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Venerdì 15 novembre alle 15 alla Scuola di Ingegneria dell’Università di Pisa (Largo Lucio Lazzarino, 1) Luigi Landini e Danilo De Rossi terranno la loro lezione magistrale prima del pensionamento

Tra i pionieri degli studi di ingegneria biomedica in Italia, i due professori ripercorreranno la propria formazione scientifica e didattica, che ha consentito la progettazione e l’avvio dei corsi di studio in Ingegneria Biomedica a Pisa, presso il Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione, e poi getteranno uno sguardo al futuro della disciplina, tracciandone gli orizzonti e le linee di sviluppo.

Nato a Santo Stefano di Magra (SP) il 31 ottobre 1949, il Professor Landini si è laureato in Fisica nel 1974 a Pisa. Dal 1999 è Ordinario di Bioingegneria presso il Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell’Ateneo pisano.
A partire dagli anni ’70, l'evoluzione che segna il passaggio dalle immagini analogiche convenzionali alle moderne immagini digitali computerizzate rende possibile lo sviluppo di una serie di nuove applicazioni basate sull’elaborazione dei segnali e delle immagini. Landini ha sviluppato prevalentemente in tali ambiti le proprie ricerche, raggiungendo risultati scientifici importanti con diverse ricadute sull’industria biomedica nazionale e internazionale. Di rilievo è anche la collaborazione che nasce da queste ricerche prima con il CNR e successivamente con la Fondazione Toscana Gabriele Monasterio di Pisa dalle quali nasce un’importante opportunità per il trasferimento dei risultati delle ricerche al contesto clinico.

Tra i precursori di un nuovo approccio alle “macchine pensanti” fondato sullo studio delle funzioni del corpo, e non solo del cervello, Danilo De Rossi si concentrerà nella sua lezione magistrale sulle linee di ricerca aperte durante gli anni di lavoro al Centro Piaggio dalla nuova robotica “soft” e dallo studio della base corporea delle emozioni per determinare l’intelligenza.
“Non c'è intelligenza senza interazione con il mondo. e non c'è interazione con il mondo senza un apparato sensoriale e motorio. Per avere intelligenza, quindi, è necessario avere un corpo”. Danilo De Rossi è stato trai primi in Italia ad applicare alla robotica e all’artificiale una nuova visione della natura e dell'uomo.

Nato l’11 giugno 1949 a Genova, ha conseguito il titolo di Dottore in Ingegneria Chimica presso l'Università di Genova nel 1976. Dal 1976 al 1981 è stato ricercatore presso l'Istituto di Fisiologia Clinica di C.N.R. Dal 1982 lavora presso la Facoltà di Ingegneria dell'Università di Pisa, dove è attualmente Professore ordinario di Bioingegneria. Le sue attività scientifiche sono legate alla progettazione di sensori e attuatori per la bioingegneria e la robotica e allo studio e sviluppo di sistemi indossabili per telemonitoraggio e teleriabilitazione. Ha ricevuto il premio Young Investigator Forum dalla Biomedical Engineering Society (Regno Unito) nel 1980 e dall'American Society for Artificial Internal Organans nel 1985. Nel 2012 gli è stato assegnato l'Ordine del Cherubino dall'Università di Pisa per i valori istituzionali e scientifici.

Direttore del Centro di Ricerca “Enrico Piaggio” dell’Università di Pisa dal 1998 al 2003 e dal 2012 al 2015, ha affiancato al campo di ricerca in robotica e automazione, già presente al Centro dalla sua fondazione, anche quello in boingegneria, rendendolo uno dei poli di eccellenza italiani del settore.

Stappare una bottiglia di vino e tornare indietro nel tempo, è possibile grazie ad un esperimento scientifico unico al mondo condotto all'isola d'Elba. Nesos, il vino marino, è stato presentato mercoledì 13 novembre a Firenze in un convegno organizzato in collaborazione con Regione Toscana, Toscana Promozione Turistica, Vetrina Toscana, Fondazione Sistema Toscana.

