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Giovani maschi e di buona cultura, ecco gli europei più propensi a consumare gli insetti come cibo. L’identikit emerge da un articolo pubblicato sulla rivista “Food Research International” da un team del dipartimento di Scienze veterinarie dell’Università di Pisa guidato dalla professoressa Gisella Paci e composto dai dottori Simone Mancini, Roberta Moruzzo e Francesco Riccioli. I ricercatori hanno messo insieme e confrontato i dati provenienti da una quarantina di studi pubblicati dal 2012 ad oggi per capire quali categorie di persone più disponibili ad accettare gli insetti nel proprio piatto.
“Gli uomini fra i venti e i trenta anni sono i consumatori più interessati, soprattutto per una questione di curiosità – spiega Simone Mancini che sta svolgendo alcuni progetti di ricerca sul tema degli insetti edibili – e questo vale sia al livello italiano che europeo, come indicano le ricerche svolte sulle fasce di popolazione più giovani come ad esempio gli studenti universitari”.
Fattore curiosità a parte, dalla rassegna condotta dai ricercatori dell’Ateneo pisano emerge che le persone preferiscono comunque consumare gli insetti come ingredienti piuttosto che interi. Il disgusto provocato dal vederli gioca infatti un ruolo fondamentale, soprattutto perché nella cultura occidentale sono spesso associati all’idea di sporco e di contaminazione. Se invece gli insetti edibili sono trasformati in “polvere” e addizionati come ingrediente a un prodotto noto, la repulsione scende notevolmente.
“Gli insetti fanno parte della dieta tradizionale e sono storicamente consumati come animali di allevamento e di cattura in Asia, Africa, Sud America e Centro America – sottolinea Gisella Paci – la sfida è di capire come anche in occidente si possa accettare culturalmente questo nuovo cibo”.
A favore del consumo degli insetti giocherebbero infatti molti fattori. Numerosi studi scientifici per esempio evidenziano il loro alto valore nutrizionale come fonte proteica, di lipidi, minerali e vitamine, caratteristica che unita alle ridotte richieste di superficie, ha spinto le agenzie spaziali a studiarli come possibile cibo nelle missioni spaziali. Ma considerata la questione dell’impatto ambientale, gli insetti si candiderebbero come nutrimento del futuro anche per il nostro pianeta. Non a caso le Nazioni Unite li hanno individuati come una possibile risposta al crescente bisogno di proteine dovuto all'incremento della popolazione umana stimata in 9,7 miliardi nel 2050.
“L’interesse verso gli insetti ci riguarda direttamente dato che nei prossimi anni, specie dopo la direttiva europea sul novel food in vigore dal gennaio del 2018, troveremo sicuramente questi prodotti negli scaffali dei supermercati come già accade nel nord Europa, Belgio e Olanda in primis, e fuori l’Unione europea, nella vicina Svizzera – conclude Gisella Paci - in questa ottica sarà quindi necessario pensare ai processi di allevamento e di trasformazione in termini di investimento e di nuove strategie gestionali, il tutto unito ad un imprescindibile impegno informativo e comunicativo per aumentare l'accettabilità degli insetti nella cultura occidentale, che faccia leva sugli aspetti economici, ambientali e sociali”.

Giovani maschi e di buona cultura, ecco gli europei più propensi a consumare gli insetti come cibo. L’identikit emerge da un articolo pubblicato sulla rivista “Food Research International” da un team del dipartimento di Scienze veterinarie dell’Università di Pisa guidato dalla professoressa Gisella Paci e composto dai dottori Simone Mancini, Roberta Moruzzo e Francesco Riccioli. I ricercatori hanno messo insieme e confrontato i dati provenienti da una quarantina di studi pubblicati dal 2012 ad oggi per capire quali categorie di persone più disponibili ad accettare gli insetti nel proprio piatto.

Gli uomini fra i venti e i trenta anni sono i consumatori più interessati, soprattutto per una questione di curiosità – spiega Simone Mancini che sta svolgendo alcuni progetti di ricerca sul tema degli insetti edibili – e questo vale sia al livello italiano che europeo, come indicano le ricerche svolte sulle fasce di popolazione più giovani come ad esempio gli studenti universitari”.

Fattore curiosità a parte, dalla rassegna condotta dai ricercatori dell’Ateneo pisano emerge che le persone preferiscono comunque consumare gli insetti come ingredienti piuttosto che interi. Il disgusto provocato dal vederli gioca infatti un ruolo fondamentale, soprattutto perché nella cultura occidentale sono spesso associati all’idea di sporco e di contaminazione. Se invece gli insetti edibili sono trasformati in “polvere” e addizionati come ingrediente a un prodotto noto, la repulsione scende notevolmente.

 

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Insetti edibili sulle nostre tavole, mangeremo così?


“Gli insetti fanno parte della dieta tradizionale e sono storicamente consumati come animali di allevamento e di cattura in Asia, Africa, Sud America e Centro America – sottolinea Gisella Paci – la sfida è di capire come anche in occidente si possa accettare culturalmente questo nuovo cibo”.

