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Gli studi sociologici sulla città
La riflessione di uno dei fondatori della Scuola italiana


La sociologia urbana nasce ufficialmente nel 1925 con la Scuola Ecologica di Chicago, acquista subito credito negli ambiti scientifici e culturali statunitensi e si diffonde ben presto in vari paesi europei (soprattutto in Gran Bretagna, Francia, Germania). In Italia la disciplina stenta a decollare: comincia ad affermarsi nel secondo dopoguerra ed entra a far parte degli insegnamenti universitari soltanto negli anni Sessanta. In questa prima fase gli studi sociologici sulla città italiana sono fortemente influenzati dai modelli americani. Ci vorranno alcuni anni prima che riescano ad assumere una configurazione più congeniale alla storia, alla cultura, alle dinamiche sociali ed economiche di un paese, che aveva subito di recente esperienze così brucianti come la dittatura fascista e la tremenda vicenda bellica e che cercava con grandi difficoltà di avviarsi verso più razionali esperienze di industrializzazione e verso nuovi rapporti tra città e campagna, tra forme di urbanità e forme di ruralità.

Canottieri sul fiume a Bedford.

Canottieri sul fiume a Bedford

Così non pochi sociologi italiani abbandonano le analisi di morfologia urbana e della personalità in ambiente urbano (care agli americani) per dedicarsi con sempre maggiore attenzione ai problemi sociali dell’urbanesimo, dell’urbanizzazione, dell’industrializzazione, della peculiare conformazione assunta dalle unità sociali minori della città, quali i quartieri e i vicinati.
Tuttavia il nuovo corso della sociologia urbana si trova a dover affrontare ostacoli frapposti dalla presenza dominante di una “sociologia generale” che si ostina a considerare questi studi come banali campi di applicazione delle sue teorie generali e che rifiuta quindi di riconoscerli come espressione di una vera e propria scienza autonoma. E poi una resistenza ancora maggiore all’affermarsi della nuova disciplina viene avanzata da altre e ben più consolidate scienze della città (dalla storia, alla geografia, all’economia, alla statistica, all’urbanistica, all’architettura e così via), che continuano a guardarla con scetticismo e grande diffidenza anche per motivi concorrenziali, nel timore di vedersi sottrarre da essa ambiti di studio e di ricerca.
La consapevolezza di queste ostilità (palesi o latenti), induce i cultori della nostra materia ad assumere una propria strategia, diretta soprattutto a far conoscere e a divulgare in maniera sempre più approfondita la storia, i concetti e i metodi della sociologia urbana. Compaiono infatti in questo periodo le prime antologie e numerosi saggi critici, che hanno tra l’altro il merito di evidenziare le fonti e i precursori culturali della disciplina e di tracciare precise linee di confine tra essa e le altre scienze della città. Ma le iniziative non si fermano qui e si indirizzano verso obbiettivi più specificamente politici (per così dire) e organizzativi. Nascono pertanto tra i sociologi urbani le prime associazioni, che creano occasioni di confronto e dibattito sui grandi temi della materia, come confermano i numerosi convegni, incontri, tavole rotonde (ricordiamo quelli di Roma, Bologna, Rimini, Grosseto, Viareggio). Queste azioni conseguono risultati apprezzabili: gli scritti dei sociologi della città trovano ora spazi sempre maggiori nelle riviste di scienze sociali e persino in quelle di architettura e urbanistica. E finalmente nel 1979 esce la rivista “Sociologia urbana e rurale”, che sancisce la presenza della disciplina nella pubblicistica scientifica.
Le vicende di una materia come la nostra sono spesso legate al clima politico del paese in cui si trova ad operare (non a caso il fascismo mise praticamente al bando la sociologia, che, proponendo le ricerche sociali, avrebbe potuto contribuire alla diffusione di idee e convinzioni ritenute eversive). La ventata contestatrice del 1968 e gli obbiettivi di una nuova società e di una nuova città lanciati dai movimenti sociali contribuiscono ad attirare un improvviso e largo interesse attorno ai temi della sociologia urbana, che da un lato resta ancorata allo schema strutturale-funzionalista, ma dall’altro aderisce all’interpretazione conflittualistica-marxiana dell’evoluzione della società e dell’organizzazione urbana.
Le effervescenti vicende di questo periodo consentono di mettere a fuoco i rapporti tra strutture di potere e strutture urbane e di analizzare quindi l’impianto politico ed economico alla base dell’assetto territoriale. Le indagini sociologiche hanno ora modo di rilevare (non senza qualche deriva ideologica) problemi di mala urbanistica, di speculazioni immobiliari, di carenze nelle strutture pubbliche e di descrivere altresì la presenza di gravi contraddizioni sociali nella città, che investono soprattutto il sottoproletariato urbano, i baraccati, le categorie afflitte da disagio abitativo e da emarginazione sociale, e che provocano aspri fenomeni di conflittualità urbana, alimentando le lotte nei quartieri, nelle fabbriche, nelle università.

