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La libertà delle minoranze religiose nella tesi di Ciampi e nell’Italia di oggi

Non sempre è facile conciliare la libertà religiosa con quella di coscienza. Quest’ultima si presenta come un concetto sfuggente; filosoficamente significativo ma quasi privo di contenuto giuridico. Un tema affrontato da Carlo Azeglio Ciampi nella propria tesi di laurea in Giurisprudenza, stesa in un contesto storico molto diverso da quello odierno. E dunque alcuni interrogativi che Ciampi cercava di sciogliere nella sua tesi possono ritenersi ancora attuali: il sistema concordatario è compatibile con la libertà religiosa? La libertà religiosa individuale è sufficiente a garantire la libertà delle coscienze? La libertà religiosa può essere affermata in modo indipendente dal modello di relazioni attuato dallo Stato con le Confessioni religiose?

Leggendo la tesi di Carlo Azeglio Ciampi, ancorché a distanza di oltre 60 anni dalla sua redazione, si capisce perché il relatore dell’epoca l’abbia approvata “senza chiedere nessuna modifica”. Si tratta di un lavoro condotto con metodo sicuro, impostato col rigore che proveniva, se non proprio dalla frequenza delle aule delle facoltà giuridiche - resa difficile dalle circostanze belliche - dagli studi precedenti. Dalla sua lettura emergono interessi, passioni (per certi versi direi anche ansie) personali(1), radicate in un amore sincero per la libertà che portava quel giovane venticinquenne, nell’Italia del 1945, a misurarsi con un tema che - come egli stesso afferma - “dà senso ad una vita”(2). Seguendo una tradizione consolidata, il tema della libertà di religione è affrontato nell’ottica della “madre di tutte le libertà”. Innanzitutto in chiave storica, ma poi anche dal punto di vista ermeneutico, presentandosi come un “concetto squisitamente filosofico” che tuttavia, nella vita concreta, può essere conculcato, negato o limitato dal diritto(3). Una realtà quindi giuridicamente significativa, ben presente al giovane Ciampi, che con la dottrina dominante distingueva la libertà di coscienza dalla libertà di culto. Entrambe negate dall’ordinamento precostituzionale che quello studente aveva sotto gli occhi, per il quale la libertà religiosa valeva come libertà della Chiesa cattolica, e ammetteva la presenza di altri culti soltanto a determinate condizioni; senza nemmeno concepire la possibilità di concettualizzare la libertà di coscienza. La coscienza è qualcosa di vago, che ancora oggi sfugge alla dimensione giuridica: era semplicemente impensabile supporre la libertà di coscienza in termini giuridicamente significativi. Tutto sommato da questo punto di vista Ciampi si mostra un uomo del suo tempo. In linea col clima “cattolicocentrico” dell’epoca. La posizione di fatto subordinata delle minoranze religiose non lo impressionava. Avrebbe preferito che in termini di principio fossero considerate libere e non solo tollerate, ma non arrivava a rivendicare per loro un piede di parità. Egli accettava nella sostanza anche il sistema concordatario; non vi ravvisava contraddizioni privilegiarie. Tuttavia contestava in modo aperto e fermo il confessionismo albertino; più esattamente la sua declinazione fascista, stigmatizzata attraverso la critica serrata alle norme che in definitiva imponevano la religione cattolica come l’unica religione dello Stato. Di modo che alla base del diritto ecclesiastico italiano dell’epoca stavano “due principi - a suo avviso - inconciliabili: religione dello Stato e libertà religiosa”(4). Benché formate su basi giuridiche le conclusioni della tesi di Ciampi sono però apertamente politiche. Guardano espressamente alla discussione costituzionale che era in corso e invitano alla ricerca di una soluzione “all’italiana”, tale da ripudiare sia il regime confessionista sia un laicismo integrale. Com’è in sostanza avvenuto. La Costituzione avrebbe potuto contenere il “riconoscimento della tradizione cristiana dal punto di vista storico e dell’importanza dei problemi e delle esigenze del sentimento religioso; ma niente di più”(5). Nessun accomodamento poteva essere concesso sul piano dogmatico, né alla Chiesa cattolica né agli altri culti. E soprattutto andavano evitate soluzioni contingenti basate su valutazioni della “politica spicciola”: la legislazione doveva essere animata da un sincero sentimento di religiosità, che “negli spiriti nobili aleggia al di sopra di ogni confessione religiosa”(6). Sullo sfondo delle riflessioni di Ciampi appare la difficile relazione fra libertà di religione e libertà di coscienza che tuttora rimane uno scoglio nel dibattito giuridico e politico. La prima presenta un contenuto sia filosofico sia giuridico, l’altra solo filosofico. In effetti la dottrina ecclesiasticistica dell’epoca, come per la verità anche quella post costituzionale e in certa parte odierna, ha utilizzato le due espressioni in modo intercambiabile, senza svelare questa ambiguità. Un approccio nel passato giustificabile per via delle diverse concezioni filosofiche e contingenze storiche, ma non più accettabile oggi(7), specie se si considera che oramai le norme internazionali mettono sullo stesso piano, e insieme distinguono, la garanzia della libertà di religione e quella di coscienza. La Carta costituzionale invece prende in considerazione esplicita solo la prima, senza fare menzione dell’altra: autorizzando persino una lettura paradossale che argomenti adducendo l’assenza di un diritto costituzionale alla libertà di coscienza.

