Al via un nuovo Master in “Comunicazione Professionale in Ambito Internazionale e Interculturale”
Al via all’Università di Pisa un nuovo Master in “Comunicazione professionale in ambito internazionale e interculturale” (ComPInt) organizzato dal Dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica in collaborazione con il Consorzio Quinn.
“Oggigiorno il mondo del lavoro richiede figure professionali con competenze specifiche per produrre comunicazioni scritte, orali e multimodali che siano efficaci per un pubblico sempre più globale – spiega Belinda Crawford, direttrice del Master - Ed è proprio a questa esigenza che il Master ComPInt intende rispondere”.
Rivolto a laureati e professionisti in possesso di un titolo universitario triennale, il Master intende formare professionisti con spiccate abilità comunicative e competenze linguistiche capaci di operare in vari contesti professionali, aziende, organizzazioni pubbliche ed enti per la promozione del patrimonio culturale. Il percorso formativo è interdisciplinare – si va dalla comunicazione, all’economia, agli studi culturali - e multilingue - italiano, inglese e una seconda lingua straniera a scelta tra francese, portoghese, spagnolo, russo o tedesco. In linea con il profilo internazionale e interculturale del Master, alcuni moduli saranno sia lingua inglese che nelle altre lingue straniere previste a scelta dal piano didattico (francese, portoghese, spagnolo, russo o tedesco).
Le attività si svolgeranno da gennaio a luglio 2022 con la formula weekend per favorire la partecipazione, con il tirocinio nell’autunno 2022. Il Master permette di conseguire 60 crediti formativi universitari. Sono previste tre agevolazioni per la contribuzione sulla base dell’ISEE e della valutazione del curriculum.
Le iscrizioni sono aperte fino al 22 novembre.
Altre informazioni e il bando sono disponibili all'indirizzo: https://mastercompint.fileli.unipi.it/
Avviso di fabbisogno interno "Imputazione schede anagrafiche dei beneficiari diretti del progetto Radici"
Avviso di fabbisogno interno "Assistente al Project management e supporto alla rendicontazione amministrativa"
Incarico di lavoro autonomo - progetto Lo studio dell’evoluzione dei fenomeni corruttivi e delle mobilitazioni anticorruzione in Italia, dal 1946 a Tangentopoli/ Clean Hands”, nell’ambito dell’OPI, osservatorio sulla politica in Italia,
Avviso di fabbisogno interno un’attività di supporto alla ricerca dal titolo dal titolo “Coordinatore rilevazioni di terreno e studi di caso nel campo della programmazione e valutazione dei piani di zona”
Dati sull'affluenza alle elezioni del Consiglio di Amministrazione - 2021
Dati sull'affluenza alle elezioni RLS - 2021
Intervento di Giovanni Passalacqua
Rappresentante studenti
Signor Presidente, Autorità, Magnifico Rettore, Gentili ospiti,
vi porto i saluti a nome della comunità studentesca dell’Ateneo di Pisa.
L’inaugurazione di quest’anno accademico assume un estremo valore simbolico. Un anno in cui la componente studentesca prova a riavvicinarsi, a piccoli passi, agli spazi universitari, dopo un anno e mezzo di università a distanza, portando il peso di aver vissuto enormi e inaspettate difficoltà.
L’improvvisa transizione dalla didattica in presenza allo spazio virtuale ha infatti aumentato le disparità, compromettendo l’accesso all’istruzione a coloro che non abbiano a disposizione delle strumentazioni idonee. Il senso di profonda alienazione provato dietro ad uno schermo è quanto di più diverso dal vivere l’esperienza dell’università nella sua pienezza, un’esperienza che trascende la singola lezione, in una dimensione comunitaria e sociale. Tutto questo accompagnato da una completa marginalizzazione dell’Università e della sua componente studentesca all’interno del dibattito pubblico: quando, in questa pandemia, abbiamo sentito parlare di componente studentesca universitaria? E di ricerca pubblica?
È per questo, quindi, che mi chiedo, a nome della comunità studentesca, se l’Università, all’indomani della riapertura, sia veramente accessibile a chiunque.
