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Quando l’archeologo “legge gli elevati”
L’indagine su Sant’Andrea in Foriporta a Pisa

Se pensiamo alla professione dell’archeologo, a parte i miti cinematografici che imperversano ancora oggi nelle sale, ci ritroviamo a immaginarlo in fondo a delle voragini aperte in aree di campagna, nei suoli urbani o in mezzo a cantieri rumorosi, dove sovente fronteggia la benna delle ruspe brandendo paline bianche e rosse, picconi, fogli e strumenti di rilievo, non sempre di ultima generazione. Un chiaro esempio di professionalità, che si discosta da questa immagine convenzionale e a tutti nota, è ciò che si può leggere sfogliando la tesi di laurea di Arabella Cortese.

Immagine della parete posteriore della chiesa di S. Andrea

Immagine della parete posteriore della chiesa di S. Andrea realizzata con l’ausilio della fotogrammetria

Da anni ormai la disciplina archeologica si dedica allo studio delle architetture civili ed ecclesiastiche adottando i metodi tipici della lettura stratigrafica e l’elaborato della dott.sa Cortese ci propone, non solo una perizia completa sugli elevati della chiesa medievale di S. Andrea in Foriporta ma uno studio di ampio respiro che ben si colloca fra quelle auspicate indagini multidisciplinari, che troppo spesso gli studiosi dei vari settori non riescono a far collimare. Qui è ampiamente dimostrato come le competenze che vengono a formarsi in occasione di una laurea specialistica in Archeologia possano a ben vedere essere spese in alcuni ambiti professionali che fino ad oggi sono stati universalmente riconosciuti appannaggio di architetti e ingegneri, talvolta, nella migliore delle ipotesi, affiancati da storici dell’arte. Oggi è chiaro per molti – ma purtroppo non ancora per tutti i soggetti che normalmente sono coinvolti nel settore – quanto gli aspetti storici che un monumento può rivelare di sé, siano leggibili e interpretabili solo con gli strumenti indiziari propri delle discipline storico archeologiche. Vediamo quindi come il dialogo interdisciplinare abbia attivato le specifiche potenzialità metodologiche e quali risultati si siano ottenuti.

La chiesa di S. Andrea in Foriporta è un edificio medievale sito nel centro storico della città di Pisa. L’indagine compiuta sotto la supervisione del docente relatore di tesi, Marco Milanese e dei corelatori Gabriella Garzella, Gabriella Caroti e Federico Andreazzoli è volta a fornire un quadro esaustivo dello sviluppo cronologico dell’edificio e del suo attuale stato di conservazione per un eventuale e futuro restauro. L’intreccio tra fonti documentarie e archeologiche si svolge in modo complementare per ricostruire il contesto storico in cui la struttura ecclesiastica officiava le sue funzioni. Dalle fonti storiche apprendiamo che l’edificio religioso venne costruito in un distretto residenziale denominato Foriporta; questa area si trovava fuori dalla prima cinta muraria ad oriente della civitas pisana, prossima ad una zona densamente popolata. Tra l’XI e il XII secolo il quartiere di Foriporta accrebbe il suo sviluppo urbano con la costruzione di alcuni edifici nobiliari e di chiese prestigiose come S. Michele in Borgo, S. Pietro in Vincoli, S. Matteo e S. Paolo all’Orto oltre che Ospedali per l’accoglienza di lebbrosi, la cura di invalidi e bisognosi.

