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Studiare gli effetti della gravità alterata sui processi biologici, come accade ad esempio agli astronauti quando stanno a lungo nello spazio, e capire come porvi rimedio contrastando l’aumento di produzione di radicali liberi responsabili dell’invecchiamento cellulare. L’Università di Pisa è partner del progetto “PlanOx2” dell'Agenzia Spaziale Europea (ESA), insieme ad un consorzio internazionale di ricerca che comprende l’unità di ricerca di Gianni Ciofani dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT), il CNR di Marsiglia e l’Università di Amsterdam.
“Il progetto contribuirà alla comprensione dei meccanismi alla base dello stress ossidativo ed alla possibile prevenzione del danno a cui sono sottoposti gli astronauti durante i viaggi spaziali – spiega Alessandra Salvetti del Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale dell’ateneo pisano – ma più in generale lo studio potrebbe avere importanti ricadute in ambito biomedico, poiché si tratta degli stessi meccanismi che contribuiscono all’insorgenza di molte patologie degenerative come la distrofia muscolare”.
E proprio in queste settimane Alessandra Salvetti, insieme al collega dell’Università di Pisa Leonardo Rossi e ad Andrea Degl’Innocenti (IIT), si trova al Centro Europeo di Ricerca Spaziale e Tecnologica dell’ESA, a Noordwijk nei Paesi Bassi, per condurre una serie di test in condizioni di microgravità e di ipergravità. Gli esperimenti sono condotti su planarie, vermi di pochi millimetri con un corpo piatto che rappresentano un organismo modello molto studiato dagli scienziati per le loro considerevoli capacità rigenerative.
“In particolare – conclude Alessandra Salvetti – la nostra equipe sta cercando di capire come contrastare l’invecchiamento cellulare utilizzando uno smart material, le nanoparticelle di ceria, cioè ceramiche biocompatibili dall'eccezionale capacità antiossidante ed autorigenerante, in grado di contrastare l'insorgenza di radicali liberi”.

 

E’ il dottor Ermes Lo Piccolo, dottorando in Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali, il vincitore della prima edizione del premio di studio istituito dall’Università di Pisa su proposta del Comune di San Miniato e intitolato alla memoria del dottor Gino Melani, imprenditore sociale nel settore della manutenzione del verde.

Ermes, originario di Palermo dove è nato nel 1990, ha così vinto 1300 euro grazie alla sua tesi “Proposta di riqualificazione delle aree verdi del Polo Didattico Piagge - Pisa” svolta con il tutoraggio dei professori Damiano Remorini e Salvatore Brunello Consorti e, come correlatore, l’architetto Francesco Monacci. Un lavoro quello di Ermes che è stato particolarmente apprezzato tanto che il suo progetto è rientrato anche nel piano di sviluppo e valorizzazione degli spazi verdi dell’Università di Pisa di imminente realizzazione.

 

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Un momento della cerimonia di premiazione (Foto Paolo Giannotti, Università di Pisa), da sinistra: Marzia Fattori (Assessore a Lavori Pubblici, Ambiente e Difesa del suolo, Politiche Energetiche del Comune di San Miniato); Paolo Vernieri; Ermes Lo Piccolo; Ciro Degl’Innocenti (Segretario dell’Associazione Nazionale Direttori e Tecnici Pubblici Giardini); Lucia Natali (vice-direttrice del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali dell’Università di Pisa); Elena Melani (sorella di Gino)


La cerimonia di premiazione si è svolta lo scorso 12 aprile al Polo Piagge durante il convegno “Linee guida per la gestione del verde urbano” alla presenza di un centinaio di tecnici del verde, professionisti, studenti e docenti. Nell’occasione il professore Paolo Vernieri ha ricordato la figura di Gino Melani, brillante “studente di ritorno” (si era iscritto all’Università di Pisa diversi anni dopo l’inserimento nel mondo del lavoro), persona preparata e appassionata, da tutti apprezzata la gentilezza e sempre aperto a iniziative in campo sociale e a difesa dei soggetti svantaggiati.

Studiare gli effetti della gravità alterata sui processi biologici, come accade ad esempio agli astronauti quando stanno a lungo nello spazio, e capire come porvi rimedio contrastando l’aumento di produzione di radicali liberi responsabili dell’invecchiamento cellulare. L’Università di Pisa è partner del progetto “PlanOx2” dell'Agenzia Spaziale Europea (ESA), insieme ad un consorzio internazionale di ricerca che comprende l’unità di ricerca di Gianni Ciofani dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT), il CNR di Marsiglia e l’Università di Amsterdam.

“Il progetto contribuirà alla comprensione dei meccanismi alla base dello stress ossidativo ed alla possibile prevenzione del danno a cui sono sottoposti gli astronauti durante i viaggi spaziali – spiega Alessandra Salvetti del Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale dell’ateneo pisano – ma più in generale lo studio potrebbe avere importanti ricadute in ambito biomedico, poiché si tratta degli stessi meccanismi che contribuiscono all’insorgenza di molte patologie degenerative come la distrofia muscolare”.