Per renderla tale non è sufficiente adottare turnazioni e distanziamenti al fine di ovviare alla mancanza di aule, perché sono decenni che l’università non dispone di spazi adeguati: basti pensare a quando seguivamo le lezioni sedendoci a terra e ai tanti corsi in cui è stato istituito il numero chiuso per mancanza di strutture.
È necessario poi che la componente studentesca non sia sottoposta al ricatto: risparmiare o seguire? Guardando alla nostra Pisa, sono due anni che non viene rinnovata la convenzione trasporti urbani per la popolazione studentesca, ed è l’unica città universitaria i cui canoni di locazione durante la pandemia sono addirittura aumentati.
Analogamente, a livello nazionale, la contribuzione universitaria continua ad essere tra le più alte d’Europa e continua ad esistere la figura dell’idoneo non beneficiario, ossia chi pur avendone diritto, non riceve una borsa di studio e un posto alloggio per insufficienza di fondi. Gli stanziamenti straordinari operati durante il 2020 dal Governo non sono stati sufficienti, così come le misure contenute nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza non contengono soluzioni per le reali problematiche della componente studentesca.
Se veramente riconosciamo il valore fondamentale dell’università in presenza, come possiamo pensare che a seguito di una crisi economica dalla portata devastante le famiglie siano in grado di sostenere questi costi, già proibitivi prima della pandemia?
Tenendo conto che il numero di giovani laureati in Italia è tra gli ultimi d’Europa, oggi più che mai è necessario superare le logiche competitive, puntando ad un’università pubblica, gratuita, inclusiva e di massa, per riconoscere l’importanza fondamentale della cultura, che soltanto tramite la formazione accademica può essere diffusa all’intera società.
Diversamente, i nuovi problemi acuiranno le disparità, ed impediranno l’agognato progresso sociale.
Ci auspichiamo quindi che la pandemia rappresenti non un periodo difficile e buio da destinare all'oblio, ma che l’inizio di questo anno accademico sia un'occasione per invertire la rotta, rendendo così l'Università Pubblica Italiana più di un mezzo per acquisire un titolo da spendere eventualmente in un futuro sempre più precario, ma un luogo vissuto e reale di comunità e partecipazione, fucina di cultura e di ricerca. Di cui, oggi più che mai l’Italia ha bisogno.
Intervento di Elena Orbini Michelucci
Rappresentante del personale tecnico- amministrativo
Signor Presidente della Repubblica, Signora Ministra,
Magnifico Rettore, Signore e Signori,
Signor Presidente, è un grande onore darLe il benvenuto all’Università di Pisa. La Sua presenza in questo Ateneo riconsegna ai nostri studenti e a noi tutti quella fiducia e speranza nel futuro che la pandemia ci aveva sottratto.
In questi momenti, per un paese civile che vuole anticipare il futuro, l’attenzione delle istituzioni nei confronti della formazione universitaria e della ricerca scientifica deve essere prioritaria.
Qui, come affermava Umberto Eco, ci si occupa di cose di cui i mass media parleranno tra 20 anni.
Un paese che investe nell’Università è, quindi, un paese che ha 20 anni di vantaggio rispetto alla storia. E questo periodo pandemico ha dimostrato, oggi come non mai, quanto sia provvidenziale una ricerca scientifica avanzata.
In proposito, sono certa che i miei colleghi del personale tecnico amministrativo, di cui ho il privilegio di far parte, saranno in grado di garantire il supporto necessario perché l’Università continui ad essere il luogo della conoscenza e del progresso.
Mi riferisco infatti ai colleghi informatici che, in piena pandemia, non si sono arresi agli eventi ed hanno consentito, attraverso l’attivazione di piattaforme digitali, lo svolgimento dei servizi a supporto dell’attività didattica e di ricerca.
O agli amministrativi che, grazie al lavoro a distanza, hanno modificato, sulla base delle nuove emergenze, il modo di lavorare continuando a svolgere le mansioni a cui erano preposti per garantire che l’intera organizzazione universitaria non si fermasse.
E difatti nessuno di noi si è fermato. Lavorare a distanza non ha significato non lavorare, ma piuttosto lavorare di più, anche grazie a quel particolarissimo senso di appartenenza all’istituzione che si può trovare, a mio parere, solo tra chi lavora nell’Università e che nasce dal fatto che, per molti di noi, questo è anche il luogo in cui ci si è formati e si è cresciuti come persone e come professionisti.