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Fino al punto che un tema che sembrava chiaro, ossia quello della relazione biunivoca tra libertà religiosa e libertà di coscienza, diventa oggi problematico. Francesco Finocchiaro (nel Manuale ancora adottato in molte facoltà) insegna “l’irrilevanza giuridica della libertà di coscienza”(8). Risultati analoghi raggiunge anche la tesi che tradizionalmente si oppone a questa lettura (che comunque resta maggioritaria), vale a dire l’opinione espressa - direi con una costanza invidiabile - da Piero Bellini, il quale distingue nettamente la libertà di coscienza (ch’egli chiama “della coscienza”) da quella religiosa(9) allo scopo di ricomprendere fra le garanzie costituzionali anche la libertà dell’ateismo. Anch’egli segnala tuttavia che la libertà di coscienza è un concetto spirituale, “sprovvisto di una diretta rilevanza d’ordine giuridico”(10). Altri hanno però segnalato che il silenzio della costituzione sulla libertà di coscienza nasce dal fatto che essa “si colloca, come diritto ‘naturale’ primordiale ed essenziale, nell’area di rispetto della personalità dell’uomo, nel rispetto cioè dell’opinione di ciascuno di comportarsi appunto secondo il proprio arbitrio”(11). Vista da qui la questione cambia prospettiva, esce dal recinto del rapporto coscienza-religione per impiantarsi in un campo dove la coscienza si presenta come fondamento e criterio di se stessa; al di là, oltre (prescindendo), dalle dinamiche religiose. E invade per questa via i temi bioetici che affrontano esattamente questioni di coscienza, ovviamente anche religiosa, ma non più soltanto religiosa. Da questo angolo visuale credo si debba ammettere che l’assenza di una esplicita menzione costituzionale relativa alla libertà di coscienza costituisce ormai una deficienza non più armonizzabile ricorrendo alla sola attività interpretativa(12). Un “ecclesiasticista contemporaneo” (che poi sarei io!) non poteva non premettere questa alle altre osservazioni di contesto suscitate dalla lettura della tesi di Ciampi rapportata all’Italia multiculturale e multireligiosa degli anni 2000. Su questo versante la distanza tra gli argomenti di ieri e quelli di oggi appare enorme, anche se alcuni dei problemi presenti nel primo dopoguerra appaiono tuttora con contorni analoghi. Le circostanze storiche sono però molto diverse: è persino superfluo starlo a ricordare. La Costituzione ha fatto cadere il principio della religione di Stato (anche se molti hanno sentito l’esigenza di ribadirlo, a scanso d’equivoci, al momento della revisione concordataria) e ha proclamato il principio della uguale libertà di tutte le Confessioni religiose. Il panorama socio-religioso è molto cambiato. La società non è più omogenea dal punto di vista religioso né etico. Il pluralismo culturale è più marcato e tanta parte della presenza religiosa tende a mescolare i propri caratteri spirituali con contenuti culturali, realizzando forme di secolarizzazione che scadono in una malintesa religiosità civile. Sotto questo profilo le ragioni della “politica spicciola”, temuta da Ciampi, sembrano aver prevalso. Ottenuta, non senza fatica, la revisione del Concordato del 1929 e avviata nella seconda metà degli anni Ottanta del secolo passato una stagione di intese con le Confessioni religiose diversa dalla cattolica, tutto si è di colpo fermato. La legge del 1929 sui “culti ammessi”, quella studiata e criticata dal giovane Ciampi, è tuttora vigente: sicché abbiamo un quadro ordinamentale che ancora ricorda i campionati sportivi. Una disciplina di serie A concerne la Chiesa cattolica, stabilmente collocata sotto l’ombrello 20 dell’art. 7 Cost.; la serie B tocca alle Confessioni religiose i cui rapporti sono regolati per legge sulla base di intesa, ai sensi dell’art. 8 Cost.; la serie C vede protagoniste quelle Confessioni religiose che hanno sottoscritto l’intesa col Governo, ma attendono (da una decina d’anni) che il Parlamento si prenda cura di loro; la serie C1 tutte le altre, poste nel cono d’ombra della legge fascista del ’29, all’epoca enfaticamente chiamata Magna Charta libertatum, e oggi simulacro di una stagione della quale non possiamo vantarci. Peraltro in questo contesto va considerato che le religioni numericamente più significative (leggi pure l’Islam o i Testimoni di Geova) non hanno ancora potuto stabilire con lo Stato contatti improntati al modello costituzionale, e vengono perciò trattate con strumenti di polizia ecclesiastica - per usare un’espressione ottocentesca - non proprio armonici rispetto allo spirito costituzionale. L’odierno quadro della libertà religiosa non presenta tinte rosee. La libertà religiosa è messa a dura prova da uno scarso senso di laicità dello Stato, tanto evocata quanto poco praticata; che scricchiola sotto un malinteso presupposto di naturale subordinazione alla inclinazione religiosa della Chiesa dominante, i cui principi dogmatici sembrano essere diventati i punti di riferimento morale della maggioranza politica di turno (appunto, “politica spicciola”). Sicché le domande poste dallo studente Ciampi restano tutte attuali: il sistema concordatario è compatibile con la libertà religiosa? La libertà religiosa individuale è sufficiente a garantire la libertà delle coscienze? La libertà religiosa può essere affermata in modo indipendente dal modello di relazioni attuato dallo Stato con le Confessioni religiose? Aggiungeremmo oggi: quale rapporto sussiste fra democrazia, laicità e libertà religiosa? Troppe volte la questione della libertà religiosa viene trattata con un approccio istituzionale, quasi il suo campo d’azione si esaurisse nella dinamica dei rapporti fra ordinamenti. Se ne fa un banco di prova delle relazioni fra poteri (quello statale da un lato e quello religioso dall’altro), mentre essa si dispiega prevalentemente attraverso l’esercizio delle libertà personali. Che dire di un ordinamento giuridico che distingue fra “diritti degli autoctoni” (sebbene cittadini) e degli stranieri, finendo per differenziare la tutela stessa dei diritti umani? È seguendo quest’onda pasticciata che un sindaco del bresciano ha creduto di poter legittimamente vietare ai non cristiani la circolazione in un raggio di 15 metri dalle chiese cattoliche; e un suo collega ha vietato ai musulmani di parlare in pubblico lingue diverse dall’italiano (un sindaco del bellunese ha concesso l’uso del dialetto del luogo).

