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In spray, liquido, pellicola o in vaschette ecco gli eco-imballaggi a base di chitosano ricavato dall’esoscheletro di insetti come la mosca soldato nera. L’innovazione per ridurre l’uso della plastica nel packaging arriva dal progetto europeo PRIMA Fedkito appena giunto a conclusione e coordinato dalla professoressa Barbara Conti del dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali dell’Università di Pisa.

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Mandarino cinese rivestito con chitosano

 

Il chitosano è una sostanza del tutto naturale e biodegradabile che ha molteplici usi in agricoltura biologica e nell’industria cosmetica, farmacologica, medica, veterinaria e tessile – spiega Barbara Conti – Generalmente si ricava dall’esoscheletro di crostacei o dalle pareti cellulari dei funghi, ma anche da insetti. Seguendo un criterio di economia circolare noi per produrlo abbiamo utilizzato le pupe di Hermetia illucens (Diptera Stratiomyidae), conosciuta anche come mosca soldato nera, allevata su scarti organici della filiera alimentare”.

In generale, gli imballaggi messi a punto sono stati pensati a seconda delle caratteristiche dei cibi. Si va dalla pellicola alle vaschette sino allo spray per proteggere frutta, verdura, carne formaggi e prosciutti in stagionatura.

Mosca soldato nera

 

Per potenziare gli effetti protettivi del chitosano, i ricercatori hanno inoltre sperimentato l’aggiunta di oli essenziali che già da soli hanno proprietà insetticide e fungicide. Il risultato sono stati imballaggi aromatizzati in modo diverso, con un valore aggiunto dal punto di vista sensoriale, come ad esempio uno spray al chitosano e pepe nero per esaltare le caratteristiche organolettiche e l’aspetto brillante e fresco di piccoli hamburger.

Un ulteriore passo avanti della sperimentazione è stata la produzione di imballaggi non solo sostenibili ma intelligenti. L’unità di ricerca dell’Università di Bologna diretta dalla professoressa Elisa Michelini ha infatti messo a punto dei biosensori di nuova generazione, economici e molto semplici da usare, da applicare sulle confezioni in chitosano per monitorare la presenza e la quantità di contaminanti, batteri, micotossine, ma anche la qualità del cibo confezionato.

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Due vaschette prodotte con chitosano, a destra con l’aggiunta oli essenziali

 

Oltre all’Università di Pisa, il consorzio del progetto Fedkito comprende le Università di Bologna, Hassan II di Casablanca in Marocco, Tessaglia in Grecia, la Sorbona e il Centre Technique Industriel de la Plasturgie et des Composites per la Francia, il Centro di Biotecnologia di Borj Cedria in Tunisia e, come partner aziendali due italiane, Gusto parmigiano e Azienda Agricola Salvadori Furio.


logo-master-SSASC-300x300 copia.jpgE’ nato all’Università di Pisa il master di primo livello in Scienze Sensoriali per un’Alimentazione Sana e Consapevole in collaborazione con l’International Academy of Sensory Analysis. Obiettivo del master è rendere più consapevole l’approccio al cibo e più gratificante l’applicazione dei principi di una sana e corretta alimentazione a cominciare dalla dieta mediterranea. Il master è aperto ai laureati in ogni disciplina ed è possibile iscriversi sino al 13 novembre. Le competenze acquisite potranno essere spese in vari settori, dal tecnologico per ottimizzare il profilo sensoriale degli alimenti, alla comunicazione, al marketing, sino all’ambito educativo.

Il percorso formativo è organizzato in quattro moduli di cui tre on line, con lezioni concentrate tra il venerdì e il sabato da metà gennaio a metà luglio. Sono inoltre previste sessioni interattive di analisi sensoriale dei principali alimenti che caratterizzano la dieta mediterranea, ad esempio vino, pane e prodotti da forno, olio, formaggi, salumi, cioccolato, caffè.

