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Pisa medioevale

Per tutto il Medioevo, come nell’Antichità, Pisa ebbe un rapporto specialissimo con il mare, in un modo che per noi, dopoché da secoli si è perduto ogni diretto contatto tra la città e il mare, risulta spesso di difficile comprensione. Il mare e le sue attività rappresentavanola principale ragion d’essere della città, ne caratterizzavano profondamente la vita in tutti i suoi aspetti, economici e sociali, religiosi, culturali e politici, e determinavano i peculiari caratteri della sua storia, a partire dalla stessa cristianizzazione, avvenuta intorno al III secolo attraverso la via marittima e contraddistinta dal forte vincolo con la Chiesa di Roma, ben illustrato dalle tradizioni agiografiche sui primordi della cristianizzazione, ossia il presunto sbarco di S. Pietro e la Passio sancti Torpetis.

Il legame con il mare e le attività marittime non vennero mai completamente meno neppure nei periodi più oscuri dell’alto Medioevo: già la documentazione dell’VIII secolo attesta la presenza di Pisani in Corsica e lungo la costa populoniese e in età longobarda e carolingia Pisa offre l’immagine di una città vivace, politicamente stabile ed economicamente abbastanza florida, confermata dai recenti scavi archeologici che hanno mostrato nella città dei secoli VIII-X la capacità sia di produrre manufatti ceramici per il mercato interno sia di procurarsene in circuiti interregionali. Alla seconda metà del X secolo risalgono gli inizi dell’espansione mediterranea, quel salto qualitativo che trasformò Pisa in una grande potenza marittima e che fu il risultato delle attività militari ed economiche sul mare, in grado di sviluppare una singolare capacità di attrazione sul territorio ed i suoi abitanti. L’ampliarsi dell’orizzonte marittimo e il salto di qualità verso una politica più aggressiva ed intraprendente si manifestarono nel corso dell’XI secolo con le imprese marittime compiute contro i Musulmani nel Mediterraneo, che costituirono il grande sforzo collettivo dei cives Pisani, forgiarono la comunità cittadina e le impressero il loro marchio.

Nella seconda metà dell’XI secolo la cospicua espansione politica, economica, culturale e sociale della città esercitò una notevole forza d’attrazione sul territorio circostante, che rapidamente si coordinò intorno al centro cittadino senza collocarsi in posizione conflittuale con esso. Il rapido e precoce sviluppo comunale impedì o limitò la formazione di giurisdizioni concorrenti e la città attrasse le famiglie del territorio, che vi si inserirono pienamente, contribuendo alla formazione di un ceto dirigente dalle caratteristiche peculiarità, che agli interessi più schiettamente terrieri e cittadini connessi con i possessi fondiari associava strettamente quelli legati al mare e al commercio transmarino, con un’intensa attività armatoriale, mercantile e finanziaria.

I Pisani, nello svolgimento delle loro attività marittime, s’interessarono già nell’alto Medioevo alla costa tirrenica e alle isole ad essa adiacenti, ma solodall’avanzato XI secolo intrapresero un’intensa opera di espansione volta al controllo politico ed economico della Maremma tra i fiumi Cecina e Bruna e delle isole di Corsica e di Sardegna, un predominio espresso pure in campo ecclesiastico: il vescovo di Pisa ottenne dal papa nel 1091 il diritto di rappresentarlo (legazione) in Sardegna e la promozione ad arcivescovo nel 1092 con la giurisdizione sui vescovadi della Corsica. Nel 1138 la metropoli ecclesiastica pisana fu costituita da tre diocesi corse, due sarde (Galtellì e Civita) e da quella toscana di Massa Marittima, cui si aggiunse la primazia sull’arcivescovado sardo di Torres. Gli interessi commerciali e marittimi pisani si svilupparono grandemente nell’Africa settentrionale, dal Marocco all’Egitto, e si estesero al Mediterraneo orientale, a partire dalla partecipazione alla Prima Crociata nel 1099, con la nascita di fondachi a Costantinopoli e sulla costa siriano–palestinese.

Faro e navi. Bassorilievo sulla facciata della Torre Pendente

Faro e navi (bassorilievo sulla facciata della Torre Pendente)

Dalla fine dell’XI secolo la città organizzò la propria autonomia comunale (la prima menzione dei consoli risale agli anni 1080–1085), che raggiunse la pienezza nel corso del secolo successivo. Gli anni Sessanta del XII secolo rappresentarono un decennio fondamentale di programmazione politica, in cui si procedette alla riorganizzazione del contado,alla realizzazione d’importanti opere pubbliche, come la ristrutturazione del sistema portuale, ma anche alla codificazione delle leggi e del diritto consuetudinario e marittimo e alla creazione di un nuovo ordinamento giudiziario e amministrativo della città.

