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fishlabNumerose specie ittiche invasive si stanno diffondendo nei nostri mari a causa dei fenomeni di “meridionalizzazione” e “tropicalizzazione” delle acque legati ai cambiamenti climatici. Fra queste, alcune specie di pesci tossici invasivi, e in particolare i pesci palla, sono diventate oggetto di un progetto di ricerca finanziato dal Ministero della Salute a cui partecipa anche l’Università di Pisa con il FishLab del dipartimento di Scienze veterinarie. Il progetto “Cambiamenti climatici e sicurezza alimentare: indagine molecolare, microbiologica e tossicologica sulle specie ittiche tossiche presenti nel Mar Tirreno” ha come capofila l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Lazio e della Toscana ed è svolto in collaborazione con il Fish Health Veterinary Officer, Veterinary Services and Animal Health, Ministry of Agriculture & Rural Development di Israele e con ISPRA, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale.

Scopo dello studio è monitorare la presenza di specie ittiche invasive potenzialmente tossiche lungo le coste del Mar Tirreno e di caratterizzarle sotto il profilo molecolare, microbiologico e tossicologico. Il progetto, che ha come obiettivo finale la tutela dei consumatori, sta inoltre realizzando una campagna divulgativa mirata alla formazione dei pescatori e di tutte le altre figure che, a diversi livelli, frequentano l’ambiente marino (come i sub e gli stessi cittadini) al fine di creare una rete che possa permettere un monitoraggio della presenza e della distribuzione di queste specie in tempo reale. In seguito, i risultati delle analisi condotte sugli esemplari recuperati, forniranno un quadro più dettagliato sulla presenza e sulla tossicità di queste specie, consentendo una migliore caratterizzazione del rischio a loro associato.

Lagocephalus sceleratus o pesce palla maculato web«I “Tetraodontidae”, meglio conosciuti come pesci palla, possono essere considerati veri e propri “alieni” dei nostri mari – spiega Andrea Armani, responsabile del FishLab – Originari del Mar Rosso, dal 2003 hanno iniziato a spostarsi, attraverso il Canale di Suez, lungo le coste del Mediterraneo Orientale (segnalazioni si riscontrano soprattutto da Egitto, Israele e Turchia) per arrivare a Lampedusa nel 2013 e diffondersi verso nord. Il problema è che alcune di queste specie sono tossiche, pertanto, oltre all’impatto sull’ecosistema marino che non è da sottovalutare, rappresentano un possibile pericolo per la salute umana». La tossicità dei pesci palla deriva dall’accumulo di una neurotossina chiamata Tetrodotossina (TTX), che è prodotta da batteri presenti nell’intestino dei pesci e che si concentra soprattutto nel fegato, nelle uova e nell’intestino stesso, anche se a volte si può riscontrare anche nel muscolo. Se ingerita, la TTX può comportare conseguenze particolarmente gravi per la salute (la tossina è circa 100 volte più tossica rispetto al cianuro di potassio) ed è per questo che i pesci palla non devono essere in alcun modo commercializzati o consumati.

«Con il nostro progetto ci proponiamo di monitorare e recuperare esemplari di queste specie anche per la caratterizzazione tossicologica – continua Armani – Infatti, attualmente i dati sulla tossicità degli esemplari catturati nelle nostre acque sono scarsi. È per questo che stiamo organizzando sul territorio vari incontri e attività di formazione rivolte a tutti i soggetti interessati, come pescatori, sub, ma anche semplici cittadini che frequentano le spiagge». Il gruppo di ricercatori del FishLab, ha anche prodotto materiale informativo in cui si spiega come riconoscere le 3 le specie di Tetraodontidae che si possono ritrovare nelle acque italiane (Lagocephalus sceleratus o pesce palla maculato; Lagocephalus lagocephalus o capolepre; Sphoeroides pachigaster o pesce palla liscio).

Maggiori informazioni sono disponibili a questo link o sulla pagina Facebook del FishLab.


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Nella foto: il pesce palla maculato o Lagocephalus sceleratus (foto di Nadav Davidovich).

Ne hanno parlato: 
Ansa
ADNkronos 
Repubblica.it 
Agricoltura Moderna 
QuiNewsPisa.it 
Meteoweb.it 
Greenreport.it 
GazzettaParma.it 
Controradio.it 
Nazione Pisa
Panorama.it

Sabato 2 luglio, a Palazzo dei Congressi, si è tenuta la prima Cerimonia di consegna dei diplomi di laurea per i laureati di 1° livello della Scuola interdipartimentale di Ingegneria dell’Università di Pisa. L’idea di organizzare questo tipo di eventi è nata alcuni mesi fa come un nuovo modo di celebrare e festeggiare, da parte dei docenti, il raggiungimento della laurea triennale insieme ai giovani laureati, ai loro parenti e amici. Il diploma è stato consegnato da un’apposita commissione che, per l’occasione, si era vestita nel tradizionale abbigliamento accademico (tocco e toga). I soli laureati con lode, per i quali la consegna del diploma di laurea è previsto un altro evento tradizionale, hanno ricevuto la medaglia della Scuola di Ingegneria, coniata per l’occasione.