Da questo punto di vista, credo che uno speciale tributo di riconoscenza debba essere offerto a tutte le nostre colleghe, le quali notoriamente sappiamo essere sempre strette tra impegni familiari e lavorativi e che, ciononostante, non si sono risparmiate minimamente. Come sempre, vorrei aggiungere.
Donne che lavorano che, tuttavia, seppur numerose, ancor oggi soffrono di un comprovato svantaggio di genere all’interno dei luoghi di lavoro, nessun escluso, in favore delle quali deve essere introdotto un “diritto diseguale” per garantire l’uguaglianza.
Ma l’Università è un luogo aperto, aperto alle esigenze di questo Paese e delle persone e, per tale ragione, nutro speranza che si trovino risorse che possano essere utilizzate per il reclutamento di giovani studiosi, che possano contribuire al progresso scientifico, magari qui, in Italia, anziché all’estero, per concrete politiche di riconoscimento professionale del personale, che passino anche attraverso livelli retributivi più in linea con le medie dei principali paesi europei, e per azioni che promuovano la parità di genere.
L’Università ha bisogno di attenzione e investimenti da parte del Paese e il Paese ha bisogno di una buona Università, di una Università avanzata, proiettata verso le nuove sfide che ci riserva il futuro.
Sig. Presidente e signora Ministra chiedo a Voi di farvi promotori delle sollecitazioni che oggi questo palco vi ha rivolto.
Grazie per l’attenzione.
Intervento di Daniele Mazzei
Ricercatore senior di Informatica
Signor Presidente, Signora Ministra, Magnifico Rettore,
Il 30 aprile del 1986, dal CNR di Pisa, partì il primo collegamento Internet Italiano.
Io avevo poco meno di 4 anni, non avevo certo idea di cosa stesse accadendo e di come il mondo sarebbe cambiato di lì a poco.
Tuttavia, per qualche strano motivo, cominciai a dire in giro che da grande avrei fatto “l’uomo dei computer”!
Così, finite le scuole superiori sono venuto a Pisa e mi sono iscritto a Ingegneria Biomedica, perché dentro di me ho sempre sentito il bisogno di lavorare a qualcosa di tecnologico ma che al contempo fosse vicino all’uomo…
Ho avuto la fortuna di entrare nei laboratori del Centro di ricerca Enrico Piaggio quando ero ancora uno studente della triennale e ho iniziato a costruire “bioreattori”, delle macchine che consentono di coltivare cellule umane e animali in vitro simulando le condizioni fisiologiche di un organismo, permettendo quindi ai ricercatori di testare farmaci e terapie in vitro, riducendo notevolmente il numero di cavie animali necessarie per la sperimentazione.
Mi sono poi avvicinato al mondo della robotica e anche in questo caso ho puntato sulla robotica destinata all’interazione con l’uomo, la robotica sociale.
Ho lavorato al robot FACE, sviluppando insieme ad altri colleghi un sistema di intelligenza artificiale che gli consente di riprodurre espressioni facciali ispirate a quelle umane e di “provare emozioni” (se così si può dire per un robot).
Grazie a queste peculiarità, FACE è stato definito come uno dei robot sociali più “espressivi” mai costruiti.
Alla fine, ho lasciato ingegneria e sono diventato veramente “l’uomo dei computer”… oggi sono un ricercatore di informatica e mi occupo di quella che in Accademia chiamiamo “Interazione uomo macchina”.
L’interazione uomo macchina è lo studio delle relazioni che si stabiliscono fra umani e sistemi tecnologici quali computer, cellulari, oggetti smart, siti web etc.
Studiare queste relazioni ci consente di progettare sistemi migliori, più facili da usare e quindi più utili per gli utenti finali.
Lo studio dell’interazione uomo macchina è importante perché da quando 34 anni fa abbiamo mandato quel primo messaggio Internet, è partita una corsa al progresso tecnologico con un impianto fortemente tecnocentrico.
