Elenco scorciatoie

La lunga storia della proteina Hep27

Una storia lunga quasi trent’anni, partita da una ricerca sulle proteine nucleari delle cellule cancerose umane e approdata alla scoperta della proteina Hep27 che, come hanno dimostrato gli esperimenti, ha le caratteristiche di marcatore del carcinoma della vescica, oltre a essere associata all’insorgenza sporadica del carcinoma della mammella. Un percorso scientifico che ha messo in contatto il professor Franco Gabrielli con alcuni degli istituti di ricerca più importanti al mondo – dall’Istituto svizzero per la ricerca sperimentale sul cancro di Losanna al Laboratorio europeo di biologia molecolare di Heidelberg, dal San Raffaele di Milano al Karolinska Institutet di Stoccolma. E anche, forse soprattutto, una vicenda umana ricca di scambi con colleghi già affermati e giovani studiosi che ha caratterizzato la vita professionale del professor Gabrielli.

Tutto iniziò nei primi anni ’80 quando progettai di analizzare le proteine nucleari delle cellule cancerose umane coltivate in vitro presso l’ISREC, l’Istituto Svizzero per la Ricerca Sperimentale sul Cancro di Losanna. In quel laboratorio erano coltivate più di 100 linee cellulari umane, un numero notevole per quel tempo e sufficientemente grande per intraprendere la mia ricerca. Fortuna volle che per quattro anni ottenessi i finanziamenti per condurre gli esperimenti.

L’attività didattica presso l’Università di Pisa mi permetteva di lavorare solo durante le vacanze estive, natalizie e pasquali talvolta prolungate da eventi quali votazioni politiche o occupazioni dell’ateneo.

Il periodo di ricerca a Losanna fu positivo, si osservò che la composizione delle proteine nucleari delle cellule cancerose variava rispetto a quella delle proteinedel tessuto in cui si era formato il tumore.

Tornato a Pisa affidai lo studio delle proteine estratte dai tumori umani alla dottoressa Giulia Donadel della quale ero tutore per il conseguimento del dottorato di ricerca. Essa decise di studiare la sintesi delle proteine nucleari nelle cellule HepG2 originate da un carcinoma epatico umano delle quali a Losanna avevo caratterizzato dettagliatamente la composizione e le quantità relative. Giulia osservò che la sintesi di una proteina delle cellule HepG2 era regolata con il ciclo cellulare, si attivava quando le cellule erano indotte a divenire quiescenti, cessava quando le stesse cellule riprendevano a proliferare. Ciò suggerì che la proteina avesse un ruolo nel mantenere lo stato non proliferativo delle cellule. Aveva una massa molecolare di circa 27kDa e la chiamammo Hep27.

studi in laboratorio

Le moderne e rivoluzionarie tecnologie del DNA ricombinante ci vennero in aiuto per caratterizzare ulteriormente la proteina che, colorata, appariva come una macchiolina blu non più grande di una capocchia di spillo. Da più di 100 gel ottenne una quantità di proteina sufficiente per determinare la sequenza di almeno un peptide di Hep27.

Per definire la sequenza dei peptidi della proteina Hep27 Giulia si recò in Germania, a Heidelberg, nel Laboratorio Europeo di Biologia Molecolare dove il dottor Rainer Frank aveva messo in funzione un sequenziatore capace di analizzare poche picomoli di proteina. Dopo alcuni tentativi la macchina fornì la sequenza di quattro peptidi. Emozionati confrontammo in silicio le sequenze dei peptidi con quelle delle proteine conservate nelle banche dati. Felici riscontrammo che Hep27 era una nuova proteina umana ed averla individuata per primi ci stimolò a continuare la ricerca.

È doveroso ricordare che la nostra ricerca è stata facilitata ed accelerata dalla genialità di alcuni biologi ed informatici. Negli anni ’90 questi studiosi avevano costruito le banche dati in cui erano conservate tutte le sequenze aminoacidiche e nucleotidiche rispettivamente di proteine, cDNA e geni già identificati ed avevano definito i programmi di gestione che, con l’utilizzo dei computer di laboratorio e la rete internet, permettevano di identificare in tempi brevissimi una sequenza d’interesse tra le migliaia di sequenze conservate nelle banche dati.

La definizione della sequenza dei peptidi di Hep27 aprì la strada alla clonazione del cDNA–Hep27 e quindi alla determinazione dell’intera sequenza dellaproteina. Il nostro laboratorio non era omologato per l’uso dell’isotopo P32. Così chiedemmo e generosamente ottenemmo ospitalità all’IRIS (Istituto Ricerche Immunobiologiche di Siena, oggi Novartis Vaccines) diretto dal dottor Rino Rappuoli. Giulia fu affidata ad un’amica, la dottoressa Marialuisa Melli,responsabile dell’Unità di Biologia Molecolare.

