Elenco scorciatoie

Il Medioevo pisano di Carducci
Faida di Comune

Nella forma ‘leggera’ della romanza o ballata popolare Faida di Comune racconta un capitolo della lunga contesa fra Pisa e Lucca per il dominio del territorio circostante. Carducci fu fra gli estimatori ottocenteschi della civiltà comunale, nella quale vedeva il primonucleo della nascente nazione; ma fu anche un attento raccoglitore e studioso di testimonianze storico-letterarie delle nostre Origini.Faida di Comune è un bell’esempio della fusione dei due aspetti: da un lato, quello dello storico–filologo, Carducci si documentasull’episodio storico e si attiene con notevole fedeltà alle testimonianze dell’epoca (in particolare all’anonima Cronica di Pisa, primoquattrocentesca, che egli poteva leggere nell’edizione muratoriana), dall’altro, quello del mitografo, assume quella faida locale a emblemadello spirito e del costume medievali, di un tempo in cui il popolo toscano era “giovine, forte, libero” e “aveva ingegno, fantasia,passione, e veracità e dignità, come non ebbe più mai”.

Faida, parola di origine germanica, è sinonimo di ‘vendetta’ e Faida di Comune narra in effetti una curiosa vendetta, un arguto e insieme sanguinoso dispetto fra due eterne e proverbiali nemiche: la vendetta degli specchi. Secondo quanto riferisce la Cronica di Pisa, gli ambasciatori pisani si incontrarono con quelli lucchesi per trattative di pace, dopo una guerra che durava da più di un ventennio, a Quosa, in Val di Serchio. E proprio con l’incontro di Quosa comincia Faida di Comune:

Manda a Cuosa in val di Serchio,
Pisa manda ambasciatori:
del comun di Santa Zita
ivi aspettano i signori.

Carducci ridà vita all’evento mettendolo in scena al presente, con la descrizione del corteo dei rappresentanti lucchesi (“ecco vien …”) capeggiati da Bonturo Dati,“mastro in far baratterie”, come Dante lo aveva consegnato alla storia. Segue una serie di personaggi dai nomi coloriti (Pecchio, Feccia, Truglia) e dagli abiti consoni all’occasione (“il fruscio de le lor sete empie tutta la contrada”). Dall’altra parte, a capo dei pisani, è invece il vecchio e saggio Banduccio di Buonconte, “graved’anni e più di gloria”, reduce dalla terribile rotta della Meloria, il quale pone come condizione di pace la restituzione dei castelli di Buti, Avane, Asciano. Ma l’infido Bonturo, mentre dice di essere disposto a rendere Buti ed Avane, non intende cedere Asciano, e accompagna il rifiuto ricordando come, al momento della conquista di quel castello, nel 1287, i lucchesi avessero collocato sulle torri, a dispetto dei pisani, quattro specchi:

quando a voi lo conquistammo,
su le torri del castello
quattro specchi ci murammo,

a ciò che le vostre donne,
quando uscite a dameggiare,
ne gli specchi dei lucchesi
le si possan vagheggiare.

I lucchesi presenti reagiscono alle parole di Bonturo con uno “sconcio suon di risa”, mentre i pisani, in risposta, mettono mano “ai pugnali sotto i panni”: si trattadunque di un’offesa cocente, da lavarsi col sangue. Alludendo agli specchi, infatti, il Dati ha offeso doppiamente i pisani: prima di tutto perché ha riacceso in loro il ricordo di una sconfitta subita, in secondo luogo perché li accusa in generale di essere più adatti a “dameggiare”, cioè a corteggiare le donne (che amano ‘vagheggiarsi’ negli specchi) che a combattere. Nella conquista di Asciano gli specchi assolsero una precisa funzione bellica, di avvilimento psicologico del nemico sconfitto: con il loro bagliore essihanno ricordato infatti per più di venti anni ai cittadini di Pisa la vicinanza dei lucchesi e la perdita di un castello strategico. Nella sua battuta, dunque, Bonturo gioca sulla doppia funzione dello specchio: da un effettivo uso guerresco, a un potenziale uso frivolo, adatto ai ‘molli’ pisani. La faida dei pisani consisterà nell’assalireLucca e nel porre davanti alle mura due “lunghissime colonne” con sopra “due grandissimi specchi”, nonché in un ironico saluto a Bonturo, cattivo consiglieredei Lucchesi, scritto con il sangue sulla porta della città:

Manda a te, Bonturo Dati,
che i Lucchesi hai consigliati,
da la porta a San Friano
questo saluto il popolo pisano

Arguzia e violenza appaiono dunque a Carducci i due aspetti più rilevanti e insieme più rappresentativi di una guerra nella quale le parole (i motti ingiuriosi) e i segnali (gli specchi) hanno avuto un peso analogo a quello dei terribili “verrettoni” scagliati “oltre le mura” insieme ai fuochi dei pisani vincitori.

Elaborando in maniera originale alcuni spunti offertigli dalle fonti, Carducci conferisce uno spiccato rilievo al dialogo e ai gesti eloquenti, trasformando di fatto un episodio bellico in un quadretto di vita medievale, un evento storico in una poesia.

Maria Cristina Cabani
docente di Letteratura italiana
m.cristina.cabani@ital.unipi.it