Discorso del rettore Massimo Mario Augello

Chiarissimo Professor Luciano Gallino,
Gentili colleghi, signore e signori,
Cari studenti,

porgo a tutti voi un caloroso benvenuto a nome dell’Università di Pisa, che si riunisce oggi – con il conferimento al Professor Luciano Gallino della laurea magistrale honoris causa in Sociologia – per onorare uno studioso e un intellettuale tra i più autorevoli nel panorama scientifico e culturale italiano degli ultimi cinquant’anni e docente tra i più eminenti delle discipline sociologiche, che egli stesso ha contribuito a istituzionalizzare nel dopoguerra.

Il professor Gallino è tra i massimi esperti italiani di sociologia dei processi economici, dell’impresa e del lavoro; è autore di centinaia di pubblicazioni scientifiche e maestro di generazioni di studiosi e studenti raccolti intorno alla sua cattedra torinese. Nell’arco della carriera non ha trascurato nemmeno l’approccio divulgativo, distinguendosi come editorialista lucido e rigoroso prima de “Il Giorno” di Milano agli inizi degli anni Settanta, poi de “La Stampa” di Torino tra 1983 e 2001 e, infine, de “la Repubblica”.

Al centro degli autorevoli interventi del pomeriggio ci sarà il tema del lavoro, che sarà approfondito secondo molteplici prospettive e con l’utilizzo di diverse chiavi di lettura. Due mi sembrano prevalenti. Partendo dall’esperienza della Olivetti, all’interno della quale Luciano Gallino ha avviato la sua formazione sociologica, sarà riaffermato il ruolo decisivo e quanto mai attuale della responsabilità sociale come valore fondativo di una moderna organizzazione industriale. Di contro, emergeranno i dubbi e i timori legati al modello di sviluppo che sembra oggi imporsi in Italia, dove si stanno importando le condizioni di lavoro dei paesi emergenti, poiché ciò appare indispensabile per reggere la competizione all’interno del mondo globalizzato.

Proprio in questi giorni si è tenuto un importante referendum nello stabilimento Fiat di Mirafiori e le scelte strategiche del mànagement torinese hanno occupato e occupano le prime pagine dei giornali. Negli editoriali degli ultimi mesi, il professor Gallino è tornato più volte sulla questione, sottolineando le distorsioni di un sistema economico che tende a separare il lavoro dalla persona ed evidenziando, di conseguenza, l’esistenza di un problema cruciale e serio nel rapporto tra il capitale e la democrazia.

È difficile non essere d’accordo con le analisi del professor Gallino, in quanto la vicenda Fiat segnala il rischio di una “fuga” dell’azienda dal proprio ruolo sociale e dal sentimento di appartenenza nazionale.

Riflettendo su questa vicenda mi è tornato alla mente un altro evento di molti anni fa, quando, alla metà degli anni Settanta, in un contesto nazionale assai agitato e non meno problematico di quello attuale, due personalità del calibro di Giovanni Agnelli, allora alla guida di Confindustria, e di Luciano Lama, leader storico della CGIL, seppero superare le differenti visioni e i contrapposti interessi delle parti che rappresentavano e riuscirono a trovare un equilibrato punto di intesa in una delicatissima vicenda contrattuale. In quel momento essi seppero incarnare, nel rispetto dei diversi punti di vista, modelli responsabili di coscienza sociale.

Ed è ancora più difficile non essere d’accordo con Luciano Gallino quando amplia il proprio orizzonte all’Europa e, commentando le recenti proteste degli studenti in Italia e Inghilterra e le manifestazioni contro i tagli delle pensioni in Francia, egli denuncia il tentativo di demolire nelle sue fondamenta il modello sociale europeo. “Questa espressione che suona un po’ astratta – scriveva poche settimane fa il sociologo su ‘la Repubblica’ – è ricca di significati concreti. Essa vuol dire infatti pensioni pubbliche non lontane dall’ultima retribuzione; un sistema sanitario accessibile a tutti; scuola pubblica gratuita e università a costo minimo; un esteso sistema di diritti del lavoro, e molte altre cose ancora. Negli ultimi cinquant’anni il modello sociale europeo ha migliorato la qualità della vita di decine di milioni di persone e ha permesso loro di credere che il destino dei figli sarebbe stato migliore di quello dei genitori”.

Al riguardo, non possiamo non osservare che questo modello è ora minacciato in diversi paesi, i cui governi – e a volte le stesse istituzioni europee - sembrano accomunati dalla parola d’ordine che è necessario tagliare pensioni, sanità, scuola, università, salari, diritti.

“L’attacco dell’Europa al proprio modello sociale – concludeva il professor Gallino – non è soltanto iniquo. È pure cieco, perché apre la strada a una lunga recessione. Meno scuola e meno università significano avere entro pochi anni meno persone capaci di far fronte alle esigenze di un’economia innovativa e sostenibile…”.

