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Scienza in discussione? Dalla controversia sui vaccini all'emergenza Covid-19

È uscito un volume a cura dei professori Luigi Pellizzoni e Rita Biancheri

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La questione dei vaccini chiama in causa la relazione tra salute pubblica e autonomia individuale e tra evidenze scientifiche e loro traduzione in dispositivi e applicazioni sociali. Riemerso di recente in Italia con l’estensione dei vaccini obbligatori, il tema dell’«esitazione vaccinale» è stato ulteriormente alimentato dalla pandemia Covid-19, con le incertezze a livello di expertise e decisione politica – il cui rapporto mai come in questo frangente è apparso problematico – sulla somministrazione di vaccini sperimentati in tempi record. La rinuncia, in Italia come altrove, a imporla all'intera popolazione, così come l’avvertita necessità e la ritrosia a farlo per il personale sanitario, indicano che il problema è tutt'altro che semplice e marginale, investendo il rapporto tra stato, scienza e opinione pubblica e le modalità stesse di produzione della conoscenza scientifica.

La semplificazione mediatica, in termini di pro e anti-vax, o addirittura di pro e anti-scienza, non ne aiuta la comprensione. Guardando alla questione da diversi punti di vista – dalla governance della salute alla «post-verità», dalle professioni sanitarie alle rappresentazioni individuali e mediatiche dell’esitazione vaccinale – il volume fornisce strumenti per fare luce sulle radici teoriche e motivazionali delle varie posizioni, ritenendo insufficienti le campagne educative o le strategie di persuasione basate sull'assunto del «deficit di comprensione», cui fa da contraltare lo spostamento del confronto scientifico sul piano mediatico. Ne derivano deleterie enfatizzazioni e strumentalizzazioni.

Vi è la necessità di un modo diverso di affrontare il tema dei vaccini, non solo in termini di informazione e comunicazione ma di crescita culturale, credibilità delle istituzioni e relazione fiduciaria tra medici e pazienti. Il volume, a cura di Luigi Pellizzoni (professore di Sociologia dell’ambiente e del territorio all'Università di Pisa) e Rita Biancheri (professoressa di Sociologia dei processi culturali e comunicativi all'Università di Pisa) intende contribuire all'ampliamento della prospettiva su un problema complesso, destinato ad assumere rilevanza crescente.

Qui di seguito pubblichiamo l’Introduzione al volume.

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Quella sui vaccini è, tra le controversie sull’uso sociale della scienza, una delle più antiche e accese. È bene ribadire il punto: non si tratta di una controversia scientifica in senso stretto; una controversia, cioè, che vede contrapporsi posizioni scientifiche differenti su questioni attinenti allo statuto di verità di determinate affermazioni teoriche o empiriche. Si tratta, invece, di una controversia sull’impiego del sapere scientifico e delle sue applicazioni tecniche per affrontare questioni di rilevanza sociale. Essa investe non la scienza in quanto tale, salvo forse posizioni estremamente minoritarie tese a sostenere la falsità di ogni affermazione scientifica sui vaccini, ma la scienza e la tecnica applicate alle politiche e alla regolazione della vita sociale: se, quando, come, in che misura i vaccini vadano prescritti, o imposti.

La diatriba, che in questi termini coinvolge non solo una parte della popolazione ma anche scienziati, si riaccende periodicamente, di solito in coincidenza con eventi di elevata presa sull’opinione pubblica: casi di morte o gravi patologie associati all’assunzione di vaccini; introduzione di obblighi vaccinali; epidemie. O un intreccio di queste ragioni. In Italia la diatriba è (ri)esplosa all’indomani dell’estensione dell’obbligo a 10 vaccini per i minori fino a 16 anni, introdotta dalla legge 119 del 2017. Mentre le polemiche al riguardo erano ancora molto accese è scoppiata l’emergenza pandemica Covid-19, cui è seguita la predisposizione di vaccini sperimentati in tempi record, a sua volta seguita da palpabili incertezze da parte delle autorità nazionali e internazionali sull’atteggiamento da assumere rispetto a eventi infausti associati alla somministrazione di alcuni di essi. Se e quale sarà l’impatto di questa vicenda sulla questione vaccinale nel suo assieme è impossibile dirlo in questo momento; tuttavia, la rinuncia, in Italia come altrove, a imporre l’obbligo vaccinale all’intera popolazione, nonostante le drammatiche conseguenze della pandemia, e l’esitazione a introdurlo anche solo per il personale sanitario (presso cui da sempre esiste una sia pur minoritaria resistenza alle vaccinazioni), sottende il riconoscimento dell’impatto potenzialmente negativo dell’obbligatorietà sul successo della campagna vaccinale; il che, a sua volta, implica l’ammissione che il problema è tutt’altro che trascurabile, limitato a un’esigua minoranza di persone.

