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Sine anatomia non sciemus: un percorso iconografico
di Lucia Tomasi Tongiorgi


Nel panorama dell’illustrazione anatomica, ampiamente messo in luce fin dal 1957 dal pioneristico studio di Loris Premuda, un particolare significato assume la bella esposizione ‘Anatomia in mostra’ allestita nei prestigiosi locali della Scuola Medica pisana, a cura di Amelio Dolfi e dei suoi collaboratori, un evento espositivo che mi suggerisce alcune riflessioni sul rapporto tra anatomia e arte nel corso dei secoli.

L’Arte e anatomia: un binomio ab origine ineludibile per gli artisti(ma anche per gli anatomisti che si valevano ampiamente dell’immagine nei loro studi e per finalità didattiche)e questo perché il corpo umano è stato uno dei primi soggetti ad essere raffigurato.
In una rapida carrellata cronologica che obbligherà a molte omissioni e tralasciando il medioevo, che pure riserva interessanti esempi, ritengo opportuno partire dall’età dell’umanesimo e del rinascimento che costituisce il momento cruciale per la nascita della scienza moderna,non solo in ambito medico, ma in genere delle scienze della natura e in quelle dell’uomo.
Tuttavia, mi preme osservare che fin dall’età medievale viene proposta un’immagine che segna l’intero percorso dell’illustrazione anatomica: l’occasione della dissezione, che costituisce non solo un momento cruciale di esperienza diretta e di scoperte, ma anche un evento pubblico, un vero e proprio spettacolo che attrae irresistibilmente per la sua carica di ‘terribilità’ e per le meditazioni di ordine filosofico, etico e religioso che implica. Questo aspetto spettacolare è ribadito anche dalla ricorrenza del termine ‘teatro’ assunto come titolo di molte opere anatomiche, sia nella particola restruttura architettonica del teatro anatomico a gradoni che permette a molti spettatori di assistere all’evento.

Teatro anatomico Padova

Teatro Anatomico, Padova.

Insiste anche su questa connotazione pubblica della pratica anatomica la celebre xilografia che illustra la lezione di anatomia tenuta nello studio patavino, pubblicata nel Fasciculus Medicinae, un incunabolo anonimo (sono stati ipotizzati i nomi dei medici Johannes Ketham e di Pietro di Montagnana) che vide la luce a Venezia nel 1493-34. Opera di un abile e colto disegnatore anch’esso anonimo variamente identificato con Niccolò Pizzolo, attivo nella Cappella Ovetari a Padova (dipinta da Andrea Mantegna), ma anche con Giovanni Bellini e lo stesso Mantegna.
D’altra parte non si può non citare il drammatico e spettacolare scorcio del Cristo Morto di questo ultimo artista oggi a Brera che risale agli anni ottanta del Quattrocento, un opera da cui Mantegna non volle mai separarsi e che fu rinvenuta nella bottega dell’artista alla sua morte. In uno spazio angusto, irrespirabile, il pittore presenta il corpo del Cristo abbandonato su un tavolo, quasi un reperto pronto per la dissezione in un potente scorcio costituirà fonte di ispirazione per molti artisti successivi, tra cui Annibale Carracci e Rembrandt. Più o meno nello stesso periodo (1489) Leonardo da Vinci si proponeva di studiare la “figura umana”, approfondendo le conoscenze di quello che egli chiamava l’“intima essenza”, con l’intento di penetrarne la cause profonde. Con questo artista si afferma così non solo l’anatomia “come arte” e il disegno anatomico in funzione della pittura, ma anche espressione di un nuovo modo di osservare e attestazione di novità scientifiche, per cui risulta spesso assai arduo tracciare una linea di demarcazione tra la sua arte e le sue anatomie. Artista e scienziato al contempo, egli produce quello straordinario corpus di disegni corredati da annotazioni, oggi conservati nella Royal Library del castello di Windsor, dove egli disegna quello che vede con le dissezioni, ma talvolta anche quello che attende di trovare. E nel suo Trattato raccomandava perciò al “pittore- notomista” che “i panni che vestono le figure devono essere abitate da essi”, mettendolo tuttavia in guardia affinché “la troppa notizia degli ossi, corde e muscoli non siano causa di farti pittore legnoso”.
Il De Humani Corporis Fabrica pubblicato a Basilea nel 1543 costituisce non solo un vero e proprio monumento nella storia dell’illustrazione anatomica, ma anche un punto di eccellenza nella produzione grafica dell’editoria coeva. Nativo di Bruxelles, Vesalio giunse a Padova nel 1537, ottenendovi la laurea e insegnandovi fino al 1541. Fu nella città veneta che approntò il suo opus magnum. Abile disegnatore lui stesso, una antica e accettabile tradizione ritiene che nell’apparato iconografico dell’opera si debba individuare la mano di Tiziano, mentre l’incisore fu sicuramente l’olandese Jan Stephan van Calcar, un artista che d’altra parte frequentava la bottega di Tiziano. Anche se non siamo sicuri dell’autografia tizianesca, è certo che le xilografie con le imponenti figure, in cui il corpo umano concepito come una macchina viene smontato ‘pezzo per pezzo’ sullo sfondo di ameni paesaggi, si distinguono per la loro innovativa concezione, in grado di esprimere le conoscenze scientifiche attraverso un accentuato pathos veicolato in ossequio alle formule retoriche dell’arte rinascimentale.
Dei numerosi autori postvesaliani sia italiani che europei, citiamo solo lo spagnolo Juan Valverde, educato nelle scuole anatomiche di Padova e di Roma, la cui opera Historia de la composicion del cuerpo humano uscì a Roma nel 1556, corredata da tavole in rame, opera dell’artista spagnolo Gaspare Becerra, allievo di Michelangelo e Raffaello, mentre l’incisore fu il celebre Nicolas Beatrizet attivo nella città papale tra il 1540 e il 1565. Notiamo che quella connotazione di spettacolarizzazione cui facevamo cenno poc’anzi, si accentua nella tavola dello scorticato che con una mano sorregge la propria pelle, mentre nell’altra tiene una daga, un’iconografia recuperata da una figura del Giudizio Universale di Michelangelo.
Sempre a Roma sul finire del Cinquecento, Federico Zuccari principe dell’Accademia di San Luca, cui erano affiliati i maggiori pittori contemporanei, si accinse a decorate la propria dimora privata in via Gregoriana, dove volle celebrare l’importanza del disegno e la sua funzione fondamentale in ausilio alle varie attività umane. In una sala egli affrescò i vantaggi che anche la medicina traeva dalla pratica disegnativa, rappresentando una scena dominata da Galeno, il mitico medico greco intento a sorreggere da un lato il caduceo e dall’altro un erbario allusivo alle proprietà farmacologiche delle piante. Sullo sfondo, in una sorta di gabinetto naturalistico, egli raffigurò alcune dissezioni anatomiche che traevano appunto grande vantaggio dalla pratica del disegno.