L'esperimento enologico è stato realizzato dall'Azienda Agricola Arrighi dell'isola d'Elba in collaborazione con il Professor Attilio Scienza, Ordinario di Viticoltura dell’Università degli Studi di Milano e delle professoresse Angela Zinnai e Francesca Venturi del corso di Viticoltura ed Enologia dell'Università di Pisa.

Le 40 bottiglie di vino presentate in anteprima assoluta a Firenze sono state prodotte secondo una tecnica utilizzata nell’isola di Chio ai tempi dell’antica Grecia e che prevede di immergere i grappoli integri in mare aperto. Dopo circa 2500 anni questo metodo è stato riproposto all’Elba utilizzando l’ansonica, un'uva bianca coltivata sull’isola, con caratteristiche simili a quelle di due antiche uve dell’Egeo, il Rhoditis ed il Sideritis, e caratterizzata da una polpa croccante e una buccia resistente che ne ha permesso la permanenza in mare.

 

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L'affinamento in mare delle uve nelle speciali nasse

Le uve sono state immerse in mare per 5 giorni a circa 10 metri di profondità, all’interno di nasse di vimini. Questo processo ha consentito di eliminare parte della pruina superficiale, cioè il velo ceroso che riveste gli acini, mentre il sale marino per “osmosi” è parzialmente penetrato all’interno. Nella vinificazione delle uve sono state impiegate anfore di terracotta ottenendo, dopo un anno di affinamento in bottiglia, un vino estremamente naturale, molto simile a quello prodotto 2500 anni fa.

“Il contributo alla ricerca dell’Università di Pisa è stato importante – dice la professoressa Angela Zinnai – a partire da quello di una mia studentessa, Naomi Deaddis, che ha dedicato la sua tesi di laurea all’esperimento e che ha reperito le particolari nasse che sono servite per immergere l’uva sino alla definizione del protocollo sperimentale e delle verifiche sia chimiche che sensoriali del vino che ho realizzato con la collega Francesca Venturi”.

Dalle analisi svolte è emerso che il contenuto in fenoli totali del vino marino è il doppio rispetto a quello prodotto tradizionalmente, e questo grazie alla maggiore estrazione legata alla parziale riduzione della resistenza della buccia. Dal punto di vista sensoriale il vino mostra infine abbondanti “riflessi dorati” con sentori di frutta matura a polpa bianca e gialla con un’evidente punta di salinità e una minore acidità titolabile legata all’incremento delle ceneri del vino.

Durante il convegno a Firenze è stato proiettato in anteprima italiana il documentario Vinum Insulae diretto e prodotto da Stefano Muti (Cosmomedia), che racconta l'esperimento enologico di Nesos e che ha vinto primo premio come Miglior Cortometraggio al 26° Festival International Œnovidéo di Marsiglia. Il documentario è attualmente in concorso anche alla IX edizione del Most Festival 2019, Festival internazionale del cinema del vino e della cava, che si sta svolgendo in Spagna a Vilafranca del Penedès, durante la celebrazione della Giornata europea del turismo del vino.