Lettura lungo il fiume a Bedford.

Lettura lungo il fiume a Bedford

Il 1968 lascia dunque un segno profondo nella nostra materia, insegnando a guardare con realismo alle condizioni e al divenire sociale della città, alle impetuose modificazioni che subisce il fatto urbano, ai rapporti tra potere politico e potere economico ed a quelli tra spazio e società. E certi orientamenti emersi in questo periodo continueranno ad essere presenti anche quando la contestazione andrà attenuandosi e poi spegnendosi: le tematiche concernenti una politica della casa rispondente ai bisogni e alle aspirazioni di larghi strati della popolazione e una politica della città finalmente aperta ai processi di partecipazione pubblica dei cittadini, continueranno ad essere approfondite e discusse anche nei decenni successivi.
È ormai largamente accettato che gli studi sulla città - realtà complessa e proteiforme - possono essere condotti in maniera esaustiva solo adottando un approccio interdisciplinare, che consenta di integrare gli specifici contributi conseguiti dai diversi specialisti di settore in una visione globale e sistematica del fatto urbano. Certamente si tratta di una pratica non facile da adottare, perché non sempre gli studiosi della città, provenienti da varie aree scientifiche (economisti, storici, urbanisti, oltre ovviamente sociologi) rinunciano alla presunta superiorità scientifica della loro materia. Ad ogni modo l’influenza di queste discipline di confine è costantemente presente negli studi sociologici sulla città. Particolare rilevanza assume la storia. Vi è infatti tra i sociologi, chi è convinto che la lettura della città non possa essere condotta se non attraverso la ricognizione della sua genesi e del suo sviluppo; che la sociologia, ignorando il passato, resta costretta a perseguire un fluttuante ed elusivo presente del tutto inadeguato ad una ragionevole comprensione della vita sociale urbana; che insomma la città contemporanea, erede del suo passato, è il prodotto di processi di sincretismo culturale radicati in esperienze spesso remote. D’altronde nella città, tipico luogo della storia, la contemporaneità del passato è data, oltre che dalla pietrificazione delle memorie, dalla presenza di monumenti e di testimonianze fisiche, dalla percezione nelle forme attuali di modi di vita, di modelli culturali, di trame sociali tessute in epoche ormai lontane e condizionanti l’attuale struttura sociale urbana. Soprattutto in Palazzo è presente l’interesse per la città nella storia e per la storia come scienza sociale, indirizzata soprattutto a cogliere il significato e la portata degli eventi di massa, ripetitivi.
Altra materia con cui si misura la sociologia urbana è l’economia. Lo studio delle risorse, della produzione e distribuzione di beni e servizi, ed anche delle tecnologie innovative alla base dei processi economici, si rivela indispensabile alla comprensione dei processi urbani: soprattutto in un paese come il nostro, fortemente caratterizzato in senso rurale sino alla prima metà del secolo scorso e poi avviato verso le grandi trasformazioni territoriali imposte dal processo di industrializzazione. Tenendo conto dei cambiamenti imposti dai mutamenti economici in atto, vengono studiati - con approccio, per così dire, socio-economico - le progressive trasformazioni in senso urbano del territorio, le immigrazioni interne, i cambiamenti che si verificano nella produzione, distribuzione e consumo dei beni e dei servizi e insomma i fenomeni che distinguono l’ambivalente e discontinua fase di transizione verso la condizione urbano-industriale. In questo quadro si collocano gli studi sulle metropoli contemporanee e sulla città “post-industriale”, generata dalle grandi trasformazioni strutturali, derivanti dall’avvento della scienza dell’informazione e di tecnologie sempre più avanzate.

