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L’esperimento TOTEM

Più di venti tra fisici, ingegneri e tecnici della Sezione INFN di Pisa e del Dipartimento di Fisica dell’Università di Siena sono stati protagonisti nella realizzazione di TOTEM, uno degli esperimenti più piccoli dei sei progetti a LHC. Il Professor Angelo Scribano (Università di Siena) è il responsabile nazionale italiano del progetto, mentre il Dott. Stefano Lami (INFN Pisa) è il responsabile locale del gruppo TOTEM Pisa/Siena e dall’Ottobre 2008 è vice responsabile internazionale dell’esperimento.

Figura 1. Un’unità delle Roman Pot (RP): due pozzetti si muovono verticalmente ed uno orizzontalmente. Il tubo orizzontale centrale viene inserito come elemento del tubo a vuoto dell’acceleratore LHC. Un rivelatore Beam Position Monitor (BPM) fornisce una misura della posizione relativa del fascio passante

Figura 1. Un’unità delle Roman Pot (RP): due pozzetti si muovono verticalmente ed uno orizzontalmente. Il tubo orizzontale centrale viene inserito come elemento del tubo a vuoto dell’acceleratore LHC. Un rivelatore Beam Position Monitor (BPM) fornisce una misura della posizione relativa del fascio passante

TOTEM prevede di fare delle misure specifiche con tecniche sperimentali diverse dagli altri esperimenti: misure fondamentali per poter migliorare la nostra conoscenza della struttura interna del protone ed i meccanismi che determinano la sua forma e le sue dimensioni al crescere dell’energia. Si tratta quindi di misurare la frequenza delle collisioni protoneprotone ed estrapolarne la probabilità che un protone ha di interagire con un altro protone a queste altissime energie. Tale probabilità, strettamente connessa con le dimensioni reali del protone, ne fornisce appunto una misura. In particolare TOTEM studierà anche protoni che si sfiorano soltanto gli uni con gli altri quando i due fasci opposti di protoni s’incontrano, e il risultato è di avere due protoni uscenti dal punto d’interazione deviati ad angoli così piccoli, rispetto alla linea dei fasci, che per essere rivelati è necessario porre dei rivelatori di particelle prossimi o addirittura inseriti nel tubo a vuoto dell’acceleratore, dove appunto circolano i protoni in un verso e in quello opposto.

La misura della probabilità d’interazione protone–protone a LHC è importante per varie ragioni. Intanto questa probabilità non è una costante, ma cresce con l’aumentare dell’energia dei protoni, e quindi va misurata ad ogni nuova energia disponibile, in questo caso quella di LHC. Questa misura fornisce un numero che vogliamo conoscere, per stimare poi la probabilità di misurare eventi rari e interessanti da parte di tutti gli esperimenti a LHC. L’attuale previsione per questo numero proviene dall’estrapolazione all’energia di LHC di misure fatte negli anni passati ad energie molto più basse. L’incertezza teorica su questa previsione è molto alta, dovuta al fatto che ad oggi non risulta esserci ancora una spiegazione teorica pienamente soddisfacente delle collisioni complessive protone–protone, comprese quelle dove le particelle spesso si sfiorano soltanto, e la loro descrizione deve quindi rifarsi a modelli fenomenologici. Una misura precisa da parte di TOTEM aiuterà quindi a discriminare sui vari modelli oggi esistenti e aiuterà a comprendere meglio queste collisioni.

Figura 2. Il sistema di rivelazione dei protoni diffusi a piccolo angolo è formato, in ciascun pozzetto RP, da 10 rivelatori al silicio assemblati su 5 piani paralleli

Figura 2. Il sistema di rivelazione dei protoni diffusi a piccolo angolo è formato, in ciascun pozzetto RP, da 10 rivelatori al silicio assemblati su 5 piani paralleli

Questa misura contribuirà anche ad una migliore comprensione della fisica dei raggi cosmici d’alta energia, per la somiglianza tra l’interazione nucleare di un raggio cosmico primario, che spesso è un protone, con i nuclei degli elementi dell’atmosfera e l’interazione protoneprotone a LHC. Molti dei protoni provenienti dal cosmo hanno l’energia dei protoni circolanti in LHC.

Non sono da escludere a priori delle sorprese su questa misura a LHC. Numeri diversi dalle previsioni teoriche sarebbero un segnale di nuova fisica: per esempio, l’esistenza di extra dimensioni compatte per lo spazio–tempo.

