà al Fascismo” del 1931, videro il mondo universitario silente e complice verso le scelte del regime che giunsero fino all’emanazione delle Leggi razziali.

A questo link è possibile rivedere l'intera Cerimonia del ricordo e delle scuse.

A questo link è possibile rivedere la Cerimonia con la traduzione in LIS (Lingua dei Segni Italiana).

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"Qui, molti anni fa - ha detto il rettore dell’Università di Pisa in apertura - sono avvenute cose che non sarebbero mai dovute accadere. E noi vogliamo ricordarlo. Ci sono vite che, a partire da questo luogo, sono state sospese, stravolte, distrutte". Ha quindi ripercorso storie, numeri e nomi della persecuzione contro gli ebrei, chiudendo con un ammonimento: “la moralità degli studenti e dei docenti che allora subirono l’ingiustizia - ha detto il professor Paolo Mancarella - ci guidi nel ricordo, nella riparazione, nella ricostruzione delle virtù civiche oggi necessarie alla resistenza contro tutte le discriminazioni, anche quelle del nostro tempo. Noi non dobbiamo obbedire mai più a ciechi intendimenti che calpestino la ragione e annullino la dignità dell’uomo”.

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Subito dopo, è intervenuta la presidentessa delle Comunità ebraiche Italiane, Noemi Di Segni, sottolineando che “oggi, in questo Ateneo, dinanzi a noi - rappresentanti delle comunità ebraiche in Italia - con emozione e solennità sono state pronunciate parole e riflessioni importanti che abbiamo ascoltato con il cuore e con la mente”. Anche la presidentessa dell’UCEI ha voluto terminare attualizzando il messaggio che parte dalla cerimonia pisana: "è importante oggi non solo studiare la storia, e saper dire a voce alta – questa è verità, questo è accaduto a cittadini italiani, questo è successo nel nostro Paese, questi furono i comportamenti dell’accademia e della comunità degli scienziati - ma anche sapersi porre rispetto agli eventi passati con la propria coscienza e saper trasmettere una ferma convinzione a chi tentenna, a chi desidera essere parte dell’accademia italiana. Questo è il senso di quanto oggi avviene qui a Pisa, con l’odierna cerimonia e con le iniziative programmate in queste settimane che non hanno precedenti nella storia di questo paese e delle sue istituzioni educative".

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Aperta dalla lettura di un breve messaggio inviato dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, la cerimonia si è chiusa con il commosso abbraccio tra i rappresentanti dei rettori e quelli della comunità ebraica e con l’inaugurazione di una lapide in perenne ricordo dell’evento. Il testo recita: “San Rossore, 5 settembre 1938 - Pisa, 20 settembre 2018. In questo luogo, alla presenza dei rettori delle università italiane, il rettore dell’Università di Pisa ha voluto si svolgesse ‘La cerimonia del ricordo e delle scuse’, rivolta ai rappresentanti delle comunità ebraiche italiane, nell’ottantesimo anniversario della firma delle leggi razziali”.

Dopo la cerimonia, si è aperta la conferenza internazionale “A ottanta anni dalle leggi razziali fasciste: tendenze e sviluppi della storiografia internazionale sull’antisemitismo e la Shoah”, introdotta da un intervento video della senatrice a vita Liliana Segre e dal saluto del presidente della Crui, Gaetano Manfredi.

“Invito a fare patrimonio di questo esempio - ha detto la senatrice Liliana Segre nel suo saluto - che sia significativo non solo per noi ma anche per chi ancor oggi patisce persecuzioni per le idee, per il colore della pelle, per le condizioni di nascita, per la fede che professa, e sono certa rimarrà nel cuore e nella mente di tutti gli ebrei italiani e non, per sempre".

 
 
 

Oggi, in questo Ateneo, dinanzi a noi - rappresentanti delle comunità ebraiche in Italia - con emozione e solennità sono state pronunciate parole e riflessioni importanti che abbiamo ascoltato con il cuore e con la mente.

È la parola “legge” con il suo perché sociale, la sua forza vincolante e la sua funzione essenziale di tutela e di regolazione dello spazio relazionale, al centro della nostra riflessione. Com’è potuto accadere nel ’38 che un insieme di provvedimenti voluti e votati da esseri umani – a ciò delegati in rappresentanza del popolo – siano divenuti strumento che normalizzava un antico odio, ordinandone l’attuazione in ogni ambito dell’essere e per ogni avere? Perché dire no alla legge era più giusto che dire sì e sulla base di quale principio più alto invocare giustizia?