 

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Nella foto, da sinistra: Andrea Degl'Innocenti, Alessandra Salvetti, Leonardo Rossi e sullo sfondo l’LDC, la “centrifuga” utilizzata per generareipergravità presso ilCentro Europeo di Ricerca Spaziale e Tecnologica dell’ESA, nei Paesi Bassi.


E proprio in queste settimane Alessandra Salvetti, insieme al collega dell’Università di Pisa Leonardo Rossi e ad Andrea Degl’Innocenti (IIT), si trova al Centro Europeo di Ricerca Spaziale e Tecnologica dell’ESA, a Noordwijk nei Paesi Bassi, per condurre una serie di test in condizioni di microgravità e di ipergravità. Gli esperimenti sono condotti su planarie, vermi di pochi millimetri con un corpo piatto che rappresentano un organismo modello molto studiato dagli scienziati per le loro considerevoli capacità rigenerative.

“In particolare – conclude Alessandra Salvetti – la nostra equipe sta cercando di capire come contrastare l’invecchiamento cellulare utilizzando uno smart material, le nanoparticelle di ceria, cioè ceramiche biocompatibili dall'eccezionale capacità antiossidante ed autorigenerante, in grado di contrastare l'insorgenza di radicali liberi”.

 

 

Due accademici e ricercatori, Gloria Spandre dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e Marco M. Massai, docente di Storia della Fisica all'Università di Pisa, sono autori di un "librino", come loro stessi lo definiscono, per bambini e ragazzi, ma anche adulti curiosi. Si tratta de "I racconti del Prof Henri. Come i fisici hanno aiutato i medici a curare le malattie" appena uscito per le edizioni LibriVolanti con le belle illustrazioni di Alice Milani e Tuono Pettinato.

 

Venerdì 20 aprile alle 14,30 si svolgerà a Livorno nell’aula biblioteca del Polo Universitario Sistemi Logistici (Viale dei Pensieri, 60) il workshop dal titolo “Evoluzione delle qualificazioni professionali in ambito logistico: accreditamento delle competenze”. Il workshop, moderato il professore Marco Giannini dell’Ateneo pisano, rientra nelle iniziative dirette a favorire un confronto tra il mondo della formazione universitaria, le associazioni di categoria e le aziende. La scelta di tenere l’incontro a Livorno, oltre alla presenza del Polo Universitario, è legata anche alla circostanza che proprio in questa città sarà attivato un nuovo corso di laurea magistrale su temi trattati nel workshop.
La segreteria dell’evento è a cura dell’Ufficio Relazioni Internazionali del Dipartimento di Economia e Management (+ 39 050 2216272).

Si è svolta sabato 14 aprile la ventiduesima edizione della Gara Nazionale di Programmazione della Macchina di Turing, competizione organizzata dal dipartimento di Informatica dell'Università di Pisa per studenti delle scuole medie superiori. L'obiettivo della gara è quello di introdurre gli studenti alle idee base della programmazione utilizzando il formalismo delle macchine di Turing, un formalismo facile da spiegare, ma che consente di esprimere un qualunque programma. Gli studenti, che partecipano in coppie, hanno tre ore di tempo per risolvere 10 problemi molto complessi, dovendo capire come codificarli in un programma che possono verificare utilizzando un simulatore on-line. Sulla scia della competizione nazionale, da quattro anni è nata la Gara della Regione Lazio e da tre quella della Regione Sardegna.
Alla competizione 2018 hanno partecipato 42 squadre di 23 istituti provenienti da molte regioni italiane, con diverse nuove adesioni rese possibili anche grazie al supporto del Rotary Club Pisa Galilei.
La classifica finale ha visto primeggiare l'Istituto "Michele Giua" di Cagliari, davanti al "Tullio Buzzi" di Prato con i ragazzi Tommaso Martorella e Davide Risaliti (nella foto in allegato) e al "Galileo Galilei" di Verona.
Sul sito http://mdt.di.unipi.it sono disponibili l’albo d’oro e i testi di tutte le edizioni.

La classifica completa dell'edizione 2018 è stata la seguente:
1) Piedimonte Giusto e Cadoni Valentino, IIS "Michele Giua", Cagliari.
2) Martorella Tommaso e Risaliti Davide, IIS "Tullio Buzzi", Prato.
3) Paolettoni Edoardo e Rizzotti Lorenzo, LSS "G. Galilei", Verona.
4) Terreni Vittorio e Delfino Leonardo, ITI "Galilei", Livorno.
5) Del Bono Luca Maria e Calligaris Lorenzo, Liceo Classico "Dante Alighieri", Latina.
6) Dal Forno Luca e De Bianchi Giacomo, LSS "G. Galilei", Verona.
7) Pjetri Erik e Morandini Davide, LS "Enrico Medi", Villafranca (VR).
8) Giovannini Simone e Maranghi Roberto, IIS "Tullio Buzzi", Prato.
9) Bonucci Leonardo e Amonov Shahruz, IIS "Tito Sarrocchi", Siena.
10) Xu Siyang e Dall’Armi Filippo, IIS "Einaudi - Scarpa", Montebelluna (TV).