“La dieta mediterranea è spesso citata nei programmi tv che parlano di cucina e di corrette abitudini alimentari per raggiungere il benessere, ma quando proviamo a calare questi concetti nella vita reale arrivano le difficoltà - spiega la professoressa Francesca Venturi dell’Università di Pisa - Sappiamo infatti scegliere il cibo che mangiamo e riconoscerne le caratteristiche al di là delle informazioni nutrizionali che troviamo sulle etichette?”.
“In realtà i nostri sensi ci parlano, ci danno indizi – continua Venturi - tuttavia, nella maggior parte dei casi non sappiamo ascoltare quello che il cibo ci racconta oppure ci facciamo distrarre da ciò che è appositamente aggiunto agli alimenti per condizionarci nelle scelte. Da qui l’esigenza del master, per sviluppare un approccio innovativo e consapevole alla scelta dei regimi alimentari”.

Il master è promosso dal Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali dell’Università di Pisa e dal Centro Interdipartimentale di Ricerca Nutraceutica e Alimentazione per la Salute Nutrafood. Il costo è di 3600 euro e sono previste agevolazioni e borse. Per info: https://www.agr.unipi.it/master-di-primo-livello-in-scienze-sensoriali-per-unalimentazione-sana-e-consapevole/

Le colture idroponiche che utilizzano acque reflue derivate da colture ‘donatrici’ sono una risposta sostenibile di fronte alla sempre maggiore scarsità di acqua dolce. A dimostrarlo è una ricerca dell’Università di Pisa pubblicata recentemente sulla rivista “Agricultural Water Management”, che ha riguardato due piante spontanee tipiche del Mediterraneo che crescono anche in Toscana, l’aspraggine (Picris hieracioides) e la piantaggine (Plantago coronopus), specie impiegate nel settore alimentare e fitoterapico.

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La sperimentazione sulla piantaggine

“Secondo i principi dell’economia circolare e dei sistemi produttivi integrati o a cascata – spiega il professore Alberto Pardossi dell’Università di Pisa – abbiamo utilizzato l’acqua reflua proveniente da una coltura ‘donatrice’, il pomodoro coltivato in serra in questo caso, riducendo così l’impatto ambientale della coltura a monte e i costi di produzione della coltura a valle, dato che non è necessario acquistare fertilizzanti”.

Le acque reflue delle colture in serra hanno spesso un elevato contenuto di sali e pertanto individuare le specie adatte è fondamentale. L’aspraggine e la piantaggine sono infatti piante “alofite”, il che significa che tollerano bene i terreni salini e l’irrigazione con acque salmastre.

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Da sinistra, Luca Incrocci, Alberto Pardossi, Giulia Carmassi e Martina Puccinelli

“Le due specie studiate si sono adattate molto bene alla coltura idroponica in serra, oggi sempre più utilizzata per la produzione ortaggi crudi o minimamente trasformati di particolare interesse per la cucina gourmet - conclude Pardossi - Questo metodo di coltivazione suscita infatti un interesse crescente perché consente di migliorare la qualità dei prodotti mediante un'adeguata gestione della soluzione nutritiva e facilita la lavorazione post-raccolta grazie alla pulizia del materiale vegetale”.

Alberto Pardossi, 35 anni di carriera accademica, professore ordinario di Orticoltura e Floricoltura ed esperto di colture in serra e indoor, fa parte del gruppo di ricerca ‘Orticoltura e Floricoltura’ dell’Ateneo pisano come gli altri autori dello studio. Insieme a lui hanno condotto gli esperimenti in serra e le analisi di laboratorio Luca Incrocci, professore associato di Orticoltura e Floricoltura, esperto di colture in serra e di agricoltura di precisione, Martina Puccinelli, assegnista di ricerca, esperta di colture idroponiche e biofortificazione degli ortaggi, e Giulia Carmassi, responsabile del laboratorio chimico ed esperta di colture in serra.



