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L’esperimento ATLAS

Il 10 Settembre 2008 c’era una atmosfera di grande entusiasmo e tensione nella sala di controllo di ATLAS. Questo giorno segnava infatti una tappa molto importante: i fasci di protoni avrebbero percorso per la prima volta il perimetro dell’acceleratore LHC e ATLAS avrebbe dovuto dimostrare di essere pronto per registrare le immagini delle particelle che avrebbero attraversato il rivelatore. Dopo molti anni di costruzione, installazione e controlli di ogni tipo per verificare il corretto funzionamento dei milioni di canali di elettronica di ATLAS, in questo giorno tutti gli apparati avrebbero dovuto essere pronti per funzionare insieme e al momento giusto. Non si prevedeva di avere collisioni tra i fasci di protoni, tuttavia ci si aspettava che le collisioni del singolo fascio di protoni con un componente di cemento, detto beam–dump avrebbero generato decine di particelle che avrebbero inondato il rivelatore percorrendolo da un lato all’altro.

Figura 1. Sala di controllo di ATLAS il 10 Settembre 2008 durante la registrazione del primo evento

Figura 1. Sala di controllo di ATLAS il 10 Settembre 2008 durante la registrazione del primo evento

Alle ore 10, 19 minuti e 20 seondi i grandi schermi presenti nella sala di controllo si sono illuminati mostrando il primo evento generato (figura 1) da protoni di LHC in ATLAS! È stato motivo di grande soddisfazione e orgoglio per tutta la comunità di ATLAS verificare che il nostro esperimento, dopo anni di preparazione, funzionava correttamente in tutte le sue componenti. La sala di controllo si trova un centinaio di metri sopra la caverna sotterranea che ospita il rivelatore ATLAS. Questa caverna artificiale di dimensione imponente, 53 metri di lunghezza, per 35 metri di altezza, per 30 metri di larghezza, è la più grande esistente al mondo. Due grossi tunnel verticali la collegano con la superficie e sono stati utilizzati per calare le varie componenti del rivelatore ed installarle all’interno della caverna.

ATLAS è stato progettato per misurare tutte le caratteristiche delle particelle prodotte nelle interazioni protone–protone in modo da coprire il più ampio programma di fisica possibile a LHC. ATLAS, nato inizialmente come acronimo di A Toroidal LHC ApparatuS, viene ora utilizzato come nome vero e proprio sia del rivelatore che della collaborazione scientifica. Quest’ultima è una comunità mondiale che coinvolge circa 2.000 fisici e ingegneri che provengono da 35 nazioni. L’Italia partecipa ad ATLAS con circa 200 fisici, di cui una buona percentuale sono giovani studenti dei corsi di laurea e di dottorato. Il gruppo di ATLAS di Pisa, composto da circa 15 fisici, è una piccola comunità internazionale. Ad esempio in questo momento, oltre a ricercatori italiani, ospitiamo ricercatori dalla Francia, dagli Stati Uniti, dalla Russia e da Cipro. L’opportunità di invitare ricercatori stranieri è resa possibile anche da un finanziamento ottenuto dalla comunità europea.

Figura 2. Schema del rivelatore ATLAS. In figura è mostrata la disposizione del tracciatore interno (Inner Detector), dei calorimetri elettromagnetico (Electromagnetic Calorimeter) ed adronico (Hadronic Calorimeter) e del rivelatore di Muoni (Muon Detectors)

Figura 2. Schema del rivelatore ATLAS. In figura è mostrata la disposizione del tracciatore interno (Inner Detector), dei calorimetri elettromagnetico (Electromagnetic Calorimeter) ed adronico (Hadronic Calorimeter) e del rivelatore di Muoni (Muon Detectors)

Il rivelatore ATLAS (figura 2) è costituito da un insieme di apparati coassiali, di forma cilindrica che, funzionando insieme, producono una specie di fotografia tridimensionale digitale dell’interazione protone–protone, da cui si può risalire alle caratteristiche delle centinaia di particelle prodotte.