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La partecipazione alla cerimonia è stata facoltativa, ma a questa prima edizione hanno aderito un buon numero di laureati (137 su 305). A tutti i presenti è stata offerta l’opportunità di descrivere durante la cerimonia, pur sinteticamente, il lavoro che hanno svolto come prova finale, con relazioni che hanno testimoniato la grande ricchezza e varietà degli studi di Ingegneria. La cerimonia si è svolta su quattro turni, due antimeridiani e due pomeridiani. La fine di ogni turno è stata scandita da un intenso applauso collettivo, che ha sancito la proclamazione dei neo-dottori.

Coloro che hanno ricevuto il diploma il 2 luglio sono i laureati (triennali) dei primi 3 appelli del 2016; i laureati (triennali) degli altri tre appelli riceveranno il loro diploma in analoga cerimonia che si terrà probabilmente il 21 gennaio 2017, e per la quale sono previste interessanti innovazioni fra cui, se sarà possibile, la partecipazione del Coro o dell’Orchestra dell'Università di Pisa.

Il presidente della Scuola di Ingegneria, Massimo Ceraolo, ha espresso grande soddisfazione per il pieno successo della cerimonia, augurandosi che essa diventi una tappa fissa e apprezzata della vita del nostro Ateneo: «Desidero ringraziare tutti coloro che hanno contribuito alla riuscita dell’evento, i neo dottori che hanno aderito e i loro parenti e amici in primis, le ben 14 unità di personale tecnico amministrativo del nostro ateneo che hanno operato con entusiasmo e convinzione, i presidenti di corso di studio. Tutti hanno accettato volentieri di partecipare a una cerimonia a dir poco insolita per Ingegneria, rubando alle proprie attività personali delle ore di un caldo sabato di luglio».

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La professoressa Nicoletta De Francesco, prorettore vicario dell'Università di Pisa.

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Il professor Massimo Ceraolo, presidente della Scuola di Ingegneria e coordinatore dell'inizaitiva.

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(Foto a cura di Marco Vincenzi).

lemuri They are the missing or simply forgotten link, in understanding the evolution of human behaviour. These are lemurs, primates who share a common distant ancestor with us and due to their peculiarity, represent the ideal model to shed light on behavioural traits until now considered unique to monkeys, large anthropomorphs (and us). This is the central theme of the volume “The Missing Lemur Link” published by Cambridge University Press.

In the book, the authors, Elisabetta Palagi and Ivan Norscia, researchers at the Museum of Natural History of the University of Pisa, review 20 years of research on lemurs which for the most part they carried out themselves, both in the wild and in captivity. While in fact there has been extensive research at a biological and ecological level, the same cannot be said for social behaviour, which in some cases has been seen to be “unexpectedly sophisticated” and complex. Lemurs, for example, are capable of recognizing individuals even through olfactory channels, they can manage conflict using reconciliatory mechanisms and they exchange jobs (like delousing) following the market rules of supply and demand.

“Discovering the existence of these traits in lemurs,” explain Elisabetta Palagi and Ivan Norscia, “allows us not only to affirm that their cognitive capabilities and their level of sociability are much more complex than we believed, but also to join the dots which link us to them, giving them continuity with other primates.”

The book “The Missing Lemur Link” has nine chapters, each one covering a different ethological theme, following a comparative approach that compares lemurs’ behaviour with that of other primates and large anthropomorphs, including man. Each chapter also features informative boxes written by international experts who elaborate on the concepts expounded. The volume also includes a presentation by the British ethologist Jane Goodall, followed by an introduction by Ian Tattersall, curator emeritus of the Division of Anthropology of the American Museum of Natural History in New York, and by Alison Jolly, to whose memory the book is dedicated, as well as a postface by Michael Huffman from the University of Kyoto.

lemuriSono l’anello mancante (o semplicemente dimenticato) per capire l’evoluzione del comportamento umano. Si tratta dei lemuri, primati che condividono con noi un lontano antenato comune e che per la loro peculiarità rappresentano il modello ideale per far luce su comportamenti finora ritenuti esclusivi delle scimmie, delle grandi antropomorfe (e nostri).