Stappare una bottiglia di vino e tornare indietro nel tempo, è possibile grazie ad un esperimento scientifico unico al mondo condotto all'isola d'Elba. Nesos, il vino marino, è stato presentato mercoledì 13 novembre a Firenze in un convegno organizzato in collaborazione con Regione Toscana, Toscana Promozione Turistica, Vetrina Toscana, Fondazione Sistema Toscana.
L'esperimento enologico è stato realizzato dall'Azienda Agricola Arrighi dell'isola d'Elba in collaborazione con il Professor Attilio Scienza, Ordinario di Viticoltura dell’Università degli Studi di Milano e Angela Zinnai e Francesca Venturi del corso di Viticoltura ed Enologia dell'Università di Pisa.
Le 40 bottiglie di vino presentate in anteprima assoluta a Firenze sono state prodotte secondo una tecnica utilizzata nell’isola di Chio ai tempi dell’antica Grecia e che prevede di immergere i grappoli integri in mare aperto. Dopo circa 2500 anni questo metodo è stato riproposto all’Elba utilizzando l’ansonica, un'uva bianca coltivata sull’isola, con caratteristiche simili a quelle di due antiche uve dell’Egeo, il Rhoditis ed il Sideritis, e caratterizzata da una polpa croccante e una buccia resistente che ne ha permesso la permanenza in mare.
Le uve sono state immerse in mare per 5 giorni a circa 10 metri di profondità, all’interno di nasse di vimini. Questo processo ha consentito di eliminare parte della pruina superficiale, cioè il velo ceroso che riveste gli acini, mentre il sale marino per “osmosi” è parzialmente penetrato all’interno. Nella vinificazione delle uve sono state impiegate anfore di terracotta ottenendo, dopo un anno di affinamento in bottiglia, un vino estremamente naturale, molto simile a quello prodotto 2500 anni fa.
“Il contributo alla ricerca dell’Università di Pisa è stato importante – dice la professoressa Angela Zinnai – a partire da quello di una mia studentessa, Naomi Deaddis, che ha dedicato la sua tesi di laurea all’esperimento e che ha reperito le particolari nasse che sono servite per immergere l’uva sino alla definizione del protocollo sperimentale e delle verifiche sia chimiche che sensoriali del vino che ho realizzato con la collega Francesca Venturi”.
Dalle analisi svolte è emerso che il contenuto in fenoli totali del vino marino è il doppio rispetto a quello prodotto tradizionalmente, e questo grazie alla maggiore estrazione legata alla parziale riduzione della resistenza della buccia. Dal punto di vista sensoriale il vino mostra infine abbondanti “riflessi dorati” con sentori di frutta matura a polpa bianca e gialla con un’evidente punta di salinità e una minore acidità titolabile legata all’incremento delle ceneri del vino.

Durante il convegno a Firenze è stato proiettato in anteprima italiana il documentario Vinum Insulae diretto e prodotto da Stefano Muti (Cosmomedia), che racconta l'esperimento enologico di Nesos e che ha vinto primo premio come Miglior Cortometraggio al 26° Festival International Œnovidéo di Marsiglia. Il documentario è attualmente in concorso anche alla IX edizione del Most Festival 2019, Festival internazionale del cinema del vino e della cava, che si sta svolgendo in Spagna a Vilafranca del Penedès, durante la celebrazione della Giornata europea del turismo del vino.

Il Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria Edile Architettura propone un laboratorio e un ciclo di conferenze di Architettura Bottom-up, il metodo di progettazione che prevede la partecipazione dei cittadini stessi al processo di riqualificazione urbana.
In particolare, sarà proposto di individuare all’interno della città di Pisa “luoghi dimenticati” su cui mettere in pratica questo tipo di approccio alla progettazione.

Il progetto, finanziato dall’Università di Pisa - Fondi Speciali per la Didattica - è principalmente rivolto agli studenti di Ingegneria Edile Architettura dell’Università di Pisa, ma è aperto anche a studenti dell’Ateneo e di altri atenei italiani interessati.

La scadenza per le iscrizioni è il 29 novembre 2019.

I dettagli sono disponibili alla pagina: http://www.iea.ing.unipi.it/it/bacheca/iniziative/348-architettura-bottom-up-conferenza-e-laboratorio-di-rigenerazione-urbana

Ha preso il via nell'Aula Gerace del dipartimento di Informatica la seconda edizione di "Insegnare a insegnare", il percorso di apprendimento delle competenze utili per l'insegnamento universitario che l'Università di Pisa dedica ai docenti neo-assunti e più in generale ai professori in servizio che sentono l'esigenza di migliorare e rafforzare la propria didattica. L'inaugurazione del corso e i primi incontri si sono tenuti lunedì 11 novembre con gli interventi del prorettore per la Didattica, Marco Abate, dei professori dell'Ateneo, Maria Antonella Galanti e Luca Fanucci, e del docente dell'Università di Padova, Ettore Felisatti, che coordina il progetto.

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"Mentre viene dedicata, giustamente, molta attenzione alla formazione alla ricerca – ha detto il professor Abate – nell’università italiana, contrariamente a quanto accade in molti degli atenei stranieri più prestigiosi, non altrettanta attenzione viene dedicata alla formazione alla didattica, che pure è uno degli elementi fondanti della professione di professore universitario. Per rimediare a questa carenza, partendo dall’esperienza dell’Università di Padova, l’Università di Pisa dall’anno scorso ha avviato una serie di iniziative, di cui “Insegnare a insegnare” è la principale, volte a rafforzare le competenze didattiche dei docenti neo-assunti e a offrire strumenti e approcci innovativi alla didattica che possono essere utili anche a docenti esperti per meglio favorire l’apprendimento da parte degli studenti.”