Ma qual è il problema? La semplificazione mediatica in termini di pro e anti-vax non aiuta la comprensione del fenomeno. Non a caso, la letteratura più avveduta preferisce da tempo parlare di “esitazione vaccinale”, riferendosi al ventaglio di posizioni che si producono attorno alla questione. Questione che, all’origine, muove dal carattere unico dei vaccini rispetto a ogni altro intervento sanitario sul corpo umano: il fatto che si interviene su individui sani e non malati. Ciò inevitabilmente amplifica la rilevanza di effetti imprevisti e indesiderati. Le motivazioni addotte da chi è contrario all’obbligatorietà oppure alle modalità di somministrazione dei vaccini sono tuttavia articolate su più piani, con argomentazioni che, al di là della loro validità scientifica, devono essere interpretate anche attraverso l’apporto di categorie provenienti dall’ambito sociologico ed essere indagate come fenomeno complesso che investe, tra le altre variabili, le modalità stesse di produzione della conoscenza e il rapporto tra stato, scienza e opinione pubblica. Si tratta insomma di provare a capire le radici teoriche e motivazionali delle posizioni dissenzienti, anziché pensare che campagne di educazione o strategie di persuasione possano da sole “risolvere il problema”. Quest’ultima, tuttavia, pare essere la convinzione prevalente presso politici, scienziati e media, i quali sottoscrivono in tal modo l’assioma, ampiamente falsificato sul piano empirico  che la diffidenza verso l’uso sociale della scienza derivi semplicemente da un “deficit di comprensione” dei suoi benefici generali e indiscutibili.

La contrapposizione fittizia tra pro e contro le vaccinazioni non solo limita la capacità di indagare la questione dell’esitazione ma altera le condizioni per realizzare un’interazione efficace che si fondi sui presupposti di chiarezza cui la scienza, tirata da più parti, rischia di non rispondere. In ogni caso, se l’ambito naturale del confronto scientifico sulla produzione della conoscenza si sposta sul piano mediatico, esso non può che produrre infodemia, cioè un disordine comunicativo che può determinare dissonanze sul piano cognitivo e comportamentale. È allora che l’informazione fornita dagli esperti sembra non essere sufficiente e le evidenze scientifiche non bastano a consentire una scelta ponderata e consapevole, diventando oggetto di strumentalizzazione politica ed enfatizzazione mediatica.

Emerge di conseguenza la necessità di un modo diverso di affrontare la questione, in termini non solo di informazione/comunicazione ma di crescita culturale. Si tratta di costruire una sinergia tra mondo della ricerca, imprese, terzo settore, operatori sanitari e cittadini, questi ultimi nella veste di individui e gruppi portatori di prospettive ed esigenze diverse. Il tema dei vaccini pone insomma una varietà di questioni, a cominciare dall’efficacia/efficienza del welfare sanitario, che si proiettano sulla credibilità delle istituzioni e la soddisfazione dell’utenza e le funzioni del medico, compresa – e in un ruolo tutt’altro che secondario – la relazione di fiducia con il paziente. La soluzione al problema dell’esitazione vaccinale, pertanto, non è semplice e non può essere solo legislativa, poiché non si tratta di contrapporre verità scientifica e false credenze ma di entrare nei meccanismi di produzione della conoscenza, dei metodi e dei finanziamenti della ricerca e, non ultimo, delle modalità di costruzione dell’opinione pubblica.

Per fare i conti con tutto ciò, a nostro avviso, è necessario un confronto interdisciplinare, al momento carente. Si tratta di ricomporre un dibattito frammentato in una serie di prospettive, da quella epidemiologica a quella psicologica, da quella istituzionale a quella comunicativa, al fine di costruire un quadro coerente e promuovere una riflessione collettiva senza pregiudiziali, in assenza della quale non è irragionevole attendersi una crescita di movimenti “antiscientifici”, o forse è più corretto dire “scettici” rispetto all’uso pubblico della scienza; crescita tanto più probabile quanto più tale uso è destinato a intensificarsi nel prossimo futuro.

Il volume non pretende naturalmente di offrire un quadro esaustivo sulla tematica né di fornire risposte alla questione dello scetticismo tecno-scientifico, ma propone un contributo teorico ed empirico in certa misura inedito, anche per l’ampiezza e la varietà delle prospettive di analisi impiegate, e quindi spunti di riflessione non necessariamente disponibili nella pur copiosa letteratura fiorita recentemente attorno al tema dell’esitazione vaccinale. Il testo prende spunto dall’insoddisfazione per l’approccio predominante a livello mediatico e presso una parte preponderante della letteratura scientifica e divulgativa, dove l’esitazione vaccinale è ridotta a questione di ignoranza scientifica e carenze comunicative. Inoltre, senza trascurare temi certamente importanti come il ruolo dei media, si desiderava approfondire aspetti quali l’evoluzione dei legami fiduciari tra medico e paziente nel contesto delle trasformazioni istituzionali del sistema sanitario, e più in generale la rilevanza di una visione alternativa a quella del “deficit”, centrata sulla percezione pubblica della rilevanza della scienza e della tecnica.

Per concludere la questione vaccinale, nel suo riproporsi in condizioni storiche e sociali sempre diverse, rappresenti non solo un tema centrale per le politiche della salute, tanto più rilevante in un periodo di risorgenti e insorgenti minacce epidemiche e pandemiche, ma anche un hot spot per interrogare questioni di portata più ampia, quali l’uso sociale della scienza e della tecnica, il ruolo dell’expertise nelle politiche pubbliche, la costruzione della responsabilità nelle decisioni individuali e collettive, l’impatto dei social media nella sfera pubblica, i cambiamenti nel modo di concepire e affrontare le sfide che si profilano all’interfaccia tra mondo biofisico e mondo sociale, il rapporto tra conoscenza e incertezza. Il presente volume spera di offrire un contributo alla riflessione su questi temi cruciali.

Luigi Pellizzoni e Rita Biancheri

23-8-2021

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