2018-09-05 - San Rossore 193829.jpegAppena ieri è terminata la festività del kippur, giorno dedicato all’introspezione e all’espiazione, riflettendo sulle nostre colpe e riaffermando propositi per l’anno a venire, riunendosi e recitando preghiere tramandate da secoli di padre in figlio. Abbiamo più volte nel corso della giornata ribadito – sia al singolare che al plurale – sia rivolgendoci a Dio sia al prossimo – che non siamo stati capaci di rispettare la legge, di riconoscere verità, di respingere maldicenza e superbia. I nostri torti nascono dalla inosservanza delle norme (divine) e non dall’obbedienza, ed invero il tema del perdono è complesso, intreccia rigore, libero arbitrio, coerenza, aspettative e speranze di cambiamenti.

La nostra generazione ha ricevuto da chi ha vissuto l’esclusione – allora studenti o docenti - un messaggio ed una missiva che non ha carattere di rivendicazione o restituzione di odio ma di vigilanza e rispetto della libertà e del riconoscimento dell’altro, “altro” che è “noi” società italiana, e di partecipazione alla ricostruzione e allo sviluppo culturale ed accademico del paese e dell’Europa.

Ottant’anni rappresentano per i demografi la durata di un’intera vita e di tre generazioni. Per noi tutti un’eternità. Tanto abbiamo atteso per ascoltare queste parole nel nostro Paese. È vero, anche se fossero state pronunciate il 26 aprile del ‘45 all’indomani della liberazione così anelata, non avrebbero restituito vite spezzate, speranze abbandonate, dignità di cittadinanza sottratta, attestati di appartenenza ad una comunità scientifica negati, orgoglio di essere italiani svaniti.
Anche dopo il varo della costituzione e le leggi abrogative non vi è stata piena reintegrazione e considerazione,- sia per i ricercatori, i docenti che gli studenti di allora – i pochi sopravvissuti o appena in tempo fuggiti, di quanto loro sottratto e negato.

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È per me e noi tutti i presenti qui oggi difficile se non impossibile pronunciarsi e rappresentare, anche idealmente, chi ha subito l’umiliante applicazione dei decreti con i quali si sancivano i divieti di frequentare ed insegnare nella scuola e nell’accademia. Chi è presente qui oggi, dei nostri padri, madri nonni e nonne. Persone che con il loro studio e lavoro concorrevano allo sviluppo della cultura e della scienza in Italia, credendo che fosse la loro patria. Credendo di avere come colleghi e come interlocutori persone colte e capaci di discernere e di ragionare con la propria mente e con la propria coscienza civile e forse anche religiosa. Così sorprendentemente non fu. Nel trasmettere e nel condividere questo pensiero, noi oggi proviamo fatica ad essere la loro voce e questo segue lo esprimo con riverenza e rispetto del loro ricordo.

Nelle parole da voi pronunciate ricerchiamo la consapevolezza che il chiedere scusa non ha un l’ingenuo fine riparatorio di quanto è svanito e cancellato e di quanto è stato orrendamente vissuto, ma il riconoscimento della distorta ragione, dell’indomita acquiescenza, della penetrante indifferenza, dell’aggravante che pesa sulla comunità dei dotti e degli scienziati per aver ideato quel manifesto e sottoscritte quelle idee, assieme ad una l’assunzione di responsabilità per il futuro e per le generazioni future di accademici e scienziati. Affinché non accada mai più che in un ateneo, centro di sapere, di innovazione e ricerca, luogo di formazione di cultura e di scienza, si partecipi attivamente, o passivamente o con il subdolo boicottaggio, a scrivere, insegnare, propagandare odio, contro gli ebrei, contro lo Stato di Israele, le sue istituzioni e comunità scientifiche e culturali, contro chi è considerato Altro da sé. E ribadiamo ancora una volta che la ferita e le conseguenze devastanti non furono solo quelle per i singoli che ne erano i destinatari, ma l’intero Paese, gli Atenei stessi, la scienza e la cultura ad essere precipitate in un medioevo e povertà di valori.

