Selezione per n. 4 unità di personale presso varie strutture di Ateneo. Scad. 18/01
Selezione per n. 4 tecnologi presso la Dir. Servizi per la Ricerca. Scad. 20/01
Le piante si proteggono dal troppo sole grazie a speciali proteine “interruttore”
Se c’è troppo sole le piante si proteggono grazie a speciali proteine che agiscono come “interruttori” per accendere e spegnere specifiche interazioni tra molecole. La caratterizzazione di questo meccanismo che consente alle piante di sopravvivere a diverse condizioni di luce arriva da uno studio pubblicato sulla rivista Nature Communications e nato dalla collaborazione delle Università di Pisa e di Ginevra.
“Capire le strategie con le quali le piante riescono a proteggersi dall’eccessiva luce è importante per la nostra comprensione del mondo che ci circonda, ma non è solo questo e infatti comprendere le loro strategie di adattamento è estremamente importante per riuscire ad aumentare la produttività delle colture”, spiega la professoressa Benedetta Mennucci dell’Università di Pisa, che assieme al professor Francesco Luigi Gervasio dell’Università di Ginevra ha coordinato lo studio.
“La proteina che abbiamo studiato è presente nel fotosistema della piante ed ha il compito di raccogliere la luce solare e trasferire l’energia assorbita ad altre proteine, che portano avanti il processo fotosintetico”, racconta Edoardo Cignoni, dottorando dell’Università di Pisa, “per far questo contiene degli aggregati di molecole, clorofille e carotenoidi, che sono i principali protagonisti nella cattura della luce. Le nostre simulazioni di dinamica molecolare insieme ai calcoli quantomeccanici hanno mostrato come i moti della proteina riescono a controllare i processi fotoprotettivi, accendendo e spegnendo specifiche interazioni tra le molecole”.
Il gruppo di ricerca della professoressa Benedetta Mennucci (MoLECoLab) si studia, attraverso modelli computazionali multiscala, la risposta di sistemi biologici alla luce. Il lavoro della professoressa Mennucci è finanziato dal progetto European Research Council (ERC) Advanced Grant LIFETimeS.
Allo studio hanno inoltre partecipato il dottor Lorenzo Cupellini dell’Università di Pisa, Margherita Lapillo, all’epoca post-doc nel gruppo della professoressa Mennucci, e Silvia Acosta-Gutiérrez, all’epoca post-doc nel gruppo del professor Gervasio.
Le piante si proteggono dal troppo sole grazie a speciali proteine “interruttore”
Se c’è troppo sole le piante si proteggono grazie a speciali proteine che agiscono come “interruttori” per accendere e spegnere specifiche interazioni tra molecole. La caratterizzazione di questo meccanismo che consente alle piante di sopravvivere a diverse condizioni di luce arriva da uno studio pubblicato sulla rivista Nature Communications e nato dalla collaborazione delle Università di Pisa e di Ginevra.
“Capire le strategie con le quali le piante riescono a proteggersi dall’eccessiva luce è importante per la nostra comprensione del mondo che ci circonda, ma non è solo questo e infatti comprendere le loro strategie di adattamento è estremamente importante per riuscire ad aumentare la produttività delle colture”, spiega la professoressa Benedetta Mennucci dell’Università di Pisa, che assieme al professor Francesco Luigi Gervasio dell’Università di Ginevra ha coordinato lo studio.
“La proteina che abbiamo studiato è presente nel fotosistema della piante ed ha il compito di raccogliere la luce solare e trasferire l’energia assorbita ad altre proteine, che portano avanti il processo fotosintetico”, racconta Edoardo Cignoni, dottorando dell’Università di Pisa, “per far questo contiene degli aggregati di molecole, clorofille e carotenoidi, che sono i principali protagonisti nella cattura della luce. Le nostre simulazioni di dinamica molecolare insieme ai calcoli quantomeccanici hanno mostrato come i moti della proteina riescono a controllare i processi fotoprotettivi, accendendo e spegnendo specifiche interazioni tra le molecole”.
Il gruppo di ricerca della professoressa Benedetta Mennucci (MoLECoLab) si studia, attraverso modelli computazionali multiscala, la risposta di sistemi biologici alla luce. Il lavoro della professoressa Mennucci è finanziato dal progetto European Research Council (ERC) Advanced Grant LIFETimeS.
Allo studio hanno inoltre partecipato il dottor Lorenzo Cupellini dell’Università di Pisa, Margherita Lapillo, all’epoca post-doc nel gruppo della professoressa Mennucci, e Silvia Acosta-Gutiérrez, all’epoca post-doc nel gruppo del professor Gervasio.
