Dal 11 e al 13 settembre si tiene a Pisa la tredicesima edizione di “Cantieri di Storia”, organizzata dalla SISSCo, la Società italiana per lo studio della storia contemporanea. In occasione di questo appuntamento biennale, occasione di confronto sulle più aggiornate ricerche in corso sulla storia contemporanea italiana e internazionale, proponiamo l’intervista al presidente della SISSCO professor Marco De Nicolò
Come valuta lo stato della ricerca della sua disciplina in questo tornate storico?
La ricerca storica in Italia gode ottima salute. Si rinnova, propone domande nuove e interpretazioni solide. Il quadro è complessivamente positivo perché la nostra ricerca pianta i piedi in una tradizione di riferimento alle fonti, ma è anche pronta a far proprie suggestioni e domande nuove, come mostrano i tanti temi proposti in questi Cantieri.
Esiste il timore che sempre di più ci si accosti alla storia con intenti strumentali, volti cioè a legittimare una causa o una posizione politica. Alla storia contemporanea è richiesta una maggiore condivisione dei risultati acquisiti. Come ritiene di poter districare questi nodi?
L’uso politico della storia non è una novità. È agitato come un randello dialettico, puntando in genere sull’emotività e sull’assenza di contesto storico. Senza il contesto in cui sono immersi i fatti storici, le culture, i processi di rilievo, non esiste la storia. La storia è complessità, il suo uso politico in genere è fondato su semplificazioni eccessive e banalità. Il nostro compito è non limitarci all’insegnamento universitario, ma impegnarci nel dibattito pubblico cercando, al contempo, di comunicare in modo semplice e senza rinunciare alla complessità dei temi che affrontiamo.
Il governo ha in cantiere dei progetti di riforma dell’università che hanno suscitato un vivace protesta e un certo dibattito tra le società scientifiche, tra cui non è mancata la sua associazione. Quali pericoli intravede all’orizzonte?
I pericoli principali derivano da due fattori: il pesante definanziamento dell’università pubblica e un ritorno a un sistema concorsuale che, cancellando una selezione compiuta a livello nazionale, offra il fianco a un reclutamento basato su logiche locali, impoverendo la qualità dell’insegnamento e della ricerca.