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Al via la fase di sperimentazione clinica del progetto di ricerca TELOS (Tailored neurorehabilitation thErapy via multi-domain data anaLytics and adaptive seriOus games for children with cerebral palSy), uno studio cui partecipano numerosi enti di ricerca finalizzato a valutare l’efficacia di una terapia riabilitativa innovativa supportata dalla realtà virtuale, paragonata alla terapia riabilitativa standard in bambini con paralisi cerebrale infantile (forme emiplegiche e diplegiche). In Aoup la sperimentazione sarà avviata nella Sezione dipartimentale di Riabilitazione neurocognitiva dell’età evolutiva (diretta dal professore Luca Bonfiglio, docente del Dipartimento di ricerca traslazionale e delle nuove tecnologie in Medicina e Chirurgia dell'Università di Pisa e responsabile scientifico del progetto per l’Azienda ospedaliero-universitaria pisana) del Dipartimento materno-infantile (diretto dal dottore Pietro Bottone). Nell’Azienda USL Toscana nord ovest la sperimentazione è avviata invece nel reparto di Medicina riabilitativa (diretto dal dottor Federico Posteraro) dell’Ospedale Versilia (responsabile scientifico la dottoressa Sara Aliboni).

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Gli esercizi riabilitativi, indirizzati a promuovere il miglioramento delle capacità manuali e dell’equilibrio, verranno svolti in forma di videogioco (i cosiddetti serious games) ed eseguiti in realtà virtuale immersiva, con tecnologie sviluppate dai laboratori della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa (Istituto di Intelligenza meccanica), coordinatrice del progetto. L’immersione virtuale consentirà ai bambini di partecipare ad un’esperienza di gioco multisensoriale, ove agli stimoli visivi e uditivi percepiti a 360 gradi si aggiungeranno anche stimoli tattili percepiti attraverso attuatori indossabili. In questo modo, sarà possibile percepire anche il contatto tattile con gli oggetti virtuali obiettivo delle azioni di presa e manipolazione.

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L’ambiente virtuale, l’aspetto ludico, la variabilità degli esercizi, la progressione per tappe successive di upgrading gestita dal terapista, sono tutti elementi fortemente coinvolgenti, motivanti e gratificanti e, come tali, capaci di promuovere e sostenere l’apprendimento motorio. L’ambiente virtuale, inoltre, consente di misurare oggettivamente, tramite il rilevamento di nuovi indici cinematici e tecnologie avanzate di analisi dati - sviluppate nel progetto dall’Istituto di Fisiologia clinica del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ifc) - le prestazioni dei bambini nelle azioni richieste e, di conseguenza, di monitorarne fedelmente i progressi nel corso della terapia. Elemento da non sottovalutare, alla luce della situazione pandemica, è infine la prospettiva di proporre questo tipo di assetto riabilitativo anche a domicilio del paziente, in uno scenario di monitoraggio, controllo e supervisione anche da remoto (telemedicina).

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Il progetto è finanziato dalla Regione Toscana nell’ambito del Bando ricerca salute 2018 e vede coinvolti la Scuola Superiore Sant’Anna (coordinatore, ingegnere Daniele Leonardis, gruppo HRI del professore Antonio Frisoli), il Cnr (responsabile scientifico l’ingegnere Ilaria Bortone, Istituto di Fisiologia clinica), l’Azienda ospedaliero-universitaria pisana (Sezione dipartimentale di Riabilitazione neurocognitiva dell’età evolutiva), l’Azienda USL Toscana nord ovest (unità operativa di Medicina riabilitativa, Ospedale Versilia) e l’Istituto Irccs De Bellis di Castellana Grotte (responsabile scientifico, dottor Rodolfo Sardone).

Per eventuali contatti per la sperimentazione, in Aoup l’indirizzo email di riferimento è Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo., per l’Azienda USL Toscana nord ovest è Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..

(Comunicato Ufficio Stampa AOUP).

 

Un nuovo studio ha rivelato i meccanismi attraverso i quali il virus Zika, trasmesso dalla puntura di zanzare infette, può danneggiare lo sviluppo cerebrale dei nascituri. La scoperta arriva da una ricerca condotta all’Istituto di neuroscienze del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-In) e all’Università di Pisa e pubblicata sulla rivista Stem Cell Reports.

