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Comunicati stampa

Il mito di Barbablù nella cultura europea e le sue molteplici riscritture letterarie e artistiche tra Sette e Novecento sono il tema della Galleria dell’ultimo numero della rivista “Arabeschi” intitolata Barbablù. Il mito al crocevia delle arti e delle letterature. La pubblicazione, curata da Alessandro Cecchi e Serena Grazzini, docenti dell’Università di Pisa, presenta i primi risultati di una ricerca sviluppata in seno al Dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica dell’Ateneo pisano in collaborazione con studiose e studiosi di università nazionali e internazionali che nell’ottobre del 2019 si sono riuniti a Pisa per un convegno sul tema.
A partire dal racconto La Barbe bleue di Charles Perrault, del 1697, l’elaborazione del mito è ricostruita in 20 brevi contributi corredati da immagini capaci di restituirne visivamente la fortuna europea. La galleria spazia a livello geografico, dal Portogallo alla Russia con uno sguardo anche all’America non solo anglofona, e tra i generi, tra cui romanzi, racconti, poesia, trasposizioni artistiche, sceniche, musicali e cinematografiche sino alla televisione.
“Nel rielaborare la vicenda dell’uxoricida Barbablù la cultura europea dal Settecento fino al primo Novecento confina il potenziale perturbante del personaggio entro i limiti rassicuranti del fiabesco, della curiosità e dell’esotico – spiegano Alessandro Cecchi e Serena Grazzini - Altrettanto vero è però che, nel corso del XX secolo fino a oggi, la riappropriazione letteraria e artistica del mito ha aperto a nuovi orizzonti di significazione, dando origine a riscritture che non eludono il confronto con la storia e i suoi molti conflitti”.

Barbablù, la trasformazione dal Sette al Novecento: dal fiabesco e comico al dramma violento ed efferato
Al di là delle specificità nazionali, tendenzialmente le trasposizioni e le riscritture del Settecento sono all’insegna del fiabesco, del meraviglioso, e il registro è prevalentemente comico – in linea, peraltro, con il lieto fine del racconto di Perrault e con la sua doppia morale. Ancora nella seconda metà dell’Ottocento la grande fortuna dell’opera di Offenbach conferma questa tendenza. Nel Novecento la situazione cambia: già all’inizio del secolo vengono sottolineati aspetti psicopatologici che infrangono il registro comico; contestualmente Barbablù prende forma nell’oscura ed enigmatica opera di Bartók, dove la vicenda del personaggio e della sua ultima moglie diventa un’azione tutta interna a un castello-psiche dal quale non c’è via d’uscita. Negli anni della Prima guerra mondiale, il caso Landru, uxoricida seriale assurto alle cronache, riporta in auge risvolti inquietanti e tratti efferati e di questo passaggio si colgono i riflessi nella letteratura come nel teatro e nel cinema.
La Seconda guerra mondiale rappresenta uno spartiacque decisivo e un punto di svolta anche nella storia delle riscritture del mito di Barbablù; questo si carica della violenza della storia, delle atrocità inflitte e subite da molti milioni di persone, e il registro tragico emerge con forza. Non a caso l’opera di Bartók circola soprattutto dopo il 1945 divenendo un punto di riferimento della musica europea e non solo. La registrazione su nastro magnetico di un’edizione discografica di quest’opera in versione tedesca, continuamente interrotta e riavvolta dal protagonista in scena tramite un registratore portatile, è alla base della straordinaria quanto inquietante e durissima performance di Pina Bausch del 1977, che ha fatto epoca. Nel numero della rivista è inclusa un’intervista al primo interprete di Blaubart, il danzatore Jan Minarik, uno dei collaboratori più preziosi della regista e coreografa, nonché a una delle primissime interpreti di Judith, la protagonista femminile, Beatrice Libonati.

Barbablù in Italia
Come si legge nel contributo dell’italianista Marina Riccucci dell’Università di Pisa, l’Italia non sembra essere il paese delle riscritture e delle trasposizioni. Rispetto alle altre letterature europee, infatti, quella italiana è quella in cui Barbablù circola di meno, se si esclude la notevolissima traduzione di Carlo Collodi e alcune riscritture destinate all’infanzia. Nella galleria si segnala però almeno un romanzo italiano la cui torbida vicenda si ispira esplicitamente al personaggio del racconto di Perrault: I tre delitti di Barbablù (1920) di Virgilio Bondois, un autore poco noto che trae direttamente ispirazione dalla cronaca giudiziaria del processo Landru, coevo alla scrittura del romanzo.