L’analisi dei dati che compongono questa fotografia permette di ottenere le misure della traccia, dell’energia, dell’impulso e dell’identità di ogni particella. L’apparato di ATLAS che si trova più vicino al punto di collisione dei protoni, cioè subito fuori dal tubo che contiene il fascio, è detto tracciatore interno.

Questo rivelatore, immerso in un campo magnetico solenoidale 40.000 volte più intenso di quello terrestre, permette di fotografare la traiettoria delle particelle cariche, registrando il segnale da esse generato attraversando matrici o strisce di silicio. Le particelle cariche, deflesse dal campo magnetico, percorrono traiettorie curve. È proprio la misura di questa curvatura che permette di risalire all’impulso delle particelle stesse. Il tracciatore interno è lungo più di 7 metri e la sua distanza dal punto di interazione varia da 5 centimetri a oltre 1 metro. Questo apparato, che permette una misura delle traiettorie con una precisione di qualche milionesimo di metro, è composto da più di 80 milioni di canali di elettronica.

Immediatamente all’esterno del tracciatore interno si trova il sistema calorimetrico (figura 2). Questo sistema permette di misurare l’energia di tutte le particelle cariche e neutre che sono assorbite completamente. Questo sistema è costituito da fogli di metallo, di differente materiale e forma, intervallati da materiali attivi, cioè materiali capaci di produrre un segnale al passaggio delle particelle. Le particelle che attraversano il sistema calorimetrico perdono la maggior parte dell’energia nei fogli di metallo e solo una piccola percentuale dell’energia è rilasciata nel materiale attivo dove produce un segnale. Il segnale così prodotto è proporzionale all’energia della particella incidente e quindi ne fornisce la misura. In questo modo si ha il doppio vantaggio di poter misurare anche particelle di alta energia con rivelatori piuttosto compatti. Il sistema calorimetro è costituito da due cilindri coassiali. Il cilindro più interno, detto calorimetro elettromagnetico (figura 2), permette di misurare l’energia di elettroni e fotoni. In questo rivelatore i fogli di metallo sono costituiti da piombo mentre il materiale sensibile è argon liquido alla temperatura di −183 gradi Celsius. Le particelle cariche attraversando l’argon liquido sono capaci di liberare elettroni da cui si genera un segnale elettrico che viene registrato. A un raggio di circa 2.5 metri dal punto di interazione si trova la componente adronica del calorimetro (figura 2), che permette la misura dell’energia di tutti gli adroni, cioè quelle particelle che interagiscono con processi nucleari, tra cui ad esempio protoni e neutroni. In questo apparato i fogli di metallo sono costituiti da ferro in cui sono inserite, come dentro a delle tasche, delle mattonelle di un materiale scintillatore che produce luce al passaggio delle particelle. Circa 700.000 fibre ottiche raccolgono la luce prodotta nel calorimetro e la guidano a dei rivelatori, detti fotomoltiplicatori, che trasformano il segnale luminoso in segnale elettrico e lo amplificano (figura 3). Il nome di questo apparato, Tile Calorimeter, ovvero calorimetro a mattonelle, deriva proprio dalla sua particolare struttura.

Figura 3. (Sinistra) Fotografia del rivelatore ATLAS installato nella caverna sperimentale. Sulla foto si possono vedere le bobine che generano il campo magnetico toroidale e al centro di essi la sezione del calorimetro adronico Tile. (Destra) Fotografia di uno dei moduli del calorimetro Tile mentre è equipaggiato con le fibre ottiche.

Figura 3. (Sinistra) Fotografia del rivelatore ATLAS installato nella caverna sperimentale. Sulla foto si possono vedere le bobine che generano il campo magnetico toroidale e al centro di essi la sezione del calorimetro adronico Tile. (Destra) Fotografia di uno dei moduli del calorimetro Tile mentre è equipaggiato con le fibre ottiche.