E’ questa la tesi centrale del volume "The Missing Lemur Link" appena pubblicato dalla Cambridge University Press. Gli autori, Elisabetta Palagi e Ivan Norscia, ricercatori del Museo di Storia Naturale dell’Università di Pisa, fanno il punto su venti anni di ricerche che hanno in buona parte condotto in prima persona, sia su esemplari in natura che in cattività. Se infatti i lemuri sono stati studiati estesamente dal punto di vista biologico ed ecologico, altrettanto non si può dire per l'etologia e il comportamento sociale, che in alcuni casi si dimostra “inaspettatamente” sofisticato e complesso. Questi primati ad esempio sono capaci di riconoscimento individuale utilizzando anche il canale olfattivo, sanno gestire i conflitti attraverso meccanismi di riconciliazione e si scambiano servizi (come lo spulciamento) seguendo la regola di mercato della domanda e dell’offerta.

“Riscontrare l'esistenza di questi comportamenti nei lemuri – spiegano Elisabetta Palagi e Ivan Norscia - ci permette non solo di affermare che la loro capacità cognitiva e il loro grado di socialità siano molto più complesse di quanto si credesse finora, ma anche di unire i puntini che ci legano ad essi, mettendoli in continuità con gli altri primati”.

Il libro "The Missing Lemur Link" è composto da nove capitoli, ciascuno dei quali affronta una tematica etologica diversa, secondo un approccio comparativo, mettendo a confronto il comportamento dei lemuri con quello delle scimmie e delle grandi antropomorfe, uomo incluso. Ogni capitolo contiene inoltre dei box informativi a firma di esperti internazionali che espandono i concetti trattati. Completano il volume una presentazione dell’etologa inglese Jane Goodall, l'introduzione di Ian Tattersall, curatore emerito della sezione di antropologia del Museo di Storia Naturale di New York, e di Alison Jolly, alla cui memoria il libro è dedicato, e la postfazione di Michael Huffman dell'Università di Kyoto.

enki stove wildThe idea came about in winter 2011 when two Sardinian students at the University of Pisa, intent on saving money on gas bills, began to look for a more inexpensive solution to heat their home. Today that idea has turned into an enterprise or more precisely into the startup Enki Stove based in Leghorn, which designs, produces and sells ‘pyrolytic burners’, systems based on innovative technology which generate energy and heat from common biomass fuels (pellets, wood, twigs, pine cones) minimizing the production of harmful gases which pollute or are responsible for the greenhouse effect. Thanks to two crowdfunding campaigns, two lines of production have already come onto the market, Enki Stove Uno and Wild. The former includes three systems for cooking and outdoor heating while the latter has two models of biomass fuelled camp stoves.

enki stove team“The technology behind all the Enki Stove products is protected by two patents and is the optimization of a pre-existing process called ‘open-system pyrolysis’,” explains Ivan Mura, the product designer and an aerospace engineering student at the University of Pisa who first had the idea. “I became aware of this process thanks to my passion for technology and the notions I learnt at university. After months of trials and experiments, and with the technical consultation from my friend Davide Nughes (an electronic technician now in charge of IT at Enki Stove), I was finally able to construct a device which satisfied my requirements: an efficient, stable, low-cost source of heat which was easy to use and did not produce harmful fumes throughout the entire process.”

Shortly after having seen the device at work, a number of people began to ask for a similar product for cooking or heating. At that point, Ivan and Davide realized they were in possession of such a useful and precious piece of technology that they decided to turn the idea into a business and included other friends in the project.

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These friends are now members of the Enki Stove team: Gianluca Ricciardi, marketing manager, with a degree in Information Science and Technologies, Andrea Moretti, public relations manager, specializing in Business Communications at the University of Pisa and Simone Pisci, graphic designer.

“The Enki Stove systems transform biomass fuel by exploiting the gas derived from the decomposition of the same fuel to produce the energy necessary for the process,” explains Ivan. “This optimization is guaranteed by a particular geometric conformation of the combustion chamber, together with an electronic system which manages and modulates the flux of gas inside the chamber, making the pyrolysis stable, safe and smokeless as well as user friendly for the consumer. This technology is perfect for the design of outdoor kitchens, barbecues and camp stoves, but it could also be developed further for indoor heating.”

wild tent campingThe students’ project has undergone a lengthy journey. Precious help came from Alessandro Capocchi, Andrea’s professor, who put them in touch with Lorna Vatta, a business angel with the SAMBA association, the Angel Investing Club founded by ex-students of the Sant’Anna School of Advanced Studies in Pisa, who led the Enki Stove team on an intense course of business development and acceleration.

