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L’abisso negli occhi

Il nuovo libro di Liliana Dell'Osso e Barbara Carpita analizza lo sguardo femminile nel mito e nell'arte attraverso la lente della psichiatria

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Cosa si celi dietro allo sguardo di una donna è un mistero che ha ispirato scrittori, artisti, filosofi e scienziati di ogni epoca. E anche psichiatri, come dimostra il libro "L’abisso negli occhi. Lo sguardo femminile nel mito e nell’arte" (Edizioni Ets, 2016) scritto a quattro mani da Liliana Dell’Osso, professore di Psichiatria dell’Università di Pisa, e da Barbara Carpita, medico chirurgo e sua allieva. Un viaggio che da Medusa, che pietrificava chiunque guardasse, allo sguardo malefico delle streghe medioevali, arriva sino alle moderne icone di femminilità dello star system, come Marilyn Monroe. Un percorso che si articola anche attraverso la lettura dei capolavori d'arte e di fotografie di cui diamo qui alcuni esempi tratti dal volume.

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 medusa.jpgMichelangelo Merisi da Caravaggio, Scudo con testa di Medusa

Michelangelo Merisi da Caravaggio, Scudo con testa di Medusa. Olio su tela, 1597 ca. Galleria degli Uffizi, Firenze. La testa di Medusa di Caravaggio suscita una particolare inquietudine in chi la osservi. La sua espressione è minacciosa oppure terrorizzata? Nel mito della Gorgone si può scorgere una rappresentazione ante litteram del PTSD: la patologia mentale delle vittime di stupro, che trasformerà la seducente fanciulla in un mostro, capace di ritorcere le armi del proprio fascino corrotto contro chi la minacci ancora. I suoi occhi sono inquietanti perché sono quelli della vittima, paralizzati nella riesperienza cronica del trauma. Uno sguardo che pietrifica perché pietrificato dall’orrore e dall’impotenza, dunque, che colpisce perché riflesso della consumazione, da inferno dantesco, di un dramma che non può non ritorcersi contro l’interlocutore.

Vittorio Matteo Corcos, Sogni. Olio su tela, 1896

Vittorio Matteo Corcos, Sogni. Olio su tela, 1896. Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma. Lo sguardo di Elena Vechi, fanciulla moderna, esprime una profonda consapevolezza. La donna sembra sfidare l’interlocutore, i libri accanto a lei testimoniano la sua istruzione, la sua saggezza. Il suo sguardo, sensuale e provocatorio, è anche disilluso: è consapevole del suo potere, ma anche della propria solitudine, conseguente al distacco, rispetto ai desideri e alle occupazioni delle ragazze dell’epoca. Sembra sapere che sarebbe ingenuo sperare di veder riconosciute le proprie capacità. Al tempo stesso, la posa assorta e lo sguardo fisso sembrano rimandare all’estraniazione, all’immersione nei propri pensieri tipica dei visionari, caratterizzati dalla capacità di pensare fuori dagli schemi, spesso “in anticipo” rispetto al loro tempo. Il prezzo da pagare è, quasi sempre, l’isolamento sociale.

Marilyn Monroe

La maschera Marilyn. Il capolavoro in cui l’attrice ha dimostrato la propria genialità è Marilyn stessa. La Marilyn che conosciamo non è reale, è un prodotto confezionato abilmente da Norma Jeane (vero nome dell’attrice), tramite uno studio faticoso e attento, complice il perfezionismo e la ruminatività ossessiva: sintomi di spettro autistico, come del resto lo è l’attitudine alla mimesi, la necessità di costruirsi una maschera – solitamente basata sull’imitazione di modelli – per interagire socialmente. Il suo volto è diventato un’icona, il simbolo stesso della sensualità femminile nella cultura pop, e mantiene la sua forza anche quando stilizzato: Andy Warhol ne fece un’opera d’arte. Proprio come per gli occhi di Medusa, ciò che colpisce è la mancanza di sintonicità e di intenzione comunicativa: si tratta di uno sguardo volto a esercitare un potere, un fascinum (pietrificare, oppure sedurre) unidirezionale, impermeabile agli stimoli esterni.

 

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  • 1 dicembre 2016

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