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Enrico Fermi, fisico teorico

Come in pochi altri casi nella storia della fisica (primo fra tutti quello di Galileo) cercare di separare il Fermi teorico da quello sperimentale è un’operazione chirurgica dall’esito dubbio, una sorta di lobotomia intellettuale scarsamente giustificabile. Ma ci proveremo ugualmente, ben coscienti di cogliere così soltanto alcuni tratti di un percorso scientifico ed esistenziale assai più articolato.

Enrico Fermi nasce a Roma il 29 settembre 1901. A quattordici anni, sconvolto per l’improvvisa perdita del fratello maggiore, cerca conforto nello studio della fisica, che affronta in modo del tutto singolare, studiando sul massiccio trattato di novecento pagine in latino Elementorum Physicae Mathematicae del padre gesuita Andrea Caraffa (acquistato su una bancarella a Campo dei Fiori).

Un ritratto giovanile di Enrico Fermi

Un ritratto giovanile di Enrico Fermi

Diventa anche amico di Enrico Persico (inizialmente amico del fratello), che condividerà con lui (e con Aldo Pontremoli, purtroppo destinato a scomparire presto, durante la disastrosa spedizione polare di Nobile) la vittoria della prima cattedra di Fisica teorica, bandita in Italia nel 1926.

Per il resto della carriera scolastica, Fermi appare ai suoi professori come uno studente bravo ma non eccezionale. In particolare la lucida stringatezza dei suoi componimenti, in un’epoca ancora caratterizzata da grande apprezzamento per la magniloquenza e l’enfasi retorica, gli procura voti sempre al limite della sufficienza nelle materie letterarie.

Al concorso di ammissione in Normale (1918) Fermi stupisce invece la Commissione per la sua straordinaria preparazione fisico–matematica. Trascorre poi gli anni universitari approfondendo, essenzialmente da autodidatta, lo studio della relatività generale e del calcolo tensoriale, della meccanica quantistica di Bohr–Sommerfeld, della fisica atomica. Il fisico sperimentale Puccianti, direttore dell’Istituto di Fisica dell’Università, gli chiede presto di organizzare seminari su queste materie, all’epoca del tutto sconosciute alla maggioranza dei fisici italiani.

I primi lavori teorici di Fermi, all’epoca studente del terzo anno, compaiono sul Nuovo Cimento nel 1921, e sono anche i primi manoscritti scientifici fermiani conservati nell’archivio della tipografia Lischi. Si tratta degli articoli Sull’elettrostatica di un campo gravitazionale uniforme e Sul peso delle masse elettromagnetiche, in cui è messa in evidenza un’apparente contraddizione tra il calcolo della massa effettuato nell’ambito della teoria di Lorentz e il principio einsteiniano di equivalenza, e Sulla dinamica di un sistema rigido di cariche elettriche in moto traslatorio. La contraddizione osservata da Fermi viene presto da lui risolta, e il risultato compare nel 1922 nei Rendiconti dell’Accademia dei Lincei, in cui compare anche, quello stesso anno, il primo contributo teorico veramente importante, con l’articolo Sopra i fenomeni che avvengono in vicinanza di una linea oraria, in cui sono introdotte le coordinate che in seguito verranno appunto dette “di Fermi”.

Ma è anche l’anno della tesi, che all’epoca non può che essere sperimentale (la prima tesi teorica in Italia fu quella di Giovannino Gentile, qualche anno dopo, e fu accettata solo perché l’esperimento che doveva servire da base per la sua tesi era fallito). La tesi, sui raggi Roentgen, non è molto brillante, malgrado nasca anche dalla collaborazione con Nello Carrara (futuro autorevole studioso di microonde) e con Franco Rasetti. Dà comunque luogo alla pubblicazione di due nuovi articoli sul Nuovo Cimento, di cui ci sono conservati i manoscritti: I raggi Roentgen e Formazione di immagini con raggi Roentgen.

Ma ormai Fermi è del tutto lanciato verso la fisica teorica, come dimostra la serie di articoli del 1923: Il principio delle adiabatiche ed i sistemi che non ammettono coordinate angolari, Alcuni teoremi di meccanica analitica importanti per le teorie dei quanti, Sulla teoria statistica di Richardson dell’effetto fotoelettrico, prodotti durante il semestre di permanenza a Göttingen alla scuola di Max Born, dove peraltro Fermi non si trovò particolarmente bene.

Tornato da Göttingen Fermi, il cui punto di rifermento in Italia è ormai Orso Mario Corbino, professore di fisica sperimentale a Roma, inizia a occuparsi dei problemi che la meccanica quantistica apre nel contesto della fisica statistica, prima con il lavoro Sulla probabilità degli stati quantici, poi nel gennaio 1924 con l’articolo Considerazioni sulla quantizzazione dei sistemi che contengono elementi identici, di cui abbiamo il manoscritto, e che rappresenta il primo passo verso quella che nel giro di un paio d’anni sarà una delle sue fondamentali, la cosiddetta statistica di Fermi–Dirac. L’ultimo manoscritto conservatoci è un articolo minore, Sull’equilibrio termico di ionizzazione, poiché in quell’anno sede e stampa del Nuovo Cimento passano a Bologna.

