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Lunedì, 03 Dicembre 2018 12:12

Scoperta la più antica evidenza di cauterizzazione per trattare un trauma cranico

Per la prima volta in paleopatologia è stato documentato l’uso medievale del cauterio in relazione al trattamento chirurgico di un trauma cranico. La scoperta viene dalla Divisione di Paleopatologia dell'Università di Pisa, diretta dalla professoressa Valentina Giuffra, che ha condotto uno studio sul corpo mummificato di San Davino Armeno durante una ricognizione canonica promossa dalla Curia Arcivescovile di Lucca e condotta nel marzo 2018 sotto la supervisione scientifica del professor Gino Fornaciari. Lo studio è stato ritenuto così interessante per gli aspetti paleopatologici e storico-medici da essere pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica “The Lancet”.

Fig. 1 La mummia di San Davino, XI secolo (Lucca, San Michele in Foro).jpg
La mummia di San Davino, XI secolo (Lucca, San Michele in Foro).

Nelle fonti agiografiche leggiamo che Davino, originario del Regno d’Armenia, giunse a Lucca nell’anno 1050, dopo un lungo pellegrinaggio che lo avrebbe condotto prima a Gerusalemme e poi a Roma. Morì a Lucca improvvisamente sulla strada per Santiago de Compostela. Il corpo, conservatosi miracolosamente, divenne presto oggetto di grande venerazione ed è stato conservato per secoli nell’altare maggiore della basilica di San Michele in Foro. “Lo studio, che ha incluso l’esame macroscopico e la CT total body della mummia, effettuata presso la Clinica Barbantini di Lucca, ha rivelato trattarsi di un giovane adulto di circa 25 anni – spiega la professoressa Valentina Giuffra - Sul cranio sono state rilevate due lesioni traumatiche con segni di lunga sopravvivenza: un taglio superficiale sul frontale lungo 5 cm, prodotto da una lama dentata, e una lesione ellittica con frattura depressa in corrispondenza del tratto di destra della sutura coronale, prodotta da un corpo contundente. Intorno a questa lesione è stato possibile osservare una cicatrice ossea con margini sottili di forma pentagonale, causata dal contatto di un ferro rovente, un cauterio a testa pentagonale, applicato probabilmente per arrestare l’emorragia dopo la toilette chirurgica”.

2.Il cranio di San Davino con in evidenza la lesione che mostra i segni del cauterio pentagonale
Il cranio di San Davino con in evidenza la lesione che mostra i segni del cauterio pentagonale.

La medicina medievale bizantina e araba faceva ampio uso del cauterio, ossia di un ferro rovente da applicare a una lesione o a una ferita a scopo terapeutico. In particolare, il mondo islamico aveva elaborato una dottrina medico-chirurgica che prevedeva in moltissimi casi il ricorso alla cauterizzazione, intervento che aveva il merito di limitare l’effusione del sangue, così come prescritto dalle leggi coraniche. Uno dei maggiori chirurghi islamici del X-XI secolo, lo spagnolo Albucasis, nel celebre trattato “al-Tasrif” descrive con dovizia di particolari le modalità d’uso del cauterio. Nonostante queste attestazioni storiche, rarissimi sono i casi paleopatologici di cauterizzazione individuati direttamente sui resti umani antichi.

Fig. 3 Particolare della lesione con segni di cauterio.jpg
Particolare della lesione con segni di cauterio.

I cauteri avevano forma variabile: rotondi, a oliva, quadrati o poligonali, a seconda del loro impiego e dello scopo dell’intervento, ma finora non era stata trovata una prova diretta così evidente di questa pratica chirurgica. Antonio Fornaciari, primo autore del lavoro, aggiunge: “San Davino nella tradizione popolare era il Santo invocato per la guarigione del mal di testa; fino a qualche decennio fa i devoti erano soliti andare a venerare il corpo e indossavano il cappello di San Davino per ottenere la guarigione. È interessante aver trovato sul cranio del Santo l’evidenza di due gravi traumi cranici, di cui uno con evidenza di trattamento medico. È evidente che Davino soffrì di gravi emicranie a seguito dei traumi e che dunque la tradizione ha una relazione con episodi della vita del Santo realmente accaduti”.