Abbiamo sviluppato tecnologia con l’unico obiettivo di migliorarne le prestazioni e superare così la versione precedente…Una sorta di corsa contro il tempo e contro noi stessi…
Questo atteggiamento unidirezionale ha portato ad una sorta di dittatura del progresso che non avendo tempo per fermarsi ad aspettare gli utenti li ha lasciati indietro creando così uno scollamento fra il mondo tecnologico e quello reale, quello delle persone.
La verità è che purtroppo noi scienziati, tecnici e ricercatori non abbiamo mai dedicato abbastanza tempo a rendere la tecnologia usabile e quindi usata e compresa dagli utenti.
Ci siamo sempre accontentati di inventarla, di scoprirla.
E’ per questo motivo che oggi sui giornali leggiamo che “i robot toglieranno il lavoro agli umani” e che “l’intelligenza artificiale penserà al posto delle persone rendendoci tutti degli schiavi”. Queste aberrazioni sono dovute ad una percezione distorta della realtà tecnologica e di questo un po’ abbiamo colpa anche noi scienziati.
Lo studio dell’interazione fra uomo e macchina ci porta invece a trattare la tecnologia non come obbiettivo ma come mezzo. Un mezzo utile per migliorare la vita delle persone.
E’ quindi necessario cambiare il modo in cui si pensa e si progetta la tecnologia ,mettendo l’uomo e quindi l’utente al centro del processo di ricerca e sviluppo.
Questo è ciò che chiamiamo Design Antropocentrico ed è al centro di un nuovo modello di sviluppo tecnologico definito dalla Comunità Europea come Industria 5.0.
L'obiettivo del paradigma industria 5.0 è infatti quello di sviluppare tecnologia per migliorare la vita delle persone, ridurre le emissioni inquinanti e dare vita a processi industriali e modelli di business sostenibili che sfruttino le nuove tecnologie.
I robot industriali 5.0 devono quindi collaborare con le persone diventando co- bot.
L’intelligenza artificiale deve essere progettata per coadiuvare la mente umana nella risoluzione di problemi complessi, non per sostituirla.
Ma soprattutto, un approccio antropocentrico allo sviluppo tecnologico prevede che la tecnologia sia accessibile a tutti, e quindi, anche ai più deboli, agli anziani, ai diversamente abili e a tutte quelle categorie che tipicamente con l’approccio tecnocentrico sono considerate come “fuori standard” e quindi per loro l’unica soluzione è costruire soluzioni “speciali”.
In qualche modo possiamo dire che il design antropocentrico punta a umanizzare la tecnologia!
Per fare questo però, non basta cambiare solamente il punto di vista dei ricercatori e degli addetti ai lavori, è necessario a mio parere, mettere in discussione l’intero impianto del sistema della ricerca.
Una ricerca antropocentrica non può essere organizzata in silos verticali incapaci di comunicare fra loro. Nel design antropocentrico, informatica, psicologia e neuroscienze sono elementi indispensabili, ma in Accademia queste discipline sono spesso molto distanti.
Una tecnologia antropocentrica è per definizione interdisciplinare.
E’ necessario quindi andare oltre la rigida settorialità delle discipline scientifiche ed è necessario puntare sulla compenetrazione fra le scienze, e le tecniche.
Inoltre, non basta più limitarsi ad “inventare una nuova soluzione”, è necessario far sì che questa soluzione venga effettivamente adottata e utilizzata dalla società e che quindi esca dai laboratori di ricerca e approdi nel mondo reale attraverso il mercato.
Per fare questo è fondamentale investire nel trasferimento tecnologico, quello che noi accademici chiamiamo “terza missione”, ma purtroppo, negli ultimi anni, il trasferimento tecnologico è stato visto come una sorta di optional della ricerca.
Non dobbiamo dimenticare infatti, che l'università ha il dovere di contribuire alla crescita del paese e per fare questo deve occuparsi anche di garantire che il risultato del proprio lavoro si trasferisca agli altri settori produttivi.
Il PNRR è un’opportunità imperdibile, abbiamo finalmente la possibilità concreta di cambiare la traiettoria del Paese e riportare l’Italia fra i grandi del mondo. Per fare questo dobbiamo però avere il coraggio di andare oltre le briglie che da troppo tempo ingessano il nostro sistema accademico e rilanciare il dialogo fra imprese e Università che negli ultimi anni si è pericolosamente indebolito.