In ricordo del professore Pier Luigi Maffei
E’ scomparso all'inizio di dicembre all’età di 82 anni il professore Pier Luigi Maffei (foto), già ordinario Architettura tecnica presso la facoltà di Ingegneria dell’Ateneo pisano. Accanto alla lunga carriera universitaria, il professor Maffei è stato attivo nella vita civile e culturale di Pisa, come fondatore di Radio Incontro, l'emittente pisana di ispirazione cattolica tuttora in attività, e come consigliere comunale dal 1985 al 1990 tra le file della Democrazia Cristiana.
Di seguito pubblichiamo un ricordo del professore Maffei dell’amico e collega Valerio Cutini.
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Vorrei condividere con i colleghi dell'Ateneo il ricordo del prof. Pier Luigi Maffei e il dolore per la sua scomparsa, avvenuta nei primi giorni di dicembre.
Professore Ordinario di Architettura Tecnica, Pier Luigi Maffei è stato per anni Presidente del Corso di Laurea in Ingegneria Edile, e per lunghi decenni ha rappresentato uno dei punti di riferimento della Facoltà di Ingegneria e dell’area di Ingegneria Civile. Generazioni di colleghi e di studenti ne ricordano le qualità di studioso e l’impegno appassionato nella ricerca e nella didattica, che, animato da un forte senso etico e da sentimenti di profonda umanità, ha sempre coniugato con una costante presenza e l’impegno civile sul territorio.
In campo nazionale è riconosciuto come uno dei riferimenti dell’analisi del valore, e ricordato per essere stato fondatore del CESAV e Presidente dell’AIAV, Associazione Italiana per la Gestione e l'Analisi del Valore, della quale è rimasto Presidente Onorario fino alla scomparsa.
Prof. Ing. Valerio Cutini
Ordinario di tecnica e pianificazione urbanistica
DESTeC - Dipartimento di Ingegneria dell'Energia, dei Sistemi, del Territorio e delle Costruzioni
Donazione del Distretto Rotaract 2071 - Toscana a favore di un innovativo progetto di ricerca sul trapianto d’utero
Il Distretto Rotaract 2071 - Toscana ha donato la somma di 10.000 Euro per un progetto di ricerca volto a sviluppare le tecniche necessarie per l’esecuzione del trapianto d’utero.
Il trapianto d’utero costituisce la forma più avanzata di applicazione della medicina e della chirurgia dei trapianti ed ha lo scopo permettere una gravidanza a donne con infertilità secondaria a patologie esclusivamente uterine. I primi casi di trapianto di utero sono avvenuti all’estero con organi donati da persone viventi. In Italia da vivente è possibile donare un rene, parte del fegato, parte del pancreas, un lobo polmonare, ed un segmento di intestino ma non l’utero a causa della mancanza di una legge che lo permetta in modo specifico. Non resta quindi che sviluppare questa attività da donatore deceduto.
Al momento in Italia è stato eseguito un solo trapianto d’utero, da donatrice deceduta, ma per il momento non vi è stata gravidanza. Infatti, la vera sfida di questo nuovo trapianto è proprio quella di ripristinare nell’organo trapiantato le condizioni fisiologiche che permettono una gravidanza. Lo studio finanziato grazie al Distretto Rotaract 2071 - Toscana si prefigge proprio di porre le basi scientifiche per raggiungere questo ambizioso obiettivo anche nel nostro paese.
Il professore Ugo Boggi dell’Università di Pisa, direttore dell’unità operativa Chirurgia generale e dei trapianti dell'Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana e presidente della Società italiana dei trapianti d’organo e di tessuti, ha dichiarato: “siamo entusiasti di questa importante donazione anche perché viene dai giovani e ci ricorda come il contributo privato sia indispensabile per sostenere la ricerca pubblica. Ciò avviene spesso all’estero, ma raramente in Italia. Sul piano clinico noi siamo formalmente pronti ad iniziare l’attività di trapianto d’utero ed abbiamo inviato la documentazione necessaria al Ministero per ottenere la necessaria autorizzazione. Trattandosi però di un trapianto di cui si ha poca esperienza, soprattutto quando la donatrice è deceduta, restano molti aspetti che devono essere messi a punto per consentire, oltre che l’attecchimento dell’organo, anche la sua funzione e quindi la gravidanza. Questo è lo scopo della nostra ricerca dalla quale aspettiamo risultati importanti”. Il professor Boggi ha dichiarato inoltre: “al di là del potenziale meraviglioso del trapianto d’utero, e cioè il consentire la nascita di un bambino, si devono valutare i benefici indiretti di questo tipo di trapianto avrà su tutte le donne in età fertile che hanno ricevuto il trapianto di un qualsiasi organo. Infatti per consentire il successo della gravidanza in una donna trapiantata d’utero è necessario mettere in essere un sistema di farmacovigilanza particolarmente attento per impedire che i farmaci antirigetto possano risultare lesivi per il nascituro. Quindi, l’esperienza che sarà maturata in questa nuova forma di trapianto consentirà alle giovani donne trapiantate di poter diventare madri con maggior margine di sicurezza rispetto a quanto già avviene oggi”.
