Selezione un contratto a tempo ind., Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, riservato alle categorie d.lgs. n. 66-2010. Scad. 3/5
233 allievi di dottorato per i corsi di Academic English
Presto lavoreranno in team di ricerca internazionali e saranno chiamati a condividere i risultati dei loro studi e le loro scoperte con il pubblico più ampio. Per farlo serve una grande preparazione scientifica, ma questa da sola non basta: i dottorandi dell’Università di Pisa si preparano a diventare ricercatori di successo frequentando il corso di “Academic English for PhDs” organizzato dal CLI, il Centro Linguistico d’Ateneo, e tenuto da Joanne Spataro, un’iniziativa che nell’edizione 2019 ha coinvolto 233 partecipanti, per un totale di 8 corsi di 30 ore di lezione ciascuno.
I dottorandi e le dottorande dell'area umanistica insieme a Joanne Spataro.
Il corso è partito come progetto pilota nel 2015 soltanto per alcuni dottorati ma, su impulso dell’Ateneo, è stato esteso ai corsi di tutte le aree disciplinari: «Ci è sembrato opportuno rendere il corso di Academic English una tappa necessaria nel percorso formativo di tutti gli studenti del primo anno di PhD - commenta Marcella Aglietti, delegata del rettore per i dottorati di ricerca – I nostri allievi hanno così la possibilità di acquisire strumenti e competenze che, unite alla loro ottima preparazione scientifica, li aiuteranno ad affermarsi nel mondo della ricerca».
L’offerta formativa proposta dal CLI è finalizzata all’acquisizione della consapevolezza delle strutture linguistiche fondamentali per la scrittura e la pubblicazione di articoli scientifici in lingua inglese, nonché delle abilità linguistiche che sono necessarie in contesti accademici internazionali, come convegni, seminari e workshops. Ma non solo: «La particolarità del nostro corso – spiega Silvia Bruti, direttrice del CLI – è che si propone di fornire anche “soft skills”, competenze trasversali alla mera conoscenza della lingua inglese: i ragazzi imparano a lavorare in team, a sviluppare pensiero critico, capacità sociali e creatività, confrontandosi costantemente con dottorandi del proprio settore scientifico e con quelli appartenenti ad altri ambiti disciplinari. Imparano inoltre ad affrontare la stesura di un manoscritto scientifico partendo da una costante analisi comparativa tra la propria lingua madre e la lingua inglese, tutte competenze indispensabili nella loro futura carriera di ricercatori».
Un momento della lezione di Joanne Spataro.
Alla fine del corso i ragazzi sono chiamati a tenere una presentazione dei loro progetti di ricerca, mettendo in pratica ciò che hanno acquisito a lezione: «Chiarezza nell’esposizione, efficacia delle slide, ma anche postura, gestualità e capacità di coinvolgemento del pubblico sono gli elementi che i ragazzi devono saper gestire al meglio in questa occasione – aggiunge Joanne Spataro – È affascinante accompagnare in questo percorso i dottorandi, che vivono questa esperienza con molto entusiasmo e partecipazione».
Una dottoranda presenta il suo progetto di ricerca.
“Ritratto di Innocenzo Massimino” di Boccioni: svelati i segreti del restauro realizzato grazie ai chimici dell’Università di Pisa
Colla animale, caseina, gomma arabica e la significativa assenza di oli e di resine. Non una ricetta qualsiasi, ma piuttosto alcuni degli “ingredienti” dei pastelli utilizzati da Umberto Boccioni per realizzare il“Ritratto di Innocenzo Massimino” di che sono stati identificati da un team di chimici dell’Università di Pisa esperti nel campo della scienza dei beni culturali. Il gruppo guidato dalle professoresse Maria Perla Colombini e composto e Francesca Modugno, insieme ai dottori Anna Lluveras Tenorio e Jacopo La Nasa ha infatti contribuito alla comprensione e al restauro dell’opera in collaborazione con la restauratrice Barbara Ferriani e con Danka Giacon, curatore del Museo del Novecento dove il quadro è conservato. Un lavoro svolto alcuni anni fa e che ha permesso di esporre nuovamente il quadro al pubblico nel 2016 a Palazzo Reale a Milano, in occasione di una grande mostra per il centenario della morte di Boccioni, ma che solo adesso i ricercatori descrivono da “dietro le quinte” in un articolo scientifico appena pubblicato sul “Journal of Cultural Heritage”.
“Poco è noto sulla natura chimica dei pastelli usati in pittura nei primi del '900, sul loro degrado e su come affrontare un loro restauro – spiega Maria Perla Colombini - I pastelli sono costituiti essenzialmente da pigmenti inorganici polverizzati, come ferro per il rosso o piombo per il bianco, tenuti insieme da una piccolissima quantità di legante organico, dunque questo tipo di pittura mostra una grande fragilità poiché non si forma un vero film pittorico, dando luogo nel tempo a perdite di parti pittoriche”.