With a budget of around 3.5 million euros and 50% co-funded under the Digital Europe programme, the project ‘Digital agriculture for sustainable development’ (AGRITECH EU) is about to start.
Coordinated by Prof. Gianluca Brunori of the Department of Agricultural, Food and Agro-Environmental Sciences with the collaboration of the Computer Engineering and Computer Science Departments, the project involves the QUINN university consortium, CNR-ISTI, the University of Macerata, the Universities of Ghent, Athens, Almería and Montpellier, and several AgriTech companies

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The aim of the project is to devise teaching modules aimed at developing high-level skills in the area of digitalization for sustainable agriculture, with an emphasis on the principles of agroecology and responsible innovation. Among others, the topics of precision agriculture, the use of drones for monitoring purposes, farm data management, the application of artificial intelligence, the automation of agricultural operations, and the digitalization of supply chain traceability will be addressed. Socio-economic (including risks and unintended consequences) and legal implications will also be dealt with for each of these themes. The courses will be based on interdisciplinary programmes that combine technological, agronomic, and socio-economic skills.

The modules will be aimed mainly at graduates with a bachelor’s degree in agricultural sciences, computer science, or computer engineering. The project aims to build a European catalogue of blended learning activities, focussing on innovative experience-based teaching and on the use of online tools. The project will also involve student and lecturer mobility as well as the award of joint degrees.

From an educational point of view, the project aims to make the most of the experience gained in various European projects and in the postgraduate course activated by DISAAA in collaboration with DI, DII, CNR, QUINN, and to create synergies with the initiatives launched within the Contamination Lab. For the University of Pisa, which will oversee the scientific and administrative coordination, the project represents a valuable opportunity to present itself as one of the universities of excellence in Europe in the field of digital agriculture.

 

E’ in partenza il progetto "Agricoltura digitale per lo sviluppo sostenibile" (Agritech UE), con un budget di circa 3,5 milioni di euro e co-finanziato al 50% nell’ambito del programma Digital Europe.

Il progetto è coordinato dal professor Gianluca Brunori dell'Università di Pisa e vi partecipano il consorzio universitario QUINN, il CNR-ISTI, l’Università di Macerata, le Università di Gent, di Atene, di Almeria, di Montpellier, ed alcune imprese Agritech.

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L’obiettivo di Agritech è sviluppare moduli didattici che costruiscano competenze di alto livello nell’ambito della digitalizzazione per l’agricoltura sostenibile, con una particolare enfasi sui principi dell'agroecologia e dell’innovazione responsabile. Verranno affrontati tra gli altri i temi dell'agricoltura di precisione, dell'uso di droni a scopo di monitoraggio, della gestione dei dati aziendali, dell'applicazione dell'intelligenza artificiale, dell'automazione delle operazioni agricole, della digitalizzazione della tracciabilità di filiera. Per ciascuno di questi temi si analizzeranno anche le implicazioni socio-economiche (compresi i rischi e le conseguenze inattese) e legali. I corsi saranno basati su programmi interdisciplinari in grado di unire le competenze tecnologiche, agronomiche, e socio-economiche.

I moduli saranno rivolti in via prioritaria a studenti con laurea triennale in scienze agrarie, informatica, ingegneria informatica. Il progetto ambisce a costruire un catalogo europeo di attività didattiche blended, puntando su una didattica innovativa basata sull’esperienza, fortemente orientata su strumenti online. E’ prevista la mobilità degli studenti e dei docenti e l’attivazione di titoli congiunti.

“Puntiamo a valorizzare l’esperienza maturata in diversi progetti europei e nel corso di perfezionamento attivato dal DISAAA in partnership con DI, DII, CNR, QUINN e creare sinergie con le iniziative avviate nell'ambito del Contamination Lab – spiega il professor Brunori – per l’Ateneo, che partecipa con il Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari ed Agro-ambientali in collaborazione con i Dipartimenti di Ingegneria Informatica e di Informatica, il progetto rappresenta una preziosa opportunità per qualificarsi in ambito Europeo come uno degli atenei di eccellenza sulla tematica dell'agricoltura digitale”.