Subsequently, Enki Stove participated in the CNRxEXPO at the Faculty of Agriculture of the University of Milan, where it received the ‘best pyrolytic technology’ award. Finally, last June, the startup participated in the Summer School in ‘Advanced Innovation Methods’ organized by the University of Pisa as part of the ENDuRE project.

wild sea

In order to expand the financial shareholding and the liaisons activated by the investment club, SAMBA offered the Enki Stove team an equity crowdfunding campaign on the StarsUp portal. The collection ended positively a month before time, raising 240 thousand euros in exchange for a 34% participation in the capital of 41 new business partners. The capital raised was used to structure the society and begin the production of the two lines. For the launch of the latest line Wild, the company has decided to lead a campaign on another crowdfunding portal, Kickstarter, which has obtained excellent results: 94 thousand euros raised in a month from 434 backers.

enki stove wildL’idea è nata nell’inverno 2011, quando due studenti fuorisede sardi a Pisa, per risparmiare sulla bolletta del gas, si misero a studiare una soluzione più economica per produrre calore e riscaldare la loro casa. Oggi quell’idea si è trasformata in impresa, con più precisione nella start up Enki Stove con sede a Livorno, che progetta, produce e vende “bruciatori pirolitici”, sistemi basati su un’innovativa tecnologia che consente di ottenere energia e calore dalle comuni biomasse (pellet, legna, ramoscelli, pigne) riducendo al minimo la produzione di gas nocivi, inquinanti o responsabili dell’effetto serra. Grazie a due campagne di crowdfunding, sono già arrivate sul mercato due linee di prodotto, Enki Stove UnoWild, la prima composta da tre sistemi di cottura e riscaldamento per esterni, l’altra da due modelli di fornello da campo a biomassa.

enki stove team«La tecnologia alla base di tutti i prodotti Enki Stove è protetta da due brevetti ed è l’ottimizzazione di un processo già esistente, chiamato “pirolisi aperta” – spiega Ivan Mura, product designer e studente di Ingegneria aerospaziale all’Università di Pisa che per primo ha avuto l’intuizione – Sono venuto a conoscenza di questo processo grazie alla mia passione per la tecnologia e alle nozioni imparate all’università e, dopo mesi di prove ed esperimenti, con la consulenza tecnica dell’amico Davide Nughes (tecnico elettronico e oggi responsabile IT di Enki Stove), sono arrivato alla costruzione di un dispositivo che finalmente soddisfaceva le mie esigenze: una fonte di calore efficiente, stabile, a basso costo, semplice da gestire e che non producesse fumi nocivi durante l’intero processo».

In poco tempo molte persone, vedendo all’opera questo particolare dispositivo, iniziarono a chiederne uno simile per cucinare o per riscaldarsi. 

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A quel punto, Ivan e Davide capirono di avere in mano una tecnologia utile e preziosa, tanto da decidere di farne un business, coinvolgendo nel progetto anche altri amici, oggi membri del team Enki Stove: Gianluca Ricciardi, responsabile marketing, laureato in Scienze e tecnologie della comunicazione, Andrea Moretti, responsabile public relations, specializzando in comunicazione d’impresa presso l’Università di Pisa e Simone Pisci, graphic designer.

«I sistemi Enki Stove trasformano le biomasse, sfruttando il gas derivato dalla decomposizione stessa per ottenere l’energia necessaria a sostenere il processo – spiega Ivan – Tale perfezionamento è garantito da una particolare conformazione geometrica della camera di combustione, unita a un sistema elettronico che gestisce e modula il flusso dei gas all’interno della camera, rendendo la pirolisi stabile, sicura e priva di fumi, semplice da utilizzare anche dal consumatore finale. Questa tecnologia è perfetta per costruire cucine da esterno, barbecue e fornelli da campo, ma in prospettiva è sviluppabile anche per mettere a punto riscaldamenti da interno».

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Il progetto dei ragazzi ha già compiuto un lungo percorso: un aiuto prezioso è arrivato da Alessandro Capocchi, professore di Andrea, che li ha messi in contatto con Lorna Vatta, business angel dell’associazione SAMBA, l’Angel Investing Club fondato dagli ex-allievi della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, che ha guidato il team Enki Stove in un intenso percorso di accelerazione e sviluppo imprenditoriale.

Successivamente Enki Stove ha partecipato al concorso indetto da CNRxEXPO, presso la facoltà di Agraria dell’Università di Milano, dove è stata premiata come “miglior tecnologia pirolitica”. Lo scorso giugno, infine, la start up ha partecipato alla Summer School in “Advanced Innovation Methods” organizzata dall’Università di Pisa nell’ambito del progetto ENDuRE.

wild seaPer espandere l’apporto finanziario e le relazioni attivate con il club d’investimento, SAMBA ha proposto al team di Enki Stove una campagna di equity crowdfunding sul portale StarsUp. La raccolta si è conclusa positivamente con circa un mese d’anticipo, raccogliendo 240 mila euro in cambio di una partecipazione del 34% circa nel capitale di 41 nuovi soci. Il capitale raccolto è servito a strutturare la società e a iniziare la produzione delle due linee di prodotto. Per il lancio dell’ultima linea Wild, l’azienda ha deciso di condurre una campagna su un altro portale di crowdfunding, Kickstarter, che ha raggiunto ottimi risultati: 94 mila euro raccolti in 1 mese da 434 backers. 