Ragazzi pescano in un laghetto nel parco di Stevenage

Ragazzi pescano in un laghetto nel parco di Stevenage

Ma la materia con la quale la sociologia urbana è costantemente chiamata a confrontarsi è l’urbanistica, per la stretta relazione tra spazio e società, tra strutture fisiche e sociali. Gli urbanisti hanno anzi ritenuto a lungo di poter essi stessi pilotare e controllare, con forme raffinate di perfezione tecnica, l’organizzazione sociale dello spazio, attribuendo primaria rilevanza al disegno come rappresentazione della vita sul territorio e come guida per la costruzione delle forme fisiche. Costoro, forse influenzati dall’idealismo e dall’estetica crociana, avvertono come prioritaria l’esigenza di esprimere artisticamente e intuitivamente la propria libertà creativa specialmente attraverso il disegno; e quindi considerano la sociologia del territorio come materia del tutto ancillare rispetto alla loro.
Poi però essi devono rendersi conto che il cammino verso la città dell’uomo è ancora ben lungi dall’essere concluso, perché l’individuazione del senso del sociale, cioè del vario animarsi dei comportamenti, delle interazioni, dei modelli culturali che si innestano nella peculiarità dei contesti ambientali e la predisposizione delle conseguenti strutture e infrastrutture, ha bisogno di altre e specifiche competenze. La pianificazione territoriale non può che essere espressione della vita associata e del suo infinito rinnovarsi. L’immaginazione sociologica può allora soccorrere il pianificatore nel tentativo di penetrare e controllare una realtà tanto mutevole (nelle sue forme e nei suoi contenuti) come quella urbana. È quindi perfettamente logico che nei rapporti con la pianificazione urbanistica, la sociologia urbana si voglia liberare da ogni condizione di subordinazione, rifiutando di restare ancorata al reperimento del dato e alla descrizione interpretativa della situazione sociale esistente, reclamando invece il proprio coinvolgimento nella dimensione progettuale e quindi rivendicando di inserirsi, con le proprie analisi conoscitive, nella formazione ed elaborazione teorica delle linee e delle direttive di intervento sul territorio, onde concorrere a modificarne l’assetto in relazione ai comportamenti, alle consuetudini, ai modelli culturali degli abitanti.
L’esigenza di collegare ricerca sociale e progettazione urbanistica è quindi alla base del rapporto di collaborazione tra le due materie. In particolare sembra ormai acquisito che l’analisi sociologica può contribuire ad esaltare i valori dominanti della società facendoli assurgere a guida della pianificazione e che pertanto i sociologi devono partecipare alle fasi ideative dei piani, alla predisposizione delle direttive, all’elaborazione delle strategie alternative. Certo il percorso è ancora lungo e difficile, ma la scuola pisana - come è emerso nel convegno pisano di novembre dagli interventi di Mario Aldo Toscano, Silvano D’Alto, Sonia Paone - ha fornito notevoli contributi in questa direzione.
Certo la pianificazione urbanistica continua ancor oggi ad essere uno dei temi di più frequente riflessione dei sociologi urbani italiani, assieme alle analisi delle aree metropolitane, del paesaggio, dell’ambiente, della cultura, della qualità della vita, dei problemi di povertà, sicurezza e di integrazione nella città. Questo conferma che la materia è quanto mai attenta a cogliere i fenomeni sociali sempre più complessi del divenire urbano.

Gian Franco Elia
professore emerito dell’Università di Pisa