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E saremmo miopi e irresponsabili se, anche in questa sede e in questa particolare giornata, non denunciassimo le parole di odio, le violenze verbali e fisiche rivolte contro individui che diventano collettività, ossia pregiudizio, che ogni giorno di più sentiamo pronunciate e difese anche nello spazio pubblico, la distorsione mediatica che ripetuta e propagata genera nemici, e il recepimento di ogni falso come assoluta verità. Segnali inquietanti e oserei dire angoscianti – perché generano incertezza e che temiamo accostare a quella passata, elusa e sottovalutata.

Questo oggi accade e noi come voi non possiamo restare inerti. È l’Italia con le sue istituzioni – a partire da quelle preposte all’educazione e allo sviluppo culturale, assieme a chi è chiamato ad assicurare giustizia, ordine, legalità e costituzionalità dell’agire collettivo e individuale, a dover difendere quanto faticosamente ricostruito e definito come quadro normativo in Italia e in Europa nel dopoguerra, rafforzando, e non svilendo, i principi di solidarietà e di uguaglianza tra le genti. La pace e la convivenza non sono vessilli e proclamazioni di intenti ma un impegno quotidiano che richiede di attraversare confini e di abbandonare paure, per potersi radicare come cultura di vita.

L’appello a voi rivolto è di accogliere e condividere anche in seno al mondo universitario, nelle prassi e regolamenti interni, la definizione operativa di antisemitismo che è stata elaborata in seno all’International Holocoust Remebrance Alliance (IHRA), adottata dal Consiglio d’Europea e dal Parlamento europeo con invito agli Stati membri di recepirla e di attivarsi nella lotta contro ogni forma di antisemitismo. La discriminazione come attacco ai valori democratici non è un problema – o non è solo un problema - di chi le subisce ma anche ed in particolare da chi la esercita.

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È importante oggi non solo studiare la storia, e saper dire a voce alta – questa è verità – questo è accaduto a cittadini italiani – questo è successo nel nostro Paese, questi furono i comportamenti dell’accademia e della comunità degli scienziati - ma anche sapersi porre rispetto agli eventi passati con la propria coscienza e saper trasmettere una ferma convinzione a chi tentenna, a chi desidera essere parte dell’accademia italiana. È importante oggi tradurre la vostra solenne dichiarazione in fatti – in un percorso che guarda al futuro attivando corsi e studi sulla cultura ebraica. Cultura e popolo che sono vivi e presenti. Questo è il senso di quanto oggi avviene qui a Pisa, con l’odierna cerimonia e con le iniziative programmate in queste settimane che non hanno precedenti nella storia di questo paese e delle sue istituzioni educative. L’auspicio è che queste iniziative, così come nuovi corsi, formazione specialistica e studi dedicati vedano la più ampia partecipazione ed introiezione, traducendosi in esempio e cultura del convivere.

Noemi Di Segni
Presidentessa dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane

 

Ci sono giorni in cui è bene che il presente incontri il passato, oggi abbiamo voluto che fosse uno di questi.

Qui, molti anni fa, sono avvenute cose che non sarebbero mai dovute accadere. E noi vogliamo ricordarlo. Ci sono vite che, a partire da questo luogo, sono state sospese, stravolte, distrutte. Diremo di loro e di quel che accadde. Anche altrove, anche ad altri, anche prima, anche dopo, con la speranza che questo non succeda mai più.

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Nel 1938 il fascismo varò le leggi di persecuzione degli ebrei, e la burocrazia statale, obbediente, agì con sorprendente efficienza. Con un formulario dettagliato – albero genealogico, parentele, indirizzo, proprietà, conto corrente – si procedette al “censimento” dei 47 mila italiani ebrei e degli oltre 10 mila stranieri ebrei residenti in Italia. Gli elenchi vennero tenuti aggiornati, cosicché, cinque anni dopo, nel 1943, gli occupanti nazisti, con l’ausilio zelante dei funzionari di Salò, poterono andare a colpo sicuro, deportarne più di 8.000 e ucciderne 7.172.
Settemila-cento-settantadue esseri umani.

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Fu a due passi da noi, nella tenuta di San Rossore, – tradizionale residenza estiva di Casa Savoia – che, ottant’anni fa, Vittorio Emanuele III firmò il primo provvedimento antisemita voluto dal regime fascista: il regio decreto legge n. 1390. Si trattava di sette brevi articoli.