700.000 euro. A tanto ammonta il contributo straordinario stanziato dal Consiglio d’Amministrazione dell’Università di Pisa nella seduta di venerdì scorso. Una misura voluta in prima persona dal Rettore, Paolo Mancarella, per supportare le studentesse e gli studenti le cui famiglie messe in difficoltà dalla congiuntura economica derivata dalla diffusione dell’epidemia da COVID-19.

Nei prossimi giorni verrà emesso un bando per l’accesso a tali contributi, il cui importo potrà variare da un minimo di €700 a un massimo di €1.400 a seconda del numero di idonei selezionati. Vi potranno partecipare gli studenti dell’Università di Pisa regolarmente iscritti a un corso di laurea, magistrale o a ciclo unico, che presentino un ISEE corrente inferiore a €35.000. Unica clausola di non ammissione: aver già beneficiato dei contributi straordinari erogati dall’Ateneo pisano nel corso dell’anno 2020 o di altri benefici, come le Borse di Studio regionali o simili. Oltre all’attestazione dell’ISEE corrente, gli studenti potranno presentare anche ulteriore documentazione comprovante la situazione di disagio economico, sociale o sanitario nel nucleo familiare.

«Nel nostro Ateneo la contribuzione studentesca è già tra le più basse in Italia, soprattutto per fasce di reddito medio-basse. Si pensi solo al fatto che da noi la “no tax area” arriva già a 23.000 euro di ISEE, quando il Governo sta adottando un “aumento” a 20.000 euro solo per il prossimo anno accademico. – ha spiegato il Rettore Paolo Mancarella – A Pisa vogliamo essere concreti e, pur tra le mille difficoltà legate all’emergenza che la nostra Università si trova ad affrontare, siamo riusciti a recuperare risorse importanti da destinare a quanto abbiamo di più prezioso: le nostre studentesse e i nostri studenti». «Garantire il diritto allo studio, anche in una situazione particolare come quella che stiamo vivendo, - ha aggiunto Mancarella - è un nostro dovere e stiamo cercando di farlo con ogni mezzo concessoci dal nostro ordinamento».

Va nella stessa direzione anche la decisione di esonerare dal pagamento dell’indennità di mora tutti coloro che presenteranno domanda di partecipazione al bando per i contributi straordinari e che, se in possesso dei requisiti necessari, non abbiano saldato entro il 30/6 la seconda rata della contribuzione, la cui scadenza originaria era prevista per il 15/3.

In arrivo, infine, anche maggiori dettagli sulla ripartenza a settembre. Scadono domani 30 giugno, infatti, i termini per la consegna, da parte di tutti i Dipartimenti e le Scuole dell’Ateneo, dei “Piani di ripartenza” in base ai quali l’Ateneo potrà definire con precisione “cosa” e “come” ripartirà in presenza già a settembre.

Lunedì, 29 Giugno 2020 09:10

Pesci alieni alla foce dell’Arno

E’ un grosso esemplare di persico spigola ibrido il pesce alieno individuato per la prima volte fra la foce dell’Arno e la costa di Marina Pisa da un gruppo di ricercatori dell’Università di Pisa. L’episodio, accaduto lo scorso dicembre, è stato oggetto di uno studio pubblicato su “Mediterranean Marine Science”, una rivista che a cadenza regolare segnala i nuovi avvistamenti di specie aliene e non indigene nel Mediterraneo per monitorarne l'espansione.

Secondo i ricercatori l’esemplare in questione, mezzo metro di lunghezza per 2,7 kg di peso, proverrebbe da un laghetto di pesca sportiva, da cui è probabilmente fuggito durante le piene dell'Arno nell’autunno del 2019. Quello sulle coste pisane sarebbe inoltre il primo avvistamento in un ambiente marino. Il persico spigola ibrido, selezionato per avere pesci più robusti e a crescita più rapida, è infatti un incrocio tra Morone chrysops, una specie tipicamente di acqua dolce, e Morone saxatilis, più legata ad ambienti salmastri.