Leonardo, Disegno anatomico

Leonardo, Disegno anatomico.

Di Gerolamo Fabrici d’Acquapendente, successore di Falloppia all’università patavina e medico di Galilei, sostenitore del metodo comparativo nella ricerca biologica e autore di svariati trattati (De formatu Foetu, De venarum ostiolis), sono state di recente pubblicate un nucleo di straordinarie tavole a olio su carta conservate nella Biblioteca Marciana di Venezia, che illustrano dissezioni umane e animali, il cui fondo scuro contribuisce a suggerire un effetto tridimensionale e che colpiscono per una serie impressionante di dettagli. Di qualità diseguale, queste tavole non hanno ancora una precisa paternità artistica, sebbene si sia ipotizzata la mano di Dario Varotari, figlio del più celebre Padovanino.
Uno scolaro di Acquapendente, Giulio Casseri indagò invece l’anatomia degli organi di senso, descrivendo accuratamente la struttura dell’apparato boccale e dell’orecchio dell’uomo, del bambino e di alcuni animali. Il suo De vocis auditusque organis historia anatomica, pubblicato a Ferrara nel 1600, è corredato da un frontespizio e da tavole di grande pregio, attribuite al pittore veronese Jacopo Ligozzi, un artista che trascorse gran parte della vita a Firenze dipingendo immagini botaniche e zoologiche per Francesco I e Ferdinando I dei Medici. A lui si devono, accanto a delicate tempere botaniche di grande raffinatezze e lirismo, alcuni piccoli dipinti su rame di intensa drammaticità e crudezza in cui l’artista indaga in maniera lenticolare (si definiva ‘miniatore’) il processo della decomposizione.

Vesalio, Strumenti anatomici.

Vesalio, Strumenti anatomici.