Ne hanno parlato: 
RepubblicaFirenze.it
InToscana.it 
Tirreno Pisa
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Altri Mondi News 
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copertina impatto economicoSi è tenuto mercoledì 6 luglio il seminario dal titolo “Università e territorio", durante il quale è stato illustrato il Rapporto di sostenibilità dell’Ateneo pisano, dedicato all’analisi dell’impatto economico che questa Istituzione ha sulla città di Pisa e sulla sua area vasta, con importanti riflessi anche a livello regionale e nazionale.

Il seminario è stato aperto dai saluti del rettore Massimo Augello, del sindaco Marco Filippeschi e della vicepresidente della Regione Toscana, Monica Barni. La prima parte, in cui sono stati affrontati temi nazionali, ha visto gli interventi del presidente della Conferenza dei Rettori delle Università Italiane (CRUI) e rettore dell'Università degli Studi di Napoli "Federico II", Gaetano Manfredi; del membro della giunta della stessa CRUI, con delega ai Finanziamenti, e rettore dell'Università degli Studi di Catania, Giacomo Pignataro; del direttore generale della Direzione Università del MIUR, Daniele Livon.

Subito dopo, è stato presentato il Rapporto di sostenibilità dell'Università di Pisa, a cura della coordinatrice del progetto, la professoressa Ada Carlesi, che è prorettore per le Politiche di Bilancio, e del direttore dell'Istituto Regionale Programmazione Economica della Toscana, Stefano Casini, che ha illustrato il contributo dato dall'IRPET alla ricerca. Le conclusioni della giornata sono state affidate al professor Augello.

Pubblichiamo di seguito le considerazioni conclusive del rettore Massimo Augello, dal titolo "L'Università di Pisa, motore di sviluppo territoriale", al Rapporto di sostenibilità

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L'Università di Pisa, motore di sviluppo territoriale

