Quali sono i meccanismi che portano alcune persone a “guarire” dal diabete di tipo 2? A questa domanda risponde uno studio ideato a Pisa, coordinato dall’Unità operativa di Malattie metaboliche e diabetologia dell’Università di Pisa e Aoup (diretta da Giuseppe Penno), che è stato pubblicato sull’ultimo numero della rivista Science Advances. La ricerca ha identificato le caratteristiche che si associano al recupero della secrezione insulinica e i meccanismi molecolari coinvolti, studiando la funzione delle cellule che producono l’insulina.
Il diabete mellito di tipo 2 è la forma più comune di diabete (circa il 90% di tutti i casi). Nel 2024, secondo la International Diabetes Federation, nel mondo c’erano 589 milioni di persone dai 20 ai 79 anni affetti da diabete (di cui oltre 5 milioni in Italia). Nel 2045 si prevede che questo numero superi i 700 milioni. Una malattia con un impatto socio-sanitario estremamente gravoso sia per le difficoltà di gestione del controllo glicemico, sia per l’ancora frequente insorgenza di complicanze acute e croniche della malattia. Segnali di speranza arrivano da osservazioni che indicano come, appunto, alcune persone con diabete di tipo 2 ottengano una remissione anche completa della malattia, adottando particolari stili di vita. Si tratta però di una bassa percentuale che diminuisce quando la durata del diabete supera i 4-5 anni e tende ad attenuarsi con il passare del tempo (a meno che non si intervenga con la chirurgia bariatrica).

La comunità scientifica si sta quindi interrogando da tempo sui processi che portano alla remissione della malattia, così come quelli che ostacolano la guarigione, per individuare strategie e rendere concreta la possibilità di “guarire” dal diabete di tipo 2.
Lo studio pisano, che poi si è esteso ad altri centri, mira proprio a questo. “È stato un progetto molto articolato e complesso, iniziato e guidato dal prof. Piero Marchetti (già ordinario di Endocrinologia all’Università di Pisa, ndr) – spiega Mara Suleiman, ricercatrice a tempo determinato su progetto PNRR e capofila dello studio – e che, progressivamente, ha visto coinvolte diverse altre strutture a direzione universitaria dell’Aoup insieme ad altri centri di ricerca (tra cui il Dipartimento di Farmacia dell’Università di Pisa, la Scuola Normale Superiore, le Università di Siena e Genova) e gruppi internazionali (a Bruxelles, Barcellona, Lille, Losanna, Philadelphia)”.
“Lo studio – aggiunge Lorella Marselli, che ha coordinato i principali protocolli sperimentali utilizzati – ci ha anche permesso di individuare farmaci, testati in vari modelli preclinici che, agendo su alcuni specifici meccanismi infiammatori e metabolici, possono promuovere il benessere delle cellule beta, favorendo il loro recupero funzionale e ripristinando una loro adeguata capacità di produrre e secernere insulina”.
“Le competenze acquisite negli anni nel Laboratorio di isole pancreatiche grazie al connubio fra l’attività di ricerca sotto l’ègida del Dipartimento di Medicina clinica e sperimentale dell’Università di Pisa e l’attività dell’Unità operativa di Malattie metaboliche e diabetologia dell’Aoup – spiega Piero Marchetti – sono state fondamentali per portare a termine questo studio, che sta avendo notevole risonanza a livello internazionale e si colloca nel 5° percentile più alto tra gli oltre 29 milioni di prodotti della ricerca valutati da Altmetric (sistema che valuta l’attenzione online ricevuta globalmente dagli articoli scientifici). Tra l’altro, per le sue specifiche capacità, il laboratorio è stato recentemente inserito tra i ‘Research, Mechanistic and Pre-clinical laboratories’ della rete europea INNODIA.org”.
“Tutto questo – conclude Maurizia Brunetto, direttrice del Dipartimento di Medicina clinica e sperimentale di Unipi e dell’Unità operativa di Epatologia di Aoup – a dimostrazione di quanto vivace sia la ricerca traslazionale, preclinica e clinica che si svolge in ateneo e in ospedale contemporaneamente all’attività assistenziale di alto livello”.