Elenco scorciatoie

La letteratura russa di oggi
Il linguaggio di una nuova sincerità

Il 23 marzo è stata presentata la raccolta Mosca sul palmo di una mano: 5 classici della letteratura contemporanea, pubblicata dalla casa editrice PLUS, che nasce dall’esigenza di illustrare al lettore italiano l’odierna narrativa russa in un momento segnato da un carattere di marcata transitorietà. Athenet ha chiesto alla professoressa Galina Denissova, esperta di letterature slave, di sviluppare una riflessione sulla cultura e sull’identità della Russia contemporanea.

 

In alcuni dei tratti distintivi le tendenze di sviluppo della cultura russa contemporanea rispecchiano gli orientamenti politici della Russia di Putin, impegnata a garantirsi, nella prospettiva di una difficile e non ovvia opera di consolidamento interno, uno status di grande potenza tramite un’evidente tendenza all’autoritarismo. Autoritarismo che, sia detto per inciso, gode di un ampio consenso popolare in quanto viene giustificato in nome di pressanti esigenze di stabilità e crescita economica. È interessante notare in proposito che uno dei libri più recenti di Viktor Pelevin, le cui opere in genere si contraddistinguono per il loro interesse rivolto all’attualità, è intitolato Dialektika Perechodnogo Perioda iz Niotkuda v Nikuda [Dialettica del Periodo di Transizione da Nessunluogo a Nessundove] (2003). Lo studioso di cultura russo-sovietica Evgenij Dobrenko, partendo dalla formula “post-modernizzazione della cultura post-sovietica”, propone di rinunciare al prefisso “post”, caratterizzando così la situazione odierna come una semplice “modernizzazione della cultura sovietica”. A simboleggiare questo processo è l’inno dell’URSS, adottato dalla Federazione Russa con parole diverse (ma a firma dello stesso autore: Sergej Michalkov), il quale, esattamente come nei tempi passati, segna l’inizio e la fine della giornata dei russi. Uno degli autori presenti nell’antologia Mosca sul palmo di una mano, Lev Rubinštein, nel suo saggio estremamente sarcastico “Il fumo della patria, ovvero un gulag con filtro” (2000) attribuisce alla nostra epoca la definizione di “gulag con filtro” e la definisce in termini metaforici molto calzanti attraverso la ricomparsa delle leggendarie “Belomor”, le sigarette cartonate (in russo papirosy) nate per celebrare la costruzione del canale del Mar Bianco, oggi prodotte e vendute con filtro: “Ma ecco che cosa sono le nuove, nobilitate ‘Belomor’: sono il tipico socialismo dal volto umano. Un Gulag con filtro, parlando un po’ più duramente. Sono, perfettamente in linea con tutti gli altri segni - grandi e piccoli - della restaurazione ‘di velluto’, come l’inno staliniano senza parole - anche quello è come se avesse il filtro”.

Al confine tra XX secolo e inizio del XXI, all’interno del contesto culturale russo si va registrando con chiarezza, dunque, la propensione a creare nuovi mitologemi sulla base di vecchi modelli. Questo orientamento ha condotto la letteratura a rivolgersi sempre più spesso al grandioso passato storico della Russia: ricorderò, a mo’ d’esempio, il romanzo Serdce Parmy [Il cuore di Parma] di Aleksej Ivanov (2003) e anche i numerosi gialli di Boris Akunin, ambientati nel glorioso Ottocento. Proprio da qui nasce la tendenza al ready made, agli stereotipi pronti à la Duchamp che portano, tra l’altro, alla rinascita dei fantasmi della cultura sovietica, anche se il filone principale della letteratura russa odierna è in definitiva caratterizzato dalla tendenza a non idealizzare nulla. Particolarmente interessante in quest’ottica risulta la trilogia di Vladimir Sorokin, composta da tre romanzi - Lëd [Ghiaccio] (2000, tr. it. - V. Sorokin, Ghiaccio, Torino: Einaudi, 2005), Put’ Bro [Il cammino di Bro] (2004) e 23000 (2006), dove viene riproposta la questione della violenza esercitata in nome di una grande idea, nonché l’ultimo romanzo di Viktor Erofeev Chorošij Stalin [Il buon Stalin] (2004, attualmente in corso di traduzione presso l’editore Einaudi). Quest’ultimo romanzo sul piano ideologico tratta il desiderio, sentimento in crescita in Russia negli ultimi dieci anni, di una guida politica abile e forte. Le indagini dei sociologi, infatti, dimostrano che fino ad un terzo della popolazione adulta, schiacciato dal presente e impaurito dal futuro, considera le vittime delle repressioni staliniane assai sopravvalutate e rimpiange il periodo staliniano come la migliore epoca della storia nazionale o addirittura della propria vita.

