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Pisa laboratorio di libertà
Maestri e discepoli nel “laboratorio pisano” tra 1938 e 1943

Un laboratorio che accolse alcuni dei migliori cervelli dell’Italia sotto il regime fascista. Le istituzioni accademiche pisane alla fine degli anni Trenta furono capaci di attrarre diversi esponenti di una grande generazione che allora si avviava agli studi, anche in virtù del progetto di Giuseppe Bottai di fare della città il polo nazionale del corporativismo attraverso l’attivazione del Collegio Mussolini e del Collegio Nazionale Medico. Il convegno “Le vie della libertà. Maestri e discepoli nel laboratorio pisano tra il 1938 e il 1943”, organizzato nel settembre scorso dal dipartimento di Storia dell’Università, dalla Scuola Normale e dalla Scuola Sant’Anna, in collaborazione con l’Istituto ligure per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea, ha approfondito per la prima volta l’intreccio di relazioni che si formò in questo incontro di grandi individualità.

Paolo Pezzino del dipartimento di Storia dell’Università sintetizza i contenuti del convegno, rilevando “l’importanza dei canali di collegamentotra studenti della Normale, dell’Università e dei collegi e con alcuni docenti. Questo creò le condizioni per il progressivo distacco dal regime attraverso, potremmo dire, un magistero antifascista germogliato anche nella Scuola di scienze corporative. Tutto ciò senza dimenticare gli studenti che rimaseronell’alveo del regime, a testimoniare la presa che ancora manteneva sui giovani alla fine degli anni Trenta”.

Il convengno è stato caratterizzato da quattordici relazioni suddivise in tre sessioni e una quarta dedicata all’ascolto di testimoni d’eccezione: ex studenti come Aldo Corasaniti, ex presidente della Corte costituzionale, Giuliano Lenci, medico e a lungo amministratore a Padova, Raimondo Ricci, vicepresidente dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (ANPI), e Emilio Rosini, presidente onorario del Consiglio di Stato e infine l’ex presidente della Repubblica CarloAzeglio Ciampi che, non potendo intervenire personalmente, ha affidato la sua memoria a un colloquio con Simonetta Fiori apparso su La Repubblica.

Il palazzo della Sapienza a Pisa vista d’angolo

Il palazzo della Sapienza a Pisa vista d’angolo

La parte finale del “lungo viaggio attraverso il fascismo” di una generazione messa di fronte a una successione rapidissima di avvenimenti traumatici avviò e nutrì a Pisa un dibattito di alto livello tra posizioni riconducibili al corporativismo, al cosiddetto fascismo di sinistra e all’antifascismo.In particolare, a soffermarsi sulle traiettorie biografiche individuali è stato il professor Mauro Stampacchia del dipartimento di Scienza della politica, che ha studiato il periodo trascorso al Collegio Mussolini da personaggi come Paolo Emilio Taviani, Fernando Di Giulio e Giovanni Pieraccini (assente dal convegno per impegni politici) tra gli antifascisti e come Enzo Pezzato dal lato degli adepti del corporativismo, “una dottrina – ricorda Stampacchia – che a Pisa venne studiata seriamente, anche attraverso la rivista ‘Civiltā del Lavoro’, curata per un anno dai giovani spezzini Sauro Zaccagnini e Lorenzo Tellarini”.

Ivano Tognarini dell’Università di Siena, parlando di “Antifascismo, antifascisti e perseguitati a Pisa e Firenze negli anni ’30 e ’40”, ha ampliato il discorso biografico oltre le istituzioni accademiche illustrando la banca dati cui sta lavorando: dai primi risultati emergerebbe che oltre l’1% della popolazione pisana era soggetta a forme di sorveglianza, compresi i deferiti al Tribunale speciale.