Giulia costruì una genoteca di cDNA delle cellule HepG2 e da essa isolò il primo clone contenente un frammento di cDNA–Hep27, ma avendo terminato il suo periodo di dottorato dovette interrompere gli esperimenti. Preparò la tesi sull’identificazione della nuova proteina umana ed ottenne il diploma. Purtroppo, non avendo io alcuna posizione da offrirle, emigrò negli USA e così fece la sua fortuna. Rimasi solo e provvisoriamente anche senza laboratorio perchénello stesso periodo avevo cambiato dipartimento.

Al fine di completare rapidamente la sequenza del cDNA di Hep27 chiesi di nuovo ospitalità all’IRIS. Avevo scarsa esperienza con le tecnologie del DNA ma ero deciso ad impararle per completare la mia ricerca. Lavoravo alcuni giorni della settimana a Siena e tornavo a Pisa per la didattica. L’istituzione dei corsi semestrali e la riduzione del numero degli studenti iscritti alla Facoltà di Medicina mi permettevano di dedicare più tempo alla ricerca.

A Siena, istruito dal dottor Giuliano Bensi, arrivai a definire l’intera sequenza del cDNA. Dalla sequenza nucleotidica fu dedotta la sequenza aminoacidica dellaproteina Hep27. Il confronto in silicio della sequenza di Hep27 con quelle conservate nelle banche dati confermò che essa era una nuova proteina umana appartenente alla famiglia di enzimi chiamata “Short Chain Alcohol Dehydrogenases” (SDR), enzimi presenti in tutte le forme di vita, dagli archeobatteri all’uomo.

La dottoressa Melli, saputo che avevo definito un metodo per purificare Hep27, mi suggerì di purificarla di nuovo al fine di produrre un anticorpo anti–Hep27 ed avere così un reattivo specifico per saggiare la proteina. Hep27 pura fu iniettata in due topolini e con il loro sacrificio, dopo circa un mese ebbi un potenteanticorpo. In seguito compresi meglio l’importanza di quel consiglio.

Il periodo a Siena fu molto positivo. Lavorare al banco era gratificante, il laboratorio funzionava alla perfezione ed i servizi erano tali da permettermi di condurregli esperimenti da solo. Il personale laureato e tecnico era orgoglioso del proprio lavoro e collaborativo (con i senesi era vitale non fare ironie sul Palio). I tecnici curavano la preparazione dell’acqua purissima e sterile, dei vari terreni per crescere i batteri, fino ad eseguire tecniche sofisticate come la produzione di anticorpi. Alcuni, serissimi e combattivi senesi di città o del piano, anche senza aver fatto scuole specifiche, si erano formati alla scuola dell’IRIS dove tutti ricevevano e davano del tu al direttore Rappuoli che, quando libero dall’incombenza direttiva, era facile incontrare al banco a fare esperimenti.

I giovani ricercatori si chiedevano come mai uno come me, allora ultracinquantenne e professore ordinario (secondo loro arrivato in tutti i sensi all’ultimo traguardo) si divertisse tanto a lavorare con il DNA.Non sapevano che per molti anni avevo tribolato per purificare proteine! Il DNA, data la sua alta stabilità, poteva essere manipolato in molti modi senza timoredi perderne l’integrità molecolare, come spesso accadeva con le proteine. Talvolta finivo gli esperimenti a tarda notte. Mi avviavo a piedi al vicino albergoe per strada mi fermavo a mangiare nell’unico posto aperto a quell’ora. Era il gabbiotto di un distributore di benzina che offriva solo un piatto di tortellinisemicotti, sapevano di sapone e bisognava bloccare il gestore prima che desse la spolverata di formaggio che li rendeva immangiabili. L’umanità che popolavaquel gabbiotto era simpaticamente strana e quando l’esperimento era riuscito ero contento di finire lì la mia giornata mangiando in piedi.

Pubblicati gli esperimenti fatti a Siena pensai che non avrei continuato lo studio della proteina Hep27 perché il vai e vieni tra Siena e Pisa creava molto stressalla mia famiglia, il laboratorio del quale avevo bisogno avrebbe richiesto anni per essere attrezzato e i finanziamenti che riuscivo ad ottenere, essendo solo a lavorare,erano insufficienti per condurre una ricerca di questo tipo. Infine l’impegno per la didattica era aumentato enormemente per l’introduzione dell’insegnamento della biologia molecolare nelle scuole di specializzazione e nei diplomi universitari.