La sindrome congenita da Zika è stata descritta per la prima volta nel 2015 in Brasile in alcuni neonati le cui madri avevano contratto l’infezione in gravidanza. Durante il periodo di gestazione, il virus Zika aveva infatti oltrepassato la barriera placentare causando gravi lesioni al sistema nervoso centrale dei nascituri, fra cui la microcefalia e altre patologie dello sviluppo cerebrale.


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Cellule staminali umane infettate da virus Zika, come modello di studio dei disordini dello sviluppo cerebrale. (Foto Matteo Baggiani)

Per capire come il virus Zika possa provocare queste alterazioni, i ricercatori hanno utilizzato un sistema innovativo di cellule staminali neurali umane. Partendo dall’intuizione che la sindrome congenita da Zika ha delle forti similarità con la sindrome FOXG1, a lungo studiata dal gruppo di ricerca di Cnr-In, è stato visto che anche il virus Zika altera sia la quantità che la localizzazione intracellulare di FOXG1, una proteina protagonista dello sviluppo della corteccia cerebrale. Quest’ultima rappresenta infatti la parte più evoluta del nostro cervello e assicura all’uomo le capacità cognitive, la percezione di sé e del mondo circostante. La corretta dimensione e architettura della corteccia cerebrale è acquisita durante lo sviluppo embrionale in un processo che rappresenta forse uno degli aspetti più complessi, delicati e intimi dell’essere umano.

“Il fatto che il numero di bambini affetti da sindrome congenita da Zika fosse aumentato in modo repentino e che si riscontrassero casi di infezione in vari stati del mondo e poi che il virus potesse essere trasmesso da una zanzara vettore presente in tutti i continenti, ha creato un allarme mondiale che ha ricordato per certi versi la recente pandemia da SARS-CoV-2”, affermano Giulia Freer e Mauro Pistello del Centro Retrovirus dell’Università di Pisa e coautori dello studio.

“Le cellule staminali neurali umane rappresentano un modello di studio che permette di ricapitolare in vitro eventi precoci dello sviluppo del nostro cervello e delle sue disfunzioni, che altrimenti non sarebbero facilmente osservabili”, aggiunge Marco Onorati, direttore del NeuroStemCell Lab presso il Dipartimento di biologia dell’Università di Pisa.

“Per la prima volta, questo lavoro identifica FOXG1 come un fattore sensibile al virus Zika, spiegando molti aspetti della microcefalia e dei ritardi cognitivi causati da questa infezione virale e in prospettiva potremmo utilizzare FOXG1 come un sensore per rivelare eventuali altri ‘attacchi’ subiti durante lo sviluppo embrionale e per capire i meccanismi alla base di patologie come le malformazioni corticali, l’autismo e la schizofrenia”, conclude Mario Costa, ricercatore Cnr-In e autore corrispondente della pubblicazione.

Venerdì 24 giugno alle ore 21.30, nella Chiesa di Santa Caterina d’Alessandria (in Piazza Santa Caterina a Pisa), il Coro dell'Università di Pisa eseguirà il Requiem in re minore K626 di W. A. Mozart, a un anno dalla scomparsa di Maria Antonella Galanti, già responsabile del Polo Musicale di Ateneo. Insieme al Coro si esibiranno il soprano Federica Nardi, il contralto Fulvia Bertoli, il tenore Mentore Siesto e il basso Giorgio Marcello, insieme alla Tuscan Chamber Orchestra, sotto la direzione di Stefano Barandoni. L’ingresso è libero.

Così, Maria Letizia Gualandi, attuale responsabile del Polo Musicale ‘Maria Antonella Galanti’, presenta il concerto di venerdì: “Il 24 giugno 2021 ci ha lasciati Maria Antonella Galanti, dopo una malattia fulminante. È stata una grave perdita per chiunque l’abbia conosciuta: per i colleghi del Dipartimento di Civiltà e forme del sapere, dove insegnava Didattica e Pedagogia Speciale e dove portava avanti studi raffinati sulla psiche umana; per gli studenti che ne hanno seguito gli insegnamenti su temi delicati come la complessità, la differenza, la disabilità; per l’Università tutta dove, come prorettrice per i Rapporti con il territorio, si è sempre battuta per il superamento delle disuguaglianze, per l’integrazione, per i diritti delle donne e dei più deboli.