Particolare della zona di Foriporta nel XII secolo, dove sorse la chiesa di S. Andrea

Particolare della zona di Foriporta nel XII secolo, dove sorse la chiesa di S. Andrea

Ma sfortunatamente, riguardo al Medioevo la ricerca storica deve fare i conti con l’esiguità delle fonti d’archivio. L’attestazione più antica della chiesa di S. Andrea si trova in un documento conservato nell’Archivio capitolare di Pisa e risale al 1104.1 Per tutto il XII secolo ci sono soltanto altri due documenti che testimoniano la presenza di questa chiesa: il primo datato al 1114 ne conferma la presenza dichiarando che un ospedale soggetto alla chiesa priorale di S. Pietro in Vincoli sorgeva accanto alla chiesa di S. Andrea e il secondo documento è una carta privata del 1194, un atto notarile stipulato dal giudice Riccomi che abitava accanto alla chiesa di S. Andrea. Da queste informazioni, seppur labili, si possono desumere alcuni aspetti, cioè che S. Andrea si trovava in un’area della città dinamica dove la società era in contatto con viandanti stranieri, pellegrini e poveri che si recavano lì nell’ospedale, ottenendo un rifugio sicuro per il corpo e l’anima, mentre accanto c’era chi si organizzava per dirimere controversie e ufficializzare affari di natura economica e legale.

Per il XIII secolo la documentazione cresce e si fa più ricca ed in particolare essa sarà costituita da numerosi atti di vendita; da queste carte si amplia nel dettaglio il riflesso delle professioni che venivano esercitate nella zona: si trattava soprattutto di artigiani occupati nella lavorazione del cuoio e delle pelli, oltre che in ambito alimentare e tessile ed alcuni impiegati nel settore dei servizi.

Dal XIV al XVI secolo le informazioni si contraggono nuovamente ma attraverso il catasto fiorentino (1428–1429) ed i registri battesimali (1427–1509) scopriamo che attorno alla cappella di S. Andrea vivevano sia famiglie di artigiani ora impegnati per lo più nel settore tessile, sia esponenti di maggior prestigio impegnati nell’ambito politico.

Marmo di San Giuliano di età romana reimpiegato nella scalinata della chiesa

Marmo di San Giuliano di età romana reimpiegato nella scalinata della chiesa (prospetto generale ovest)

Nel XVII secolo le condizioni del quartiere di S. Francesco, di cui Foriporta faceva parte, peggiorarono tanto che nelle cronache dell’epoca veniva descritto come una delle zone più degradate della città, poco ventilato e soggetto alle esondazioni dell’Arno. Durante il ’700 sotto i Lorena, che con la loro politica di decoro urbano migliorarono l’aspetto di gran parte della città, l’attenzione si concentrò anche sulla zona di S. Andrea e vennero elaborati dei progetti volti a migliorare le condizioni di vita dei suoi residenti, ma i buoni propositi si dispersero altrettanto velocemente senza produrre risultati. Il degrado senza più argini portò persino ad un progetto che prevedeva l’impianto di una pescheria nel luogo dove sorgeva la chiesa; questo avvenne nel 1838, ma grazie alle proteste degli abitanti del quartiere che si erano fortemente opposti alla soppressione della loro parrocchia, la Magistratura di Pisa dovette desistere dall’effettuare una così “pittoresca” riconversione.

Per avere informazioni più dettagliate sull’edificio si dovrà aspettare il XX secolo; i numerosi carteggi, tra i vari parroci e la Soprintendenza dei monumenti, sono risultati indispensabili per riconoscere e collocare cronologicamente tutti gli interventi di restauro realizzati negli ultimi cento anni.

Sant’Andrea in una incisione di G.B. Polloni del 1834

Sant’Andrea in una incisione di G.B. Polloni del 1834

Per rimediare alla mancanza di documentazione diretta sull’edificio è stata interpellata l’archeologia, disciplina che, come abbiamo annunciato, attraverso i suoi metodi di datazione si è rivelata, anche in questo studio, fondamentale per ricostruire l’evoluzione architettonica dell’edificio. Attraverso l’osservazione diretta delle murature sono stati distinti non soltanto materiali e tecniche diverse ma anche molte fasi edilizie cronologicamente ben distinte. A molti sarà capitato di notare che la chiesetta di S. Andrea è decorata all’esterno con dei bacini ceramici incastonati nella sua muratura; secondo gli studi condotti da Graziella Berti e Liana Tongiorgi tutti i bacini originali – che dovevano essere 180 per la chiesa e 26 per il campanile ma ad oggi quelli rimasti sono per lo più copie non sempre fedeli – erano stati prodotti nel primo quarto del XII secolo e nella maggioranza dei casi provenivano dall’al–Andalus, la Spagna meridionale.