In quel periodo un gruppo di oltre ottanta ricercatori statunitensi diretti da Craig Venter, autorevole biologo molecolare, aveva pubblicato la sequenza di circa 30.000 cDNA preparati da 37 differenti organi e tessuti umani.

Nell’elenco mancava il cDNA–Hep27 da noi individuato e ciò contrastava con i risultati dei nostri esperimenti. In seguito trovai la spiegazione dellamancata concordanza dei nostri dati con quelli di Venter. Egli aveva utilizzato cellule di tessuti umani normali e patologici contenenti scarse quantità di mRNA–Hep27. La nostra fortuna era stata quella di aver estratto l’mRNA dalle cellule HepG2 dove è altamente concentrato.

In quel periodo ricevetti una lettera dalla dottoressa Donna Maglott. Scriveva dal “Repository of Human and Mouse DNA Probes and Libraries” del National Institutes of Health di Bethesda, USA e mi chiedeva di inviare il clone contenente il cDNA codificante Hep27. Il laboratorio ne avrebbe controllata l’identitàper metterlo poi a disposizione della comunità scientifica. Inviai il clone e dopo qualche mese la dottoressa Maglott comunicò che i dati da noi pubblicatierano corretti.Questi eventi riaccesero in me il desiderio di continuare lo studio del gene Hep27, le nuove tecnologie del DNA si erano ulteriormente perfezionate ed offrivano possibilità di esperimenti che mi divertivo a considerare.

A Parigi Leonard Cohen e collaboratori avevano costruito la prima genoteca genomica umana e da essa la prima mappa fisica che includeva il 75% del genoma umano.Presso l’Istituto Scientifico S. Raffaele di Milano era conservata una genoteca di Cohen. In quel dipartimento lavorava un amico, il professor Marco Bianchi, che gentilmente mi offrì ospitalità. Mi recai per sei mesi a Milano, e con la collaborazione delle esperte conservatrici della genoteca fu individuato il clone che includeva il gene codificante Hep27 e ne definiva la posizione subcromosomica fisica e citogenetica sul braccio grande del cromosoma 14, posizione Chr 14q11.2. La mappatura citogenetica fu confermata mediante ibridazione in situ effettuata dal professor Mariano Rocchi dell’Istituto di Genetica dell’Università di Bari.

Il professor Bianchi, esperto di alto livello delle proteine nucleari, mi suggerì di controllare la localizzazione subcellulare della proteina Hep27 mediante colorazione immunoistochimica di cellule intere. Tra me e me ringraziai la dottoressa Melli del vecchio suggerimento di fare l’anticorpo anti–Hep27 per avere unasonda specifica per saggiare la presenza di Hep27.

Al S.Raffaele un dottorando mi spiegō la tecnologia immunoistochimica e con essa colorai le cellule con l’anticorpo anti–Hep27 reso fluorescente. Il consiglio diMarco risultò essere giusto: Hep27 non era presente solo nel nucleo ma anche nel citoplasma. I mesi di intenso lavoro al S.Raffaele furono molto proficui. Valenti ricercatori mi davano composti, anticorpi e mi suggerivano nuovi procedimenti. Era piacevole scambiare quotidianamente con loro idee scientifiche e di vita. Un gruppo di ricercatori napoletani, pur apprezzando l’efficienza lombarda, difendeva la propria napoletanità con la filosofia di Bellavista.

Tornato a Pisa cominciai ad organizzare il laboratorio nel dipartimento di Patologia Sperimentale nel quale mi ero trasferito. Grazie ai professori del dipartimentoSonia Senesi, Mario Campa, Giuseppe Caroli, Alessandro Casini e Carlo Garzelli che mi permisero di utilizzare le loro attrezzature, cominciai subito a lavorare.Mediante analisi Western fu analizzata la presenza di Hep27 nei tessuti umani e fu subclonato il cDNA–Hep27.

L’intero gene codificante Hep27 fu sequenziato con l’aiuto, ancora una volta, degli amici senesi dell’IRIS. Nel laboratorio del dottor Antonello Covacci, responsabile dell’Unità di Microbiologia Cellulare e Bioinformatica, Stefano Censini si era impadronito di una tecnologia che gli permetteva di sintetizzareil DNA di un intero gene, per poi determinarne rapidamente la sequenza con un potente sequenziatore automatico di nuova generazione. Questa collaborazione semplificò ed accelerò molto la definizione del gene. Mediante analisi in silicio della sequenza del gene e del cDNA definii la regione promotrice e la struttura in esoni ed introni del gene stesso.