E anche per il Coro e l’Orchestra dell’Università di Pisa che, come responsabile del Polo Musicale di Ateneo, Maria Antonella ha guidato ininterrottamente dal 2013 fino alla sua scomparsa, con profonda competenza, grande entusiasmo e ferrea determinazione. In realtà in questi anni Maria Antonella non è stata solo la responsabile, è stata l’anima del Coro e dell’Orchestra, che sotto la sua guida sono cresciuti, non solo nel numero dei componenti, ma anche nell’impegno dei concerti. Fino a quando la malattia l’ha fermata.

A lei il Magnifico Rettore Paolo Mancarella ha deciso di intitolare il Polo Musicale e a lei, a un anno esatto dalla scomparsa, il Coro dell’Università dedica la Messa di Requiem in re minore K 626 di W. Amadeus Mozart, accomunando nel ricordo anche altre figure importanti per il Polo Musicale, che in questi ultimi due anni ci hanno lasciato prematuramente: il Magnifico Rettore Luciano Modica, che nel 1999 favorì la nascita del Coro, accogliendo il progetto di Carolyn Gianturco; la stessa Carolyn, fondatrice del Coro e dell’Orchestra e responsabile del Polo Musicale fino al 2013; e inoltre Giancarlo Dell’Amico, basso e responsabile dell’organizzazione dei concerti del Coro, Gianluigi Barbaglio, tenore, Laura Pasqualetti, pianista”.

Un sensore più sottile di un francobollo, biocompatibile e bioriassorbibile, e impiantabile sottopelle, riuscirà a monitorare in tempo reale alcuni parametri del corpo come il pH, e l’efficacia dei farmaci somministrati, aprendo così la strada a nuove procedure cliniche e diagnostiche.

Il risultato è pubblicato nella rivista Advanced Science, e reca la firma del team di ingegneri elettronici del Dipartimento di Ingegneria dell'Informazione dell'Università di Pisa (DII), coordinati da Giuseppe Barillaro, in collaborazione con l’Università di Modena e Reggio Emilia e Surflay Nanotec GmgH di Berlino.

“Il livello del pH, da cui emerge una eventuale acidificazione dei tessuti - spiega Giuseppe Barillaro – è, tra altre cose, indicativo dell’insorgenza e della progressione di malattie come il cancro e problemi cardiaci. Fino ad ora la misura del pH viene svolta con analisi di laboratorio, che richiedono in genere il prelievo di fluidi corporei e non riescono a misurare l’eventuale acidificazione di una zona di interesse specifico con elevata accuratezza. Il nostro sensore, costituito da una membrana di silicio nanostrutturato ricoperta da un polimero fluorescente riesce a fornire un risultato immediato, accurato e soprattutto continuo nel tempo del livello di pH nel tessuto di interesse. È sufficiente illuminare la zona della pelle in cui il sensore è impiantato con una luce verde. Il sensore emetterà una luce rossa più o meno intensa, indicativa del livello di pH. Infine, il sensore si degraderà dopo l’uso all’interno del corpo, senza necessità di rimozione chirurgica.”

“Il sensore funziona per circa 5 giorni - aggiunge Martina Corsi, dottoranda in elettronica al DII - poi inizia a biodegradarsi, e in un periodo breve di tempo viene completamente riassorbito dal corpo senza conseguenze.”

“Di solito i dispositivi impiantabili sono protetti da una rivestimento opportuno - aggiunge Alessandro Paghi, ricercatore presso il DII - per non essere aggrediti e messi fuori uso dal nostro sistema immunitario. Questo rende molto difficile realizzare dei sensori chimici impiantabili, che non possono essere protetti perché funzionano solo se interagiscono chimicamente con il nostro corpo. Noi abbiamo dimostrato che può essere realizzato un sensore chimico non solo impiantabile, ma anche biodegradabile, una scoperta che apre la porta a innumerevoli applicazioni in ambito biomedico”.