Come rappresentanti del mondo universitario, appartenenti a un’istituzione deputata alla formazione dei giovani, viviamo la crisi attuale e il declino del nostro sistema paese con preoccupazione e frustrazione. La preoccupazione e la frustrazione di chi ha dedicato e dedica la propria vita alla ricerca e all’insegnamento, alla produzione e alla diffusione del sapere, e deve poi confrontarsi con il grave fenomeno della disoccupazione, con un mercato del lavoro rigido e asfittico, con la perdita dei migliori talenti non compensata da un’uguale capacità di attrarre “cervelli” dall’estero, con la constatazione di una progressiva perdita di fiducia nei riguardi delle istituzioni. In definitiva, come ha ribadito in più occasioni il presidente Giorgio Napolitano, con la netta percezione che un’intera generazione di giovani viva con grave e preoccupante disagio la propria condizione.

Questo è forse il significato più profondo della grande mobilitazione contro l’attuale riforma dell’Università, che ha visto uniti studenti e precari, ricercatori e professori; una riforma che ci predisponiamo ad attuare e che, voglio ribadirlo ancora una volta, sembra non dare risposte adeguate a tutte queste istanze e che non potrà risolvere alcuno dei nodi strutturali che attanagliano il sistema universitario.

I nostri atenei devono confermarsi pubbliche istituzioni capaci di garantire pienamente il diritto allo studio e alla formazione, luoghi aperti al libero confronto scientifico, senza rinunciare a contribuire all’elaborazione di strategie per il paese che sono culturali anzitutto, ma anche sociali, economiche, politiche ed etiche. Le questioni cui ho ora accennato, infatti, non riguardano solo le aziende private, ma anche grandi imprese culturali quali sono le università, nell’ottica di una riflessione complessiva sul modello di società che vogliamo costruire e trasmettere ai nostri giovani.

Vorrei tornare ancora, brevemente, sulle tematiche al centro dell’interesse scientifico del professor Luciano Gallino: la fabbrica, i processi tecnologici, la formazione e, dunque, il lavoro e il lavoratore. In questo campo, naturalmente, non solo Gallino, ma anche altri studiosi hanno compiuto importanti ricerche sia teoriche che empiriche, concentrandosi ultimamente sulla dimensione della precarietà.

Tale fenomeno è stato largamente e approfonditamente analizzato in una recente ricerca che, sotto la guida del professor Mario Aldo Toscano e con il contributo di molti giovani studiosi, ha visto l’Università di Pisa come centro di promozione e coordinamento, e i cui risultati sono stati raccolti in un volume, esemplare per ampiezza e qualità delle indagini, dal titolo Homo Instabilis. Sociologia della precarietà.

Nella presentazione dei risultati di quella ricerca, il professor Toscano ha scritto che “è una questione di responsabilità, come tale refrattaria a ogni retorica divagante, mantenere il lavoro al centro di una strategia che contempli la solidarietà delle generazioni e la difesa di un futuro che non sia del tutto consumato nel mercato e dal mercato”.

Concludendo, vorrei affrontare un ultimo argomento - quello del modello industriale realizzato da Adriano Olivetti nel dopoguerra - che sarà alla base della Lectio Magistralis del professor Gallino. Il rapporto tra l’imprenditore di Ivrea e l’Università di Pisa, che in primo luogo si concretizzò nella realizzazione del Laboratorio elettronico di Barbaricina, è stato più volte celebrato negli ultimissimi anni. Dapprima, nell’ambito del convegno “Pisa culla dell’informatica: mezzo secolo dopo la CEP e l’Olivetti di Barbaricina”, che si è svolto a giugno del 2009 e in seguito, con le giornate di studio dal titolo “Adriano Olivetti. L’avventura di un industriale umanista a 50 anni dalla morte”, che si sono tenute lo scorso novembre. In quest’ultima occasione, al Museo degli Strumenti per il Calcolo è stata anche presentata la ricca collezione in possesso del nostro Ateneo di macchine calcolatrici prodotte dalla Olivetti.

Nell’ambito di queste iniziative, mi piace ricordare che sono state presentate ricerche che, indagando nella documentazione dell’Archivio storico dell’Università di Pisa, hanno ulteriormente chiarito il ruolo assai rilevante che Adriano Olivetti e la Olivetti ebbero nella costruzione della Calcolatrice Elettronica Pisana, la famosa CEP, riportando anche lo scambio epistolare che ci fu allora tra l’industriale piemontese e il rettore Enrico Avanzi.

In uno dei passaggi di questi studi, si ricorda che “Adriano Olivetti volle con sé persone di altri settori che apportarono un contributo fondamentale e che poi si sarebbero qualificate con il termine di intellettuali in fabbrica. A Ivrea arrivarono economisti come Franco Momigliano, sociologi come Luciano Gallino e Roberto Guiducci, poeti come Leonardo Sinisgalli, e ancora Ottiero Ottieri, Giorgio Soavi, Paolo Volponi…”.

Il rilievo che le personalità appena citate hanno avuto nella storia culturale dell’Italia contemporanea, testimonia la grandezza dell’esperienza intrapresa da Adriano Olivetti e conferma al tempo stesso lo spessore intellettuale del nostro “neolaureato”, il professor Luciano Gallino, cui rinnovo ancora, a nome mio e dell’Università di Pisa, il più sentito ringraziamento.


Ultimo aggionamento documento: 20-Jan-2011