Il possesso dell’anticorpo anti–Hep27 mi permise una collaborazione con Sven Heinz, un dottorando dell’Università di Regensburg (Germania), espertonel differenziamento in vitro delle cellule dendritiche umane. Si dimostrò che Hep27 era sintetizzata durante il differenziamento dei monociti in cellule dendritiche. Questo risultato era importante perché le cellule dendritiche sono la prima linea di difesa della risposta immunitaria.

Definita la mappatura fisica, la sequenza e la struttura del gene, per completare la sua caratterizzazione occorreva individuarne la funzione cellulare ricercando l’attività molecolare della proteina da esso codificata.

L’appartenenza di Hep27 alla famiglia degli enzimi SDR che hanno attività catalitica ossido–riduttasica suggeriva che Hep27 fosse un enzima con quellaattività. Inizialmente ricercammo la possibile attività ossido–riduttasica di Hep27 parzialmente purificata su alcuni substrati: steroidi e retinoidi. I dosaggi delle attività ossido–riduttasiche furono eseguiti rispettivamente all’Università di Padova nel laboratorio del professor LorenzoColombo, dalla dottoressa Luisa Dalla Valle e all’Università di Parma nel laboratorio del professor Simone Antonello, dal dottor Davide Cavazzini. Le stesseattività erano dosate in parallelo con la proteina Hep27 pura sintetizzata in vitro mediante transfezione del cDNAHep27 in cellule batteriche o di lievito. Lavorammo più di un anno ma non riuscimmo a trovare alcuna attività enzimatica associata alla proteina sintetica pura. I risultati negativi indussero le persone che lavoravano con me ad abbandonare questo progetto di ricerca ed io rimasi nuovamente solo.

Dal Karolinska Institutet di Stoccolma mi scrisse il dottor Udo Oppermann, il quale non vedendo uscire nostre nuove pubblicazioni su Hep27 mi chiedeva notizie. Udo è un eccellente ricercatore enzimologo che aveva partecipato alla definizione della famiglia degli enzimi SDR a cui appartiene Hep27 ed avrebbe potuto utilizzare i nostri dati già pubblicati per iniziare la ricerca dell’attività molecolare di Hep27 nel suo ben attrezzato laboratorio. Essendo persona corretta e gentile preferì fare una collaborazione.

Gli esperimenti al Karolinska Institutet erano affidati a Naeem Shafqat, un dottorando pachistano che saggiò nuovamente l’attività di Hep27 sintetica suvari substrati steroidei. Alcuni di questi erano stati sintetizzati dal professor H.A. Lardy, mio stimato supervisore all’Università del Wisconsin, USA, dove avevo lavorato alla fine degli anni ’60. Gli esperimenti sui substrati steroidei dettero ancora risultati negativi. Finalmente dopo aver saggiato più di 50 substrati diversi, Naeem trovò che Hep27 era attiva su tre composti dicarbonilici.

L’attività molecolare era individuata, Hep27 era un nuovo enzima umano dicarbonil–riduttasi NADPH dipendente. I tre composti dicarbonilici, substratidi Hep27, sono xenobiotici tossici per le cellule umane. Si formano durante i normali processi metabolici e durante gli stati di stress ossidativo, causano la perdita di cromosomi e contribuiscono alla formazione di composti insolubili chiamati AGE (Advanced Glycation End–products). Gli AGE provocano un’eccessiva produzione di citochinine ed alterano le proteine dello stroma dei tessuti causando sclerosi cellulare.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità aveva da tempo informato che in Europa questi composti vengono assunti con la dieta nella quantità di circa 40 microgrammi al giorno. Hep27, presente nel nucleo e nel citoplasma delle cellule umane, costituisce una barriera capace di opporsi all’azione citotossica dei trecomposti dicarbonilici.

Dopo tanto lavoro un piccolo segreto della natura era stato svelato, erano state definite le caratteristiche genetiche e molecolari di un nuovo gene umano e l’attività molecolare della proteina da esso codificata. Le varie pubblicazioni dei nostri dati hanno indotto altri ricercatori a studiare la proteina Hep27 e questi studi hannodimostrato che la proteina ha le caratteristiche di marcatore del carcinoma della vescica ed è associata all’insorgenza sporadica del carcinoma della mammella.Attualmente Hep27 è studiata in laboratori di oncologia sperimentale europei, statunitensi, giapponesi e cinesi. Questi laboratori utilizzano il nostro anticorpoper ricercare il ruolo della proteina nella cancerogenesi umana. Recentemente un’industria nord americana ha prodotto un kit per l’inibizione specifica delgene–Hep27 facilitando così lo studio della sua funzione. Io continuo lo studio del gene–Hep27, analizzando mediante genomica comparativa in silicio la sua evoluzione.

Franco Gabrielli
docente di Biologia molecolare
f.gabrielli@med.unipi.it