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Dopo la positiva partenza dello scorso anno, sono 60 i ricercatori e professori iscritti alla seconda edizione di "Insegnare a insegnare", che proseguirà fino alla fine di giugno del 2020 con incontri che vedranno come protagonisti esperti italiani e stranieri, accademici e non.

Il percorso principale sarà affiancato quest'anno da altre iniziative che riguardano il miglioramento della didattica universitaria. La prima sarà il seminario pubblico tenuto giovedì 14 novembre, alle ore 12 nell’Aula Magna del Polo Fibonacci, dal professor George M. Malacinski. Il docente della Indiana University parlerà delle conseguenze sulla didattica della generale diffusione e facilità di accesso ai portali digitali, che rappresentano una sfida ai metodi tradizionali di trasferimento della conoscenza, a livello sia pre-universitario che universitario. Citando alcuni casi concreti, il professor Malacinski sosterrà l'esigenza, di fronte alle nuove tecnologie, di trasformare la classica lezione “passiva” in una esperienza di conoscenza “attiva/collaborativa”, nell'ambito della quale ogni studente viene aiutato ad "apprendere nel modo in cui ciascuno, come individuo, apprende meglio”. George M. Malacinski, professore emerito di Biologia, è stato un pioniere dell’active learning. Negli ultimi anni si è dedicato molto alle nuove tecnologie in biologia e alle loro potenzialità e implicazioni, anche in una prospettiva etica, filosofica, morale, e viste da punti di vista culturali diversi. Per questo i suoi seminari sono molto trasversali e finiscono per essere occasioni di confronto per studiosi in varie discipline e di varia estrazione, dai biologi ai medici, dagli economisti ai filosofi, che vengono volutamente “provocati” a porsi delle domande sui temi trattati.

Con il saluto del prorettore vicario dell'Università di Pisa, Carlo Petronio, si è aperto il Partner Meeting che si è tenuto venerdì 8 novembre al Centro Congressi Le Benedettine e con cui il Consorzio Universitario Qualità e Innovazione (QUINN) ha festeggiato i trent'anni di attività.
L’evento ha offerto alcune anteprime, come la proiezione del nuovo logo del Consorzio e del video istituzionale, per poi passare alle testimonianze di primarie aziende nazionali che hanno condiviso le loro esperienze video registrate su due questioni che continuano a impegnare il management in questi frangenti di grande instabilità dei mercati e imprevedibilità degli scenari socio-politici: “Quali opzioni per fronteggiare i periodi di crisi? e “Se si decide di innovare quale ruolo può svolgere la tecnologia”?
Dopo gli interventi dello scrittore di “romanzi d’impresa” Alessandro Zaltron, che ha attinto al suo ricco repertorio di vicende imprenditoriali, c’è stato l’appassionante racconto dell’epica avventura tra i ghiacci del Polo Sud di Henry Shekleton, illustrata dal vivo da Michele Tranquillini e narrata in modo coinvolgente da Paolo Colombo docente di Storia contemporanea alla Cattolica di Milano e collaboratore Rai. Un’avvincente lotta per la sopravvivenza che ha fatto emergere i valori della solidarietà, coraggio e capacità di resilienza di un equipaggio di 28 persone che per due anni è rimasto disperso in un habitat estremo dove le speranze di ritorno sembravano più volte azzerate. Una grande lezione per i partecipanti che hanno manifestato sorpresa e apprezzamento per l’innovativo ed emozionante format che il Consorzio QUINN ha ideato per questo importante appuntamento.
Al centro del pomeriggio c'è stato il tradizionale taglio della torta, alla presenza (da sinistra nella foto in alto) di Daniela Contu, consigliere ENI, di Andrea Bonaccorsi, past president di QUINN, di Roberto Mirandola, primo presidente e fondatore del Consorzio, dell'attuale presidente, Marcello Braglia, di Andrea Di Benedetto, consigliere 3Logic, e di Marco Bernardini, direttore di QUINN.

