Elenco scorciatoie

Un giovane pricipe sui muri di Pisa

La Storia di Barlaam e Iosafas č una suggestiva cristianizzazione delle vicende del Buddha, e racconta la conversione del giovanee coraggioso principe Iosafas a opera del saggio eremita Barlaam; essa lascia dietro di sé una scia di duraturo fascino, testimoniata dalla straordinaria diffusione che in forme molteplici ebbe in tutta la cultura medievale europea. Di lontana origine orientale, era approdata in Occidente grazie a una versione greca dell’XI secolo, che fu per due volte tradotta in latino. Dalla seconda traduzione latina (la cosiddetta vulgata, forse realizzata in Francia nella seconda metà del XII secolo) sono germinate le tradizioni europee, e particolarmente quelle dell’area romanza.

Particolare dell'affresco Trionfo della Morte

Trionfo della Morte, particolare

In Italia, la Storia giunse prima attraverso le lingue sorelle provenzale e francese che non direttamente dalla fonte latina (che fu interamente volgarizzata solo nel Quattrocento). Per ben tre volte fu tradotta dalla lingua d’oc, con una serie di operazioni di grande complessità, tanto che le tre versioni mostrano contatti dei quali è difficile stabilirela direzione e la cronologia. La ricezione della Storia si colloca all’interno dell’imponente e ben noto fenomeno di trascrizione e traduzione dei testi d’Oltralpe che si manifestò nell’area tirrenica da Pisa a Genova tra Due e Trecento, su cui ha scritto pagine importanti Fabrizio Cigni. Esso coinvolse opere latine, testi morali e religiosi di ascendenza francese, nonché la fortunata materia arturiana; e si può ora allargare al Barlaam provenzale. Le traduzioni della Storia mostrano infatti tutte un’origine toscano–occidentale, e si dispongono in un arco di tempo piuttosto ristretto, delimitabile attraverso la datazione dei manoscritti più antichi che le rappresentano: di straordinario interesse è il codice 89 della Biblioteca Trivulziana di Milano, collocabile alla fine del XIII–inizio del XIV secolo, capofila di una versione diffusasi nell’Italia settentrionale, in cui il testo è accompagnato da una serie di 57 disegni di altissimo livello esecutivo; molto conservativa è la traduzione che si legge nel ms. 3383 della Bibliothèque Sainte–Geneviève di Parigi, schiettamente pisano, del primo trentennio del Trecento; infine, appartiene al primo quarto del secolo il ms. 1422 della Biblioteca Riccardiana di Firenze, un severo codice di studio, ben saldamente pisano e principale rappresentante di una versione che si distingue per la migliore qualità testuale, l’alto livello letterario, la più fitta e potente drammatizzazione del racconto.

La Storia è costruita secondo il modello della cornice ‘dialogica’: la trama narrativa principale (la vicenda esistenziale del giovane Iosafas, dalla sua nascitalungamente attesa alla conversione alla decisione di abbandonare il regno per dedicarsi nel deserto alla vita eremitica al riconoscimento della sua santità) è scandita da lunghi colloqui col maestro Barlaam, all’interno dei quali sono posti dieci apologhi, dieci storie esemplari (l’annuncio della morte; i quattro scrigni; l’arciere e l’usignolo; l’uomo e l’unicorno; i tre amici; il re per un anno; il re e la coppia di poveri; il giovane ricco e la fanciulla povera; l’uomo e la capra selvatica; il giovane principe che non ha mai visto le donne). Colpisce immediatamente la somiglianza (più volte richiamata negli ultimi anni) di questa struttura ‘a scatole cinesi’ con l’architettura narrativa del Decameron; nel particolare, va rilevato come l’ultima storia, così umana e vera nel richiamare tutti all’invincibile potenza dell’amore, sia stata ripresa nel Novellino (19 [xiv]) e da Boccaccio (iv Introd.: è la novelletta detta ‘delle papere’), che l’ha genialmente adattata al suo grande libro. Ora, mentre il modello del Novellino pare sia da individuare nella tradizione del Barlaam rappresentata dal ms. Trivulziano 89, una serie di particolari testuali che sono stati altrove indagati porterebbe a ritenere che la fonte privilegiata a cui Boccaccio si è rifatto sia la Storia nella versione del Riccardiano 1422. Bisognerà allora guardarla un po’ più da vicino, questa versione, per rilevare i molteplici motivi di interesse che presenta.