Venerdì 5 maggio si è tenuto il pitch day dell’iniziativa “Quanto ne sai di sostenibilità?”, giunta alla sua seconda edizione. L’evento, organizzato dal dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari ed Agro-Ambientali dell’Università di Pisa ha riunito studenti, docenti e rappresentanti di numerose organizzazioni no-profit per riflettere sulle possibili soluzioni alle sfide sociali, ambientali ed economiche del territorio. L’iniziativa si inserisce nel quadro delle attività del progetto NEMOS- A new educational approach for the acquisition of sustainability competences through service learning” co-finanziato dalla Commissione Europea e coordinato per l’Ateneo pisano dal professor Alessio Cavicchi.

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Foto della platea durante il seminario del 21 aprile.

È intervenuta la professoressa Lucia Guidi che ha ribadito l’importanza dell’iniziativa in termini di formazione per gli studenti, incentivati a sfruttare le conoscenze acquisite durante i corsi universitari per apportare un servizio alla società in risposta ai suoi bisogni; a seguire il professor Daniele Antichi, membro della Commissione per lo Sviluppo Sostenibile di Ateneo (CoSA), ha sottolineato la complementarità dell’evento con le iniziative proposte dal gruppo di lavoro istituito nel 2019 con lo scopo di valorizzare il ruolo dell’Università per la transizione sostenibile.

A seguire, spazio ai protagonisti dell’iniziativa: 40 studentesse e studenti dei corsi di laurea triennale in Scienze Agrarie e Viticoltura ed Enologia e dei corsi magistrali di “Biotecnologie Vegetali e Microbiche”, “Biosicurezza e Qualità degli Alimenti”, “Progettazione e Gestione del Verde Urbano e del Paesaggio” e “Produzioni Agroalimentari e Gestione degli Agroecosistemi”. Divisi in gruppi, hanno presentato, a seguito di un periodo di approfondimento di tre settimane, costituito da seminari (14 e 21 aprile 2023), lavori di gruppo, interviste e ricerche tematiche, le proprie proposte di soluzione alle sfide lanciate. I referenti delle sfide sono stati Silvia Rolandi per Slow Food Toscana, Yuri Galletti per Legambiente Pisa e Semi di Scienza, Angela Spigai e Alessandra Luisi per la Fondazione Dopo di noi Pisa Onlus Centro “Le Vele”, Nicola Silvestri e Antonio Di Fonzo per il Consorzio di Bonifica “Toscana Nord”, Paolo Pacini e Riccardo Gragnani per l’associazione “11 del Vino”.

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Seminario del 21 aprile. Di spalle, nel tavolo dei relatori: al centro, prof.ssa Lucia Guidi; a sinistra, Yuri Galletti (Legambiente Pisa e Semi di Scienza); a destra, Giampiero De Simone, moderatore del seminario. In prima fila da sinistra: Riccardo Gragnani e Paolo Pacini (Associazione 11 del Vino), professor Andrea Lucchi, Alessandra Luisi e Angela Spigai (Fondazione Dopo di noi Pisa Onlus, Centro Le Vele), professor Nicola Silvestri. In seconda fila da destra: professoressa Silvia Tavarini.


Tra i gruppi, c’è chi doveva progettare un orto sostenibile per gli spazi di un centro socio-assistenziale, chi si doveva occupare di sostenibilità alimentare ed energetica in ambito urbano, chi doveva trovare soluzioni colturali innovative per fronteggiare l’abbassamento dei terreni; chi doveva pensare ai modi più efficaci di coinvolgere in maniera attiva i giovani nelle attività associative e chi era chiamato a organizzare un evento europeo che coniuga calcio e cultura vitivinicola in modo sostenibile. Le soluzioni sono state proposte sottoforma di progetto finanziabile, sottolineando al meglio obiettivi, attività e risorse necessarie, dando evidenza del modo in cui essa contribuisca al raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030. Grande soddisfazione, consigli pratici per una adeguata applicazione delle soluzioni proposte e gratitudine sono emersi dai riscontri da parte delle organizzazioni.

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Slow Team presenta la soluzione per la sfida Slow Food Toscana durante l’evento finale del 5 maggio. Le componenti del gruppo: Anna Dascanio, Alessandra Baldassarri, Benedetta Anfossi, Gaia Giusti, Micol Nocchi, Xinyu Zhang.