Il team di Barillaro ha infatti di recente vinto un progetto Europeo, RESORB (www.resorb-project.eu), del programma Horizon Europe, il nuovo Programma Quadro per la Ricerca e l’Innovazione dell’Unione Europea per il periodo 2021-2027, che ha l’obiettivo di sviluppare ulteriormente il sensore, aggiungendo dei biorecetttori per la quantificazione di molecole target di interesse clinico/diagnostico in-vivo, in-situ e in tempo reale. RESORB si concentrerà sulla quantificazione di un farmaco chemioterapico, la doxorubicina, con lo scopo di ottimizzarne il dosaggio durante il trattamento di pazienti con tumore, attraverso una misura diretta e continua - nel tempo - del quantitativo di farmaco nel sito di impianto.

“Il sensore sviluppato, e la sua ulteriore evoluzione nel progetto RESORB - conclude - apre la strada per la messa a punto di sensori chimici capaci di effettuare analisi cliniche direttamente all’interno del corpo, per poi dissolversi senza necessità di rimozione chirurgica. Tali sensori, impiantabili e bioriassorbibili, hanno la potenzialità di rivoluzionare le procedure cliniche/diagnostiche garantendo un monitoraggio continuo di una molecola specifica nel tessuto di interesse, e quindi informazioni in tempo reale sia sullo stato di salute del paziente sia sull’efficacia dei farmaci. Un ulteriore passo avanti verso una medicina di precisione e personalizzata ”.

Un sensore più sottile di un francobollo (in foto), biocompatibile e bioriassorbibile, e impiantabile sottopelle, riuscirà a monitorare in tempo reale alcuni parametri del corpo come il pH, e l’efficacia dei farmaci somministrati, aprendo così la strada a nuove procedure cliniche e diagnostiche.

sensore3_1_copy.jpgIl risultato è pubblicato nella rivista Advanced Science, e reca la firma del team di ingegneri elettronici del Dipartimento di Ingegneria dell'Informazione dell'Università di Pisa (DII), coordinati da Giuseppe Barillaro, in collaborazione con l’Università di Modena e Reggio Emilia e Surflay Nanotec GmgH di Berlino.

“Il livello del pH, da cui emerge una eventuale acidificazione dei tessuti - spiega Giuseppe Barillaro – è, tra altre cose, indicativo dell’insorgenza e della progressione di malattie come il cancro e problemi cardiaci. Fino ad ora la misura del pH viene svolta con analisi di laboratorio, che richiedono in genere il prelievo di fluidi corporei e non riescono a misurare l’eventuale acidificazione di una zona di interesse specifico con elevata accuratezza. Il nostro sensore, costituito da una membrana di silicio nanostrutturato ricoperta da un polimero fluorescente riesce a fornire un risultato immediato, accurato e soprattutto continuo nel tempo del livello di pH nel tessuto di interesse. È sufficiente illuminare la zona della pelle in cui il sensore è impiantato con una luce verde. Il sensore emetterà una luce rossa più o meno intensa, indicativa del livello di pH. Infine, il sensore si degraderà dopo l’uso all’interno del corpo, senza necessità di rimozione chirurgica.”

“Il sensore funziona per circa 5 giorni - aggiunge Martina Corsi, dottoranda in elettronica al DII - poi inizia a biodegradarsi, e in un periodo breve di tempo viene completamente riassorbito dal corpo senza conseguenze.”

“Di solito i dispositivi impiantabili sono protetti da una rivestimento opportuno - aggiunge Alessandro Paghi, ricercatore presso il DII - per non essere aggrediti e messi fuori uso dal nostro sistema immunitario. Questo rende molto difficile realizzare dei sensori chimici impiantabili, che non possono essere protetti perché funzionano solo se interagiscono chimicamente con il nostro corpo. Noi abbiamo dimostrato che può essere realizzato un sensore chimico non solo impiantabile, ma anche biodegradabile, una scoperta che apre la porta a innumerevoli applicazioni in ambito biomedico”.

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La biodegradazione del sensore

Il team di Barillaro ha infatti di recente vinto un progetto Europeo, RESORB (www.resorb-project.eu), del programma Horizon Europe, il nuovo Programma Quadro per la Ricerca e l’Innovazione dell’Unione Europea per il periodo 2021-2027, che ha l’obiettivo di sviluppare ulteriormente il sensore, aggiungendo dei biorecetttori per la quantificazione di molecole target di interesse clinico/diagnostico in-vivo, in-situ e in tempo reale. RESORB si concentrerà sulla quantificazione di un farmaco chemioterapico, la doxorubicina, con lo scopo di ottimizzarne il dosaggio durante il trattamento di pazienti con tumore, attraverso una misura diretta e continua - nel tempo - del quantitativo di farmaco nel sito di impianto.