Per la chiesetta di S. Andrea i bacini ceramici datano solo l’ultima grande fase costruttiva, ora grazie al lavoro svolto in occasione di questa tesi scopriamo che l’edificio possiede alcune apparecchiature edilizie che sono anteriori al XII secolo. Se osserviamo la facciata nella parte inferiore, dove si trova il cantonale sud–occidentale, troveremo la porzione di muratura più antica, costituita da alcuni blocchi di pietra molto degradati che potrebbero appartenere ad un edificio precedente alla chiesa.

Rappresentazione grafica della facciata della chiesa di S. Andrea

Rappresentazione grafica della facciata della chiesa di S. Andrea realizzata dalla dottoressa Cortese, in basso a sinistra di questo prospetto occidentale vengono evidenziate le bozze di una apparecchiatura muraria precedente alla costruzione dell’edificio ecclesiastico (periodo I, A54)

Il secondo periodo messo in evidenza dall’archeologa è particolarmente interessante perché svelerebbe che alcune delle porzioni murarie delle facciate laterali (prospetti Nord e Sud) appartengono in realtà ad edifici diversi che sono stati poi inglobati nel circuito perimetrale di S. Andrea e ci si chiede se possano essere appartenuti proprio a quell’ospedale di cui parlano le fonti e all’impianto di un più antico luogo di culto.

Per ottenere questi risultati non si sono rese necessarie tecniche particolarmente onerose. Una delle particolarità dell’archeologia dell’architettura sta nel aver elaborato e adattato alcuni strumenti conoscitivi, che già funzionavano nell’archeologia di scavo e che risultano utili anche in quella dell’elevato. Si tratta di sistemi di datazione che si basano sul riconoscimento di tutti gli interventi edilizi dell’opera architettonica, nella loro sequenza cronologica; attraverso il confronto e lo studio delle tecniche edilizie del passato, passo dopo passo “l’archeologo che legge gli elevati” è in grado di fornire una descrizione dettagliata di tutti quegli apporti e quelle sottrazioni di materiale che hanno fatto la storia del monumento. (2) Lo strumento ideale per segnalare tutte le evidenze è sicuramente il rilievo grafico.

Per la sua indagine Arabella Cortese si è avvalsa però di una collaborazione importante quanto inusuale, poiché per il rilievo architettonico è stata applicata la metodologia fotogrammetrica, resa possibile grazie alla cooperazione di Gabriella Caroti docente del Dipartimento di Ingegneria Civile. Rispetto al tradizionale rilievo grafico manuale, quello fotogrammetrico consente una restituzione qualitativamente migliore dei prospetti murari, non soltanto in termini di correttezza geometrica ma anche per la possibilità di registrare una grande quantità di dati. Per questo tipo di rilievo è stata scelta la facciata orientale della chiesa ossia quella posteriore e, sullo stesso lato, il paramento del campanile. Questa preferenza è dovuta in parte a delle curiosità scientifiche e in parte a motivazioni di carattere logistico legate al fatto che “la fotogrammetria si può applicare a certe condizioni” come sottolinea Caroti: “bisogna fare i conti con la distanza che si interpone fra la macchina e l’oggetto del rilievo, sicuramente, se questa distanza aumenta, diminuirà la definizione del dettaglio nella restituzione fotografica, in questo studio la distanza minima di presa è stata di 8 metri e quella massima di 30”; contemporaneamente sono stati scelti la lunghezza focale dell’obiettivo, il tipo di materiale fotografico e di conseguenza il rapporto di scala della rappresentazione grafica. La scala di rappresentazione finale ottenuta, pari a 1: 50, si è rivelata ideale per avere un grado di dettaglio sufficiente a leggere un commento di 1 cm.