L’apparato più esterno, il rivelatore dei muoni, è formato da migliaia di sensori di particelle cariche ed è immerso in un campo magnetico toroidale 100.000 volte più intenso di quello terrestre. Questo campo magnetico è generato da otto bobine a forma di grosse ciambelle oblunghe, che contengono circa 100 Km di filo superconduttore. Queste bobine, che costituiscono un sistema innovativo per generare uno dei più grossi volumi di intenso campo magnetico al mondo, sono state sviluppate da un gruppo di ricerca italiano e costruite presso l’Ansaldo. La scelta di avere all’interno del volume di ATLAS due campi magnetici distinti, uno per il tracciatore interno e uno per il rivelatore dei muoni, è una peculiarità che contraddistingue ATLAS e che ha poi condizionato molte altre scelte strutturali del rivelatore.

Il rivelatore dei muoni è disegnato per contenere tutto il resto del rivelatore circondando completamente il punto di collisione a una distanza da esso di più di dieci metri. In questo modo tutte le particelle generate nel punto di collisione, capaci di attraversare completamente il rivelatore senza essere assorbite, sono obbligate ad attraversare questo apparato. Ad oggi, conosciamo solo due tipi di particelle di questo tipo: i muoni e i neutrini. I primi, essendo carichi, rilasciano un segnale negli elementi sensibili del rivelatore e attraverso la misura della loro traiettoria è possibile misurare il loro impulso. I neutrini, invece, fuoriescono da ATLAS senza lasciare traccia. È solo attraverso la mancanza di una certa quantità di energia nel bilancio energetico delle singole interazioni che è possibile dedurre la produzione di neutrini in una particolare interazione.

L’avventura della costruzione di questo complesso rivelatore è iniziata nel 1992, anno in cui è stata presentata la letter of intent, ossia il documento in cui si delineavano sia le ricerche che si volevano compiere, sia il progetto di massima del rivelatore con cui si intendeva eseguirle. Una volta approvato questo documento è iniziata la fase di costruzione. In questa fase ogni gruppo di ricerca ha contribuito al progetto finanziando, costruendo e mettendo in funzione una parte del rivelatore. Pisa ha partecipato alla messa in opera del calorimetro adronico contribuendo a tutti i passi della realizzazione di questo apparato, dalla progettazione fino alla costruzione e messa in opera. Tarcisio Del Prete, dirigente di ricerca presso l’Istituto di Fisica Nucleare di Pisa, è stato alla guida del gruppo di Pisa dal 1992 fino allo scorso anno ed è attualmente a capo della collaborazione Tile in ATLAS. Attualmente il coordinamento del gruppo di Pisa è passato al Prof. Vincenzo Cavasinni dell’Università di Pisa.

Pisa è stata responsabile della costruzione di circa un ottavo della struttura di ferro dei moduli del calorimetro. Questo lavoro è iniziato presso i laboratori dell’Istituto di Fisica Nucleare della sezione di Pisa nel 1998. In quest’anno, infatti, si era conclusa la fase di ricerca e sviluppo che ha permesso di scegliere al meglio tutte le componenti del calorimetro. Nella prima parte del lavoro sono stati sviluppati tutti i macchinari che hanno permesso di incollare e saldare gli strati di ferro fino a montare i moduli di 1200 Kg con una precisione spaziale di 1⁄50.000. Una volta definita la strategia di costruzione, tutti i macchinari sono stati trasferiti presso la ditta Galli Morelli di Lucca, dove è iniziata la produzione dei 310 elementi, che costituiscono un quarto del cilindro centrale del calorimetro adronico di ATLAS. Durante la produzione il contributo del gruppo di Pisa è stato fondamentale non solo per supervisionare il lavoro ma anche per il controllo qualità.