“Il sensore sviluppato, e la sua ulteriore evoluzione nel progetto RESORB - conclude - apre la strada per la messa a punto di sensori chimici capaci di effettuare analisi cliniche direttamente all’interno del corpo, per poi dissolversi senza necessità di rimozione chirurgica. Tali sensori, impiantabili e bioriassorbibili, hanno la potenzialità di rivoluzionare le procedure cliniche/diagnostiche garantendo un monitoraggio continuo di una molecola specifica nel tessuto di interesse, e quindi informazioni in tempo reale sia sullo stato di salute del paziente sia sull’efficacia dei farmaci. Un ulteriore passo avanti verso una medicina di precisione e personalizzata ”.

Sempre accattivanti le offerte musicali che il Coro dell’Università di Pisa ci propone ogni anno. Questa volta però la compagine corale era impegnata in una prima esecuzione assoluta di un nuovo lavoro.
Dante. L’altre stelle è il titolo dell’oratorio del maestro Marco Bargagna, compositore pisano e docente al Conservatorio Luigi Cherubini di Firenze, andato in scena a Pisa, al Teatro Verdi, il 14 e il 15 maggio scorsi. Diretti dal maestro Stefano Barandoni, il Coro dell’Università di Pisa e la Tuscan Chamber Orchestra sono stati protagonisti di questo progetto che, patrocinato dal Comune di Pisa e dalla Regione Toscana e promosso dal Ministero della Cultura, rientrava fra gli eventi inseriti dal Comitato Nazionale per le Celebrazioni Dantesche a 700 anni dalla morte di Dante Alighieri.

 

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Proprio con l’idea di celebrare in musica il sommo poeta in occasione dell’anniversario ricorrente nel 2021, si era costituito, nel gennaio 2020, un comitato di letterati e musicisti formato da Alberto Casadei e Fabrizio Cigni, docenti del Dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica, Maria Antonella Galanti, responsabile del Polo musicale di Ateneo, Alessandra Lischi, delegata del Rettore per la comunicazione e la diffusione della cultura, Stefano Barandoni, direttore del Coro dell’Università di Pisa. Così, nasceva Dante.L’altre stelle, il cui libretto è stato affidato al Professor Alberto Casadei. Con testi originali e un’antologia di opere dantesche l’oratorio sviluppava un racconto in cui i motivi che portarono Dante alla scrittura della Divina Commedia si accompagnavano alle parole di un Dante narratore, un personaggio sfaccettato, simbolo di tutti gli esseri umani, la cui interpretazione recitativa è stata affidata al celebre attore pisano Renato Raimo.

Il compositore Marco Bargagna, oltre a una sterminata produzione di musica sacra, ha al suo attivo diversi lavori sia nel genere dell’oratorio e della cantata sia nel genere del melodramma e ha una sua cifra compositiva caratteristica: il suo linguaggio si presenta colto ma non intellettualistico, affonda le radici nell’armonia allargata novecentesca che supera i confini tra tonalità, modalità e cromatismo. Ascoltando questo lavoro, ci si rende sempre più conto che qui Bargagna ha confermato e ulteriormente perfezionato la sua naturale capacità di comporre una musica sempre drammatica, nel senso di teatrale, e ricca di profondi contrasti, che la critica aveva già rilevato nei suoi lavori precedenti. I pezzi solistici e soprattutto i grandiosi affreschi corali sono sempre inseriti in un tessuto orchestrale ricco di colori e ritmi coinvolgenti, in piena fusione col testo dantesco.