L I temi della vanitas e del memento mori, assai fortunati in età della controriforma e del barocco - ribaditi nell’iscrizione in calce al dipinto di Ligozzi - , si caricano in questo caso di un preciso interesse e di una resa accentuatamente scientifica. Anche in ambito fiorentino gli artisti perseguirono, sulla scorta di Miche langelo, approfonditi studi anatomici.
Sembra che Giorgio Vasari stesso si sia dedicato in gioventù al disegno anatomico, come si evince da una lettera indirizzata al medico aretino Baccio Rontini nel quale dichiarava di avergli disegnate alcune tavole anatomiche, andate purtroppo perdute. A Firenze fu a lungo viva una tradizione di disegno anatomico, al quale si era impegnato, oltre a Vasari, anche il pittore Alessandro Allori che aveva assistito alle dissezioni di cadaveri condotte dal medico Alessandro Menchi e scritto intorno al 1560 un trattato sulla figura umana che attribuiva una grande attenzione all’anatomia. Alla sua bottega si formò Ludovico Cardi, detto il Cigoli, amico e collaboratore di Galilei, che per primo aveva raffigurato la luna osservata col cannocchiale nell’affresco dell’Immacolata Concezione in Santa Maria Maggiore a Roma.

Jacopo Ligozzi, Testa in decomposizione.

Jacopo Ligozzi, Testa in decomposizione.

Cigoli, che aveva seguito le lezioni tenute dal medico svizzero Théodore de Mayern durante il suo soggiorno fiorentino, collaborò col maestro Allori all’allestimento dell’apparto funebre per Cosimo I ricco di scheletri. L’eclettico pittore amico di Galilei fu anche un valido disegnatore anatomico e scultore di una “notomia in cera”, successivamente fusa in bronzo (lo Scorticato), che ricorda la postura e le fattezze della statuaria classica e che inaugura una serie ininterrotta di sculture anatomiche, anche con funzioni didattiche, che si dipanano dal Seicento all’Ottocento.
Ormai in piena età barocca a un altro toscano trapiantato a Roma, dove assurse a grande successo come pittore e architetto, Pietro Berrettini di Cortona, si deve l’esecuzione giovanile (intorno al 1618) di una serie di tavole, frutto di dissezioni eseguite all’Ospedale di Santo Spirito. La viva fantasia dell’artista si esplica nelle Tabulae anatomicae (che furono tuttavia pubblicate postume nel 1741), in cui campeggiano figure drammaticamente eloquenti poste su sfondi paesistici spesso con rovine. Questa opera costituisce uno dei gioielli delle collezioni librarie pisane di soggetto anatomico.
Nei Paesi Bassi seicenteschi (nella così detta ‘età dell’oro’) le scienze, oltre che le arti, si svilupparono in maniera rilevante, soprattutto nelle città universitarie di Leida e di Amsterdam dove le scuole anatomiche conobbero numerosi riconoscimenti. Accanto ai generi del paesaggio e della natura morta, fiorì quello del ritratto ‘borghese’, un genere che, come noto, prediletto anche da Rembrandt van Rijn che si impegnò in una caratterizzazione energica di grande immediatezza sia negli autoritratti che in nei ritratti di gruppo di esponenti di gilde e corporazioni. Lì un professore di chirurgia non era certo da meno di un ricco mercante e perciò si faceva sovente immortalare in posa per i posteri davanti al tavolo anatomico, circondato da scolari e colleghi, intento a impartire i suoi insegnamenti. Nel 1632 Rembrandt dipinge la Lezione di anatomia del dottor Tulp, (così chiamato per la sua passione per i tulipani), in cui tutti i personaggi sono coinvolti con grande emotività nell’azione, accentuata dal gioco delle luci emergenti dall’ombra, mentre il dottore esegue la dissezione del braccio di un livido cadavere.
Nella più tarda Lezione del dottor Jan Deymans, l’artista recupera invece l’iconografia di ascendenza mantegnesca del corpo in scorcio frontale, con una spettacolare interpretazione del cruciale momento, del tutto priva di componenti allegoriche o religiose.
Tra la fine del Seicento e i primi decenni del Settecento operò sempre in Olanda l’anatomo Frederick Ruysch, che Giacomo Leopardi volle protagonista di una delle sue più belle Operette morali (Il dialogo di Federico Ruysch e le sue mummie). Costui possedeva uno straordinario cabinet anatomico in cui egli aveva, con l’aiuto della figlia pittrice floreale Rachel, costruito bizzarri teatrini di scheletri abbelliti da fiori, conchiglie, minerali e merletti. Il suo eccentrico ma affascinante Theatrum anatomicum che testimonia queste strane composizioni, fu inciso dal valente incisore Cornelius Huyberts.
Con il bolognese Ercole Lelli, vissuto in pieno Settecento, “direttore di figura” presso l’Accademia Clementina di Belle Arti”, incontriamo una personalità che contribuì a imprimere all’arte anatomica la connotazione conoscitiva e didattica caratteristiche dell’Illuminismo. Le sue tavole dell’Anatomia esterna del corpo umano risultano assai più accademiche della serie di otto grandi scorticati, viventi sculture maschili e femminili in cera che adornano la ‘Sala delle notomie’ di Palazzo Poggi, oppure gli scorticati che decorarono l’imponente ‘cattedra di Notomia’ del lettore di anatomia dell’Archiginnasio.
La ceroplastica sarà una tecnica frequentemente usata nella scultura anatomica, come indica la produzione del fiorentino Clemente Susini (1754-1814), accanto alla più tradizionale terracotta, utilizzata, ad esempio, in una straordinaria serie di una quarantina di modelli ostetrici, oggi conservata nel Museo di Storia Naturale di Modena, eseguita dal bolognese Giovan Battista Manfredini tra il 1773 e il 1776.