 

Mercoledì, 18 Aprile 2018 09:57

Il “miracolo” dell’acqua a Pianosa

Poco più grande di 10 km2 e praticamente piatta, con un’altezza massima sul livello del mare di appena 29 metri. Sono queste le misure di Pianosa, una delle isole più caratteristiche dell’Arcipelago Toscano che inaspettatamente, nel sottosuolo, ospita un’importante riserva idrica oggi purtroppo a rischio. Proprio per tenere sotto controllo questa risorsa, in accordo con il Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano, un team di geologi guidati da Roberto Giannecchini del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa e da Marco Doveri dell’Istituto di Geoscienze e Georisorse del CNR dal 2014 ha avviato una rete di monitoraggio in continuo e svolge regolarmente tre o quattro campagne di campionamento e misurazioni annuali sull’isola.
Nota sin dall’epoca romana, la falda acquifera di Pianosa ha da sempre dissetato gli abitanti dell’isola, anche più di 1.500 alla fine degli anni ‘80 del Novecento quando il penitenziario, oggi piccola sede distaccata di Porto Azzurro, raggiunse il suo massimo sviluppo. Ma il sovrasfruttamento e la pressione antropica hanno messo a rischio questa risorsa sia in termini di volume, sia per l’ingresso di acqua di mare e di contaminanti nella falda, in particolare nitrati, legati alle attività agro-zootecniche associate al penitenziario.
“Pianosa oggi si regge praticamente su un unico pozzo vetusto, il solo superstite della trentina un tempo esistenti - spiega Roberto Giannecchini dell’Ateneo pisano - il nostro obiettivo è quindi quello di studiare il funzionamento di questo particolarissimo sistema acquifero, i suoi meccanismi di ricarica e la sua vulnerabilità rispetto allo sfruttamento e alla contaminazione del mare, grande nemica delle falde sotterranee, specialmente nelle aree insulari”.
Intanto, uno dei primi risultati è stato capire l’origine dell’acqua a Pianosa. Infatti, se da tempo molti ipotizzavano origini lontane (isola d’Elba o addirittura Corsica), i dati scientifici attualmente a disposizione suggeriscono che la risorsa idrica pianosina sia alimentata essenzialmente dalla poca acqua piovana che cade sull’isola e che trova un terreno permeabile per infiltrarsi e immagazzinarsi. Per il 2018 sono previste almeno 4 campagne, ciascuna di durata di circa una settimana.
“Dal punto di vista logistico, le campagne di studio a Pianosa sono sempre piuttosto avventurose, non ci sono infatti strutture ricettive specifiche per i ricercatori e anche il servizio marittimo è saltuario – racconta Giannecchini – ma nonostante le difficoltà, Pianosa rappresenta un luogo unico, pieno di fascino, un habitat pressoché incontaminato che fa dell’isola un laboratorio scientifico strategico nel contesto più ampio del Mediterraneo”.
“Per il sostegno alle nostre ricerche – conclude Giannecchini – è infine doveroso menzionare la direttrice Parco Naturale dell’Arcipelago Toscano Franca Zanichelli e il consigliere Alessandro Damiani, geologo elbano, e non ultimi i detenuti e l’Amministrazione della Casa di Reclusione di Porto Azzurro per l’indispensabile supporto logistico”.

Mercoledì, 18 Aprile 2018 08:57

I racconti del Prof Henri

cover libro massaiDue accademici e ricercatori, Gloria Spandre dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e Marco M. Massai, docente di Storia della Fisica all'Università di Pisa, sono autori di un "librino", come loro stessi lo definiscono, per bambini e ragazzi, ma anche adulti curiosi. Si tratta de "I racconti del Prof Henri. Come i fisici hanno aiutato i medici a curare le malattie" appena uscito per le edizioni LibriVolanti con le belle illustrazioni di Alice Milani e Tuono Pettinato.

Pubblichiamo di seguito la prefazione del volume.

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Questo “librino” vuole offrire un aiuto a tutti quei ragazzi che sono entrati in contatto, in un modo o nell’altro, con quelle pratiche della moderna medicina che appaiono sempre misteriose, affascianti e spesso anche inquietanti.