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Da sinistra Joachim Langeneck e Claudio Lardicci


“La presenza di questa specie nell'asta centrale del fiume Arno e negli ambienti di transizione della costa pisana andrebbe monitorata in modo da identificare in maniera tempestiva eventuali introduzioni multiple e indizi di naturalizzazione”, spiega Joachim Langeneck biologo marino del dipartimento di Biologia che ha lavorato in team con Claudio Lardicci professore di Ecologia del dipartimento di Scienze della Terra.

“Attualmente l’effettivo rischio ambientale posto da fughe casuali di questa specie di interesse commerciale è incerto – conclude Langeneck - Da un lato infatti si tratta di un predatore che può raggiungere dimensioni consistenti, e la sua capacità di muoversi tra acque dolci e salate suggerisce cautela; dall'altro, i persici spigola ibridi sono generalmente considerati poco fertili, anche se localmente, come ad esempio in Turchia, sono state riscontrate riproduzioni in natura”.

 

E’ un grosso esemplare di persico spigola ibrido il pesce alieno individuato per la prima volte fra la foce dell’Arno e la costa di Marina Pisa da un gruppo di ricercatori dell’Università di Pisa. L’episodio, accaduto lo scorso dicembre, è stato oggetto di uno studio pubblicato su “Mediterranean Marine Science”, una rivista che a cadenza regolare segnala i nuovi avvistamenti di specie aliene e non indigene nel Mediterraneo per monitorarne l'espansione. Secondo i ricercatori l’esemplare in questione, mezzo metro di lunghezza per 2,7 kg di peso, proverrebbe da un laghetto di pesca sportiva, da cui è probabilmente fuggito durante le piene dell'Arno nell’autunno del 2019. Quello sulle coste pisane sarebbe inoltre il primo avvistamento in un ambiente marino. Il persico spigola ibrido, selezionato per avere pesci più robusti e a crescita più rapida, è infatti un incrocio tra Morone chrysops, una specie tipicamente di acqua dolce, e Morone saxatilis, più legata ad ambienti salmastri.
“La presenza di questa specie nell'asta centrale del fiume Arno e negli ambienti di transizione della costa pisana andrebbe monitorata in modo da identificare in maniera tempestiva eventuali introduzioni multiple e indizi di naturalizzazione”, spiega Joachim Langeneck biologo marino del dipartimento di Biologia che ha lavorato in team con Claudio Lardicci professore di Ecologia del dipartimento di Scienze della Terra.
“Attualmente l’effettivo rischio ambientale posto da fughe casuali di questa specie di interesse commerciale è incerto – conclude Langeneck - Da un lato infatti si tratta di un predatore che può raggiungere dimensioni consistenti, e la sua capacità di muoversi tra acque dolci e salate suggerisce cautela; dall'altro, i persici spigola ibridi sono generalmente considerati poco fertili, anche se localmente, come ad esempio in Turchia, sono state riscontrate riproduzioni in natura”.

Foto: da sinistra Joachim Langeneck e Claudio Lardicci

700.000 euro. A tanto ammonta il contributo straordinario stanziato dal Consiglio d’Amministrazione dell’Università di Pisa nella seduta di venerdì scorso. Una misura voluta in prima persona dal Rettore, Paolo Mancarella, per supportare le studentesse e gli studenti le cui famiglie sono messe in difficoltà dalla congiuntura economica derivata dalla diffusione dell’epidemia da COVID-19. 

Nei prossimi giorni verrà emesso un bando per l’accesso a tali contributi, il cui importo potrà variare da un minimo di euro 700 a un massimo di euro 1.400 a seconda del numero di idonei selezionati. Vi potranno partecipare gli studenti dell’Università di Pisa regolarmente iscritti a un corso di laurea, magistrale o a ciclo unico, che presentino un ISEE corrente inferiore a euro 35.000. Unica clausola di non ammissione: aver già beneficiato dei contributi straordinari erogati dall’Ateneo pisano nel corso dell’anno 2020 o di altri benefici, come le Borse di Studio regionali o simili. Oltre all’attestazione dell’ISEE corrente, gli studenti potranno presentare anche ulteriore documentazione comprovante la situazione di disagio economico, sociale o sanitario nel nucleo familiare.

