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Il genotipo risparmiatore e l’abbondanza

L’abbondanza è sempre stata uno degli obiettivi più ambiti nell’antichità, epoca caratterizzata dalla scarsità di cibo. In molte culture antiche troviamo statue dedicate all’abbondanza, sia in termini di buon cibo che nelle forme estetiche femminili che rappresentavano l’idea della salute, della procreazione e, quindi, della continuità della specie. A testimonianza di ciò sono le numerose “Venere” preistoriche ritrovate nei siti archeologici di tutto il mondo. Per gli uomini che, nel corso dei millenni hanno dovuto adattarsi ad un ambiente povero di nutrimento, la capacità di accumulare tessuto adiposo era un elemento essenziale e funzionale alla sopravvivenza. L’uomo ha elaborato complessi meccanismi di regolazione del bilancio energetico e ha selezionato il “genotipo risparmiatore” fissando nel proprio patrimonio genetico una serie di alleli che facilitano il deposito di tessuto adiposo durante i momenti favorevoli in modo da poterlo utilizzare nei periodi di carestia (Neel, 1962). I frequenti periodi di carestia avrebbero quindi agito in modo da selezionare il cosiddetto genotipo risparmiatore.

L’alimentazione dell’uomo, nella sua storia più antica, era inizialmente costituita da ciò che egli riusciva a cacciare, a pescare o a raccogliere. In seguito, con il progredire della conoscenza, l’uomo ha sviluppato la capacità di coltivare e di allevare animali. Ha tuttavia mantenuto un’alimentazione con prevalente consumo di ortaggi e cereali fino ai tempi nostri, specialmente nelle popolazioni meno abbienti, in cui le malattie da carenze nutrizionali erano molto frequenti. Alla fine del XIX secolo la Contessa Pasolini evidenziava lo status socio–economico di alcune famiglie del Nord–Italia che avevano un’alimentazione a basso valore nutrizionale e caratterizzata da un consumo quasi esclusivo di granturco e cereali. Questo consumo (quasi selettivo) di mais è stato responsabile di una malattia carenziale, la pellagra, caratterizzata da un difetto della vitamina PP, che ha causato un numero elevatissimo di decessi: più di 83.000 tra il 1887 e il 1910 e altri 20.000 dal 1910 al 1940.

Nell’ultimo secolo, in particolare dal secondo dopoguerra in poi, l’uomo ha modificato repentinamente e profondamente le sue abitudini di vita. A fronte di una maggiore e continua disponibilità di cibo si è verificata una diminuzione del dispendio energetico, grazie al miglioramento della qualità di vita e alla disponibilità di mezzi di trasporto.

Negli ultimi anni, poi, si è verificato un ulteriore cambiamento delle abitudini alimentari, in favore di cibi pronti ad elevato contenuto di grassi e zuccheri semplici, che hanno determinato un ulteriore aumento dell’introito calorico. Questi cambiamenti hanno facilitato l’accumulo abnorme di scorte energetiche, sotto forma di tessuto adiposo, in un crescente numero di soggetti contribuendo allo sviluppo di una vera e propria “esplosione epidemica” dell’obesità.

L’obesitā è una condizione cronica caratterizzata da un eccessivo peso corporeo per accumulo di tessuto adiposo, in maniera tale da influire sulla salute. È una condizione che determina un aumento del rischio di morbilità e mortalità e la sua prevalenza è in costante aumento.

L’obesità rappresenta la prevedibile risposta al repentino mutamento ambientale e il nostro assetto genetico rappresenta un fattore sfavorevole, essendo venute meno le condizioni originarie per le quali è stato selezionato. Esistono tuttavia differenze individuali nello sviluppo dell’obesità. La domanda che spesso ci si pone è perché qualcuno sviluppa obesità, anche grave, e qualcuno non la sviluppa o la sviluppa in modo meno evidente. La risposta consiste nel fatto che, a parità di condizioni ambientali, esistono dei genotipi resistenti e dei genotipi predisponenti.

Sulla base di quanto appena esposto, nella maggior parte dei casi l’obesità non può essere considerata una malattia nel senso tradizionale e viene definita “essenziale”. Solo in una minoranza di casi l’obesitā è secondaria a specifici difetti legati a sindromi genetiche, malattie endocrine, malattie neurologiche o alcuni disturbi mentali. Se in passato l’obesità essenziale era una condizione protettiva nei confronti di epidemie, carestie, malattie carenziali e malattie intercorrenti, oggi è una condizione che favorisce lo sviluppo di numerose malattie tra le quali malattie cardiovascolari, metaboliche e osteoarticolari. La gravità dellàobesità viene espressa in termini di indice di massa corporea (IMC), cioè il rapporto tra peso e altezza elevata al quadrato e all’aumentare del grado di obesità aumenta il rischio di mortalità.