Usando la formula “sospensione del servizio” si stabiliva che – assieme a studenti, presidi, insegnanti, di tutte le “scuole del regno” – fossero espulsi dalle università: professori, assistenti, aiuti e liberi docenti. Si precluse, inoltre, agli studenti ebrei di iscriversi per quello e per i successivi sei anni.

I “Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista” colpivano il settore che più di ogni altro rende un paese libero: quello della formazione, dell'educazione e della ricerca.

La politica antiebraica perseguita dal fascismo nella scuola e nell’università risultò persino più drastica delle misure adottate dalla Germania hitleriana e dal governo della Francia di Vichy. Quel decreto fu applicato, senza eccezioni, dai rettori di tutti gli atenei italiani: i rettori obbedirono.

Il bilancio per l’intero sistema universitario porta il risultato finale di 448 docenti ebrei allontanati dalle università e di 727 studiosi espulsi da accademie, istituti di ricerca, istituzioni culturali.

Anche nella scuola media vennero colpiti 279 presidi e professori oltre che un numero ancora oggi imprecisato di maestri elementari. Si misero al bando anche 114 libri di testo di autori ebrei. Dalle elementari alle superiori si calcola, per come si può, che i ragazzi e i bambini ebrei estromessi da scuola furono più di 6.000.

800px ToaffLa quota degli studenti universitari italiani ebrei rimane, invece, ancora indeterminata. Bandite le iscrizioni – si può ipotizzare l’esclusione di 800/1000 giovani ebrei – venne tollerata la prosecuzione degli studi per coloro che erano al 2° anno. Questo consentì, dopo un tormentato percorso, anche a Elio Toaff (nella foto a destra) di conseguire qui a Pisa la laurea. Gli studenti ebrei, comunque, non poterono ottenere più alcun sostegno, né premi, né borse e posti di studio.

Censiti fin dal febbraio 1938, gli studenti stranieri ebrei furono a loro volta oggetto di drammatiche restrizioni che colpirono una componente cospicua ed essenziale della dimensione internazionale delle università italiane negli anni Trenta.

Dopo quella di Bologna, l’università di Pisa era la più frequentata: 390 studenti stranieri – su una popolazione totale di meno di 2000 studenti – di cui ben 290 ebrei. Oltre gli espulsi, nonostante la fragile possibilità di concludere gli studi, anche la quasi totalità degli altri studenti stranieri scelse di lasciare l’Italia.

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L’incontro di oggi vuole assumere un senso di risarcimento morale da parte dell’istituzione che si rese corresponsabile della discriminazione: l’università obbedì.

La legislazione fascista prese dunque le mosse da qui ma, dal novembre ’38, riguardò le proprietà immobiliari e aziendali, l’amministrazione centrale e periferica dello Stato, il parastato, le Opere Nazionali, le banche e le assicurazioni, le professioni, il commercio d’arte e ambulante, gli spettacoli, sino a discriminare anche in materia testamentaria, di patria potestà, di tutela di minori, degli aspetti più ordinari della vita quotidiana. La persecuzione fu il risultato sia della politica totalitaria del regime che degli indirizzi prevalenti in alcune “nuove” discipline scientifiche praticate e insegnate nelle stesse università italiane ed europee. Materie come Diritto coloniale, Biologia delle razze umane, Demografia comparata delle razze fornirono alibi all’obbedienza e al cinismo complice dei docenti sull’espulsione dei colleghi.

La legislazione razziale nelle colonie e quella antiebraica furono quindi anche effetti di un percorso che coinvolse pesantemente l’università che, fin dal 1931, col “Giuramento di fedeltà al fascismo” si era dimostrata, in larghissima parte, prona al regime fino a quest’ultima sciagurata scelta: tutti obbedirono.

Mussolini si procurò addirittura una “legittimità scientifica”, proprio grazie al concorso dell’Accademia. “Il manifesto degli scienziati razzisti” da lui dettato, è del luglio del ’38. L’epurazione coinvolse una parte significativa dei docenti, con perdite molto gravi nei campi della medicina e delle scienze matematiche, fisiche e chimiche, e rilevanti in quelli delle scienze umanistiche.

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EcalabresiConsentitemi ora un cenno alla storia di questo ateneo, è quella che siamo riusciti ad approfondire di più: la uso solo per dare meglio il senso del tutto.