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"Nel nostro Ateneo la contribuzione studentesca è già tra le più basse in Italia, soprattutto per fasce di reddito medio-basse. Si pensi solo al fatto che da noi la 'no tax area' arriva già a 23.000 euro di ISEE, quando il Governo sta adottando un 'aumento' a 20.000 euro solo per il prossimo anno accademico. – ha spiegato il Rettore Paolo Mancarella – A Pisa vogliamo essere concreti e, pur tra le mille difficoltà legate all’emergenza che la nostra Università si trova ad affrontare, siamo riusciti a recuperare risorse importanti da destinare a quanto abbiamo di più prezioso: le nostre studentesse e i nostri studenti". "Garantire il diritto allo studio, anche in una situazione particolare come quella che stiamo vivendo, - ha aggiunto Mancarella - è un nostro dovere e stiamo cercando di farlo con ogni mezzo concessoci dal nostro ordinamento".

Va nella stessa direzione anche la decisione di esonerare dal pagamento dell’indennità di mora tutti coloro che presenteranno domanda di partecipazione al bando per i contributi straordinari e che, se in possesso dei requisiti necessari, non abbiano saldato entro il 30/6 la seconda rata della contribuzione, la cui scadenza originaria era prevista per il 15/3.

In arrivo, infine, anche maggiori dettagli sulla ripartenza a settembre. Scadono domani 30 giugno, infatti, i termini per la consegna, da parte di tutti i Dipartimenti e le Scuole dell’Ateneo, dei “Piani di ripartenza” in base ai quali l’Ateneo potrà definire con precisione “cosa” e “come” ripartirà in presenza già a settembre.

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A questo link è possibile scaricare il bando per l’erogazione di contributi a studenti che si trovino in una sopravvenuta difficoltà finanziaria a causa dell’emergenza sanitaria da COVID-19. Scadenza di presentazione delle domande 31 luglio 2020 (entro le ore 13:00).

Venerdì, 26 Giugno 2020 15:43

Ustica. Storia di un'indagine

ustica VQuaranta anni fa, la sera del 27 giugno del 1980, un DC9 Itavia diretto da Bologna a Palermo si inabissò nel braccio di mare compreso tra le isole di Ponza e Ustica, causando la morte di tutti gli 81 passeggeri a bordo. La strage di Ustica ha rappresentato uno degli episodi più gravi e per molto tempo oscuri della storia dell’Italia repubblicana e ancor oggi resta viva l’esigenza di verità e giustizia.
Nel 2017 la Pisa University Press ha ripubblicato il volume del 2005 dal titolo Ustica. Storia di un’indagine, scritto da Carlo Casarosa, già professore ordinario di Meccanica del volo al dipartimento di Ingegneria aereospaziale dell'Università di Pisa, che ha fatto parte del collegio peritale che ha affiancato il giudice Rosario Priore nel suo lavoro istruttorio.
Ripubblichiamo di seguito la Premessa alla prima edizione del libro scritta dal professor Carlo Casarosa.