La Scuola di Scienze corporative dell’Università di Pisa è stata invece al centro dell’intervento di Fabrizio Amore Bianco che ha ricordato “l’importanza della biblioteca della Scuola come luogo di dibattito tra i giovani universitari sulle conseguenze della crisi del 1929. Si trattava dei semi gettati dalla presenza a Pisa di docenti come Ugo Spirito e Alfredo Volpicelli”. L’attività del Collegio Mussolini e del Collegio Medico, che dipendevano dalla Normale, era iniziata nel 1931–32. A spianare la strada ai due innovativi istituti (in particolare il secondo, un originale consorzio che riunì entilocali e aziende farmaceutiche) era stata l’intesa tra Giuseppe Bottai e Giovanni Gentile, direttore della Normale, ai quali il rettore dell’Università, Armando Carlini, aveva aperto la via.

Giuliano Lenci ha ricordato che l’ambiente del Collegio Medico appariva assai più “impolitico”, rispetto a quanto si muoveva nella Normale, nell’Università e nel “Mussolini”, ma attirava ugualmente studenti dotati di molto talento poiché, ha ricordato Andrea Mariuzzo della Normale nella sua relazione, “godeva di un ottimo sostegno finanziario”. L’aspetto del sostegno finanziario è stato approfondito anche da Paola Carlucci:“la Normale aveva il compito di formare insegnanti e c’era un supporto effettivo a quel tipo di carriere, l’élite sociale che si intendeva formare prescidenva dalle condizioni sociali”.

Due argomenti hanno poi animato la discussione: quali furono gli avvenimenti ad avere più ripercussioni sulla formazione politico–morale degli studenti ela rilevanza dei volontari nelle imprese militari del regime, a partire dalla guerra d’Etiopia. Fin dal convegno del 1985 “Il contributo dell’Università di Pisa e della Scuola Normale Superiore alla lotta antifascista e alla guerra di Liberazione”, le testimonianze degli ex studenti individuavano più di una causa, anzi un accumularsi di delusioni, per datare l’allontanamento dal regime. Per esempio Gianfranco Contini rammenta gli “indizi prelusivi al gran crimine del secolo, l’Anschluss, l’asservimento, pur altezzoso, di Roma a Berlino, le leggi razziali, la pudicamente chiamata crisi cecoslovacca; mentre la Spagna repubblicana scendeva inesorabilmente lungo il piano inclinato dello sfacelo”. Ilaria Pavan della Normale ha fornito altri elementi di valutazione ricordando la reazione praticamente inesistente all’allontanamento degli studenti ebraici, in seguito alla promulgazione delle leggi razziali. Pezzino ha aggiunto che l’argomento, “era emerso dalle ricerche della giovane studiosa Francesca Pelini, prematuramente mancata, e merita ulteriori approfondimenti anche per quanto riguarda l’Università, e sarebbe auspicabile un proseguimento del lavoro collettivo di ricostruzione della storia dell’Ateneo”, che attualmente è fermo al 1737.

Mauro Moretti dell’Università per stranieri di Siena, intervenendo su “L’Università di Pisa tra gli anni ’30 e gli anni ’40”, ha ricordato che nel giugno 1940 ben 360 studenti manifestarono la volontà di partire volontari per la guerra. L’argomento ha suscitato un’ampiadiscussione sul livello del consenso, evidentemente ancora radicato a quell’epoca e Pezzino ha affermato che “forse il consenso venne eroso dall’impatto con l’inadeguatezza delle risorse del paese rispetto al conflitto e forse l’anno decisivo per la frattura tra il regime e la generazione dei giovani fu il 1942, quando anche i partiti si ricomposero, perché la trasmissione di un pensiero libero tra maestri e discepoli nell’ambiente accademico non poteva bastare a trasformare le coscienze”. Simone Duranti della Scuola Sant’Anna ha tuttavia puntualizzato che dai documenti emerge che nella cartolina–precetto tutti firmavano come volontari, dunque anche su questo aspetto saranno necessarie ulteriori messe a punto.

Roberto Boldrini
r.boldrini@adm.unipi.it