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Con la forza della musica

Concerto del Coro di ateneo per i venti anni dalla fondazione

data 22 Novembre 2019 21:00  |  luogo Teatro Verdi Via Palestro, 40, 56127 Pisa PI
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particolare della locandinaVenerdì 22 novembre alle 21, al Teatro Verdi, il Coro dell'Università di Pisa presenta "Con la forza della musica", concerto in occasione del ventennale dalla fondazione.

Programma

J.S.Bach, Auf, schmetternde Töne der muntern Trompeten

Ch.W.Gluck, Orfeo ed Euridice (selezione)

L.van Beethoven, Fantasia Corale per pianoforte, coro e orchestra

Esecutori:

Coro dell’Università di Pisa

Tuscan Chamber Orchestra

Tenore: Marco Mustaro

Pianista: Fabrizio Ferrari

Direttore: Stefano Barandoni

Ingresso gratuito fino a esaurimento dei posti. Gli inviti potranno essere prenotati on line sul sito booking.unipi.it dalle ore 14,00 alle ore 20,00 di lunedì 18 novembre e i biglietti potranno essere ritirati alla portineria del Rettorato (Palazzo alla Giornata) il 20 e 21 novembre dalle 9,00 alle 19,30 presentando un documento di identità.

Introduzione al concerto

di Maria Antonella Galanti

Questo è un concerto particolare perché cade nel ventennale del Coro dell’Università di Pisa. Il programma è stato scelto con cura per l’intento: vogliamo festeggiare degnamente questo anniversario, ma anche esprimere una sorta di gratitudine profonda nei confronti della musica, che è capace di consolarci del dolore e di aiutarci ad accoglierlo e a dargli voce, ma anche di moltiplicare all’infinito l’esperienza della gioia.

Il Coro iniziale dalla Cantata BWV 207a di J. S. Bach infatti, è, in pratica, un inno alla musica attraverso una sorta di animizzazione degli strumenti ai quali le voci si rivolgono direttamente. Si chiede, infatti, ai timpani, di aggiungere il proprio frastuono agli accenti squillanti e briosi delle trombe, quindi agli “attraenti archi” di dilettare dolcemente le orecchie di chi ascolta innalzandosi al di sopra dei flauti e risuonando insieme al coro delle muse. Un inno alla musica è anche il terzo brano, la Fantasia corale per pianoforte, coro e orchestra di L. van Beethoven, il cui testo si gioca sul parallelismo profondo tra musica e vita: “(…) Con carezzevole dolcezza risuonano le armonie della nostra vita, e dal sentimento della bellezza sbocciano fiori che rifioriscono in eterno”. Infine, la sezione principale del nostro concerto, estratta da Orfeo ed Euridice nella versione a lieto fine di Gluck, ha come vera protagonista, prima ancora dei due innamorati, sempre la musica.

Solo il canto di Orfeo e il suono della lira con cui lo accompagna riescono a commuovere le terribili figure infernali di Caronte e di Cerbero. Allo stesso modo si commuove Proserpina, prigioniera per metà dell’anno delle tenebre dell’Ade, che restituisce a Orfeo la sua sposa, ma ingiungendogli di non voltarsi finché entrambi non siano tornati alla luce. Nel mito il canto e la musica sopravvivono alla morte stessa. Nell’opera di Gluck, invece, rendono possibile anche l’esito felice della vicenda.  La musica di Orfeo, infatti, come ci racconta Seneca, è in grado persino di stravolgere le leggi naturali, poiché quando lui canta i torrenti rallentano la loro corsa e gli uccelli non hanno più forze per volare, tanta è la loro commozione; persino le fiere lasciano le loro tane per ascoltarlo, così come le ninfe dei boschi escono dalle querce.

L’opera di Gluck, che ha subito nel tempo numerosissime variazioni, viene messa in scena per la prima volta nel 1762, a Vienna - ed è questa la versione sulla quale si basa il nostro concerto - aprendo le porte alla riforma della rappresentazione drammatica di tipo musicale. Gluck e il librettista De’ Calzabigi, infatti, semplificano al massimo la trama rispetto alle consuetudini precedenti e di conseguenza anche gli eccessi vocalistici e la pletora di personaggi e intrecci secondari che le caratterizzano. Vengono ridotti, nello stesso tempo, i lunghi recitativi che appesantiscono l’ascolto e viene esaltato, di contro, il ruolo dell’orchestra creando, così, un’armonia maggiore tra musica e canto. Per la prima volta, dunque, sono i sentimenti a parlare attraverso l’intreccio armonico tra musica, canto e teatro, senza recitativi interminabili o competizioni fini a se stesse tra cantanti. Per la prima volta, inoltre, non sono i trucchi di scena o il virtuosismo vocale degli interpreti a dare vita ai sentimenti e al pathos, ma, prima di tutto, la musica. Ci si colloca, dunque, in una specie di dimensione aurorale e ancora indefinita di quello che sarà, un secolo dopo, il grande melodramma romantico.

Del resto a questo va ricondotto il significato storico-antropologico del mito di Orfeo: all’idea, cioè, che la musica possa travalicare anche il tempo. Non è infatti dissimile, il viaggio di Orfeo negli inferi e la sua risalita, da quello che ogni essere umano intraprende ogni volta che deve fare i conti con una perdita dolorosa e vive l’angoscia di smarrire anche il ricordo a cui si aggrappa, evanescente come un’ombra. Ma narrare - o cantare, come accadeva quando agli aedi era affidato il compito di custodire la memoria - è l’unico modo che conosciamo per opporci alla crudeltà del tempo e dell’oblio. Il ricordo, proprio come il viaggio di Orfeo per ritrovare il suo amore, può essere meglio evocato in quella zona intermedia che chiamiamo rêverie, perennemente in bilico tra il sonno e la veglia, tra la consapevolezza riflessiva e la dimensione analogica delle emozioni, esattamente come accade per la musica che comprende, in sé, tutte le diverse forme di conoscenza.

 

 

 

Info e Contatti:
Stefano Barandoni stefano.barandoni@adm.unipi.it http://www.coro.unipi.it/

Allegati:

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