Messa da Requiem di Giuseppe Verdi
XX concerto annuale del Coro di Ateneo
Venerdì 31 maggio e sabato 1 giugno alle ore 21,00 al Teatro Verdi avrà luogo il concerto annuale del Coro dell'Ateneo nel giugno pisano, giunto quest'anno alla ventesima edizione. Il Coro dell'Università presenta il Requiem di Giuseppe Verdi coi solisti Maria Billeri (soprano), Laura Brioli (mezzosoprano), Samuele Simoncini (tenore) e Paolo Pecchioli (basso) e l'Orchestra Sinfonica Città di Grosseto. Sul podio il maestro Stefano Barandoni.
Ingresso gratuito a invito fino a esaurimento dei posti.
Gli inviti (max due per una recita) potranno essere prenotati on line sul sito booking.unipi.it dalle ore 14,00 del 27 maggio alle ore 14,00 del 28 maggio. I biglietti potranno essere ritirati alla portineria del Rettorato (Palazzo alla Giornata) il 29 e 30 maggio dalle 9,00 alle 19,30 presentando un documento di identità.
Introduzione al concerto
di Maria Antonella Galanti
(Centro per la diffusione della cultura e della pratica musicale)
Festeggeremo nel prossimo autunno il ventennale dalla fondazione del Coro dell’Università di Pisa con un evento dedicato. Tuttavia, essendo questo il nostro ventesimo Concerto Annuale nel Giugno Pisano, vogliamo celebrarlo con un’esecuzione importante, come il Requiem di Giuseppe Verdi, che richiede l'impegno eccezionale di tutti i soggetti coinvolti: dell’orchestra, dei solisti, del direttore e, infine e in modo particolare, del coro, la cui parte comporta le difficoltà caratteristiche delle sezioni contrappuntistiche, con riferimento in specifico al doppio coro del Sanctus, ma anche quelle solitamente affidate all’interpretazione solistica. Alle notevoli asperità vocali e tecniche che riguardano le parti del coro si sommano, infatti, quelle relative alle dinamiche, particolarmente complesse, di questa composizione. Non è del tutto vero, del resto, ciò che per diverso tempo si è sostenuto, e cioè che nel Requiem di Verdi la contrapposizione tra l’espressione di un sentimento in prima persona o in terza sia declinata nel dialogo contrastivo tra solisti e coro. A quest’ultimo sono invece affidate anche parti tese a esprimere i sentimenti più intimi e gli stati d’animo più riposti e struggenti di ogni singolo essere umano di fronte all’impermanenza, nel succedersi ritmico di perdita, dolore, paura e angoscia, da una parte, e di speranza, levità, tenerezza e consolazione dall’altra.
Conosciamo la cornice biografica verdiana all’interno della quale si sviluppa, tra alterne e tormentate vicende, l’idea del Requiem. Un Requiem inizialmente pensato per Rossini e poi rielaborato per Manzoni, quando il successo operistico di Verdi, quasi sessantenne e ancora creativo, ha ormai raggiunto il suo culmine con il trionfo di Aida e nel momento in cui non solo Wagner, ma la musica sinfonica tedesca, più in generale, sembra rappresentare un modello alternativo per molti giovani compositori, considerato non nell’intento di rinnovare la tradizione italiana, ma in opposizione, cioè quasi per decretarne la fine. Di tale tensione critica sono protagonisti soprattutto i giovani musicisti della Scapigliatura milanese e in particolare Franco Faccio e Arrigo Boito, che finiranno in seguito per riconciliarsi con Verdi e collaborare con lui, l’uno dirigendo proprio il Requiem, l’altro come librettista di Otello e di Falstaff. La prima del Requiem è un trionfo e viene seguita da numerose repliche, in Italia e all’estero.
Nella composizione si alternano, contrappongono e intrecciano diverse dimensioni cui corrispondono altrettanti stili: la dimensione drammatica, la ripresa, alternata, di elementi contrappuntistici tipici dello stile sacro antico e gli aspetti più lirici e propri della sensibilità romantica caratteristica del melodramma. Questa compresenza di dimensioni e di stili, però, non genera senso di contraddizione o di ambiguità, ma, al contrario, dona spessore alla composizione inserendola in una cornice di complessità o di plurivalenza dei sentimenti e degli stati d’animo espressi.