Figura 4. Apparato sperimentale sviluppato presso i laboratori dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare di Pisa per la caratterizzazione dei 1.500 fotomoltiplicatori del calorimetro Tile di ATLAS. In alto a sinistra è mostrata una foto di un fotomoltiplicatore accostato ad una moneta da 1 euro che permette di valutarne le dimensioni. In basso a sinistra è mostrato un particolare della scatola che conteneva i fotomoltiplicatori per le misure. A destra è mostrata l’apparecchiatura elettronica utilizzata per i test

Figura 4. Apparato sperimentale sviluppato presso i laboratori dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare di Pisa per la caratterizzazione dei 1.500 fotomoltiplicatori del calorimetro Tile di ATLAS. In alto a sinistra è mostrata una foto di un fotomoltiplicatore accostato ad una moneta da 1 euro che permette di valutarne le dimensioni. In basso a sinistra è mostrato un particolare della scatola che conteneva i fotomoltiplicatori per le misure. A destra è mostrata l’apparecchiatura elettronica utilizzata per i test

Contemporaneamente alla costruzione dei moduli si sono attrezzati due laboratori di test e caratterizzazione, uno per i fotomoltiplicatori e uno per le fibre. La figura 4 mostra la foto di uno dei 10.000 fotomoltiplicatori utilizzati nel calorimetro adronico per rivelare la luce prodotta dal passaggio delle particelle e per trasformarla in impulso elettrico. Il 15% di questi fotomoltiplicatori sono stati caratterizzati a Pisa utilizzando l’apparato sperimentale mostrato in figura 4.

L’ultima parte del lavoro di costruzione è consistita nel qualificare a campione le 700.000 fibre ottiche utilizzate per portare la luce ai fotomoltiplicatori. I lavori di costruzione a Pisa sono stati completati nel 2003 e nello stesso anno si è iniziato ad assemblare tutti i vari componenti per la costruzione del calorimetro presso il CERN. Nel 2006 il calorimetro è stato il primo rivelatore ad essere installato nella caverna sperimentale.

In questi ultimi anni il lavoro si è concentrato sullo sviluppo di molteplici sistemi di controllo che permettono, anche durante la presa dati, di verificare il corretto funzionamento del calorimetro e la precisione con cui la misura dell’energia delle particelle viene eseguita.

L’attività del gruppo di Pisa ha coinvolto anche decine di laureandi e dottorandi di fisica che hanno studiato la possibilità di misura in ATLAS di importanti capitoli di fisica quali, ad esempio, la teoria delle interazione forti, QCD, e la produzione del bosone di Higgs. Molti tra questi giovani fisici, data la cronica carenza di possibilità di assunzione nell’ambito della ricerca in Italia, hanno trovato posizioni importanti in prestigiosi laboratori esteri negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, in Francia, in Spagna, in Svizzera. Questo esodo continuo di ricercatori esperti è da considerarsi un grave spreco di risorse per le Università e gli enti di ricerca italiani.

Dopo il grande entusiasmo generato dal primo evento acquisito da ATLAS, l’incidente a LHC ritarderà di qualche mese il momento in cui si avranno le prime collisioni. ATLAS, tuttavia, si sta adoperando per sfruttare al meglio anche questi mesi ed arrivare all’inizio della presa dati pronta per le prime analisi.

Lo scopo di ATLAS è di indagare nuovi ed entusiasmanti capitoli di fisica a partire dal bosone di Higgs, fino alle particelle supersimmetriche e fenomeni inaspettati. Le prime analisi, tuttavia, dovranno essere dedicate a dimostrare di sapere misurare, con precisione equivalente o migliore, tanti dei processi già misurati da esperimenti precedenti. Questa fase di analisi è necessaria a dimostrare che il livello di comprensione di questo complesso rivelatore è adeguato alle successive e delicate analisi di scoperta. Conclusa questa fase ci aspettiamo che ATLAS possa, per un decennio e oltre, portarci nuove scoperte per migliorare la comprensione del nostro universo.

Chiara Roda
ricercatore del dipartimento di Fisica “Enrico Fermi”
roda@df.unipi.it