Dal punto di vista di tutor e docenti, l’iniziativa ha funzionato. Tra i tutor, c’è chi ha affermato che questo tipo di iniziative sono utili anche ai fini dell’acquisizione di sicurezza nel presentare in pubblico, lavorare in gruppo e con una scansione temporale ben definita che porti a dei risultati in tempi brevi. E questo approccio consente di stare al passo coi tempi, in linea con modalità di formazione basate sull’esperienza diretta. Ciò fa ben sperare che l’iniziativa possa promuovere una maggior collaborazione tra università e organizzazioni a livello territoriale, lavorando contemporaneamente a prospettive di internazionalizzazione delle attività, già incluse nelle giornate dedicate al Festival dello Sviluppo Sostenibile 2023 promosso dall’ASVIS.

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Un momento del lancio della sfida da parte di Silvia Rolandi (Slow Food Toscana) durante il seminario del 14 aprile.

Quel che è certo al momento è che “Quanto ne sai di sostenibilità?” ha contribuito a creare una comunità sempre più strutturata dedicata al service learning, che vede in prima linea il lavoro dei professori Alessio Cavicchi, Lucia Guidi, Silvia Tavarini e Andrea Lucchi, delle assegniste di ricerca Sabrina Tomasi e Annapia Ferrara, nonché l’impegno di una vivace comunità studentesca, coordinata e supportata dagli studenti tutor Sofia Fiorentino, Marzia Bianco, Eugenia Ronga, Tiziano Greco, Bruno Bighignoli, Alfonso Boccia, Valentina Gallo e Giampiero De Simone.

Giacomo Palai, assegnista di ricerca del Dipartimento di Scienze Agrarie Alimentari e Agro-Ambientali dell’Università di Pisa si è aggiudicato il Young Minds Award per le sue ricerche sugli effetti dello stress idrico sui metaboliti secondari dell’uva. Il premio gli è stato conferito dall’International Society for Horticultural Science (ISHS) nel corso del X simposio internazionale su “Irrigation of Horticultural Crops”, tenutosi a Stellenbosch (Sud Africa) dal 29 gennaio al 2 febbraio.

 

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A sinistra Giacomo Palai, a destra Luca Corelli Grappadelli chairman della “Fruit Crop Section” dell’ISHS

Lo studio fa parte di una più ampia attività di ricerca condotta presso il Precision Fruit Growing Lab del Dipartimento di Scienze Agrarie Alimentari e Agro-Ambientali, coordinato dal professore Giovanni Caruso, e presso il Laboratorio di ricerche viticole ed enologiche dello stesso Dipartimento, coordinato dal professore Claudio D’Onofrio.

Questo è il secondo riconoscimento che Palai riceve dall’ISHS. Nel 2021 infatti gli è stato conferito il Young Minds Award nel corso del XII simposio internazionale su “Integrating Canopy, Rootstock and Environmental Physiology in Orchard Systems”, tenutosi a Wenatchee, WA (USA). Precedentemente, Palai ha anche ricevuto il premio “Prosperitati Publicae Augendae” dall'Accademia dei Georgofili per la sua tesi magistrale su “Stima dei parametri biofisici e geometrici di olivo e vite mediante telerilevamento con SAPR”

 

 

 

Le stalattiti e stalagmiti della Grotta della Bàsura in Liguria hanno rivelato l’andamento delle precipitazioni negli ultimi millenni nel Mediterraneo. Un gruppo internazionale guidato dalla National Taiwan University al quale ha partecipato anche l’Università di Pisa con Elisabetta Starnini archeologa del Dipartimento di Civiltà e forme del Sapere e Gianni Zanchetta geologo del Dipartimento di Scienze della Terra ha studiato questo sorprendente archivio naturale a Toirano in provincia di Savona. La ricerca, pubblicata sulla rivista Nature Communications, è partita dall’analisi della composizione isotopica di due concrezioni carbonatiche. Successivamente, i risultati sono stati confrontati con altri simili provenienti da altre grotte italiane e spagnole.