Fig. 4 Cauterizzazione del cranio nel trattato di Chirurgia di Charaf Ed-Din (1465).jpg
Cauterizzazione del cranio nel trattato di Chirurgia di Charaf Ed-Din (1465).

 

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Venerdì, 30 Novembre 2018 12:24

A Pisa innovativa tecnica per riparare le ernie inguinali

A Pisa, primi in Toscana, viene sperimentata da qualche tempo con successo la tecnica Desarda per la riparazione dell’ernia inguinale. Si tratta di una procedura alternativa, ideata appunto dal chirurgo indiano Mohan P. Desarda, che rinuncia all’utilizzo delle protesi sintetiche basandosi su una conoscenza approfondita dell’anatomia inguinale. Per la correzione del difetto della parete posteriore del canale inguinale - che è alla base della fisiopatologia dell’ernia - la tecnica utilizza infatti la fascia del muscolo obliquo esterno, opportunamente sezionata e sagomata, che viene trasposta in basso e usata come rinforzo del difetto parietale.

I primi 13 casi di intervento con la tecnica Desarda in Toscana sono stati eseguiti nella Sezione dipartimentale di Chirurgia generale universitaria dell’Aoup dal dottor Francesco Porcelli, sotto la guida del professor Giulio Di Candio, che ne ha stimolato l’utilizzo.

 

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In pratica, rispetto alla tecnica Bassini del 1890 e successive modifiche - fino alla Shouldice del 1952 (due strati, 4 linee di sutura), che ne rappresentano indubbiamente il riferimento storico - la tecnica di Desarda non coinvolge il tendine congiunto, non lo abbassa e solidarizza, forzandolo, al ligamento inguinale, evitando così quella tensione residua che ha costretto i chirurghi ad abbandonare queste procedure a fronte delle tecniche “tension free” con protesi (Fig-1 a-d).

L’ernia inguinale è una delle patologie più frequenti e la sua correzione uno degli interventi più praticati al mondo. Solo negli Stati Uniti vengono sottoposti ogni anno ad intervento per ernia inguinale 800.000 pazienti su un totale di 1.000.000 di ernie (circa 20.000.000 nel mondo) rappresentate in ordine di frequenza da ernie inguinali, ombelicali, laparoceli e femorali o crurali. Il risvolto economico e sociale si rileva pertanto piuttosto pesante, anche nel nostro Paese.

Numerose sono le tecniche chirurgiche di ernioplastica inguinale, negli ultimi anni si sono in particolare affermate le cosiddette tecniche senza tensione grazie all’utilizzo di protesi biocompatibili (alloplastica) che possono essere in materiale sintetico (polipropilene, poliestere, PTFE-e e composite) o biologico (derma suino, pericardio bovino).

La tecnica non è applicabile a tutti i pazienti e a tutti i tipi di ernie ma, in casi selezionati, permette un risparmio economico e di tempo operatorio e, non prevedendo l’uso di materiale protesico artificiale, azzera i rischi di infezione, rigetto o reazione sclerotica periprotesica. Gli eventi avversi determinati dalla sola presenza delle protesi sono ben noti e temuti: fra i tanti (infezione, rigetto, dislocazione/migrazione), non di rado, anche il dolore cronico e non trattabile che può giustificare il re-intervento e la rimozione di ciò che, alla fine, è diventato un corpo estraneo. Quest’ultima è una procedura complessa e delicata, con costi sanitari e sociali non trascurabili.
La tecnica di Mohan P. Desarda si aggiunge così a quel ventaglio di opzioni chirurgiche, permettendo ancora di adattare la scelta della tecnica alle caratteristiche e alla situazione del singolo paziente, realizzando una chirurgia disegnata sulle caratteristiche anatomiche di ciascuno (edm).

 

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