1. Ogni ateneo genera sul territorio di riferimento una serie di impatti di tipo economico, sociale e culturale, la cui intensità non è omogenea, ma dipende da svariati fattori, quali , ad esempio, l’entità di personale impiegato, la capacità di attrazione che è in grado di esercitare verso gli studenti o lo stesso profilo dell’area in cui si trova ad operare.
Da questo punto di vista, l’Università di Pisa, con più di 50.000 studenti in una città di appena 90.000 abitanti, con un numero di addetti pari a circa 3.000 unità e un patrimonio immobiliare che supera i 600 milioni di euro, rappresenta un caso pressoché unico nel panorama nazionale, esercitando un fortissimo impatto sulla città e su tutta l’area d’insediamento, con aspetti positivi e, talvolta, anche “critici”. Si pensi, ad esempio, alla circostanza che molte delle attività formative e di ricerca si svolgono nel centro storico o nelle zone immediatamente adiacenti ad esso. Di certo vivificandoli, sia dal punto di vista commerciale che da quello degli insediamenti abitativi, ma al contempo generando congestione e problemi di convivenza.
L’espressione, che spesso viene utilizzata, di “Pisa città campus”, sintetizza bene il legame profondo che unisce la città e il suo Ateneo, evocando un rapporto profondo che nel tempo si è venuto a consolidare, fortificandosi su un sentimento di profonda e reciproca immedesimazione.
La comunità cittadina avverte, infatti, la presenza dell’Università come il tratto più caratterizzante della propria essenza culturale e sociale e, al contempo, l’Ateneo è consapevole del ruolo propulsivo che esercita.
È dunque su questo idem sentire, incentrato sullo sviluppo della cultura, della conoscenza e del capitale umano, sull’innovazione in tutti i campi di attività, sulla continua rivitalizzazione dei contesti sociali, che si fonda il percorso di crescita dell’Ateneo e della città.
Pisa può del resto essere considerata un polo di vera e propria “eccellenza culturale”, con la presenza, accanto all’Università, della Scuola Normale Superiore e della Scuola Superiore Sant’Anna, nonché di centri di ricerca di altissimo livello (il Consiglio Nazionale delle Ricerche, l'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, l'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia) ed è cresciuta intorno e insieme ad essi. Altra istituzione di eccellenza presente sul territorio è sicuramente l’Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana, punta di diamante riconosciuta all’interno del panorama toscano della sanità e che, per alcuni settori specifici, vanta primati a livello nazionale e internazionale. Com'è facile comprendere, la qualificazione “universitaria” dell’azienda ospedaliera testimonia il ruolo che l’Ateneo esercita anche per il servizio sanitario. La formazione delle professionalità, la produzione scientifica, lo sviluppo e l’investimento in tecnologie innovative sono solo alcuni dei contributi che scaturiscono dai proficui rapporti tra la componente universitaria e quella ospedaliera. Di importanza non minore è infine l’apporto che il personale universitario fornisce in maniera diretta all’attività assistenziale, che risulta essere una delle più attrattive e qualificate del panorama nazionale.
Per consolidare e potenziare tutti questi rapporti e queste collaborazioni istituzionali è stato di recente sottoscritto un Protocollo d'intesa tra l’Ateneo e l'amministrazione comunale, che ha fatto proprio il modello adottato nello scorso settembre dall'Associazione Nazionale dei Comuni d'Italia (ANCI) e dalla Conferenza dei Rettori delle Università Italiane (CRUI).
Il Protocollo ANCI-CRUI si fonda sul riconoscimento che le università rivestono un ruolo cruciale nello sviluppo delle città e che entrambe queste realtà possono offrire un contributo decisivo per far crescere il capitale umano e le risorse della conoscenza quali patrimoni fondamentali del nostro paese. La loro collaborazione, che negli anni ha dato vita a esperienze positive e importanti, può produrre ulteriori e significativi benefici sul piano della ricchezza materiale, così come su quelli degli stili di vita, della coesione sociale, dell'innovazione e della diffusione tecnologica, della valorizzazione del patrimonio culturale.
Con la firma del Protocollo, l'Università di Pisa e il Comune intendono quindi consolidare la loro centralità nel sistema locale di governance, rafforzando nello stesso tempo la rete di relazioni che unisce tutti i soggetti istituzionali presenti sul territorio.
Nell'ambito delle rispettive competenze, queste due realtà hanno maturato l’idea di sviluppare una progettualità condivisa su innumerevoli temi, molti dei quali andranno a incidere in maniera decisiva sul futuro della città e della sua area vasta, con riflessi anche a livello regionale e nazionale.
Solo per citare alcuni degli argomenti inseriti nel testo della convenzione, è opportuno ricordare, oltre alle politiche di accoglienza degli studenti e all'inserimento lavorativo dei laureati, il sostegno all'imprenditoria giovanile, l'introduzione di processi produttivi avanzati, la diffusione della cultura e dello sport, la mobilità cittadina, la pianificazione urbanistica e l'ottimizzazione dei rispettivi patrimoni immobiliari.

impatto12. L’idea e l'obiettivo che hanno mosso la redazione di questo documento sono stati quelli di individuare una misura di sintesi capace di rappresentare l’intensità della propulsione economica esercitata dall’Università.
Vi è ormai piena consapevolezza che, al di là di tutte le “esternalità positive” collegate alle funzioni classiche di creazione e diffusione del sapere e di trasferimento tecnologico , che già di per sé, generano ricadute importanti sul territorio in termini sociali, l’Ateneo può essere considerato un vero e proprio “motore” di sviluppo economico. In prima battuta per il territorio di immediata pertinenza e poi, seguendo un meccanismo a cerchi concentrici, per livelli via via crescenti fino ad estendere la propria influenza all’intero sistema economico del paese.
La rilevanza degli impatti connessi allo svolgimento delle attività dell’Ateneo è facilmente intuibile già dal semplice esame di alcune grandezze di sintesi.
Nel periodo da fine 2010 a oggi, quindi in un periodo caratterizzato da una crisi generalizzata del sistema e da una forte riduzione dei fondi pubblici a disposizione, sono state messe in atto circa 800 assunzioni di personale docente, di cui la metà rappresentano un vero e proprio turn over, essendo relative a personale non strutturato in precedenza. A queste si vanno ad aggiungere altre 280 assunzioni relative al personale tecnico-amministrativo, riferite per la quasi totalità a personale in precedenza non strutturato.
Si è dunque messa in atto una politica espansiva, nell’ambito del reclutamento del personale, che molto probabilmente non trova riscontri analoghi nel panorama universitario nazionale, così come nel sistema delle aziende del territorio.
La medesima propensione alla crescita e allo sviluppo è stata portata avanti anche in altri ambiti. Nello stesso periodo, infatti, sono state distribuite risorse per la ricerca, a valere su fondi propri di bilancio, per più di 37 milioni di euro e sono state finanziate manutenzioni ordinarie e straordinarie sugli immobili, per più di 50 milioni di euro. A queste tipologie d’investimenti si sono poi aggiunte tutta una serie di nuove realizzazioni/acquisizioni immobiliari, che sono andate a soddisfare al meglio le differenti esigenze dell’Ateneo e che hanno avuto l’effetto di “svecchiare” il suo patrimonio immobiliare: il peso degli immobili post 2010, all’interno di quelli non storici, è infatti passato dal 5,6% del 2013 all’attuale 23%.
Le politiche di sviluppo intraprese in questi anni, come è facile intuire, non rimangono “confinate” nei limiti dell’Ateneo, ma hanno ricadute ben più ampie. Se finora questi segnali si potevano cogliere solo a livello di percezione, oggi possiamo tentare una loro “quantificazione” oggettiva.
Il presente lavoro si è posto proprio l’obiettivo di quantificare il valore dell’impatto economico complessivo che l’Ateneo, con le sue molteplici attività, genera sia sulla città, che in ambiti territoriali più ampi, passando dall’aggregato “area vasta”, a quello regionale, al Paese nel suo complesso.
Esso costituisce una parte del “Rapporto di Sostenibilità”, che sarà presentato nel prossimo autunno e che aggiungerà all’ottica puramente economica, anche quella di “impatto sociale” -indagata dal punto di vista qualitativo - e quella di “impatto ambientale”, ponendosi, idealmente, come naturale prosecuzione del Bilancio Sociale che questa amministrazione ha realizzato pochi anni fa con un amplissimo coinvolgimento di tutti gli stakeholder dell’Università.
Sempre in autunno sarà presentato anche il Bilancio di Mandato, che ripercorre i sei anni di guida dell’Ateneo, e che si è ritenuto di proporre, per la prima volta nella nostra università, ritenendolo doveroso verso la comunità accademica e, più in generale, verso tutta la città.

