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Nei giorni dell'emergenza Covid-19 la ricerca non si ferma e cerca di raccogliere le difficili sfide che pone l'attuale situazione sanitaria. È quello che sta succedendo nelle Università di Firenze e Pisa, dove alcuni ricercatori sono al lavoro per reperire le evidenze scientifiche disponibili e pubblicate riguardo alla possibilità di sanificare le mascherine protettive di tipo FFP2 e FFP3 idonee per il personale sanitario, così da fornire indicazioni operative agli ospedali e alle aziende sanitarie unicamente in casi di perdurante grave carenza numerica di questi presidi di protezione individuale.

L'allarme, lanciato alcuni giorni fa, riguarda alcuni operatori sanitari (e non solo loro, ma anche gente comune) che hanno iniziato a sterilizzare in maniera non corretta mascherine già utilizzate, con il rischio di danneggiarle o di non decontaminarle. Alcuni specializzandi della Scuola di Scienze della Salute Umana dell'Università di Firenze hanno dunque chiesto aiuto ai bioingegneri dell'Università di Pisa, iniziando con loro una collaborazione in smart working attraverso la piattaforma virtuale UBORA. Questa piattaforma, nata grazie ad un finanziamento Horizon 2020 gestito dal Centro di Ricerca E. Piaggio dell'Università di Pisa, promuove la coprogettazione di dispositivi medici con un approccio open source in grado di dare risposte adeguate alle sfide nel campo della salute, con grande attenzione per le necessità dei diversi paesi, oltre a mettere in condivisione know-how e risorse.

L'idea è partita da Alessandra Ninci e Fabrizio Chiesi, della Scuola di Specializzazione in Igiene e medicina preventiva dell'Università di Firenze, sotto la supervisione di Paolo Bonanni e Guglielmo Bonaccorsi, docenti di Igiene generale e applicata presso l'Ateneo fiorentino. I ricercatori hanno cominciato ad analizzare i lavori scientifici prodotti in seguito alla pandemia da virus H1N1 (comunemente detta "febbre suina") che ha messo a nudo le difficoltà nel reperire grossi quantitativi di questi dispositivi di protezione individuale.

“Sentiamo la necessità, specialmente in questo momento – spiega Carmelo De Maria, bioingegnere del Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell’Università di Pisa e in forza al Centro di Ricerca E. Piaggio, – di mettere in campo un progetto collettivo, tramite la condivisione delle esperienze e del sapere scientifico, per proporre una procedura operativa standard (SOP) che garantisca la sicurezza di tutti quei professionisti che si trovano in prima linea per fronteggiare questa emergenza”.

“Studiando la letteratura scientifica – continua De Maria – emerge chiaramente che alcuni metodi di sterilizzazione rischiano di alterare le proprietà di filtrazione e la capacità della maschera di aderire al volto, cosa che è fondamentale per la protezione degli operatori. Si stanno dunque valutando trattamenti a bassa temperatura e non aggressivi per i materiali polimerici che compongono la maschera. Ma esistono vari tipi di mascherine, fatte di materiali molto diversi, quindi è opportuno mettere a punto trattamenti che possano essere efficaci su tutte quante e non solo su alcune di esse”.

Inoltre, conclude De Maria: “Non esistono, ad oggi, indicazioni dei fabbricanti per la risterilizzazione delle mascherine. La nostra sfida è coinvolgere altri esperti nel nostro team di ricerca tramite la piattaforma UBORA e sperimentare questo nuovo approccio il prima possibile, così da poter essere d’aiuto a medici e pazienti”.

L’Università di Pisa in collaborazione con l’Universidad Politecnica di Madrid ha anche lanciato una Design Competition, aperta a tutti, per promuovere lo sviluppo di dispositivi innovativi e sicuri in grado di aiutare pazienti ed operatori sanitari impegnati in emergenze come quella del Covid-19.

Nei giorni dell'emergenza Covid-19 la ricerca non si ferma e cerca di raccogliere le difficili sfide che pone l'attuale situazione sanitaria. È quello che sta succedendo nelle Università di Firenze e Pisa, dove alcuni ricercatori sono al lavoro per reperire le evidenze scientifiche disponibili e pubblicate riguardo alla possibilità di sanificare le mascherine protettive di tipo FFP2 e FFP3 idonee per il personale sanitario, così da fornire indicazioni operative agli ospedali e alle aziende sanitarie unicamente in casi di perdurante grave carenza numerica di questi presidi di protezione individuale.