Il 24 settembre 1938 il rettore Giovanni D’Achiardi obbedì. Spedì al ministero la lista dei docenti destinati alla sospensione: quelli di ruolo erano cinque, quattro ordinari e uno straordinario, tutti di facoltà scientifiche: i medici Enrico Emilio Franco; Attilio Gentili e Cesare Sacerdoti; il fisico Giulio Racàh; l’agronomo Ciro Ravenna. Ad essi si aggiungevano, tra i liberi docenti: l’entomologa Enrica Calabresi (nella foto a destra); il fisico Leonardo Cassuto; i medici: Aldo Bolaffi; Salvatore De Benedetti; Roberto Funaro; Emanuele Hajòn Mondolfo, Raffaello Menasci, Bruno Paggi. Tra gli assistenti, i medici: Giorgio Mìllul, Naftoli Emdin, Aldo Lopez, Renzo Toaff; il chimico Pietro De Cori; il giurista Renzo Bolaffi e il lettore di lingua tedesca Paul Oskar Kristeller. La perdita complessiva fu dunque di 20 docenti, ma questo non suscitò alcuna presa di posizione, alcuna indignazione, e men che meno alcuna pubblica protesta da parte dei colleghi. I colleghi obbedirono.

Se ai docenti espulsi dall’ateneo di Pisa è possibile dare un nome, così non ci è dato sapere chi e quanti furono gli studenti ebrei a cui per sette anni fu impedito di iscriversi.

Sappiamo invece quanti furono – e possiamo dare a tutti loro un nome e un volto – gli studenti stranieri ebrei che non poterono rinnovare l’iscrizione pagando quella doppia condizione. La loro persecuzione iniziò nell’aprile, prima dell’avvio della legislazione antisemita. La documentazione dell’Archivio Storico del nostro Ateneo, da questo punto di vista, è spietata.

La loro era stata una fuga della speranza, alla ricerca di un diritto agli studi più garantito che convogliò verso il nostro ateneo una parte consistente dell’emigrazione studentesca europea ebraica.

Nella prolusione dell’anno accademico 1939/40, il nuovo rettore Evaristo Breccia affrontava l’argomento facendo ricorso, per obbedienza, all’abusata retorica della rigenerante copertura dei vuoti: «La cifra degli studenti iscritti nelle varie Facoltà – affermava Breccia – è notevolmente diminuita nello scorso anno, per la partenza, non deplorabile, di qualche centinaio di stranieri i quali erano ospiti ben accetti, ma che non contribuivano in nessun modo ad accrescere il prestigio della nostra Scuola, né ad elevare il tono dell’insegnamento. Sono lieto di annunciare che il vuoto si va rapidamente colmando con elementi nazionali».

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Dopo l’espulsione dall’ateneo di Pisa la sorte di queste centinaia di studenti, a cui vennero annullati tutti i diritti, rimase ignota.

Nota, almeno parzialmente, è invece la sorte dei 20 docenti espulsi. Sappiamo che dopo le persecuzioni e la guerra soltanto 5 poterono ritornare: Bolaffi, Lopez, Mìllul, Paggi e prima, con una storia a sé, Gentili.

Il fisico Giulio Racàh, i medici Enrico Emilio Franco e Renzo Toaff decisero, volontariamente, di non tornare in Italia. Per altri il ritorno non fu possibile.

L’entomologa Enrica Calabresi nel 1944 fu arrestata dai fascisti a Firenze. Destinata ad Auschwitz, il 20 di gennaio, nel carcere di Santa Verdiana, ingerì una fialetta di fosforo di zinco che da tempo portava con sé. Fa uno strano effetto pensare che oggi nel mondo ci siano creature animali che portano il suo nome.

Il medico Raffaello Menasci (a destra nella foto) fu arrestato a Roma dai nazisti durante la retata al ghetto del 16 ottobre 1943 e fu deportato ad Auschwitz due giorni dopo.

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Il chimico Ciro Ravenna (nella foto a sinistra), venne invece arrestato nella sua città natale, Ferrara, il 15 novembre 1943; condotto nel campo di Fossoli e deportato ad Auschwitz il 22 febbraio. Fu ucciso all’arrivo.

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Nell’elevare il ricordo in atto di riparazione, l’ateneo di Pisa fa proprie oggi – 20 settembre 2018 – le parole scritte nel 1938, dopo l’espulsione, da Naftoli Emdin, ai propri figli Ruben e Rafael, anch’essi espulsi dal liceo.