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Una immagine delle spettacolari concrezioni carbonatiche nella Grotta della Bàsura a Toirano (SV)

“Le concrezioni delle grotte, stalattiti e stalagmiti, registrano le condizioni climatiche dei millenni durante i quali si sono lentamente formate e, grazie a specifici metodi di datazione, offrono quindi la possibilità di ricostruire con buona precisione l’andamento del clima nel passato, informazioni che sono fondamentali per comprendere le variazioni climatiche in atto e la loro evoluzione futura”, spiega Elisabetta Starnini.

In particolare, i ricercatori hanno ricostruito il rapporto fra precipitazioni e venti occidentali in funzione della posizione dell’alta pressione delle Azzorre e della bassa pressione Islandese a livello europeo e mediterraneo nel corso degli ultimi 6500 anni. I venti occidentali hanno infatti un ruolo fondamentale nel trasportare calore ed umidità e nel regolare quindi le temperature e le precipitazioni. Secondo la ricostruzione tra 5400 e 3500 anni i venti occidentali complessivamente occupavano una posizione maggiormente spostata verso Nord, mentre tra 2200 e 1200 anni fa la posizione era più meridionale, il che indica ad una maggiore piovosità in quello stesso periodo nell’area del Mediterraneo occidentale.

"Lo spostamento dei venti occidentali è legato ai cambiamenti della circolazione atlantica e della temperatura degli oceani, – conclude Gianni Zanchetta – guardando la situazione attuale, su questo fronte nei prossimi decenni ci aspettiamo delle variazioni a seguito del riscaldamento globale. Capire cosa è successo nel passato è quindi molto importante per riuscire a prevedere nel prossimo futuro quali potrebbero essere i cambiamenti della direzione dei venti occidentali e delle precipitazioni".
 



I droni sono lo strumento ideale per monitorare la presenza di Yucca gloriosa, una pianta aliena originaria del Nord America che minaccia gli ecosistemi costieri del Mediterraneo. La conclusione arriva da uno studio sperimentale del dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa appena pubblicato sulla rivista Regional Studies in Marine Science. La ricerca è stata condotta nel 2020 all'interno del Parco Regionale di Migliarino, San Rossore, Massaciuccoli (Parco MSRM), un'area protetta di circa 230 km2 situata nel nord della Toscana, che ospita uno dei sistemi dunali costieri meglio conservati del litorale italiano.

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Esemplari di Yucca gloriosa ripresi dal drone

“Abbiamo usato il drone per quantificare la presenza di Yucca gloriosa nella Riserva della Bufalina - spiega la professoressa Daniela Ciccarelli del dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa – con i tradizionali metodi di campionamento a terra ci vogliono molto più tempo, persone e soldi. Grazie ai droni invece possiamo scattare immagini ad alta risoluzione con un livello di precisione sotto il centimetro che poi analizziamo con dei software molto semplici, un passo avanti notevole anche rispetto alle ricognizioni aeree dove il livello di dettaglio delle immagini va dai 50 cm al metro”.
 
Il drone si è rivelato uno strumento ideale anche per le caratteristiche morfologiche di Yucca gloriosa, soprattutto a livello fogliare, che la rendono particolarmente riconoscibile. La vegetazione delle dune costiere è infatti un mosaico di diverse comunità vegetali difficile da identificare e valutare. La sperimentazione ha previsto una decina di voli effettuati a un’altitudine di 35 m sul livello del mare tra le 11 e le 13 di giorno, per ridurre al minimo le ombre. Da questo punto di vista è emerso che il periodo migliore per il monitoraggio è la primavera, quando i raggi delle radiazioni del sole sono più perpendicolari.

 

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Ricercatori Unipi al lavoro sul campo

“La lotta contro la Yucca del Parco è una lotta antica e a metà anni Duemila era stato attivato un progetto europeo per combatterla – dice Ciccarelli – Questa pianta, che ruba spazio al ginepro coccolone, la specie spontanea autoctona, ricresce anche da piccoli frammenti di rizoma, cioè di fusti sotterranei”. 