Giovedì 7 novembre, alle ore 21, alla Cittadella Galileiana, in Largo Renzo Spadoni, appuntamento con le "Osservazioni al telescopio a cura degli astrofili del dipartimento di Fisica", introdotte da letture scelte dal libro "Viaggio ai confini dell'Universo (e oltre)" di Vincenzo Mirra. Al telescopio, gli spettatori potranno osservare i colori del cosmo, compiendo un viaggio attraverso i colori degli astri, il rosso intenso delle stelle al carbonio, le tinte smeraldo degli oggetti lontani e il blu degli oggetti più caldi.
Il seminario è l’ultimo del ciclo di conferenze divulgative "I giovedì della Cittadella Galileiana", organizzato dal Museo degli Strumenti di Fisica (Sistema Museale di Ateneo) in collaborazione con la Ludoteca Scientifica (Dipartimento di Fisica).

Ha preso il via nell'Aula Gerace del dipartimento di Informatica la seconda edizione di "Insegnare a insegnare", il percorso di apprendimento delle competenze utili per l'insegnamento universitario che l'Università di Pisa dedica ai docenti neo-assunti e più in generale ai professori in servizio che sentono l'esigenza di migliorare e rafforzare la propria didattica. L'inaugurazione del corso e i primi incontri si sono tenuti lunedì 11 novembre con gli interventi del prorettore per la Didattica, Marco Abate, dei professori dell'Ateneo, Maria Antonella Galanti e Luca Fanucci, e del docente dell'Università di Padova, Ettore Felisatti, che coordina il progetto.
"Mentre viene dedicata, giustamente, molta attenzione alla formazione alla ricerca – ha detto il professor Abate – nell’università italiana, contrariamente a quanto accade in molti degli atenei stranieri più prestigiosi, non altrettanta attenzione viene dedicata alla formazione alla didattica, che pure è uno degli elementi fondanti della professione di professore universitario. Per rimediare a questa carenza, partendo dall’esperienza dell’Università di Padova, l’Università di Pisa dall’anno scorso ha avviato una serie di iniziative, di cui “Insegnare a insegnare” è la principale, volte a rafforzare le competenze didattiche dei docenti neo-assunti e a offrire strumenti e approcci innovativi alla didattica che possono essere utili anche a docenti esperti per meglio favorire l’apprendimento da parte degli studenti.”
Dopo la positiva partenza dello scorso anno, sono 60 i ricercatori e professori iscritti alla seconda edizione di "Insegnare a insegnare", che proseguirà fino alla fine di giugno del 2020 con incontri che vedranno come protagonisti esperti italiani e stranieri, accademici e non.
Il percorso principale sarà affiancato quest'anno da altre iniziative che riguardano il miglioramento della didattica universitaria. La prima sarà il seminario pubblico tenuto giovedì 14 novembre, alle ore 12 nell’Aula Magna del Polo Fibonacci, dal professor George M. Malacinski. Il docente della Indiana University parlerà delle conseguenze sulla didattica della generale diffusione e facilità di accesso ai portali digitali, che rappresentano una sfida ai metodi tradizionali di trasferimento della conoscenza, a livello sia pre-universitario che universitario. Citando alcuni casi concreti, il professor Malacinski sosterrà l'esigenza, di fronte alle nuove tecnologie, di trasformare la classica lezione “passiva” in una esperienza di conoscenza “attiva/collaborativa”, nell'ambito della quale ogni studente viene aiutato ad "apprendere nel modo in cui ciascuno, come individuo, apprende meglio”. George M. Malacinski, professore emerito di Biologia, è stato un pioniere dell’active learning. Negli ultimi anni si è dedicato molto alle nuove tecnologie in biologia e alle loro potenzialità e implicazioni, anche in una prospettiva etica, filosofica, morale, e viste da punti di vista culturali diversi. Per questo i suoi seminari sono molto trasversali e finiscono per essere occasioni di confronto per studiosi in varie discipline e di varia estrazione, dai biologi ai medici, dagli economisti ai filosofi, che vengono volutamente “provocati” a porsi delle domande sui temi trattati.

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