Dello stesso periodo è l’articolo Sulla teoria dell’urto fra atomi e corpuscoli elettrici, in cui Fermi elabora per primo il metodo dei quanti virtuali, che viene però fortemente criticato da Bohr, mentre sarà poi riscoperto e rivalutato all’avvento della nuova meccanica quantistica. L’incomprensione di Bohr ferisce Fermi, che a sua volta in seguito manterrà un atteggiamento molto scettico nei confronti dell’interpretazione della nuova meccanica quantistica offerta dal fisico danese.

La ricerca teorica di Fermi prosegue intensa, dapprima presso Ehrenfest a Leiden, dove scrive Sopra l’intensità delle righe multiple, ottenendo un accordo con i dati migliore di quello di Heisenberg e Sommerfeld, poi a Firenze, dove insegna fisica matematica ma inizia con Rasetti ricerche di tipo sperimentale.

Compare quell’anno la meccanica delle matrici di Heisenberg, che sta alla base della nuova meccanica quantistica, ma Fermi non ne è inizialmente convinto, mentre è affascinato dalla formulazione ondulatoria di Schrödinger (che poi si dimostrerà equivalente a quella di Heisenberg) e scrive Sulla meccanica ondulatoria dei processi d’urto.

Sono anni di grande e rapido progresso: in quello stesso 1925 Pauli (un altro giovane genio, che a 21 anni ha scritto un trattato di relatività ancor oggi di utilissima lettura) formula il principio di esclusione che porterà il suo nome, e che risulterà fondamentale anche per la comprensione della statistica degli stati quantici di particelle a spin semiintero. Fermi coglie immediatamente tutta la rilevanza del principio, e nel dicembre di quell’anno scrive Sulla quantizzazione del gas perfetto monoatomico, prima formulazione della statistica quantistica che porterà il suo nome, insieme a quello di Dirac, che la scoprirà indipendentemente da Fermi, ma soltanto sei mesi dopo.

Mancato vincitore del concorso di fisica matematica del 1925 (anche se Volterra e Levi–Civita votano per lui), nel 1926 vince, come s’è detto, la prima cattedra di fisica teorica (si noti che il secondo concorso fu bandito soltanto dieci anni dopo, e fu vinto da Wick, Racah e Gentile jr, mentre una cattedra ad hoc fu creata per Majorana, anche per evitarne la concorrenza).

Chiamato a Roma, all’Istituto che ha sede in via Panisperna, nel 1927 Fermi applica la propria statistica al modello atomico (modello di Fermi-Thomas), ma poi trova sul suo cammino un gruppo di giovani straordinari (di nuovo Rasetti, poi Segré, Amaldi e Pontecorvo) con i quali, quasi paradossalmente rispetto alla propria storia scientifica e alla cattedra appena vinta, ma lasciando spazio a una vocazione giovanile a lungo sopita, Fermi si lancia nella ricerca sperimentale, dapprima nella fisica atomica e molecolare, poi a partire dal 1929 nella fisica nucleare, nuova frontiera della ricerca di quegli anni.

Nel 1932 vengono scoperti il neutrone e il positrone, e Majorana formula il suo modello del nucleo. Due mesi dopo il settimo congresso Solvay (ottobre 1933), in cui tutti i nuovi temi della fisica del nucleo sono appassionatamente dibattuti, Fermi pubblica sul Nuovo Cimento (dopo che Nature ha ottusamente rigettato l’articolo) il Tentativo di una teoria dei raggi beta, contributo fondamentale, che contiene la teoria di Fermi delle interazioni deboli, in seguito universalmente accettata, e apre un nuovo capitolo della ricerca teorica nel campo delle interazioni fondamentali.

I principali risultati teorici di Fermi sono (quasi) tutti racchiusi all’interno del decennio 1922–1932: da quel momento Fermi si occupa quasi esclusivamente, e con risultati notoriamente eccezionali, di fisica sperimentale, fino agli ultimi anni di vita quando affiora in lui prepotente l’interesse per il calcolo elettronico e per le sue applicazioni alla fisica teorica (da cui anche il suggerimento ai fisici pisani di indirizzare le risorse raccolte per il sincrotrone poi costruito a Frascati verso la realizzazione di un calcolatore, che fu poi la CEP e diede inizio all’informatica pisana).

In quest’ambito si colloca anche il suo ultimo contributo teorico, scritto con Pasta e Ulam. È di nuovo un lavoro seminale, che si colloca nella direzione di quel campo di ricerca che sarà poi la moderna teoria del caos e dei sistemi complessi.

In merito alla straordinaria vocazione di Fermi teorico basterà forse richiamare le parole di Amaldi, che di lui ricorda la “capacità di cogliere immediatamente la legge generale nascosta dietro una tabella di dati sperimentali bruti”.

Paolo Rossi
docente di Fisica teorica, modelli e metodi matematici
paolo.rossi@df.unipi.it