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Gli spettatori sono stati così accompagnati in un viaggio che alternava la malinconia dell’esilio alle rime petrose, le musicalità aspre dell’Inferno a quelle delicate del pure del Paradiso.
Oltre al già citato Renato Raimo, protagonisti canori nell’alternanza di musica e recitativi sono stati il soprano Paola Cigna, il baritono Carlo Morini, il tenore Marco Mustaro che hanno dato voce a Beatrice al Sommo Poeta, a Virgilio, ma anche a Ulisse, al Conte Ugolino, a Farinata degli Uberti. Cantori e professori d’orchestra, sotto la competente ed energica guida del maestro Stefano Barandoni, sono stati artefici delle melodie ora infernali, ora sublimi fino alla contemplazione divina, in un crescendo di emozioni. Da dannati a angeli, dai lamenti pietosi dei figli di Ugolino ai cori inneggianti Beatrice, dall’amore alla morte, il Coro dell’Università di Pisa ha contribuito alla realizzazione di un evento unico nel suo genere e che ha riscosso un grande successo, come testimoniato dalla grande partecipazione del pubblico a entrambe le recite. Il coinvolgimento emotivo degli esecutori ha inoltre contribuito a rendere l’oratorio davvero una grande opera collettiva.

A quasi 2000 anni dall’eruzione del Vesuvio che nel 79 d.C. distrusse gran parte del territorio e delle città circostanti, un team internazionale di ricercatori ha analizzato nuovamente l’evento per offrire un piano esaustivo dello stato dell’arte sulle conoscenze dell’eruzione più famosa della storia, partendo dalla sua datazione, che uno studio di alcuni anni fa ha posticipato di alcuni mesi, da agosto a ottobre. L’integrazione tra lo studio sul campo, le analisi in laboratorio e la rilettura delle fonti storiche ha consentito di seguire temporalmente tutte le fasi dell’eruzione, dalla camera magmatica fino alla deposizione della cenere in aree lontanissime dal Vesuvio, trovandone traccia fino in Grecia.

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Lo studio “The A.D. 79 eruption of Vesuvius: a lesson from the past and the need of multidisciplinary approaches for developments in volcanology”, recentemente pubblicato sulla rivista ‘Earth Science Reviews’, è stato condotto dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) in collaborazione con il Centro Interdipartimentale per lo Studio degli Effetti del Cambiamento Climatico (CIRSEC) e il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa, l’Istituto di Geologia Ambientale e Geoingegneria del Consiglio Nazionale delle Ricerche (IGAG-CNR), il Laboratoire Magmas et Volcans di Clermont-Ferrand (LMV) in Francia e la School of Engineering and Physical Sciences (EPS) della Heriot-Watt University di Edimburgo nel Regno Unito. La ricerca è stata realizzata nell’ambito del progetto di ricerca ‘Pianeta Dinamico’ finanziato dall’INGV.

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Il team di ricercatori pluridisciplinari ha raccolto e analizzato criticamente la vasta produzione scientifica disponibile sull’eruzione, integrandola con nuove ricerche. “Il nostro lavoro esamina con un approccio ampio e multidisciplinare diversi aspetti dell’eruzione del 79 d.C., integrando dati storici, stratigrafici, sedimentologici, petrologici, geofisici, paleoclimatici e di modellazione dei processi magmatici ed eruttivi di uno degli eventi più famosi e devastanti che hanno interessato l’area vulcanica napoletana – spiega Mauro A. Di Vito, vulcanologo dell’INGV e coordinatore dello studio – L’articolo parte dalla ridefinizione della data dell’eruzione, che sarebbe avvenuta nell’autunno del 79 d.C. e non il 24 agosto come si è ipotizzato in passato, e prosegue con l’analisi vulcanologica di siti in prossimità del vulcano per poi spostarsi progressivamente fino a migliaia di chilometri di distanza, dove sono state ritrovate tracce dell’eruzione sotto forma di ceneri fini”.

“Fin dal XVIII secolo, la data del 24 agosto è stata oggetto di dibattito fra storici, archeologi e geologi perché incongruente con numerose evidenze, come ad esempio i ritrovamenti a Pompei di frutta tipicamente autunnale o le tuniche pesanti indossate dagli abitanti che mal si conciliavano con la data del 24-25 agosto” – spiega Biagio Giaccio, ricercatore dell’Igag-Cnr e coautore dell’articolo. La prova definitiva dell’inesattezza della data è però emersa solo pochi anni fa: “Un’iscrizione in carboncino sul muro di un edificio di Pompei che tradotta cita ‘Il sedicesimo giorno prima delle calende di novembre, si abbandonava al cibo in modo smodato’, indicando che l’eruzione avvenne certamente dopo il 17 ottobre”, aggiunge Giaccio. La data più accreditata è, quindi, quella del 24-25 ottobre.