“La nostra ricognizione – conclude Ciccarelli - ha rivelato la presenza di circa 1800-2200 cespi di Yucca gloriosa corrispondenti a meno dell’1 per cento dell’area studiata, non molto apparentemente, anche se in realtà l’aspetto critico da tenere sotto controllo è la dimensione di questi agglomerati compito che i droni svolgono in maniera del tutto efficace”.

La ricerca pubblicata è partita da una tesi di laurea triennale della dottoressa Elena Cini attualmente studentessa magistrale in tesi con la professoressa Ciccarelli. Oltre all’Ateneo pisano i partner coinvolti sono gli istituti di Fisiologia Clinica, di Bioeconomia e di Scienze Marine del Cnr e l’Universidad del Atlántico della Colombia.




 

La coltura del fico, attualmente in declino in Italia ma economicamente molto redditizia, è la risposta ottimale per recuperare i terreni altrimenti persi per l’agricoltura. A questa conclusione è giunto il progetto “Ficus carica, un’ antica specie con grandi prospettive” finanziato e condotto dall’Università di Pisa che ha approfondito le conoscenze su questa pianta grazie ad un team di genetisti, chimici, fisiologi vegetali, entomologi, arboricoltori e analisti sensoriali del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali.


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Coleottero Curculionidae Aclees taiwanensis


“Sin dall’antichità e anche oggi, soprattutto nei paesi meridionali del bacino Mediterraneo, il fico fornisce un importante alimento di base anche grazie alla sua grande produttività che dura sino a 50 anni con una produzione annuale di circa 40-100 chili per pianta - spiega la professoressa Barbara Conti coordinatrice del progetto - Tuttavia, In Italia la coltivazione del fico è in netto declino: nel 1960 occupava 60mila ettari, oggi solo 2.000, che producono l'1% della produzione mondiale e tutto questo a fronte di una costante crescita dei terreni salini marginali che nel nostro Paese sono oggi oltre 400mila ettari. Il rilancio di questa coltura è dunque strategico anche in considerazione del quindicesimo obiettivo dell'Agenda 2030 delle Nazioni Unite che punta a proteggere, ripristinare e promuovere l'uso sostenibile del suolo, in particolare foreste, paludi, montagne e zone aride”.

Il meeting finale del Progetto di Ricerca di Ateneo 2020-2022 "Ficus carica, an ancient species with great perspectives: genomics, physiology and pest control" che si è svolto a fine novembre al Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali

I ricercatori dell’Università di Pisa hanno lavorato due anni, dal 2020 al 2022, arrivando a sequenziare il genoma del fico con un metodo innovativo che ha consentito loro di indagare la performance di questa pianta in condizioni di elevata salinità. I risultati hanno così confermato che è una coltura ideale per il recupero dei terreni salini marginali. La salinità del terreno non determina infatti una variazione degli zuccheri totali e dei principali componenti dei frutti. Anzi, l’aumento del livello endogeno di acido salicilico nei frutti delle piante sottoposte a stress salino farebbe ipotizzare un effetto “priming”, cioè una strategia adattativa che migliora le capacità difensive della pianta.

“Siamo riusciti ad ottenere la sequenza dei corredi cromosomici paterno e materno e nel genoma abbiamo identificato i geni coinvolti nell’accumulo degli zuccheri nel frutto - dice la professoressa Barbara Conti - Questi geni sono risultati diversamente espressi nei frutti di piante sottoposte ad elevata salinità pur non determinando cambiamenti significativi nel contenuto totale e nei suoi principali componenti”.

Il progetto ha infine compreso anche lo studio su Aclees taiwanensis, una specie di coleottero dannoso per il fico e di recente introduzione in Italia, molto simile al punteruolo della palma. Questa parte della ricerca ha permesso di chiarire alcuni aspetti finora sconosciuti della biologia di questo insetto utili per pianificarne un efficace controllo futuro.

 

 

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