L'allarme, lanciato alcuni giorni fa, riguarda alcuni operatori sanitari (e non solo loro ma anche gente comune) che hanno iniziato a sterilizzare in maniera non corretta mascherine già utilizzate, con il rischio di danneggiarle o di non decontaminarle. Alcuni specializzandi della Scuola di Scienze della Salute Umana  dell'Università di Firenze hanno dunque chiesto aiuto ai bioingegneri dell'Università di Pisa, iniziando con loro una collaborazione in smart working attraverso la piattaforma virtuale UBORA. Questa piattaforma, nata grazie ad un finanziamento Horizon 2020 gestito dal Centro di Ricerca E. Piaggio dell'Università di Pisa, promuove la coprogettazione di dispositivi medici con un approccio open source in grado di dare risposte adeguate alle sfide nel campo della salute, con grande attenzione per le necessità dei diversi paesi, oltre a mettere in condivisione know-how e risorse.

skype call De Maria
I ricercatori in riunione telematica.

L'idea è partita da Alessandra Ninci e Fabrizio Chiesi, della Scuola di Specializzazione in Igiene e medicina preventiva dell'Università di Firenze, sotto la supervisione di Paolo Bonanni e Guglielmo Bonaccorsi, docenti di Igiene generale e applicata presso l'Ateneo fiorentino. I ricercatori hanno cominciato ad analizzare i lavori scientifici prodotti in seguito alla pandemia da virus H1N1 (comunemente detta "febbre suina") che ha messo a nudo le difficoltà nel reperire grossi quantitativi di questi dispositivi di protezione individuale.

“Sentiamo la necessità, specialmente in questo momento – spiega Carmelo De Maria, bioingegnere del Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell’Università di Pisa e in forza al Centro di Ricerca E. Piaggio, – di mettere in campo un progetto collettivo, tramite la condivisione delle esperienze e del sapere scientifico, per proporre una procedura operativa standard (SOP) che garantisca la sicurezza di tutti quei professionisti che si trovano in prima linea per fronteggiare questa emergenza”.

carmelo demaria
Nella foto Carmelo De Maria.

“Studiando la letteratura scientifica – continua De Maria – emerge chiaramente che alcuni metodi di sterilizzazione rischiano di alterare le proprietà di filtrazione e la capacità della maschera di aderire al volto, cosa che è fondamentale per la protezione degli operatori. Si stanno dunque valutando trattamenti a bassa temperatura e non aggressivi per i materiali polimerici che compongono la maschera. Ma esistono vari tipi di mascherine, fatte di materiali molto diversi, quindi è opportuno mettere a punto trattamenti che possano essere efficaci su tutte quante e non solo su alcune di esse”.

Inoltre, conclude De Maria: “Non esistono, ad oggi, indicazioni dei fabbricanti per la risterilizzazione delle mascherine. La nostra sfida è coinvolgere altri esperti nel nostro team di ricerca tramite la piattaforma UBORA e sperimentare questo nuovo approccio il prima possibile, così da poter essere d’aiuto a medici e pazienti”. L’Università di Pisa in collaborazione con l’Universidad Politecnica di Madrid ha anche lanciato una Design Competition, aperta a tutti, per promuovere lo sviluppo di dispositivi innovativi e sicuri in grado di aiutare pazienti ed operatori sanitari impegnati in emergenze come quella del Covid-19.

Le variazioni dell’inclinazione dell’asse terrestre è il parametro orbitale più importante nel determinare la fine delle ere glaciali. E’ questa la conclusione di una ricerca internazionale pubblicata su Science al quale hanno partecipato i geologi dell’Università di Pisa insieme ai colleghi di Melbourne in Australia e Ca’ Foscari di Venezia.
Il risultato è stato raggiunto grazie alle analisi condotte nella grotta del Corchia sulle Apuane, un luogo unico al mondo dal punto di vista dello studio del clima passato.
“Studiamo la grotta del Corchia da venti anni – dice il professore Giovanni Zanchetta del dipartimento di Scienze della Terra dell’ateneo pisano – le sue concrezioni, fra stalagmiti e stalattiti, restituiscono un segnale climatico eccezionalmente pulito e sono tra i migliori materiali al mondo da datare con il metodo uranio-piombo, questo ci ha permesso di dare una risposta a una questione dibattuta da decenni sul rapporto fra parametri orbitali della Terra e variazione del sistema climatico”.
I protagonisti di questa controversia scientifica, ritenuti responsabili della fine delle ere glaciali, sono infatti tre: l’eccentricità dell’orbita terrestre, la precessione, cioè il lento spostamento delle stagioni legato al movimento rotatorio della Terra, e la variazione dell’asse terrestre.
“Secondo la teoria più accreditata sinora il parametro più importante era considerato la precessione associata alla eccentricità (almeno per le ultime centinaia di migliaia di anni), quanto più l’orbita diventa rotonda quanto più aumenta la vicinanza al Sole – continua Zanchetta – ora invece ci siamo resi conto che la variabile più importante è la variazione dell’inclinazione dell’asse terrestre. Questo fenomeno occorre ogni 40mila anni provocando una maggiore insolazione dei poli e lo scioglimento dei ghiacci”.
Lo studio pubblicato su Science ha riguardato in particolare la fine di due ere glaciali avvenute circa 960.000 e 875.000 anni. Gli scienziati hanno messo a confronto le stalagmiti del Corchia con i sedimenti oceanici perforati al largo delle coste del Portogallo. Dal punto di vista tecnico i due archivi climatici hanno un segnale climatico ottenuto con degli indicatori geochimici comparabili, il che ha permesso per la prima volta di associare i dati provenienti dalla grotta e dall’oceano per ricostruire una cronologia affidabile sulla fine delle ere glaciali.
“Ancora oggi non sappiamo molto sul funzionamento del clima e sulle sue variazioni – conclude Giovanni Zanchetta – capire cosa è successo nelle epoche passate ci aiuta ad elaborare dei modelli predittivi sempre più affidabili e capire meglio il futuro che ci aspetta”.