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La ricerca è stata poi integrata dalla valutazione quantitativa dell’impatto delle singole fasi dell’eruzione sulle aree e sui siti archeologici vicini al vulcano. “Lo spirito del nostro lavoro è stato quello di comprendere come un evento del passato possa rappresentare una finestra sul futuro, aprendo nuove prospettive per lo studio di eventi simili che potranno verificarsi un domani – prosegue Domenico Doronzo, vulcanologo dell’INGV e coautore della ricerca – Questo studio, quindi, consentirà di migliorare l’applicabilità di modelli previsionali, dai fenomeni precursori all’impatto dei vari processi eruttivi e deposizionali, ma potrà anche contribuire a ridurre la vulnerabilità delle aree e delle numerose infrastrutture esposte al rischio vulcanico, non solo in prossimità del vulcano, ma - come ci insegna questo evento - anche a distanza di centinaia di chilometri da esso”.

FIG 3 lahars“Negli ultimi anni è diventato sempre più importante comprendere l’impatto delle eruzioni sul clima anche per poter studiare l’origine e l’impatto di alcune variazioni climatiche brevi. Tuttavia, non conosciamo ancora molto - e con la risoluzione adeguata - delle condizioni climatiche al tempo dell’eruzione del 79 d.C.”, commenta Gianni Zanchetta dell’Università di Pisa e coautore della ricerca.

“In questo lavoro abbiamo cercato di mettere insieme le conoscenze sulle condizioni climatiche regionali al tempo dell’eruzione per tentare una prima sintesi, anche per indirizzare le ricerche future su questo aspetto che ha ancora molti lati oscuri”, aggiunge Monica Bini dell’Università di Pisa.

I risultati di questo studio hanno ricevuto l’apprezzamento di autentiche icone della vulcanologia mondiale come Raymond Cas, professore emerito presso la School of Earth Atmosphere and Environment della Monash University (Australia): “L'eruzione del Vesuvio del 79 d.C. è una delle più iconiche nel campo della vulcanologia fisica – dice il noto ricercatore australiano – Le osservazioni su questa eruzione, così come gli innumerevoli studi sui depositi e l'interpretazione dei processi eruttivi, sono alla base di molti dei concetti e della comprensione dei meccanismi delle eruzioni esplosive nella moderna vulcanologia. Una revisione di ciò che si sa sull'eruzione e sui suoi depositi è quindi molto importante per i vulcanologi e giustifica un documento completo e articolato, come questo articolo. Agli autori vanno fatte senz’altro le congratulazioni per i dettagli estremamente completi, estratti dall'enorme documentazione storica e dalla letteratura scientifica contemporanea su questa iconica eruzione”.

NBracciale Tomei.jpegon più cervelli in fuga, ma ambasciatori della conoscenza capaci di attivare reti e collaborazioni a vantaggio del Paese di origine arricchendolo un po’ come accadeva con le rimesse degli emigrati un tempo. Questa nuova prospettiva che ribalta la retorica negativa della diaspora scientifica è al centro di un progetto di ricerca dell’Università di Pisa e del MIT intitolato “Transnational networks and cognitive remittances using Big Data”.
L’obiettivo dei ricercatori è di capire se, in che misura e in quali casi la migrazione qualificata possa rappresentare un elemento di vantaggio competitivo per luoghi di origine degli espatriati.

“Diversi paesi hanno già scommesso su questa prospettiva, identificando i propri emigrati con alti titoli di studio e alte professionalità come ambasciatori o antenne per l’attivazione di collaborazioni internazionali – racconta il professor Gabriele Tomei (foto) del dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa che lavora al progetto insieme alla collega Roberta Bracciale (foto) e al dottorando Sebastian Carlotti.

Bracciale e Tomei hanno appena trascorso un periodo al Connection Science/Human Dynamics del Media Lab del MIT per definire le prime fasi del lavoro in attesa della prossima visita dei ricercatori statunitensi a Pisa nel gennaio 2023.
“Attraverso i big data, senza utilizzare sondaggi o interviste personali – continua Bracciale - stiamo mettendo a punto una metodologia del tutto nuova per poter realizzare monitoraggi rapidi e capaci di misurare la forza e il potenziale di sviluppo delle diaspore scientifiche”.