impatto23. L’analisi dell’impatto economico si basa su una metodologia estremamente complessa, soprattutto in un Ateneo, come quello di Pisa, che per le sue dimensioni e per le molteplici attività che svolge richiede elaborazioni particolarmente sofisticate e necessita dell’apporto di analisi specialistiche, con strumenti “ad hoc” scientificamente validati. La metodologia è stata condotta avvalendosi della collaborazione dell’Istituto Regionale per la Programmazione Economica della Toscana (IRPET), da anni specializzato in ricerche di tipo economico-territoriali, che ha supportato tutte le fasi di svolgimento del lavoro.
L’attività di analisi è stata svolta in un’ottica “controfattuale”, che consiste nell’evidenziare quali sarebbero gli effetti economici negativi per Pisa e per gli altri territori considerati, qualora non ci fosse l’Università, in termini di Produzione attivata, di Prodotto Interno Lordo (PIL) generato e di Unità di Lavoro Attivate (ULA).
L’analisi si riferisce al 2014 - verificando che non ci sarebbero state particolari alterazioni se avessimo considerato altri anni vicini - e ha riguardato tutti i settori di attività tipici dell’Ateneo e quelli ad esso collegati, inserendo nell’esame dei “motori” dell’economia territoriale anche le diverse tipologie di “spesa” effettuate dagli studenti presenti a Pisa.
Ogni “vettore di spesa” è stato analizzato approfonditamente, ottenendo così anche una serie di indicazioni sulle caratteristiche e sul valore dei vari vettori che saranno estremamente utili sia per orientare le future politiche di Ateneo sia per coloro che hanno la responsabilità delle amministrazioni territoriali.
Seguendo l’impostazione del modello teorico utilizzato, sono stati valutati gli effetti “diretti” ascrivibili alla presenza dell’Ateneo e quindi collegati, da un lato, alla “spesa” che annualmente sostiene per il funzionamento (acquisti di beni e servizi, stipendi erogati, ecc.), e all’entità dei consumi effettuati dagli studenti, e dall’altro alle spese di funzionamento delle attività collegate (sistema museale, ospedale veterinario, casa editrice, spin off, ecc.)
È stato poi valutato il processo a cascata originato dagli effetti diretti, il cosiddetto “impatto indiretto”, che fa riferimento al giro d’affari messo in moto dai fornitori dell’Ateno verso i rispettivi fornitori, e quello “indotto” che riguarda gli effetti moltiplicativi generati dai consumi dei percettori di un qualsiasi reddito da Unipi.