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Il perché di questo libro

Negli oltre venticinque anni trascorsi dalla data dell’incidente di Ustica, sono stati scritti tanti di quei libri, opuscoli, articoli e sono stati effettuati tanti di quei dibattiti televisivi e radiofonici da far sorgere spontanea la domanda del perché di questo ulteriore libro, pubblicato quando, con la sentenza della Corte di Assise di Roma, l’evento può ritenersi ormai concluso.
In queste poche righe, in qualità di “addetto ai lavori” in quanto membro del collegio peritale che ha affiancato il giudice Rosario Priore nel lavoro istruttorio, cercherò di dare una risposta alla più che legittima domanda.
Per prima cosa vorrei osservare come tutto quanto scritto sulle possibili cause dell’incidente di Ustica, per lo meno quello a me noto e fatte poche eccezioni, sia caratterizzato da una parziale e insufficiente conoscenza di tutti gli elementi del problema che ha portato a formulare le più disparate e, talvolta, fantasiose ipotesi.
Il caso Ustica è stato estremamente complesso e, da parte di tutti i collegi peritali coinvolti, ha richiesto una notevole mole di indagini tecniche protrattesi per non pochi anni con la relativa notevole mole di risultati. Prendendo come riferimento solo alcuni di essi e trascurando gli altri, possono costruirsi dei percorsi logici in grado di portare alle più diverse ipotesi, a seconda dei risultati scelti.
Questo è stato fatto sistematicamente nella maggior parte della bibliografia relativa al caso Ustica. A volte in buona fede, per mancanza di conoscenze adeguate, a volte in malafede, per sostenere o difendere ipotesi precostituite.
Nel corso delle indagini si è spesso verificato come alcuni risultati consentissero di formulare certe ipotesi e, successivamente, risultati di analisi più approfondite mettessero in dubbio o anche portassero a scartare le soluzioni formulate. Di conseguenza, per elaborare un’ipotesi sulle cause dell’incidente, occorre considerare tutti gli elementi a disposizione e la stessa deve essere in accordo con tutti e non con parte di essi, opportunamente scelti per giustificare quella di particolare interesse.
Il motivo che mi ha spinto a scrivere questo libro è stato quindi il desiderio di presentare agli appassionati del caso Ustica tutti gli elementi del problema disponibili a seguito delle indagini tecniche (o per lo meno i fondamentali).
In questo libro non si troveranno accuse ad alcuno, non saranno proposte dietrologie, non saranno chiamate in causa operazioni di intelligence, non saranno invocate operazioni di disinformazione o
quant’altro possa rendere “pruriginosa” la trattazione.
È semplicemente il diario di un’indagine tecnica su un incidente aereo, considerato come un “normale” incidente aereo, svolta con le tecniche normalmente impiegate in questi casi.
Per questo motivo il libro sarà terribilmente noioso e, forse, potrà essere letto solo dai veri appassionati del caso Ustica in cerca di una documentazione il più possibile oggettiva e precisa su quanto effettivamente fatto.
Gli eventi riportati in questo libro sono tutti veri. Qualche volta, per comodità di esposizione, non è stato rispettato esattamente il loro ordine cronologico ed eventi fra loro correlati, accaduti in tempi successivi, sono stati riportati come unico evento nel punto più utile per la narrazione.
Le opinioni espresse e le conclusioni presentate sono di mia responsabilità e non coinvolgono gli altri consulenti tecnici del collegio che, inevitabilmente, sono stato costretto a nominare nel corso della narrazione. Alcuni in forma esplicita, altri in forma anonima, ma sicuramente riconoscibili dal contesto.
A loro chiedo scusa per averli coinvolti in questa avventura. Purtroppo le indagini tecniche non hanno consentito di giungere a una soluzione definitiva del caso ma alla formulazione di ragionevoli ipotesi. In questo libro è riportato il percorso logico che mi ha portato a elaborare una di queste ipotesi che, contrariamente a ogni prassi, non si trova riportata alla fine del libro ma all’inizio, come antefatto, presentato nello stile di una spy-story che però, se non nei particolari, almeno nella sostanza rispecchia la mia opinione.
Questo allo scopo di meglio guidare il lettore lungo il percorso logico che, partendo da ipotesi ereditate da precedenti indagini, mi ha portato a formulare conclusioni completamente diverse.
Il lettore troverà esposto in forma narrativa tutto quanto è stato reso disponibile dalle indagini tecniche sull’incidente, tutto quanto è favorevole o contrario a ciascuna ipotesi formulata e il filo logico seguito per raggiungere le conclusioni presentate. Queste potranno anche non essere condivise dai lettori che però, in possesso delle corrette informazioni, potranno raggiungere motivate opinioni personali.
Alcuni amici mi hanno chiesto perché non ho pubblicato prima le mie opinioni sul caso Ustica. Il motivo è stato molto semplice. Sul caso Ustica sono stati fatti troppi “processi di piazza” in modo molto spesso sleale in quanto nel “processo di piazza” non erano rappresentate tutte le parti coinvolte. Non ho mai voluto prestarmi a queste operazioni, convinto che l’opinione di un “addetto ai lavori”, giusta o sbagliata che fosse, espressa fuori dalle sedi istituzionali, avrebbe avuto una risonanza che, forse, avrebbe potuto danneggiare le parti non in grado di difendersi. Le mie ipotesi, derivanti dai risultati di analisi tecniche, le ho espresse nelle relazioni depositate presso il giudice, che tutte le parti potevano leggere e criticare, e nelle udienze in Corte di Assise, dove tutte le parti erano rappresentate e un collegio di giudici avrebbe giudicato.
Solo ora, a “bocce ferme” e, cioè, a sentenza emessa, ho ritenuto di esporre il mio pensiero per i motivi sopra esposti e anche per lasciare una traccia scritta (mi si perdoni l’immodestia!) sulla grande mole di lavoro svolto nell’ambito delle indagini tecniche, spesso riportato in bibliografia in modo riduttivo, o travisato, o distorto per adeguarlo alle particolari tesi sostenute.
Tutto quanto esposto nel testo in forma narrativa si trova nei documenti ufficiali ed è di dominio pubblico (la registrazione delle udienze del processo è disponibile su internet). Nel tentativo di fornire un aiuto al lettore, nel testo è inserita una serie di figure ordinate secondo una logica volta a dare un supporto grafico ai principali argomenti via via esposti.
Prego i lettori, se ve ne saranno, di non serbarmi rancore se gli argomenti saranno aridi e la lettura estremamente noiosa. A mia discolpa posso solo dire di averli avvertiti in anticipo!