Il Barlaam Riccardiano appare da un lato particolarmente sensibile alla traduzione verbale di elementi iconografici, dall’altro potrebbe costituire il riferimento letterario di importanti operazioni che procedono per immagini. Se tutta l’operazione testuale che ha portato alla versione Riccardiana si mostra ben confacente alle caratteristiche del grande centro divolgarizzazione che faceva capo al convento domenicano di Santa Caterina in Pisa, per alcuni punti specifici pare possibile intravedere un contatto del testo con gli affreschi del Trionfo della Morte e della Tebaide nel Camposanto di Pisa, in cui si è da tempo riconosciuto quale auctor intellectualis Domenico Cavalca: affreschi che recenti ricostruzioni attribuiscono a Buonamico Buffalmacco e collocano entro i primissimi anni quaranta del Trecento, e che all’indagine critica sono risultati con ogni probabilità noti a Boccaccio.

Trionfo della Morte; un mendicante, un cieco e un lebbroso invocano la morte

Trionfo della Morte, un mendicante, un cieco e un lebbroso invocano la morte

Un punto in particolare merita di essere evidenziato. Il giovane principe, che fin dall’infanzia è stato rinchiuso in un nobile palazzo per preservarlo dalle cattiverie e dalle malvagità della vita, chiede al padre il permesso di uscire per conoscere il mondo; lo ottiene, esce con la sua cavalcata per le strade che il re ha fatto lietamente addobbare, incontraprima solo cose belle, poi compie l’esperienza del male e del dolore attraverso l’incontro con un lebbroso, un cieco, un vecchio. Molti elementi sono propri della sola versione riccardiana: la spedizione di caccia all’interno della quale sono collocati gli incontri di Iosafas (a differenza di tutte le altre versioni latine e romanze del Barlaam); i particolari («tronbe e ciembamelle e stormenti, cani e ucielli di diversse maniere») del corteo che accompagna il principe; la compagnia dei giovani («e chon grande conpagnia di giovani e adornati e bene vestiti riccamente ucitte fuora lo figluolo de· rre»); il secondo incontro di Iosafas con un vecchio dal volto crespo, canuto, sdentato, ma anche gobbo.

Non può non colpire, credo, la corrispondenza di questi motivi con gli elementi figurativi che compongono la parte sinistra e centrale del Trionfo della Morte, laddove è raffigurata la splendida cavalcata dei giovani e il loro spaventevole incontro con i tre morti; e l’ultimo punto citato rimanda immediatamente al gruppo dei mendicanti che invocano la morte nella parte centrale in basso dell’affresco: qui si riconoscono almeno un mendicante cieco e lebbroso, un uomo curvo ma anche canuto e col volto grinzoso che si appoggia a una stampella.Ma a questo punto ci si può anche chiedere se l’anonimo eremita che compare nell’affresco a sinistra, e che rappresenta una rilevante novità del testo pittoricopisano, non possa essere ispirato dalla figura di Barlaam, che viene introdotta nel testo della Storia per la prima volta proprio subito dopo l’episodio della cavalcata e degli incontri di Iosafas. Se dunque così fosse, si confermerebbero da un lato indicazioni già presenti in studiosi come Baltrušaitis poi riprese e integrate da Lucia Battaglia Ricci – che indicavano la vicenda del Buddha come fonte dell’episodio dell’ Incontro dei vivi e dei morti, e dall’altro si potrebbe pensare più particolarmente di aver individuato il testo (pisano) che costituirebbe il tramite, il riferimento immediato e concreto per la visualizzazione del Trionfo della Morte. Gli affreschi di Pisa rappresentano, com’è noto, il manifesto dell’identità domenicana: l’esaltazione dell’Ordine attraverso i padri del deserto. Questa identità prevede, oltre allacontemplazione, l’ammaestramento del singolo, sempre presentato all’interno di una relazione fra vecchio maestro e giovane discepolo. In questo contesto può a buon diritto inserirsi il Barlaam (e segnatamente il Barlaam Riccardiano); e perfettamente congruente e funzionale appare l’operazione che ha portato in questa versione all’esaltazione della tecnica precipuamente domenicana dell’exemplum, anche con espliciti riferimenti alle Vitae patrum.

Ma è probabile che i legami del Barlaam con gli affreschi del Camposanto non si fermino qui: credo infatti che si possa indicare nella Storia, nell’episodio dellatentazione d’amore di Iosafas ad opera prima di più fanciulle, poi di una sola fanciulla bellissima e straniera posseduta dal demonio, la fonte di uno degli episodi della Tebaide, quello nel quale una donna–diavolo, ben riconoscibile dai piedi artigliati, tenta un anacoreta, presentandosi all’ingresso della sua grotta. Così come credo che proprio questa parte del Barlaam possa valere come riferimento per la novella di Alibech del Decameron (iii 10): a confermare la circolarità e la funzionalità dei modelli,e insieme la libertà di rielaborazione e ricostruzione di ogni autore.

Giovanna Frosini
docente di Linguistica italiana
Università del Molise

giovanna.frosini@unimol.it

Bibliografia