Il problema del distacco del colore è stata infatti proprio una delle problematiche affrontate nel restauro del dipinto “Ritratto di Innocenzo Massimino”, che Umberto Boccioni dipinse nel 1908.
Per il recupero del quadro è stata quindi fondamentale la conoscenza chimica dei materiali organici che compongono i pastelli resa possibile grazie alle analisi basate su cromatografia/spettrometria di massa, eseguite nei laboratori del dipartimento di Chimica e Chimica Industriale dell’Università di Pisa. Dunque come hanno rivelato le indagini, sebbene la composizione dei pastelli utilizzati da Boccioni vari in funzione del colore del pigmento, colla animale e gomma arabica restano gli ingredienti fondamentali. Questo significa che a livello di restauro, per fissare il film pittorico, non sono stati usati consolidanti a base acquosa ma fissativi a bassa viscosità in solvente volatile.
"Le indagini chimiche hanno fornito un’opportunità unica di ottenere informazioni sulle tecniche utilizzate dagli artisti futuristi e sulla composizione dei pastelli nel primo novecento – conclude la restauratrice Barbara Ferriani - I risultati sono stati fondamentali per l’individuazione del trattamento conservativo dell'opera e per la selezione del fissativo da applicare. In particolare, a seguito dell’indicazione della presenza di proteine e gomma arabica, e della assenza di lipidi come olii o cere, abbiamo deciso di applicare un fissativo a bassa viscosità che garantisce la massima compatibilità con i materiali costitutivi dell'opera".
“Ritratto di Innocenzo Massimino” di Boccioni: tutti i segreti del restauro realizzato grazie ai chimici UNIPI
Colla animale, caseina, gomma arabica e la significativa assenza di oli e di resine. Non una ricetta qualsiasi, ma piuttosto alcuni degli “ingredienti” dei pastelli utilizzati da Umberto Boccioni per realizzare il “Ritratto di Innocenzo Massimino” di che sono stati identificati da un team di chimici dell’Università di Pisa esperti nel campo della scienza dei beni culturali. Il gruppo guidato dalle professoresse Maria Perla Colombini e composto e Francesca Modugno, insieme ai dottori Anna Lluveras Tenorio e Jacopo La Nasa ha infatti contribuito alla comprensione e al restauro dell’opera in collaborazione con la restauratrice Barbara Ferriani e con Danka Giacon, curatore del Museo del Novecento dove il quadro è conservato. Un lavoro svolto alcuni anni fa e che ha permesso di esporre nuovamente il quadro al pubblico nel 2016 a Palazzo Reale a Milano, in occasione di una grande mostra per il centenario della morte di Boccioni, ma che solo adesso i ricercatori descrivono da “dietro le quinte” in un articolo scientifico appena pubblicato sul “Journal of Cultural Heritage”.
“Poco è noto sulla natura chimica dei pastelli usati in pittura nei primi del '900, sul loro degrado e su come affrontare un loro restauro – spiega Maria Perla Colombini - I pastelli sono costituiti essenzialmente da pigmenti inorganici polverizzati, come ferro per il rosso o piombo per il bianco, tenuti insieme da una piccolissima quantità di legante organico, dunque questo tipo di pittura mostra una grande fragilità poiché non si forma un vero film pittorico, dando luogo nel tempo a perdite di parti pittoriche”.
Il problema del distacco del colore è stata infatti proprio una delle problematiche affrontate nel restauro del dipinto “Ritratto di Innocenzo Massimino”, che Umberto Boccioni dipinse nel 1908.
Per il recupero del quadro è stata quindi fondamentale la conoscenza chimica dei materiali organici che compongono i pastelli resa possibile grazie alle analisi basate su cromatografia/spettrometria di massa, eseguite nei laboratori del dipartimento di Chimica e Chimica Industriale dell’Università di Pisa. Dunque come hanno rivelato le indagini, sebbene la composizione dei pastelli utilizzati da Boccioni vari in funzione del colore del pigmento, colla animale e gomma arabica restano gli ingredienti fondamentali. Questo significa che a livello di restauro, per fissare il film pittorico, non sono stati usati consolidanti a base acquosa ma fissativi a bassa viscosità in solvente volatile.
"Le indagini chimiche hanno fornito un’opportunità unica di ottenere informazioni sulle tecniche utilizzate dagli artisti futuristi e sulla composizione dei pastelli nel primo novecento – conclude la restauratrice Barbara Ferriani - I risultati sono stati fondamentali per l’individuazione del trattamento conservativo dell'opera e per la selezione del fissativo da applicare. In particolare, a seguito dell’indicazione della presenza di proteine e gomma arabica, e della assenza di lipidi come olii o cere, abbiamo deciso di applicare un fissativo a bassa viscosità che garantisce la massima compatibilità con i materiali costitutivi dell'opera".