Il Rappresentante del Distretto Rotaract 2071 – Toscana per l’anno 2020-2021, Francesco Corti, ha quindi dichiarato: “Siamo molto orgogliosi di sostenere questo importante lavoro di ricerca e partecipare al progresso scientifico portato avanti dal professore Ugo Boggi e dalla sua equipe, un progetto di eccellenza e unico a livello europeo. Il Rotaract, come associazione giovanile, sostiene e sosterrà sempre il perfezionamento in qualsiasi campo con particolare attenzione alla salute collettiva e alle piccole e grandi esigenze del territorio”.
Donazione del Distretto Rotaract 2071 - Toscana a favore di un innovativo progetto di ricerca sul trapianto d’utero
Il Distretto Rotaract 2071 - Toscana ha donato la somma di 10.000 Euro per un progetto di ricerca volto a sviluppare le tecniche necessarie per l’esecuzione del trapianto d’utero.
Il trapianto d’utero costituisce la forma più avanzata di applicazione della medicina e della chirurgia dei trapianti ed ha lo scopo permettere una gravidanza a donne con infertilità secondaria a patologie esclusivamente uterine. I primi casi di trapianto di utero sono avvenuti all’estero con organi donati da persone viventi. In Italia da vivente è possibile donare un rene, parte del fegato, parte del pancreas, un lobo polmonare, ed un segmento di intestino ma non l’utero a causa della mancanza di una legge che lo permetta in modo specifico. Non resta quindi che sviluppare questa attività da donatore deceduto.
Al momento in Italia è stato eseguito un solo trapianto d’utero, da donatrice deceduta, ma per il momento non vi è stata gravidanza. Infatti, la vera sfida di questo nuovo trapianto è proprio quella di ripristinare nell’organo trapiantato le condizioni fisiologiche che permettono una gravidanza. Lo studio finanziato grazie al Distretto Rotaract 2071 - Toscana si prefigge proprio di porre le basi scientifiche per raggiungere questo ambizioso obiettivo anche nel nostro paese.
Il professore Ugo Boggi (a sinistra) riceve la donazione da Marco Iacopini del Rotaract
Il professore Ugo Boggi dell’Università di Pisa, direttore dell’unità operativa Chirurgia generale e dei trapianti dell'Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana e presidente della Società italiana dei trapianti d’organo e di tessuti, ha dichiarato: “siamo entusiasti di questa importante donazione anche perché viene dai giovani e ci ricorda come il contributo privato sia indispensabile per sostenere la ricerca pubblica. Ciò avviene spesso all’estero, ma raramente in Italia. Sul piano clinico noi siamo formalmente pronti ad iniziare l’attività di trapianto d’utero ed abbiamo inviato la documentazione necessaria al Ministero per ottenere la necessaria autorizzazione. Trattandosi però di un trapianto di cui si ha poca esperienza, soprattutto quando la donatrice è deceduta, restano molti aspetti che devono essere messi a punto per consentire, oltre che l’attecchimento dell’organo, anche la sua funzione e quindi la gravidanza. Questo è lo scopo della nostra ricerca dalla quale aspettiamo risultati importanti”. Il professor Boggi ha dichiarato inoltre: “al di là del potenziale meraviglioso del trapianto d’utero, e cioè il consentire la nascita di un bambino, si devono valutare i benefici indiretti di questo tipo di trapianto avrà su tutte le donne in età fertile che hanno ricevuto il trapianto di un qualsiasi organo. Infatti per consentire il successo della gravidanza in una donna trapiantata d’utero è necessario mettere in essere un sistema di farmacovigilanza particolarmente attento per impedire che i farmaci antirigetto possano risultare lesivi per il nascituro. Quindi, l’esperienza che sarà maturata in questa nuova forma di trapianto consentirà alle giovani donne trapiantate di poter diventare madri con maggior margine di sicurezza rispetto a quanto già avviene oggi”.