Il buon Stalin è un romanzo autobiografico, ma le descrizioni fatte da Erofeev dell’atmosfera culturale degli anni ’70- ’80 insieme all’analisi del rigetto da parte dell’Io narrante di tutto quello che aveva l’etichetta “Made in URSS” spostano l’attenzione del lettore dalla vita propriamente famigliare alle ragioni della rivolta dell’intelligencija russa contro il potere. Al tempo stesso lo sguardo rivolto alla generazione dei settantenni di oggi sembra voler testimoniare che la loro vita non è stata inutile e che il dramma di questa gente merita di essere riflesso nell’arte e nella letteratura. Per il suo spirito Il buon Stalin risulta affine al romanzo ?ivite v Moskve [Vivete a Mosca] di Dmitrij A. Prigov (2000, attualmente in corso di traduzione presso la casa editrice Voland, Roma). Anzi, sembra che Il buon Stalin aspiri a continuare il racconto iniziato da Prigov per completare il quadro dello stesso periodo storico con la differenza che il primo vede gli eventi a partire dal dopoguerra per arrivare praticamente agli anni ‘80 dal punto di vista di un “uomo umile”, mentre l’altro li guarda dall’angolazione del figlio di un alto funzionario del partito.

Oggi si fa sempre più sentire, dunque, l’esigenza di un approfondimento del passato in un’autentica prospettiva temporale, pertanto la stragrande maggioranza degli scrittori è orientata verso un’ indagine sulla natura umana a tutto campo. Senza alcun timore reverenziale da parte di molti autori si afferma ad alta voce che non si deve continuare ad attribuire la colpa per quello che era accaduto solo ai “sovietici”, a coloro che sostenevano il potere comunista: tutti ne sono responsabili perché hanno accettato alcuni compromessi, forse anche troppi. Questa idea sta alla base del libro Podlinnaja istorija “Zelenych muzykantov” [La vera storia dei “Musicisti verdi”] (1999) di Evgenij Popov e anche del romanzo di Vasilij Aksënov Moskovskaja saga [Una saga moscovita] (2004), una sorta di nuovo Doktor ?ivago [Il dottor ?ivago], incentrato sui risvolti più drammatici del periodo staliniano, che vengono rappresentati nell’ottica dei destini di una famiglia. In sostanza, nella narrativa odierna viene mostrata la consapevolezza che il passato esiste non solo per essere seppellito, ma soprattutto per aiutarci a capire meglio il nostro presente e/o ipotizzare il futuro. Nel caso specifico della Russia, il suo destino dipenderà molto dalla nascita dei “buoni Stalin”, percepiti come simboli di onestà dei nostri tempi, capaci di lottare per cambiare questo mondo.

Inoltre, a partire dalla seconda metà degli anni ’90 con sempre più evidenza si nota un adeguamento del testo prosastico ai gusti del protagonista del mercato librario, ovvero del lettore che, stanco delle stramberie dell’élite culturale, inizia a sentirsi sempre più attratto da forme letterarie usuali, collegate a storicismi e psicologismi, unitamente a un ritorno di interesse per un impulso realistico. L’interesse per personalità singole, per i loro tentativi di resistere al caos ontologico ha da sempre caratterizzato le opere di Vladimir Makanin (ad esempio, i romanzi Andergraund, ili Geroj našego vremeni [Underground, o un eroe del nostro tempo], 1998, o Odin i odna [Uno e una], 2001), di Anatolij Korolëv (?elovek-jazyk [Uomo-lingua], 2000), di Sergej Gandlevskij (il romanzo <nrzb> [illeggibile], 2002), di Ljudmila Ulickaja (Kazus Kukockogo, 2001 [ tr. it. Il caso Kukockij, ed. Frassinelli, 2006], o Veselye pochorony, 2001, tr. it. - Funeral party, ed. Frassinelli, 2004), i numerosi racconti di Tat’jana Tolstaja e soprattutto i libri di Michail Šiškin, il cui esordio letterario risale al 1993. Le opere di Šiškin si contraddistinguono per una densa patina narrativa che avvolge i drammi “biografici”, sia che si tratti del destino del protagonista di Vsech o?idaet odna no?’ [A tutti spetta una notte] (1993), il quale soffre del taedium vitae, sia che si parli delle vicende dell’interprete di Venerin volos [Capelvenere] (2005, attualmente in corso di traduzione presso la casa editrice Voland, Roma), il quale cerca di conservare la propria identità nel mare del dolore umano che prorompe dalle tante e terribili storie di profughi e fuggiaschi ivi descritte. Il lettore assiste alla continua successione di pensieri, considerazioni, ricordi, presentati senza ordine cronologico, ma il cui filo conduttore è una sorta di libera associazione nello spirito joyciano di molti temi che l’autore usa ripetutamente affrontare nei suoi libri. La capacità dello scrittore di guardare all’altro con condiscendenza è pari alla capacità di non tacere sulle mancanze del suo “eroe lirico”, il quale insegna al lettore a guardare alla complessità della Vita con più filosofia. E questo perché, come dice uno dei personaggi del romanzo Vzjatie Izmaila [La presa di Izmail] (1999), “questa vita va conquistata come una fortezza”.

La produzione letteraria odierna è ricca e variegata, pertanto riassumere in pocche parole il contributo della narrativa russa contemporanea è un compito impossibile. Nel suo complesso gli scrittori di oggi sollevano molte questioni, ma non propongono soluzioni, offrendo solo eccellenti spunti di riflessione e rivelando una sorprendente capacità di misurazione umanistica della realtà. Proprio questa propensione rende le loro opere universali, non circoscritte alla contingente realtà di alcun paese, anche se gli scrittori restano fedeli a quell’impronta irrinunciabile che ha inciso sul loro destino la Russia.

Galina Denissova
docente di Lingua e letteratura russa
g.denissova@tiscali.it