Carlo Casarosa

Nuovi dispositivi termoelettrici nanostrutturati basati su silicio permetteranno la conversione diretta del calore in elettricità a basso costo e ad alta resa. Lo studio, dal titolo “High power thermoelectric generator based on vertical silicon nanowires” pubblicato sulla rivista “NanoLetters” (autori: S. Elyamny, E. Dimaggio, S. Magagna, D. Narducci, G. Pennelli, DOI: 10.1021/acs.nanolett.0c00227), è frutto di una collaborazione tra il laboratorio di Nanotecnologie del Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell’Università di Pisa e l’Università di Milano Bicocca, e dimostra la possibilità di generare potenze elettriche molto elevate su differenze di temperatura di meno di 20°C .

“I dispositivi termoelettrici – spiega Giovanni Pennelli, docente di elettronica al Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione e coordinatore del Laboratorio di Nanotecnologie - servono per convertire il calore in energia elettrica in modo affidabile e durevole. Tuttavia, quelli in uso fino ad ora hanno costi elevatissimi, che derivano soprattutto dal materiale usato per costruirli, che è il tellurio, un minerale rarissimo e molto tossico. Nonostante le potenzialità quindi, hanno avuto fino ad ora un campo di impiego estremamente limitato. Pensiamo però a quello che cambierebbe nel sistema mondiale di produzione dell’energia con un dispositivo termoelettrico più efficiente e a costo più basso”.

Lo studio del gruppo di Pisa e Milano ha stabilito che questa possibilità esiste utilizzando al posto del tellurio delle nanostrutture in silicio, un materiale abbondante sulla Terra, bio-compatibile e molto economico da processare. I dispositivi termoelettrici in silicio possono essere prodotti su grande scala e in maniera economica con le stesse tecnologie usate per i circuiti elettronici, consentendo il recupero di energia elettrica da qualsiasi fonte di calore, come le ciminiere delle fabbriche, oppure l’energia geotermica, rilasciata dal calore naturale del Pianeta. Quest’ultima, è una fonte fino ad ora scarsamente utilizzata (ad oggi rappresenta solo l’1% della produzione mondiale di energia), ma con un potenziale enorme: secondo uno studio del MIT, con il solo geotermico, sfruttato appieno, si potrebbe soddisfare il fabbisogno energetico planetario con sola energia pulita per i prossimi 4000 anni.

“Una tipica applicazione che abbiamo in mente – commenta Elisabetta Dimaggio, ricercatrice del Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione – è l’industria 4.0, su cui il nostro dipartimento ha attivi diversi progetti di ricerca e laboratori. I dispositivi al silicio possono essere integrati con i sensori wireless della “fabbrica intelligente”, fino ad ora alimentati con batterie che necessitano di essere ricaricate e poi smaltite, e fornire loro energia semplicemente applicando i sensori su una superficie calda, disponibile in molti punti della fabbrica.

“Oltre alla fabbrica e agli ambienti domestici – prosegue – c’è l’ambito biomedicale: dispositivi indossabili per il monitoraggio di pressione, temperatura o altri parametri vitali potranno essere “ricaricati” con il semplice calore del corpo.

“Si tratta di un campo di ricerca dalla portata innovativa dirompente – conclude Giovanni Pennelli – Al momento il primo prototipo è già operativo, e ha già attirato l’interesse di alcune industrie, interessate a produrre dispositivi per ricaricare i sensori su larga scala. Una rivoluzione energetica come quella di cui ci sarà bisogno nei prossimi anni richiede la produzione e messa in commercio di dispositivi più grandi, ma sempre basati sullo stesso principio. La tecnologia esiste e funziona. È necessario ora che sia messa in grado di contribuire al miglioramento delle condizioni del nostro pianeta”.

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