Avviso di fabbisogno interno per il Dip. FILELI: Ricerca di documentazione biografica sui lucchesi Alessandro Vellutello e Bernardino Daniello, autori di due commenti cinquecenteschi della Commedia di Dante
Avviso di fabbisogno interno per il Dip. FILELI: Ricerca sistematica sui manoscritti ancora presenti a Lucca nei primi anni del secolo XIV, in particolare attinenti alle biblioteche ecclesiastiche
La Fisica della materia
È uscito in distribuzione con il Corriere della Sera il volume "La Fisica della materia”, scritto da Maria Luisa Chiofalo, professoressa dell’Università di Pisa, insieme a Leonardo Salvi e Guglielmo Maria Tino. Il libro fa parte della collana “Lezioni di Fisica”, un’iniziativa editoriale del Corriere della Sera che presenta 25 volumi dedicati all’incredibile mondo della fisica, per esplorare le conoscenze del terzo millennio attraverso il racconto e la spiegazione di docenti e ricercatori dell’Istituto nazionale di fisica nucleare e dell’Istituto nazionale di astrofisica.
Fisica teorica e sperimentale, paradossi quantistici e indagini astrofisiche nelle profondità dell’universo, fino alle ricerche di frontiera sul teletrasporto e sulla vita extraterrestre in lontani pianeti: libri per trovare le risposte a tante domande ma anche domande senza ancora risposta, e per mostrare il fascino di una materia da conoscere e amare in un percorso alla scoperta dei tanti perché della vita quotidiana, del mondo e dei fenomeni naturali.
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La Fisica della materia
Maria Luisa Chiofalo, Leonardo Salvi, Guglielmo Maria Tino
Superconduttività, superfluidità, cristalli liquidi, orologi atomici, “fogli” di carbonio spessi come un solo atomo: sono solo alcune delle applicazioni realizzate dai fisici della materia che hanno scoperto, o hanno sviluppato, proprietà di atomi e molecole che superano, moltiplicano o annullano, a seconda dei casi, il comportamento dei corpi descritto dalla fisica classica.
La sua integrazione con il metodo dell’elettronica ha portato a realizzazioni che hanno cambiato, e cambieranno, la nostra vita, nel mondo dell’informatica e delle comunicazioni. Lo studio della materia a livello quantistico permette di studiare anche l’intima struttura di molecole biologiche, cellule e loro aggregati, per scoprire in che modo funziona la vita a livello atomico.
E, nel mondo della pura conoscenza, questa scienza comincia a integrarsi con l’astrofisica, per lo studio delle stelle di neutroni e dei buchi neri. C’è ancora un mondo nell’infinitamente piccolo, apparentemente bizzarro, da studiare e sul quale costruire le applicazioni di domani.
Acceleratore SuperKEKB in Giappone: al via le prime collisioni elettrone-positrone
Un esperimento alla frontiera della scienza che vuol fare luce sulle troppe ombre che ancora avvolgono il comportamento della materia a livello microscopico. Il 25 marzo scorso, nel Laboratorio KEK, a Tsukuba, in Giappone, sono avvenute le prime collisioni elettrone-positrone dell’acceleratore SuperKEKB, che producono principalmente mesoni B, ma anche mesoni con charm e leptoni tau.
L’obiettivo degli scienziati è di trovare nuove particelle e nuovi fenomeni fisici che non sono descritti nel Modello Standard, quello cioè che definisce la fisica così come la conosciamo oggi. Entro giugno gli scienziati si aspettano di raccogliere i primi 5 milioni di eventi, che diventeranno 50 miliardi nel corso dei prossimi anni, da cui ricavare i dati per lo studio.
Francesco Forti (terzo da destra), insieme ai colleghi giapponesi e ad Antonio Paladino, ex-assegnista pisano (al centro),durante le fasi finali di completamento di SVD
L’esperimento in Giappone è frutto di una collaborazione internazionale formata da circa 800 fisici di 23 nazioni diverse. Gli scienziati italiani sono più di 60 provenienti dai laboratori e dalle sezioni dell’INFN e Università di Napoli, Padova, Perugia, Pisa, Torino, Trieste, Roma Sapienza, Roma Tre, Laboratori Nazionali di Frascati ed Enea Casaccia.
“In particolare nei laboratori dell’Università di Pisa e dell’INFN sono stati realizzate le parti anteriori e posteriori del rivelatore di vertici Silicon Vertex Detector, installato a dicembre 2018, che costituisce il cuore dell’esperimento per la misura delle particelle cariche,” spiega Francesco Forti, coordinatore del gruppo di Pisa, e fino allo scorso febbraio presidente del comitato esecutivo dell’esperimento.