E’ scritto anche per i genitori di quei ragazzi, che spesso sono chiamati a rispondere a questioni non sempre così semplici, in particolare per chi non ha una conoscenza specifica della fisica e della tecnologia applicate alla medicina. Ecco, questo “librino”, oltre a essere un passatempo speriamo piacevole, grazie anche alle belle tavole di fumetti di Alice e Tuono, allo scopo di fornire gli strumenti concettuali, inseriti nel loro contesto storico, per cominciare a capire che dietro a quegli esami medici o a certe strane terapie, oltre al lavoro di grandi scienziati, vi sono molte idee e scoperte che vengono dalla fisica.

La fisica, che è la nostra disciplina, nel cui campo di ricerca abbiamo lavorato per tanti anni e che abbiamo insegnato con passione a centinaia di studenti.

Proprio come ha fatto il Prof Henri…

Ed è proprio questo immaginario Prof Henri, che potrebbe essere Henri Becquerel ma anche Enrico Fermi che, in occasione di un piccolo incidente racconta queste storie a suo figlio che dieci anni, è curioso, intelligente e si chiama Alberto. Chissa perché…

Gloria Spandre e Marco M. Massai

 

Mercoledì, 18 Aprile 2018 08:17

Il “miracolo” dell’acqua a Pianosa

Poco più grande di 10 km2 e praticamente piatta, con un’altezza massima sul livello del mare di appena 29 metri. Sono queste le misure di Pianosa, una delle isole più caratteristiche dell’Arcipelago Toscano che inaspettatamente, nel sottosuolo, ospita un’importante riserva idrica oggi purtroppo a rischio. Proprio per tenere sotto controllo questa risorsa, in accordo con il Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano, un team di geologi guidati da Roberto Giannecchini del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa e da Marco Doveri dell’Istituto di Geoscienze e Georisorse del CNR dal 2014 ha avviato una rete di monitoraggio in continuo e svolge regolarmente tre o quattro campagne di campionamento e misurazioni annuali sull’isola.

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Ricercatori a lavoro su un pozzo


Nota sin dall’epoca romana, la falda acquifera di Pianosa ha da sempre dissetato gli abitanti dell’isola, anche più di 1.500 alla fine degli anni ‘80 del Novecento quando il penitenziario, oggi piccola sede distaccata di Porto Azzurro, raggiunse il suo massimo sviluppo. Ma il sovrasfruttamento e la pressione antropica hanno messo a rischio questa risorsa sia in termini di volume, sia per l’ingresso di acqua di mare e di contaminanti nella falda, in particolare nitrati, legati alle attività agro-zootecniche associate al penitenziario.

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Isola di Pianosa



“Pianosa oggi si regge praticamente su un unico pozzo vetusto, il solo superstite della trentina un tempo esistenti - spiega Roberto Giannecchini dell’Ateneo pisano - il nostro obiettivo è quindi quello di studiare il funzionamento di questo particolarissimo sistema acquifero, i suoi meccanismi di ricarica e la sua vulnerabilità rispetto allo sfruttamento e alla contaminazione del mare, grande nemica delle falde sotterranee, specialmente nelle aree insulari”.

Intanto, uno dei primi risultati è stato capire l’origine dell’acqua a Pianosa. Infatti, se da tempo molti ipotizzavano origini lontane (isola d’Elba o addirittura Corsica), i dati scientifici attualmente a disposizione suggeriscono che la risorsa idrica pianosina sia alimentata essenzialmente dalla poca acqua piovana che cade sull’isola e che trova un terreno permeabile per infiltrarsi e immagazzinarsi. Per il 2018 sono previste almeno 4 campagne, ciascuna di durata di circa una settimana.

 

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Alcuni componenti del gruppo di ricerca, da sinistra: Marco Doveri (IGG-CNR PI), Chantal Maglia (laureanda DST-UNIPI), Enrico Calvi (IGG-CNR PI), Sandra Trifirò (IGG-CNR PI), Roberto Giannecchini (DST-UNIPI), Luciano Giannini (IGG-CNR FI). La foto è di Matia Menichini (IGG-CNR PI)


“Dal punto di vista logistico, le campagne di studio a Pianosa sono sempre piuttosto avventurose, non ci sono infatti strutture ricettive specifiche per i ricercatori e anche il servizio marittimo è saltuario – racconta Giannecchini – ma nonostante le difficoltà, Pianosa rappresenta un luogo unico, pieno di fascino, un habitat pressoché incontaminato che fa dell’isola un laboratorio scientifico strategico nel contesto più ampio del Mediterraneo”.

“Per il sostegno alle nostre ricerche – conclude Giannecchini – è infine doveroso menzionare la direttrice Parco Naturale dell’Arcipelago Toscano Franca Zanichelli e il consigliere Alessandro Damiani, geologo elbano, e non ultimi i detenuti e l’Amministrazione della Casa di Reclusione di Porto Azzurro per l’indispensabile supporto logistico”.

 

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