«Ragazzi miei, scrivo per voi perché comprendo come nei vostri cervelli ancora giovani e freschi, e non abituati a una visione più vasta e più calma delle cose umane, gli avvenimenti di questi ultimi giorni abbiano potuto produrre un certo smarrimento (…). Non vorrei che (…) questa angoscia lasciasse in voi quel senso d’inferiorità (…) che potrebbe pregiudicare la regolarità e la dirittura del vostro cammino su quella via della vita che per noi è stata sempre difficile (…).
Inutile sarà quindi discutere sulle cosiddette teorie che abbiamo letto (…), inutile sarà cercare la dimostrazione che noi siamo della stessa razza degli altri nostri vicini (…); inutile lambiccarsi il cervello per vedere se noi siamo europei come gli altri o se gli altri sono più asiatici di noi – tutto ciò che si scrive e si scriverà in proposito non è una scienza, ma un indirizzo politico (…)».
«Solo levando alta nei nostri cuori la fiamma della dignità, solo guardando diritto negli occhi chi cerca di vilipenderci potremo infondere negli altri il rispetto verso di noi stessi (…)».

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La parola scuse che abbiamo dovuto usare solo per far comprendere la nostra intenzione, è eloquente ma, al contempo, inappropriata e inadeguata.

Infatti, che cosa dà a noi, a me, il diritto di pronunciare oggi parole così nette e risolute, com’è necessario a un proposito di risarcimento morale e civile? Niente e nessuno. Quel che penso è che noi, oggi, sentiamo il dovere di farlo pur senza averne il diritto. Il tempo, lunghissimo, trascorso ci dà un vantaggio, non un diritto. Non hanno più presa su di noi oggi le ragioni – di Stato, di corporazione, di carriera, di quieto vivere, di indulgenza reciproca – che al momento della Liberazione impedirono di unire alla reintegrazione di docenti e studiosi cacciati ignobilmente dalle università italiane, anche il riconoscimento aperto della folle iniquità che li aveva offesi.

Troppo facile quindi chiedere scusa. Ma noi oggi dobbiamo avere la forza di non obbedire mai, di non obnubilare mai la mente per cedere a nuove inique ragioni – di Stato, di corporazione, di carriera, di quieto vivere, di indulgenza reciproca.

Dobbiamo cominciare dalle scuse. Anche per le comunità infatti, anche per le Istituzioni, deve e può esistere qualcosa che valga civilmente come vale la richiesta di perdono per i singoli o per le comunità di fede. Allora non successe. Successe spesso il contrario: che i perseguitati dal razzismo e poi reintegrati fossero posposti ad altre categorie. Successe a docenti insigni di essere reinsediati nelle cattedre da cui erano stati espulsi, ma solo affiancando e subordinandosi ai loro “successori”.

Ci furono, sì, espressioni personali, anche numerose, anche pubbliche e sentite e toccanti. Ma non una manifestazione collettiva, istituzionale, di riconoscimento della vergogna che ebbe luogo. Se non fosse così non avrebbe senso l’intento che ci ha portati qui oggi a incontraci e a guardarci finalmente negli occhi.

Costituzione b grUn riconoscimento in realtà ci fu, il più solenne, e fu la Costituzione.

Lì si impiegò la parola “razza” – e questo è un pregio della Carta italiana – solo come citazione, con la volontà di non pronunciarla più: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.

Lo scorso 13 luglio l'Assemblea nazionale francese ha soppresso all'unanimità la parola “race”, “razza”, dall'articolo 1 della sua Legge fondamentale. Una parola che deve la più attendibile e folgorante etimologia a Gianfranco Contini, un altro grande dell’Università italiana e pisana: un’origine “zoologica, veterinaria, equina”, scrisse.

Per rievocare la vicenda del rientro degli ebrei espulsi: dei compromessi, delle viltà, del viavai delle epurazioni e delle riabilitazioni, valga una sola frase, quella con cui il filologo Cesare Segre descrisse l’amarezza del suo grande prozio, Santorre Debenedetti, dalla cattedra torinese “riconquistata”, scrisse:
Male si trovava in un mondo uscito senza rossore dalla vergogna”.

Ecco, l’Italia si ingegnava di uscire dalla vergogna senza rossore e lo faceva soprattutto il luogo cui avrebbero dovuto esser sacre giustizia e libertà, il mondo dell’università.