Didascalia: geologi dell’Università di Pisa e dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia a lavoro nelle viscere del Corchia, il primo da sinistra è il professore Giovanni Zanchetta.

Prorogata al 15 giugno 2020 l'ultima sessione di laurea per l'anno accademico 2018-2019. Lo ha deciso il Consiglio dei Ministri nella seduta di ieri, lunedì 16 marzo, durante la quale ha approvato il cosiddetto "Cura Italia": il decreto-legge che ha introdotto importanti misure di potenziamento del servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19.

Tra queste - come si legge in una nota inviata dal Ministro Gaetano Manfredi ai rettori italiani - il "Cura Italia" ha disposto "la proroga al 15 giugno 2020 dell'ultima sessione delle prove finali per il conseguimento del titolo di studio relative all'anno accademico 2018/2019". Prorogato di conseguenza anche "ogni altro termine connesso all'adempimento di scadenze didattiche o amministrative funzionali allo svolgimento delle predette prove".

Nella stessa comunicazione, il Ministro invita anche "le Università – che già non avessero provveduto in tal senso – a prorogare al 30 maggio 2020 i termini di pagamento delle ultime rate delle tasse universitarie". Un invito, quello del Ministro Manfredi, prontamente accolto dall'Università di Pisa. "In questo momento è fondamentale stare vicini ai nostri studenti - ha dichiarato il rettore Paolo Mancarella - L'invito del Ministro non può che trovarci d'accordo e provvederemo ad adeguarci il prima possibile".

Infine, con il "Cura Italia" arrivano anche importanti finanziamenti straordinari per la formazione superiore e la ricerca. Il Consiglio dei Ministri ha, infatti, deliberato - prosegue Manfredi nella sua nota - "anche l'istituzione di un fondo di 50 milioni nell'anno 2020, per far fronte alle immediate esigenze emergenziali".

 

Corona alloro laurea 1Prorogata al 15 giugno 2020 l'ultima sessione di laurea per l'anno accademico 2018-2019. Lo ha deciso il Consiglio dei Ministri nella seduta di ieri, lunedì 16 marzo, durante la quale ha approvato il cosiddetto "Cura Italia": il decreto-legge che ha introdotto importanti misure di potenziamento del servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19.

Tra queste - come si legge in una nota inviata dal Ministro Gaetano Manfredi ai rettori italiani - il "Cura Italia" ha disposto "la proroga al 15 giugno 2020 dell'ultima sessione delle prove finali per il conseguimento del titolo di studio relative all'anno accademico 2018/2019". Prorogato di conseguenza anche "ogni altro termine connesso all'adempimento di scadenze didattiche o amministrative funzionali allo svolgimento delle predette prove".

Nella stessa comunicazione, il Ministro invita anche "le Università – che già non avessero provveduto in tal senso – a prorogare al 30 maggio 2020 i termini di pagamento delle ultime rate delle tasse universitarie".

Un invito, quello del Ministro Manfredi, prontamente accolto dall'Università di Pisa. "In questo momento è fondamentale stare vicini ai nostri studenti - ha dichiarato il rettore Paolo Mancarella - L'invito del Ministro non può che trovarci d'accordo e provvederemo ad adeguarci il prima possibile".

Infine, con il "Cura Italia" arrivano anche importanti finanziamenti straordinari per la formazione superiore e la ricerca. Il Consiglio dei Ministri ha, infatti, deliberato - prosegue Manfredi nella sua nota - "anche l'istituzione di un fondo di 50 milioni nell'anno 2020, per far fronte alle immediate esigenze emergenziali".

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