Il Rappresentante del Distretto Rotaract 2071 – Toscana per l’anno 2020-2021, Francesco Corti, ha quindi dichiarato: “Siamo molto orgogliosi di sostenere questo importante lavoro di ricerca e partecipare al progresso scientifico portato avanti dal professore Ugo Boggi e dalla sua equipe, un progetto di eccellenza e unico a livello europeo. Il Rotaract, come associazione giovanile, sostiene e sosterrà sempre il perfezionamento in qualsiasi campo con particolare attenzione alla salute collettiva e alle piccole e grandi esigenze del territorio”.
Elezioni suppletive delle rappresentanze studentesche
Elezioni suppletive delle rappresentanze studentesche
La letteratura ci salverà dall’estinzione
La professoressa Carla Benedetti del Dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica è l'autrice del saggio "La letteratura ci salverà dall’estinzione" (Einaudi, 2021) di cui pubblichiamo alcuni estratti dal capitolo primo "Gli acrobati del tempo".
Il volume vuole stimolare un radicale cambiamento di rotta di fronte ai rischi dell’Antropocene. Per questo è necessario, afferma l'autrice, mettersi nei panni di chi vivrà dopo di noi, farsi cioè "acrobati del tempo". Ma non è cosí semplice. C’è resistenza a guardare lontano nel futuro. L’empatia scatta per i viventi di oggi, non per quelli che devono ancora nascere. Occorre una metamorfosi. E cosa c’è di piú potente della parola per mutare il nostro modo di ragionare e di sentire? Le opere del presente e del passato, da Omero a Amitav Ghosh, formano un campo di forze capace di liberare energie che portano in un’altra direzione. Dove l’economia, il diritto e la politica continuano a fallire, forse la letteratura e la filosofia potranno salvarci dall’estinzione.
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Mettersi nei panni degli uomini che vivranno dopo di noi è un processo cognitivo ed emotivo piú complicato di quanto si potrebbe pensare. Solo pochi «acrobati del tempo» ci riescono. L’espressione è del filosofo ebreo tedesco Günther Anders, che nel 1989 scriveva:
Oggi, a parte due o tre “acrobati del tempo”, non c’è nessuno che sia capace di mettersi nei panni di chi sarà domani (per non parlare di quelli che domani non ci saranno piú), e di anticipare il loro sguardo verso il passato (e quindi anche verso il nostro oggi)
La frase potrà sembrare un po’ sibillina sul momento, ma diventa chiarissima non appena si pensa a quanto sta accadendo nei nostri anni. I danni irreversibili che i viventi di oggi stanno procurando all’ambiente e che verranno pagati dalle generazioni piú giovani, e ancor piú da quelle che devono ancora nascere, sono ormai noti. Eppure si continua a immettere quantità proibitive di CO2 nell’atmosfera, a usare combustibili fossili, a consumare indiscriminatamente risorse non rigenerabili. La prima convenzione quadro sui cambiamenti climatici proposta dalla Conferenza sull’Ambiente e sullo sviluppo delle Nazioni Unite risale al 1992. Da piú di due decenni le autorità di ogni Paese, gli apparati militari e di sicurezza sono a conoscenza della gravità dei rischi ambientali a cui stiamo andando incontro, con grande anticipo sulla consapevolezza pubblica. Eppure chi avrebbe potuto prendere decisioni per fermare questo processo non lo ha fatto, e ancora oggi le contromisure possibili stentano a essere messe al primo posto nell’elenco delle priorità dei governi mondiali. Evidentemente gli uomini di oggi non sono in grado di farsi acrobati del tempo, di mettersi nei panni di chi si troverà, in un futuro assai prossimo, a vivere su un pianeta dal clima sconvolto, dove scarseggiano l’acqua, il cibo e l’energia […]
I viventi di oggi – o una parte di essi, poiché non siamo tutti responsabili in egual misura – stanno alterando la biosfera, intaccando le riserve del pianeta accumulate in miliardi di anni, stanno consumando i ghiacci polari, le foreste, il petrolio, sterminando la fauna, la flora, condannando cosí a una terribile agonia le generazioni future. La storia dell’umanità è disseminata di sterminî e ferocie. Ma non era mai successo prima d’ora che la violenza genocida si esercitasse sui viventi di domani. Questa è in assoluto la novità piú “disumana” del nostro tempo, che rende ancora piú atroce e intollerabile l’inerzia di oggi, ciò che non viene fatto finché si sarebbe ancora in tempo. Non basterebbe forse questo pensiero a smuovere tutti i nostri simili e suscitare in loro il senso dell’intollerabilità di ciò che stanno provocando? Eppure non è cosí semplice.
Qualcosa li blocca e impedisce loro di provare un sentimento empatico che pure sembrerebbe cosí primario.
Carla Benedetti