L’aspetto drammatico e quasi teatrale che in certi momenti sembra prevalere è soprattutto legato alla grandiosa rappresentazione dell’apocalisse, attraverso il Tuba mirum, ma prima ancora il Dies irae, che rappresenta una sorta di filo conduttore ripreso, in maniera insolita rispetto alla consuetudine, in successive sezioni e persino nel Libera me. Il Dies irae iniziale, nel quale sia l’orchestra sia il coro sono spinti al massimo delle loro potenzialità, mette in scena, con voluta violenza sonora e in forma quasi drammaturgica, una sorta di uragano spaventoso che tutto spazza via nel suo turbinare: speranze, aneliti, sentimenti, legami e affetti. La tempesta, di tanto in tanto, finalmente sembra acquietarsi, e tuttavia resta in qualche modo presente come minaccia latente, momentaneamente sopita ma destinata a ripresentarsi di nuovo, più e più volte, irrompendo con repentina e indifferente crudeltà nel tranquillo dispiegarsi dell’esistenza. La ripresa in sezioni successive del Dies irae, cioè dell’elemento che più connota in senso drammaturgico la composizione, rappresenta una scelta originale. La violenza sonora che lo caratterizza si esprime in maniera anche più intensa nell’incipit del Tuba mirum, con gli squilli ripetuti delle trombe che come in una sorta di annuncio terribile rendono ancora più drammatico il momento espressivo del terrore e dell’angoscia affidato, subito dopo, al coro.
Un tale dispiegamento sonoro per esprimere sentimenti tanto intensi è interrotto brevemente, di tanto in tanto, dal riemergere del passato, dunque della sicurezza, attraverso lo stile sacro tradizionale; per esempio con il Te decet hymnus, eseguito a cappella, o con il Quam olim Abrahae e ancora con il Sanctus, una doppia e veloce fuga a due cori il cui carattere originale è dato non solo dal tempo (Allegro), ma anche dalla fusione inusitata di Hosanna e Bendictus.
Gli aspetti legati al sentimento individuale, quando affidato al coro, si riconoscono fin dall’inizio, nel Requiem aeternam che si appoggia al suono delicato e sommesso degli archi, in un pianissimo simile a tanti altri che caratterizzano la partitura fino ad arrivare all’indicazione di “estremamente piano” o di “il più piano possibile” (pppp). Subito dopo il finale del Kyrie, anch’esso cantato sottovoce a preludio dell’esplosione apocalittica del Dies irae, le grancasse quasi sovrastano il coro che esprime suoni di lacerata disperazione. Si tratta di un contrasto drammatico che rappresenta un elemento costante di tutto il Requiem e si ritrova, per esempio, nel Lux aeterna, quando si fronteggiano l’iniziale tremolo delicato degli archi e il timbro cupo dei timpani e degli ottoni.
Il lirismo che caratterizza i momenti di espressione del sentimento individuale, affidati sia ai solisti, sia al coro (Kyrie, Recordare, Ingemisco, Salva me fons pietatis, Oro supplex, Lux aeternam) raggiunge il culmine per intensità e profondità psicologica nel Libera me finale, eseguito dal soprano e dal coro e che non a caso è il brano più criticato da quanti rimproverano a Verdi di avere composto il Requiem nello stile della melodia operistica. In realtà si tratta di una notazione critica piuttosto banale, poiché le scelte originali di Verdi, in fondo, rendono il suo Requiem distante sia dalla musica sacra convenzionale sia dall’opera romantica. È davvero, questo, il Requiem di un uomo laico, sia pure dotato di intense spiritualità e sensibilità e di forti accenti morali che lo spingono a rappresentare il terrore della morte come paura di volgersi indietro, verso la propria vita passata. Il movimento continuo dal senso collettivo della distruzione e dell’apocalisse a quello individuale e più intimo e raccolto è ciò che dona al Requiem la sua più potente forza attrattiva.
La struttura musicale della composizione, il cui titolo completo è Messa da Requiem per l’anniversario della morte di Manzoni - 22 maggio 1874, si basa sul testo liturgico della messa funebre cattolica. Si tratta, tuttavia, dell’opera creativa di un uomo dichiaratamente non credente e perciò, dunque, non presenta aspetti misticheggianti né una consolatoria risoluzione finale. Il Requiem termina, infatti, quasi in sospensione, con una domanda aperta sul possibile acquietarsi dell’angoscia di fronte al sentimento della perdita e dell’impermanenza ed è proprio il dialogo insoluto tra il dolore, che sembra quasi privare di senso l’esistenza, e la speranza, a rappresentare la tessitura di questa grandiosa composizione. I sentimenti che la musica mette in scena sono molto intensi e carnali, e il loro susseguirsi, talvolta quasi senza modulazioni, non può non provocare in noi movimenti psichici profondi di immedesimazione.