Il gruppo di ricerca dell’Università di Pisa, che ha numerose responsabilità di rilievo nell’esperimento, è composto da Giovanni Batignani, Stefano Bettarini (coordinatore INFN), Giulia Casarosa (coordinatrice del software di SVD e del gruppo di analisi del charm), Eugenio Paoloni (coordinatore del software di tracciatura delle particelle) e Giuliana Rizzo (vice-coordinatrice del gruppo SVD). Del gruppo sono e sono stati parte attiva e fondamentale numerosi dottorandi e studenti magistrali; attualmente ne fanno parte Laura Zani, Luigi Corona e Gaetano de Marino.
Componenti anteriori e posteriori prodotti nei laboratori INFN / Università di Pisa
“I dati che raccoglieremo nei prossimi anni ci permetteranno di realizzare misure competitive e complementari a quello del nostro diretto concorrente, l’esperimento LHCb al CERN, che ha scoperto recentemente la asimmetria materia-antimateria nei mesoni con charm,” conclude Francesco Forti.
Le collisioni appena partite inaugurano una nuova fase dell’esperimento, iniziata dopo il completamento del rivelatore Belle II e l’aggiornamento dell'acceleratore SuperKEKB. Il nuovo acceleratore raggiungerà una luminosità 40 volte maggiore del suo predecessore KEKB attivo dal 1999 al 2010 e che nel 2001 scoprì, insieme all’esperimento Babar, la simmetria materia-antimateria nei mesoni con beauty.
Al via prime collisioni elettrone-positrone
Un esperimento alla frontiera della scienza che vuol fare luce sulle troppe ombre che ancora avvolgono il comportamento della materia a livello microscopico. Il 25 marzo scorso, nel Laboratorio KEK, a Tsukuba, in Giappone, sono avvenute le prime collisioni elettrone-positrone dell’acceleratore SuperKEKB, che producono principalmente mesoni B, ma anche mesoni con charm e leptoni tau. L’obiettivo degli scienziati è di trovare nuove particelle e nuovi fenomeni fisici che non sono descritti nel Modello Standard, quello cioè che definisce la fisica così come la conosciamo oggi. Entro giugno gli scienziati si aspettano di raccogliere i primi 5 milioni di eventi, che diventeranno 50 miliardi nel corso dei prossimi anni, da cui ricavare i dati per lo studio.
L’esperimento in Giappone è frutto di una collaborazione internazionale formata da circa 800 fisici di 23 nazioni diverse. Gli scienziati italiani sono più di 60 provenienti dai laboratori e dalle sezioni dell’INFN e Università di Napoli, Padova, Perugia, Pisa, Torino, Trieste, Roma Sapienza, Roma Tre, Laboratori Nazionali di Frascati ed Enea Casaccia.
“I dati che raccoglieremo nei prossimi anni ci permetteranno di realizzare misure competitive e complementari a quello del nostro diretto concorrente, l’esperimento LHCb al CERN, che ha scoperto recentemente la asimmetria materia-antimateria nei mesoni con charm,” spiega Francesco Forti, coordinatore del gruppo di Pisa, e fino allo scorso febbraio presidente del comitato esecutivo dell’esperimento.Le collisioni appena partite inaugurano una nuova fase dell’esperimento, iniziata dopo il completamento del rivelatore Belle II e l’aggiornamento dell'acceleratore SuperKEKB. Il nuovo acceleratore raggiungerà una luminosità 40 volte maggiore del suo predecessore KEKB attivo dal 1999 al 2010 e che nel 2001 scoprì, insieme all’esperimento Babar, la simmetria materia-antimateria nei mesoni con beauty.
“Nei laboratori dell’Università di Pisa e dell’INFN sono stati realizzate le parti anteriori e posteriori del rivelatore di vertici Silicon Vertex Detector, installato a dicembre 2018, che costituisce il cuore dell’esperimento per la misura delle particelle cariche,” aggiunge Forti.
Il gruppo di ricerca dell’Università di Pisa, che ha numerose responsabilità di rilievo nell’esperimento, è composto da Giovanni Batignani, Stefano Bettarini (coordinatore INFN), Giulia Casarosa (coordinatrice del software di SVD e del gruppo di analisi del charm), Eugenio Paoloni (coordinatore del software di tracciatura delle particelle) e Giuliana Rizzo (vice-coordinatrice del gruppo SVD). Del gruppo sono e sono stati parte attiva e fondamentale numerosi dottorandi e studenti magistrali; attualmente ne fanno parte Laura Zani, Luigi Corona e Gaetano de Marino.