Particolare del prospetto meridionale, il filare precedente all’impianto della chiesa visto da sud

Particolare del prospetto meridionale, il filare precedente all’impianto della chiesa visto da sud (periodo I, unità stratigrafica muraria 1062)

Alle prese fotografiche sono succedute quelle topografiche con l’ausilio della stazione totale, per poter poi realizzare il fotoraddrizzamento con il software ARCHIS 2D; l’elaborazione di un fotopiano o raddrizzamento è un procedimento che consente di trasformare i fotogrammi prescelti da proiezione centrale – che ovviamente hanno tutti delle deformazioni prospettiche introdotte al momento della presa – in immagini metricamente corrette, aventi le propriet– di una proiezione ortogonale. Arabella ci fa capire cosa sia il prodotto finale di questa analisi fotogrammetrica, cioè un documento fotografico bidimensionale, sul quale è stato possibile leggere e misurare con estrema precisione le particolarità architettoniche dell’impianto edilizio, poiché tutta l’immagine dei prospetti murari risultava a scala uniforme. Le immagini sono state rielaborate con il programma AutoCad, per poter creare tre progetti, che consentissero di mostrare graficamente, i risultati dell’analisi stratigrafica condotta sulle murature: uno di questi dedicato alla suddivisione in unità stratigrafiche murarie, un altro alle tecniche edilizie e uno alla periodizzazione della parete posteriore della chiesa e del campanile.

La lettura stratigrafica degli elevati, ci spiega l’archeologo Federico Andreazzoli, che ha seguito sul campo la candidata, non dovrebbe prescindere comunque da un approccio autoptico sul manufatto murario “perché disegnare significa già un po’ comprendere l’oggetto che si sta studiando” quindi l’analisi ideale sta appunto nel poter affiancare alla tecnica tradizionale, l’utilizzo di uno strumento che, oltre a fornire una restituzione oggettiva della realtà, ottimizzi i tempi del rilievo e di conseguenza ammortizzi i costi del cantiere. L’uso della fotogrammetria, come strumento diagnostico per la tutela del territorio, è già impiegato nella redazione di carte del rischio ma questo studio su S. Andrea in Foriporta è diventato l’occasione per una più stretta collaborazione interdipartimentale all’interno dell’ateneo pisano. Un progetto che ha visto archeologi ed ingegneri lavorare in sinergia per trovare quelle applicazioni che consentissero di ottenere risposte più congrue a domande di tipo storiografico. Gabriella Garzella, docente del Dipartimento di Medievistica che ha coordinato la parte storica dell’indagine, traccia una linea importante volta a rimarcare “quanto, professionalità di questo tipo formatesi all’interno dell’Università, siano utili al patrimonio culturale della città stessa” e quanto questa felice collaborazione abbia potenziato in entrambe le specifiche discipline il senso di un obiettivo comune, per la conoscenza, la tutela e la valorizzazione del territorio.

Alice Sobrero

Note

(1) G. Garzella, Pisa com’era: topografia e insediamento. Dall’impianto tardo antico alla città murata del XII secolo, Napoli 1990, p. 113.
(2) L’archeologia dell’edilizia in Italia ha radici non lontane, pensiamo alle prime esperienze liguri: il primo esempio urbano riguarda il “complesso di S. Silvestro”, attuale sede della facoltà di Architettura di Genova, che venne presentato nel 1978 al Seminario Internazionale organizzato a Rapallo dall’ISCUM su Archeologia e pianificazione dei centri abitativi; si veda anche F. Bonora, Nota sull’Archeologia dell’edilizia, in “Archeologia Medievale”, VI (1979), pp. 171–182.