I dati ISTAT del 2005 sulla popolazione italiana adulta indicano che la percentuale di sovrappeso (IMC compreso tra 25 e 29,9) è del 42,5% nei maschi e del 26.6% nelle femmine. L’obesità (IMC uguale o superiore a 30) è presente nel 10.5% dei maschi e nel 9.1% delle femmine. Seppure la maggior prevalenza dell’obesità si registri nell’età adulta, il fenomeno è in aumento in tutte le fasce di età comprese quelle più giovani. Sappiamo che un bambino in sovrappeso ha un’elevata probabilità di diventare obeso da grande e che gli adolescenti in sovrappeso hanno una probabilità del 70% di sviluppare un eccesso ponderale in età adulta, percentuale che cresce fino all’80% se uno o entrambi i genitori sono in sovrappeso.

Nel 2002 il nostro gruppo ha raccolto dati sulla prevalenza dell’obesità nella popolazione scolare pisana pesando e misurando 3038 alunni dai 6,5 ai 14 anni, di cui 1485 maschi e 1553 femmine delle scuole elementari e medie inferiori della Provincia di Pisa. Utilizzando gli standard internazionali per la definizione di sovrappeso e obesità nell’età evolutiva (Cole, 2000), abbiamo calcolato una prevalenza media di sovrappeso del 30,16% tra i maschi e del 26,56% tra le femmine, mentre la prevalenza media dell’obesitā è risultata essere pari al 6,13% nei maschi e al 5,96 % nelle femmine.

Per arrestare la crescita dell’obesità nelle società ad elevato tenore economico sono necessarie azioni complessive che intervengano sui determinanti sociali, economici ed ambientali alla base dei comportamenti individuali. È necessario costruire una società in cui dare più valore a stili di vita salutari, ad una alimentazione corretta e all’abitudine al movimento. L’obesità si deve quindi affrontare, con degli interventi preventivi, a partire dall’età evolutiva. Prevenire significa promuovere, nella popolazione, l’acquisizione e l’adozione consapevole e attiva di comportamenti atti a migliorare la salute e il benessere. Tale intervento risulta tanto più efficace quanto più precocemente viene messo in atto. L’informazione costituisce il primo passo verso l’acquisizione della consapevolezza dell’obesità come malattia e verso l’adozione di un atteggiamento funzionale alla prevenzione dell’obesità e delle sue complicanze.

Nello stesso tempo è necessario affrontare il problema di coloro che già soffrono dell’obesitā per prevenirne e curarne le conseguenze negative sullo stato di salute. Secondo le linee di indirizzo, nazionali ed internazionali, la terapia dell’obesità deve essere affidata a team interdisciplinari, composti da diverse figure professionali con competenze specifiche.

La terapia dell’obesità ha come scopo la riduzione del peso corporeo e il mantenimento a lungo termine del peso raggiunto, oltre alla diminuzione dei fattori di rischio. Tali obiettivi vengono raggiunti con la modificazione dello stile di vita attraverso una terapia dietetica individualizzata con l’ausilio della terapia comportamentale, l’introduzione dell’attività fisica, programmata e seguita dai vari specialisti. A queste può essere associata la terapia con farmaci anti–obesità, in grado di ridurre l’introito calorico agendo sull’appetito e sul senso di sazietà o di ridurre l’assorbimento degli alimenti a livello dell’apparato gastrointestinale. Si tratta di farmaci con un elevato profilo di sicurezza, la cui efficacia è peraltro limitata al periodo di assunzione e deve pertanto essere necessariamente accompagnata da modificazioni comportamentali idonee a consentire il mantenimento dei risultati raggiunti.

Quando queste terapie falliscano o quando ci si trovi di fronti a obesità gravissime con urgente necessità di intervenire per preservare lo stato di salute, è possibile ricorrere alla chirurgia bariatrica, come strumento per indurre un calo ponderale stabile, ripristinare lo stato di salute e migliorare la qualità di vita del paziente. L’intervento di chirurgia bariatrica non deve far pensare ad una soluzione “magica” perché, per avere successo, deve essere associato ad una corretta educazione alimentare e comportamentale, in modo da indurre un cambiamento stabile dello stile di vita, che rimane l’obiettivo centrale nella prevenzione e nella cura del’obesità. Il cambiamento dello stile di vita è di difficile attuazione e non sempre è sufficiente fornire informazioni adeguate per l’acquisizione delle buone abitudini. Nel tentativo di fornire una soluzione a questa difficoltà, dall’ottobre 2005 il Centro Obesitā dell’Azienda Ospedaliero–Universitaria Pisana ha attivato un programma di rieducazione–riabilitazione del paziente obeso presso la struttura termale “Bagni di Pisa” a S. Giuliano Terme. Si tratta di una scelta innovativa che consiste nell’educare il paziente all’attivitā motoria e al corretto comportamento alimentare, sperimentando le situazioni sotto la guida dei membri del team multidisciplinare. Nello stesso tempo viene messo in atto un intervento psicoeducativo di gruppo, con lo scopo di migliorare l’aderenza alle prescrizioni e di aiutare i pazienti nell’acquisizione di comportamenti corretti da trasferire nella quotidianità.

Chita Lippi – Ferruccio Santini – Aldo Pinchera
Unitā Operativa Endocrinologia I
dipartimento di Endocrinologia e rene

Bibliografia