Ma appunto, caricarci noi oggi, qui, del rossore allora mancato non può bastare. In realtà non è che una parte del tutto, la più manifesta. Non posso evitare l’interrogativo che è in ciascuno che ripercorra la vicenda del razzismo italiano. L’interrogativo che è, lasciatemi facilmente immaginare, in ciascuno di noi convenuti: “Che cosa avrei fatto io allora? Avrei obbedito?”. Interrogativo senza risposta. Interrogativo utile, non solo a evitare ipocrisia e codarda prevaricazione, ma a riproporsi oggi con la sola variazione del tempo del verbo: “Che cosa farei io in una circostanza simile? Obbedirei?

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Nel luglio scorso ho letto una frase di un blogger serbo-bosniaco che pure riguardava un anniversario, quello del massacro di Srebrenica, altro orrendo esempio dell’odio per i diversi da sé – perché di questo stiamo parlando, ricordiamocelo bene. Dice: “La malvagità non ha bisogno di gente malvagia, ma di persone obbedienti”.

Mi ha subito evocato un'altra frase di un uomo a cui la mia formazione deve molto, un italiano – ebreo, peraltro – poi prete e priore a Barbiana: “L’obbedienza non è più una virtù”, ricordate?

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La moralità degli studenti e dei docenti che allora subirono l’ingiustizia ci guidi nel ricordo, nella riparazione, nella ricostruzione delle virtù civiche oggi necessarie alla resistenza contro tutte le discriminazioni, anche quelle del nostro tempo. Noi non dobbiamo obbedire mai più a ciechi intendimenti che calpestino la ragione e annullino la dignità dell’uomo.

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Spettava quindi a noi risarcire? Non so dirlo. C’è una cosa di cui ho certezza: noi siamo quelli venuti qui dopo coloro che, accecati, fecero del male alle vostre madri e ai vostri padri, ed è per questo che sentivamo di dovervi questo riconoscimento.

Paolo Mancarella
Rettore Università di Pisa

Giovedì 20 settembre, dalle 15, al Palazzo della Sapienza, luogo simbolo dell’Università di Pisa, si terrà la "Cerimonia del ricordo e delle scuse", l’atto più significativo del programma “San Rossore 1938”. Un solenne appuntamento volto a offrire un risarcimento morale a tutti coloro che, studenti e docenti, ebbero a patire discriminazioni ed esclusioni per il solo fatto di essere ebrei.

Segui la diretta streaming:

 

 

Alla presenza dei rettori delle università italiane, il rettore dell’Università di Pisa Paolo Mancarella a nome dell’intera Accademia italiana farà ammenda per gli atti che, a partire dalla plebiscitaria adesione al “Giuramento di fedeltà al Fascismo” del 1931, videro il mondo universitario silente e complice verso le scelte del regime che giunsero fino all’emanazione delle Leggi razziali. Un momento storico in senso proprio, la prima ammissione pubblica di quelle sciagurate responsabilità.

La cerimonia sarà preceduta dalla lettura di un breve messaggio del Presidente della Repubblica quindi il rettore dell’Università di Pisa pronuncerà un discorso e sarà poi raggiunto dalla presidentessa delle Comunità ebraiche Italiane Noemi Di Segni, che risponderà con un suo messaggio. Al termine sarà scoperta una lapide in perenne ricordo dell’evento.

La cerimonia sarà trasmessa in diretta streaming dalle 14,30 e ripresa su maxischermi in tutte le principali sedi universitarie di Pisa per consentire la visione a studenti e cittadini: nella Sala Azzurra della Scuola Normale (Palazzo della Carovana, piazza dei Cavalieri), nell’Aula magna della Scuola Superiore Sant’Anna (Piazza Martiri della Libertà, 33), e all’Università di Pisa nell’Aula Magna del Polo Carmignani (piazza dei Cavalieri, 8) e nell’aula Fratelli Pontecorvo del Polo Fibonacci (Largo Bruno Pontecorvo 3).

Dopo la cerimonia, alle 16,30 nell’aula magna nuova del Palazzo della Sapienza inizierà la conferenza internazionale “A ottanta anni dalle leggi razziali fasciste: tendenze e sviluppi della storiografia internazionale sull’antisemitismo e la Shoah”. I lavori saranno introdotti da un intervento video della senatrice a vita Liliana Segre e dal saluto presidente della Crui Gaetano Manfredi. La conferenza proseguirà anche venerdì 21 settembre, sempre in Sapienza. 

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