Nell’ultimo ventennio del XII secolo si assisté ad un deterioramento del quadro politico: ai forti dissensi interni del ceto dirigente cittadino per la formazione delle fazioni che avrebbero segnato tutto il secolo successivo, capeggiate dalle due maggiori casate cittadine, rispettivamente i Visconti e i conti Della Gherardesca, si accompagnarono intensi contrasti sociali per l’ascesa economica e politica di nuovi ceti mercantili e artigiani, desiderosi di partecipare alla gestione del potere. A fini di pacificazione interna rispose la nuova magistratura del podestà, comparsa a capo del Comune nel 1190 e alternatasi per alcuni anni a collegi consolari. Infine, nel 1254, dopo una sconfitta subita dai Fiorentini, il Popolo prese il potere e a capo del Comune comparvero dodici Anziani (tre per quartiere) e il Capitano del Popolo.

Dagli anni Venti del Duecento Pisa instaurò stretti vincoli con l’imperatore Federico II, ma con la morte del sovrano alla fine del 1250 si avviava al tramonto l’ultimo grande periodo di potenza e fioritura economica di Pisa. In Toscana ormai emergeva Firenze, avviata a soppiantare nella regione il monopolio commerciale pisano, Genova, l’eterna nemica,era uscita rafforzata dal lungo confronto con Federico II, nel Mediterraneo si affacciava la nuova forza degli Aragonesi, il cui ruolo sul mare sarebbe ben presto divenuto preminente ed egemone. Nella grande politica internazionale Pisa era ormai destinata ad un ruolo sempre più marginale, in connessione con il suo progressivo isolamento politico. La perdita nella seconda metà del Duecento del monopolio commerciale in Toscana non significò tuttavia una diminuzione né della mole dei traffici né del ruolo nel commercio mediterraneo: più che di una diminuzione quantitativa si trattava di una contrazione qualitativa, ossia un restringersi dell’area interessata dal commercio marittimo pisano all’area tirrenica e all’Africa settentrionale.

Certamente grave fu per Pisa la disfatta navale subita da parte dei Genovesi il 6 agosto 1284 nelle acque della Meloria, anche se non cosí decisiva e determinante come si è a lungo pensato, piuttosto la permanenza per quindici anni, fino alla pace del 1299, di più di novemila uomini validi nelle prigioni genovesi, provocò immaginabili effetti sulla demografia cittadina. Ma a chiudere definitivamente un’epoca e a significare veramente la fine della potenza marittima di Pisa fu la perdita della Sardegna, il maggior cespite finanziario del Comune pisano, conquistata dagli Aragonesi nel 1324-1326. Perduto il più importante caposaldo del proprio dominio nel Mediterraneo occidentale, Pisa, ormai ridotta al rango di potenza tirrenica, dovette accontentarsi della funzione portuale di grande collettore dei mercati dell’Italia centrosettentrionale. Era da questo ruolo che provenivano le sue principali risorse e la città perseguì tenacemente l’obiettivo di conservare tale posizione, pur attraverso un lento ma progressivo processo di declino, interrotto da brevi momenti di brillante ripresa, immancabilmente seguiti da nuove e più gravi ricadute.

La crisi politica e istituzionale, e quindi anche economica, che colpiva il Comune, nasceva dall’incapacità del ceto dirigente pisano, tendenzialmente oligarchico, di evitare gli effetti dirompenti dello scontro tra fazioni, scontro che non era di classe, tra nobiltà e popolo, e neppure d’interessi economici, tra mercanti–armatori e industriali, ma avveniva in seno ad una classe, tra le più ricche e potenti famiglie borghesi, originato da legami personali, forme di clientela e di dipendenza individuale. Da un lato, la classe dirigente tendeva sempre più a riservare a se stessa l’esercizio effettivo del potere, dall’altro i vari tentativi di signoria non nascevano solodall’ambizione politica di alcuni personaggi ma rispondevano all’esigenza di un consolidamento politico–amministrativo dello stato e di un superamento della sua base puramente cittadina. E infatti dall–ultimo ventennio del Duecento Pisa aveva cercato soluzione alla crisi istituzionale e politica attraverso esperimenti signorili, affidati a personaggi esterni, come i Montefeltro o Uguccione della Faggiola, ma anche a cittadini come i conti di Donoratico (1316-1347), i Dell’Agnello (1366-1368) o i Gambacorta (1369-1392), intervallati dalla ripresa del normale assetto istituzionale.

All’esterno, il problema maggiore era rappresentato da Firenze, che in Toscana aveva raggiunto una posizione di forza e si avviava a costituire un vasto stato territoriale. La politica espansionistica e conquistatrice della città del giglio, allargata a tutta la regione con la conquista di Pistoia nel 1331 e di Arezzo nel 1380, si faceva sempre pericolosamentevicina con la sottomissione di Volterra nel 1361 e di S. Miniato nel 1370. Pisa e il suo territorio erano ormai seriamente minacciati e la fine della libertà sempre più vicina: il cerchio si stringeva intorno alla città.

Maria Luisa Ceccarelli Lemut
docente di Storia medievale
ml.ceccarelli@mediev.unipi.it

Bibliografia