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Notizie del genere si susseguono con una certa regolarità. Non sono più casi isolati, ma la punta di un pericoloso iceberg che racconta una diminuita attenzione alle esigenze di libertà - che, detto per inciso, non possiamo più distinguere fra libertà delle minoranze e della maggioranza, dato che la libertà è una ed eguale - offuscata dalla domanda popolare di sicurezza. Talvolta reale; molte volte strumentalizzata. Di fronte a una simile realtà viene voglia di dire - senza falsa modestia - per fortuna il diritto ecclesiastico è ancora vivo! La nostra facoltà di Giurisprudenza vanta una lunga e forte tradizione di impegno in questa disciplina: tuttora i nostri studenti possono sperimentare lo studio di temi che, come ha chiosato il loro collega Ciampi, danno senso a una vita. Pensando all’impegno civile e di studio che ci sfida per il futuro, colgo l’occasione anch’io per ringraziare tutti gli intervenuti, i colleghi, i laureati in diritto ecclesiastico e diritto canonico, gli studenti che hanno voluto oggi stringersi idealmente al Presidente Ciampi, cui va un deferente omaggio e un sentito ringraziamento per averci dato l’opportunità di riunirci, non senza orgoglio, per riflettere, a partire dal diritto ecclesiastico, sulle ragioni profonde di un impegno civile indirizzato alla promozione delle libertà.

Pierluigi Consorti
docente docente di Diritto ecclesiastico
consorti@ddp.unipi.it.

Note

(1) C.A. Ciampi, La libertà delle minoranze religiose, Il Mulino, Bologna, 2009, p.75.
(2) Ivi, p.7.
(3) p.76
(4) p.153.
(5) p.158 .
(6) p.159.
(7) G. Catalano, Considerazioni attuali sul diritto di libertà religiosa, 1957 (ora pubblicato in Il diritto di libertà religiosa, Bari, Cacucci, 2007), pp.87-92 (la cit. p.88).
(8) La definizione si trova identica dalla prima edizione del manuale (F. Finocchiaro, Diritto ecclesiastico, Zanichelli, Bologna, 1986, p.132) all’ottava (2000, p.175).
(9) La tesi è dapprima sostenuta in Principi di diritto ecclesiastico, Milano, Cetim, 1987, p.167 (ma la prima edizione è del 1972), e poi ripresa più volte fino all’ultimo Il diritto di essere se stessi: iscorrendo dell’idea di laicità, Torino, Giappichelli, 2007.
(10) Bellini, Principi, p.167.
(11) P. Barile, Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, Bologna, Il Mulino, 1984, p.63.
(12) Su questo si vedano le tesi più volte espresse da M. Tedeschi, ad esempio in Per uno studio del diritto di libertà religiosa, in Libertad y derecho fundamental de libertad religiosa, Madrid, 1989, p.220.