L’apparato sperimentale di TOTEM consiste di tre sottosistemi. Due sistemi di tracciatori, ovvero rivelatori di tracce di particelle cariche, T1 e T2, sono situati nella stessa caverna dell’esperimento CMS, uno dei grandi apparati sperimentali a LHC. Posti attorno alla linea dei fasci e alle estremità di CMS, rivelano le particelle cariche eventualmente prodotte dalle collisioni fra protoni e ricostruiscono il vertice dell’interazione. Mentre i protoni, usciti intatti dalla collisione e diffusi ad angoli piccolissimi, vengono misurati da rivelatori posti in Roman Pot (cosiddetti pozzetti romani) a grande distanza dal punto d’interazione, a 150 e 220 metri, su entrambi i lati. I rivelatori di TOTEM sono tutti simmetrici rispetto al punto d’interazione. Il nome di pozzetti romani deriva dalla forma a pozzo e al fatto che furono impiegati per la prima volta da un gruppo di fisici romani guidati da Ugo Amaldi al primo collisionatore di protoni del CERN circa trentacinque anni fa.

Figura 3. Il tracciatore T1 è costituito da cinque piani di rivelatori a gas di particelle cariche ai due lati del punto d’interazione protone–protone

Figura 3. Il tracciatore T1 è costituito da cinque piani di rivelatori a gas di particelle cariche ai due lati del punto d’interazione protone–protone

Ogni stazione di Roman Pot consiste di due unità, ciascuna con tre pozzetti, due che si muovono verticalmente e uno orizzontalmente. Questi pozzetti sono inseriti nel tubo a vuoto dell’acceleratore e si possono muovere fino a portare, tramite la compressione di appositi soffietti, il bordo interno del rivelatore a silicio in essi presente fino a solo 1mm dal fascio. I rivelatori inseriti nei Roman Pot sono rivelatori con semiconduttori di silicio che ricostruiscono le tracce dei protoni con precisione micrometrica. La sfida tecnologica è stata quella di produrre rivelatori senza bordo, cioè che siano efficienti fino al bordo interno del rivelatore prossimo al fascio, minimizzando la regione non sensibile. Ogni pozzetto contiene dieci di questi rivelatori.

Il tracciatore T1 è formato da 5 piani di rivelatori per lato, lungo la direzione del fascio e posti attorno ad esso. Sono camere a fili, che permettono una grande copertura angolare, riempite con una miscela di gas, il cui principio di rivelazione è il meccanismo di moltiplicazione a valanga delle cariche generate dalla ionizzazione nel gas lungo la traiettoria delle particelle.

Figura 4. Dieci moduli semicircolari del rivelatore T2 (montati fronte–retro su cinque piani) nel laboratorio prima dell’installazione

Figura 4. Dieci moduli semicircolari del rivelatore T2 (montati fronte–retro su cinque piani) nel laboratorio prima dell’installazione

Infine T2 è il rivelatore su cui il gruppo di Pisa⁄Siena ha dato il maggior contributo, dalla progettazione alla realizzazione dell’elettronica di lettura fino all’installazione attorno al fascio di LHC. A più piccolo angolo il tracciatore T2 è basato sulla tecnologia GEM (Gas Electron Multiplier) per la sua robustezza e precisione micrometrica. Anche in questo caso si tratta di rivelatori riempiti con gas (argon e anidride carbonica) ma anziché fili si utilizzano sottili fogli di poliammide ricoperti di rame e attraversati da un gran numero di fori, inseriti fra un elettrodo catodo e un piano di raccolta; questi fori sono responsabili della moltiplicazione della carica elettrica. Il T2 è formato da 10 piani di rivelatori a GEM, ciascuno ha una forma semicircolare per cui due metà di tracciatore si chiudono in modo da coprire l’intero angolo di 360 gradi attorno alla linea di fascio.

Il numero totale dei singoli elementi di lettura dei segnali è di circa 250000 canali, letti da sistemi di elettronica appositamente sviluppati. Il costo totale dell’apparato sperimentale di TOTEM è stato di circa 6 milioni di franchi svizzeri. Vediamo adesso come questi rivelatori sono utilizzati nella misura della probabilità di collisione fra protoni.

L’equazione di Einstein E=mc2, che esprime il principio di equivalenza massa–energia, cioè che la massa non è altro che una forma di energia, è valida nelle collisioni fra particelle elementari che generano nuove particelle aventi complessivamente la stessa energia, o massa. A seconda della configurazione di particelle prodotte nello stato finale, possiamo classificare queste collisioni secondo tre categorie. La complessiva probabilità di collisione protone–protone è data così dalla somma dei seguenti tre casi:

Va infine ricordato che TOTEM fornirà misure molto precise sull’intensità dei fasci di protoni circolanti in LHC, misure necessarie sia agli scienziati degli altri esperimenti che agli ingegneri dell’acceleratore.

Stefano Lami
ricercatore dell’INFN di Pisa
stefano.lami@pi.infn.it