Rembrandt, Lezione di anatomia del dottor Tulp.

Rembrandt, Lezione di anatomia del dottor Tulp.

Nella storia dell’anatomia ottocentesca si erge la figura di Pietro Mascagni, che fu docente anche a Pisa dal 1801 al 1802, per le sue ricerche fondamentali sui linfatici, soprattutto del cuore. Anch’egli tenne in grande considerazione il supporto delle immagini che scandiscono tutte le sue opere. Particolarmente celebre fu l’Anatomia Universale pubblicata a colori e in bianco e nero. a fascicoli tra il 1823 e il 1831 dallo stampatore pisano Niccolò Capurro. Le grandi e particolareggiate tavole a grandezza naturale, che fanno bella mostra di sé sulle pareti del nostro Museo anatomico, presentano la figura umana anteriormente e posteriormente, analizzando meticolosamente muscoli, vasi e nervi.
La tecnica incisoria raggiunge in questo caso apici elevatissimi ad opera di Antonio Serantoni, un artista milanese che vi lavorò per circa 30 anni e al quale si devono anche le 15 tavole di una Anatomia per gli studiosi di pittura pubblicata nel 1816.

Federico Ruysch, Teatro anatomico

Federico Ruysch, Teatro anatomico.

La tecnica incisoria raggiunge in questo caso apici elevatissimi ad opera di Antonio Serantoni, un artista milanese che vi lavorò per circa 30 anni e al quale si devono anche le 15 tavole di una Anatomia per gli studiosi di pittura pubblicata nel 1816.
Nonostante le sofisticate tecniche offerte oggi dalla fotografia e dai media informatici, l’arte continua anche ai nostri giorni a trarre in non pochi casi spunto dallo studio dell’anatomia. Ricordo solo tre artisti viventi: il primo è lo statunitense Bill Viola nato nel 1951, uno dei più apprezzati artisti nell’ambito della video-arte e di quelle produzioni oggi definite “istallazioni”, nelle quali egli riversa la sua profonda conoscenza dell’arte europea incentrata sulla figura umana, sperimentando avanzate tecnologie visive.
Il secondo è l’australiano Ron Mueck artista iperrealista nato nel 1958, che lavora in Inghilterra. Le sue sculture, eseguite con sofisticati materiali, riproducono i minimi dettagli del corpo umano (rughe, pori, peli), quasi sempre in grandezza e scala esagerata che colpisce emotivamente lo spettatore.
Il terzo, Damien Hirst - nato nel 1965 - appartiene alla giovane generazione di artisti britannici e domina la scena mondiale contemporanea con una serie di sculture incentrate sulla meditazione del tema della morte che hanno come oggetto corpi umani e animali, questi ultimi spesso imbalsamati o immersi in formaldeide (Lo squalo). Ha fatto scalpore un suo teschio ricoperto di diamanti, così come una rivisitazione di un écorché rinascimentale in dimensioni naturali in argento ricoperto d’oro.

Teschio di brillanti. Damien Hirst

Teschio di brillanti. Damien Hirst.

Arte e anatomia dunque, due momenti che nel corso della storia hanno costantemente dialogato e che continuano a dialogare, a evidente dimostrazione dell’erroneo limite degli steccati che sembrano contrapporre la cultura umanistica a quella scientifica.

Ron Mueck, Malinconico.

Ron Mueck, Malinconico.

Lucia Tongiorgi Tomasi
docente di Storia dell’arte moderna
l.tomasi@unipi.it