A favore del consumo degli insetti giocherebbero infatti molti fattori. Numerosi studi scientifici per esempio evidenziano il loro alto valore nutrizionale come fonte proteica, di lipidi, minerali e vitamine, caratteristica che unita alle ridotte richieste di superficie, ha spinto le agenzie spaziali a studiarli come possibile cibo nelle missioni spaziali. Ma considerata la questione dell’impatto ambientale, gli insetti si candiderebbero come nutrimento del futuro anche per il nostro pianeta. Non a caso le Nazioni Unite li hanno individuati come una possibile risposta al crescente bisogno di proteine dovuto all'incremento della popolazione umana stimata in 9,7 miliardi nel 2050.

 

Dopo la direttiva europea sul novel food sarà questa la nostra dieta?



“L’interesse verso gli insetti ci riguarda direttamente dato che nei prossimi anni, specie dopo la direttiva europea sul novel food in vigore dal gennaio del 2018, troveremo sicuramente questi prodotti negli scaffali dei supermercati come già accade nel nord Europa, Belgio e Olanda in primis, e fuori l’Unione europea, nella vicina Svizzera – conclude Gisella Paci - in questa ottica sarà quindi necessario pensare ai processi di allevamento e di trasformazione in termini di investimento e di nuove strategie gestionali, il tutto unito ad un imprescindibile impegno informativo e comunicativo per aumentare l'accettabilità degli insetti nella cultura occidentale, che faccia leva sugli aspetti economici, ambientali e sociali”.

Martedì 19 marzo, alle ore 12, nell’aula Magna di Palazzo Boilleau (in via Santa Maria 85), Katia Castellani (Antenna della Direzione della Traduzione alla Commissione Europea, Rappresentanza in Italia) incontrerà gli studenti dei corsi di laurea del dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica per parlare loro di “Tradurre per un’Europa multilingue nell’era digitale”.
Dopo un primo evento dedicato a “L’Europa delle carriere e delle opportunità”, svolto il 3 dicembre scorso, il dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica prosegue la sua missione di collegamento con il mondo delle professioni a livello internazionale. In particolare, questa iniziativa, con la presenza di Katia Castellani, si configura come uno speciale momento formativo e informativo volto a introdurre gli studenti dei corsi di laurea più orientati alla formazione plurilingue in prospettiva traduttiva (Lingue e Letterature Straniere, Linguistica e Traduzione), e tutti gli interessati, al mondo dei profili professionali e istituzionali in ambito europeo.
La presenza di Katia Castellani a Pisa permetterà, inoltre, di mettere a punto l’organizzazione della Giornata Europea delle Lingue, in programma per il 26 settembre prossimo, a cui il dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica e la Rappresentanza della Commissione Europea in Italia stanno lavorando, in sinergia con le istituzioni dell’Ateneo pisano.

E’ un bene per la ricerca scientifica di frontiera che i risultati di studi e ricerche siano liberamente accessibili alla comunità scientifica e al pubblico? Questa domanda sarà al centro di un dibattito che si svolgerà martedì 19 marzo dalle 9 nel Palazzo della Sapienza dell’Università di Pisa. La giornata vede coinvolti i vertici degli enti di ricerca europei, del mondo accademico e dell’editoria scientifica internazionale. Saranno presenti fra gli altri insieme al rettore dell’Ateneo pisano Paolo Mancarella, il vice presidente dell’European Research Council, Fabio Zwirner, la vice-presidente della Regione Toscana Monica Barni e il presidente del CNR Massimo Inguscio. Per l’Università di Pisano parteciperanno i vincitori dei finanziamenti dell'European Research Council accanto al prorettore per la ricerca in ambito europeo e internazionale Lisandro Benedetti-Cecchi.
Dopo la conferenza internazionale di aprile dello scorso anno e l'incontro di giugno sulla proposta della Commissione Europea, quello del 19 marzo è il terzo appuntamento che l'Università di Pisa organizza in vista di "Horizon Europe", il Programma Quadro europeo per la ricerca e l’innovazione 2021-2007. La “Scienza aperta” o “Open Science” è infatti un tema di straordinario rilievo, oltre che di grande attualità, dato che la Commissione Europea chiede di rendere liberamente disponibili le pubblicazioni scientifiche e i dati della ricerca. L’incontro in Sapienza vuole quindi sviluppare una riflessione sul tema cercando di offrire un proprio contributo su come la ricerca di frontiera possa realmente beneficiare di un approccio aperto alla scienza, senza tuttavia rinunciare ai suoi tratti distintivi in termini di qualità e competitività.

CopVOLPIEUROPA.jpgAlessandro Volpi, docente di Storia contemporanea al Dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa, è autore del libro Perché non possiamo fare a meno dell’Europa. Contro la retorica anti-euro di sovranisti e populisti (Altreconomia, 2019).

Presentiamo di seguito un estratto dal volume.