Il primo passo sarà dunque individuare le basi dati per analizzare la struttura e il funzionamento delle reti transnazionali di scienziati espatriati e i loro collegamenti con studiose e studiosi nei paesi di origine, compresa una analisi delle “rimesse cognitive” (cioè collaborazioni scientifiche e editoriali, scrittura congiunta di saggi, contatti, ecc.) generate all’interno di queste reti.

Il 23 e il 24 giugno si svolge al Palazzo La Sapienza dell'Università di Pisa (Via Curtatone Montanara, 15) il convegno "La Pedagogia come territorio di confine interdisciplinare". L’evento vuole tributare un riconoscimento alla memoria e al contributo scientifico della professoressa Maria Antonella Galanti, a un anno dalla sua scomparsa, mettendo in evidenza il pensiero della studiosa in ambito pedagogico e in particolare la sua capacità di cogliere intrecci con altri settori disciplinari, per consentire quell’ibridazione e quel meticciamento, altrimenti definibili come interdisciplinarità, tanto cari alla studiosa.

Il convegno, aperto a tutte/i, accoglierà le relazioni di studiosi di chiara fama che hanno condiviso e condividono principi, tematiche e problematiche che hanno animato tutta l’attività scientifica della professoressa Galanti.

L'iniziativa, organizzata da Donatella Fantozzi e Elena Falaschi, è promossa dall'Ateneo pisano e dal Dipartimento di Civiltà e Forme del sapere.

Venerdì 24 giugno alle ore 21.30, nella Chiesa di Santa Caterina d’Alessandria (in Piazza Santa Caterina a Pisa), il Coro dell'Università di Pisa eseguirà il Requiem in re minore K626 di W. A. Mozart, a un anno dalla scomparsa di Maria Antonella Galanti, già responsabile del Polo Musicale di Ateneo. Insieme al Coro si esibiranno il soprano Federica Nardi, il contralto Fulvia Bertoli, il tenore Mentore Siesto e il basso Giorgio Marcello, insieme alla Tuscan Chamber Orchestra, sotto la direzione di Stefano Barandoni. L’ingresso è libero.

Così, Maria Letizia Gualandi, attuale responsabile del Polo Musicale ‘Maria Antonella Galanti’, presenta il concerto di venerdì: “Il 24 giugno 2021 ci ha lasciati Maria Antonella Galanti, dopo una malattia fulminante. È stata una grave perdita per chiunque l’abbia conosciuta: per i colleghi del Dipartimento di Civiltà e forme del sapere, dove insegnava Didattica e Pedagogia Speciale e dove portava avanti studi raffinati sulla psiche umana; per gli studenti che ne hanno seguito gli insegnamenti su temi delicati come la complessità, la differenza, la disabilità; per l’Università tutta dove, come prorettrice per i Rapporti con il territorio, si è sempre battuta per il superamento delle disuguaglianze, per l’integrazione, per i diritti delle donne e dei più deboli.

E anche per il Coro e l’Orchestra dell’Università di Pisa che, come responsabile del Polo Musicale di Ateneo, Maria Antonella ha guidato ininterrottamente dal 2013 fino alla sua scomparsa, con profonda competenza, grande entusiasmo e ferrea determinazione. In realtà in questi anni Maria Antonella non è stata solo la responsabile, è stata l’anima del Coro e dell’Orchestra, che sotto la sua guida sono cresciuti, non solo nel numero dei componenti, ma anche nell’impegno dei concerti. Fino a quando la malattia l’ha fermata.

A lei il Magnifico Rettore Paolo Mancarella ha deciso di intitolare il Polo Musicale e a lei, a un anno esatto dalla scomparsa, il Coro dell’Università dedica la Messa di Requiem in re minore K 626 di W. Amadeus Mozart, accomunando nel ricordo anche altre figure importanti per il Polo Musicale, che in questi ultimi due anni ci hanno lasciato prematuramente: il Magnifico Rettore Luciano Modica, che nel 1999 favorì la nascita del Coro, accogliendo il progetto di Carolyn Gianturco; la stessa Carolyn, fondatrice del Coro e dell’Orchestra e responsabile del Polo Musicale fino al 2013; e inoltre Giancarlo Dell’Amico, basso e responsabile dell’organizzazione dei concerti del Coro, Gianluigi Barbaglio, tenore, Laura Pasqualetti, pianista”.

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