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La mobilità delle popolazioni umane antiche

Il volume curato da un ricercatore dell'Ateneo propone un nuovo approccio multisciplinare alla materia

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Damiano_Marchi

Damiano Marchi (foto), antropologo del dipartimento di Biologia dell'Università di Pisa, è fra i curatori del volume "Recontructing mobility: Environmental, Behavioral, and Morphological Determinants" (Springer, 2014), un lavoro che nasce da un simposio organizzato insieme a Kristian Carlson, ricercatore dell'University of the Witwatersrand, Sudafric, in occasione dell'80˚ congresso annuale dell'American Association of Physical Anthropologists. Il libro, che qui viene presentato dallo stesso Damino Marchi, si basa su un approccio multidisciplinare per comprendere meglio la mobilità delle popolazioni umane antiche.

Dopo la laurea all'Università di Pisa, Damiano Marchi è stato Visiting Assistant Professor alla Duke University (Stati Uniti) e poi Post-doctoral Fellow alla University of the Witwatersrand (Sudafrica). Dal 2012 è tornato a come docente a Pisa. Le sue ricerche includono lo studio della morfologia funzionale dello scheletro post-craniale dei primati umani e non umani mediante l'utilizzo di metodologie biomeccaniche e di virtual imaging allo scopo di intepretare la mobilità delle popolazioni umane antiche e il tipo di locomozione dei primi ominini fossili.

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Per decenni gli antropologi hanno fatto affidamento sul concetto di mobilità per descrivere i tipi di attività nelle popolazioni umane attuali e del passato. I confronti a livello di popolazione hanno tradizionalmente cercato di dimostrare la presenza di diversi tipi di mobilità (per esempio logistica o residenziale) tra gruppi di Homo nel Pleistocene e nell'Olocene. Per esempio, il passaggio da una economia di sussistenza basata sulla caccia e raccolta ad una piú sedentaria basata sull'agricoltura è stato normalmente associato con un relativo declino della mobilità. Molti sforzi sono stati impegnati nel determinare quale adattamento muscolo-scheletrico meglio riflettesse cambiamenti.

Ma nonostante l'uso comune del concetto di mobilità negli studi antropologici, è emblematico il fatto che spesso non sia definita a priori in termini abbastanza precisi da permettere un agevole confronto dei risultati ottenuti partendo da approcci diversi. Tipicamente, viene utilizzata una generale definizione etnografica di mobilità e normalmente, quando questa definizione viene applicata, le motivazioni dei diversi livelli di mobilità delle popolazioni si concentrano sull'acquisizione delle risorse o sulle relazioni tra gruppi come nel caso del commercio. Tuttavia anche un'applicazione troppo ristretta del concetto di mobilità, per esempio basata essenzialmente sul problema meccanico del movimento, è limitante. Piuttosto, la soluzione ottimale è di applicare un approccio multidisciplinare.

Proprio per ovviare a questa lacuna, nel 2011, insieme al dottor Kristian Carlson (University of the Witwatersrand, Sudafrica), ho organizzato un simposio in occasione dell'80˚congresso annuale dell'American Association of Physical Anthropologists tenutosi a Minneapolis, Minnesota (Stati Uniti). Il simposio riuniva esperti le cui ricerche, mediante diversi approcci, cercano di quantificare e confrontare gli effetti della mobilità sull'anatomia dello scheletro postcraniale.

Il libro "Recontructing mobility: Environmental, Behavioral, and Morphological Determinants" nasce da questo simposio e riunisce esperti da varie discipline antropologiche con lo scopo di fornire un resoconto accurato dei diversi approcci attualmente utilizzati, includendo approcci tradizionali, comparativi e sperimentali. Questo libro è stato pensato per fornire gli elementi necessari a districare effetti ambientali che possono influire sulla mobilità e che trascendono categorie tradizionali (per esempio costiero vs. interno, montagnoso vs. pianeggiante, arboricolo vs. terricolo). Visto che l'ambiente influenza la mobilità di una vasta varietà di animali, per comprendere la mobilità umana nel libro sono stati inclusi anche lavori che si concentrano sullo studio dell'influenza di vari ambienti sulla mobilità di mammiferi non umani. Il libro inoltre mira a stimolare lo sviluppo di nuovi approcci teorici che possano adottare una visione piú olistica dell'interazione tra fattori intrinseci (scheletrici) ed estrinseci (ambientali) che influenzano le diverse espressioni di mobilità. L'approccio integrativo utilizzato nel libro, quando viene unito con la nuova enfasi sulla mobilità intesa come "tipi di attività" piuttosto che "livelli di attività" offre una nuova e piú fresca prospettiva sul concetto di mobilità e su come essa possa influenzare il sistema muscolo-scheletrico.

Damiano Marchi
Ricercatore di Antropologia

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  • 29 agosto 2014

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