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Cos’è ora realmente l’Europa? Difficile dirlo in modo organico e chiaro. Per gli euroscettici l’Europa rappresenta il male assoluto, il bersaglio contro cui indirizzare tensioni altrimenti disomogenee, l’universo simbolico che permette la tenuta di piattaforme programmatiche capaci di legare formazioni politiche e sociali inconciliabili su un’infinita serie di altri piani. Soprattutto, in maniera assai semplicistica, la condanna dell’Europa e dell’euro consente di immaginare un futuro più roseo e più felice per il solo fatto di porre fine ad una condizione esistente senza dover concepire formule concretamente alternative. Attaccare l’Europa permette di raccogliere consensi e voti, a prescindere.

Per gran parte degli europeisti, invece, l’Europa rappresenta un’amplificazione delle singole realtà nazionali: esistono un’Europa francese, un’Europa tedesca, un’Europa nordica, un’Europa mediterranea e varie altre declinazioni dove l’elemento decisivo non è l’appartenenza europea ma la visione nazionale trasferita in una dimensione continentale. L’idea autosufficiente di Europa, dotata di un valore in se stessa, sembra del tutto assente, così come risultano molto deboli le prospettive culturali e i linguaggi politici condivisi persino negli ambienti che si dichiarano europeisti.

In termini di regole l’Europa di Maastricht è decisamente superata e per molti versi anche tradita da numerose violazioni dei suoi parametri; praticamente nessun Paese rispetta il rapporto del 60% tra debito e Pil e anche il vincolo del deficit inferiore al 3% del Pil appare in molti casi illusorio. Manca, poi, l’indispensabile Europa fiscale, che dovrebbe eliminare la concorrenza tra i vari Stati membri, combattuta a colpi di aliquote stracciate. Manca l’Europa bancaria, ad oggi limitata ad astruse e terroristiche misure destinate ad aggredire i conti dei correntisti. Manca, ancora, la possibilità per la Bce di intervenire direttamente alle aste dei titoli pubblici per acquistarli prima che finiscano, ormai bolliti, sul mercato secondario.

Ma allora perché così tanta attenzione all’Europa e ai suoi giudizi? Perché i sovranisti non riescono a convincere neppure i loro governi a praticare il più volte gridato “me ne frego”? Perché dopo aver urlato all’Europa matrigna, bisogna accettare, controvoglia, di farci i conti? Il perché sta, in estrema sintesi, nella sua indispensabilità, pur contestata e negata. Alla prova dei fatti, senza moneta comune e senza una per quanto flebile idea di Europa, i singoli Stati affonderebbero rapidamente come dimostra il fatto che ad ogni sussulto “troppo nazionalistico” il mondo, e non solo i mercati, si spaventa e reagisce per evitare il disastro di un pianeta retto solo da Trump, Putin e Xijimping; gli unici interessati non alla sparizione ma alla sudditanza dell’Europa. Per frenare la crisi finanziaria più grave di sempre è servito il “whatever it takes” di Draghi e per far tornare i debiti pubblici, e privati, collocabili a prezzi sostenibili è servito l’accordo con la Commissione europea sia in Grecia, dove è stato durissimo, sia in Irlanda sia in altre parti dell’Europa.

Gli Stati possono proclamarsi forti e sovrani ma la loro debolezza nel mondo globale dei colossi e della rinata geopolitica impone l’adesione, se non l’appartenenza, europea, anche soltanto ipocritamente formale.

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A seguito delle polemiche suscitate dal finanziamento delle attività studentesche autogestite riportate in calce, ritengo necessarie alcune precisazioni.

Il finanziamento di tutte le attività suddette è stato vagliato e approvato, in data 6 marzo 2019, dal Consiglio degli Studenti, unico organo di Ateneo dotato di competenza in merito.

Gli uffici amministrativi dell’università, contrariamente a quanto affermato in talune comunicazioni diramate anche via mail da rappresentanti degli studenti, hanno esclusivamente il compito di verificare la regolarità formale delle richieste di contributo presentate dalle associazioni studentesche.

Le iniziative sotto elencate coinvolgono anche relatori che rivestono cariche istituzionali in diversi livelli di governo e, dai relativi titoli, non vi è evidenza di una valenza propagandistica a fini elettorali. Inoltre, ad oggi non sono note a questa amministrazione le date in cui esse si svolgeranno.

Del resto, qualora dall’istruttoria svoltasi in seno al Consiglio degli Studenti, quest’ultimo avesse evidenziato nelle iniziative suddette una violazione del principio di neutralità dell’Università perché eventi di propaganda partitica, ben avrebbe dovuto non assegnare il contributo. Infatti, in base al vigente Regolamento d’Ateneo per l'assegnazione di contributi per le attività e i viaggi studenteschi, e contrariamente a quanto diffuso nelle mail sopracitate, la non assegnazione del contributo ad una singola iniziativa, se in contrasto con i principi generali dell’ordinamento, non impedisce il finanziamento delle altre iniziative.

Esorto comunque il Consiglio degli Studenti ad esercitare il proprio dovere di controllo sul legittimo utilizzo di tutti i finanziamenti concessi, come disposto dall’art. 16, comma 2, lett. e) del sopra citato regolamento di Ateneo.

Il Rettore
Paolo M. Mancarella

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