impatto34. I dati finali, nella loro sintesi, godono di una evidenza immediata. La presenza dell’Ateneo, nella sola provincia di Pisa, attiva una produzione pari a più di 650 milioni di euro, che passano a più di 810 nell’ambito toscano e raggiungono 1,4 miliardi di euro nel confronto a livello nazionale.
Anche la “ricchezza creata” in termini di Prodotto Interno Lordo e di Unità di Lavoro Attivate esprime valori altrettanto significativi. Per quanto concerne il PIL, esso ammonta a più di 425 milioni di euro a Pisa, arrivando a quasi il doppio quando si esamina il dato a livello nazionale. L’attivazione della produzione porta con sé anche la creazione/mantenimento di posti di lavoro: l'IRPET ha stimato che la presenza dell’Ateneo attivi complessivamente 7.282 unità di lavoro in provincia di Pisa, poco meno di 8.400 in Toscana e circa 13.000 a livello nazionale.
È importante sottolineare che tutte le stime e le valutazioni effettuate sono state improntate a una estrema prudenza, con l’effetto finale che nell’interpretazione dei risultati essi devono sempre essere concepiti come misure “per difetto” della realtà.
Per come è stata ideata e realizzata, la relazione assume anche un valore prescrittivo. Oltre a rappresentare in termini numerici il coefficiente di moltiplicazione economica collegato alla presenza dell’Università di Pisa, la dovizia e l’analiticità dei dati esposti, l’illustrazione puntuale di ogni passaggio e la completezza delle fonti utilizzate consente a ogni altro Ateneo di replicare il modello di analisi utilizzato.
La sintesi massima e al tempo stesso più chiara della valutazione dell’impatto economico dell’Ateneo è, di fatto, rappresentata dai “moltiplicatori”, definiti da un rapporto tra Produzione attivata (o PIL o ULA) e la spesa complessiva dell’Ateneo, in quello che può essere definito il “moltiplicatore della spesa pubblica universitaria” e che arriva a definire l’impatto complessivo originato dalla presenza dell’Università per ogni euro da essa “speso”.
Nel nostro caso - come era logico attendersi, visti i dati assoluti sopra riportati - i valori sono molto significativi: ogni euro di spesa dell’Ateneo attiva infatti una produzione di 1,71 euro nella provincia di Pisa e di 2,13 euro in Toscana, fino ad arrivare a 3,74 euro a livello nazionale.
Anche i moltiplicatori individuati per il PIL e le ULA esprimono andamenti altrettanto lusinghieri: ogni euro di spesa dell’Università, ad esempio, crea ricchezza sulla provincia di Pisa, in termini di PIL, pari a 1,12 euro e ogni milione di spesa attiva, sempre sulla provincia, quasi 20 unità di lavoro, che divengono ben 34 circa a livello paese.
Credo che i dati abbiano un significato preciso: l’Ateneo, con la sua presenza, produce su Pisa in particolare, ma anche in ambiti territoriali più vasti, una forte “spinta” alla crescita dell’economia e ha svolto questo suo ruolo di “motore” anche in un anno, come il 2014, in cui la crisi, sia a livello economico generale, che di finanziamenti pubblici del sistema universitario, è stata decisamente pesante.
Nel lavoro, infine, viene calcolato un altro tipo di moltiplicatore, riferito al finanziamento “strutturale” del Miur agli atenei tramite il Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO); moltiplicatore che può essere considerato come una sorta di “indicatore di produttività del finanziamento pubblico”, ovviamente solo in termini economici.
Esso è rappresentato, seguendo la logica classica dei moltiplicatori, dal rapporto tra impatto economico complessivo dell’Ateneo, come sopra definito, e FFO.
Nel caso dell’Università di Pisa si registra una produttività per euro di investimento ministeriale in termini di produzione attivata, pari a ben 3,23 euro in provincia di Pisa, più di 4 in Toscana e più di 7 a livello paese. Il PIL va dai più di 2 euro per la provincia ai 4 a livello nazionale. Molto significativo è anche il numero di ULA, visto che per ogni milione di euro di FFO si attivano circa 36 unità di lavoro nella provincia di Pisa e più di 63 a livello paese.
impatto4Ovviamente la produttività dell’investimento ministeriale può essere anche molto differenziata a livello di singolo ateneo, in relazione sia alle sue caratteristiche, non solo dimensionali, e alle specificità dell’area di insediamento, sia e soprattutto alla “vivacità” delle politiche messe in atto, alla sua storia e al prestigio di cui esso gode per ciò che concerne tanto l’attività di ricerca quanto quella formativa .
In conclusione, sarebbe interessante avere dati più generali a livello di altri atenei e di sistema: infatti, se si registrassero anche negli altri casi livelli di produttività elevati, quali quelli relativi all’Ateneo pisano, a tutte le ben note ragioni per cui è indispensabile che il sistema universitario ottenga i fondi che gli sono necessari per lavorare al meglio, si aggiungerebbe anche la “motivazione economica” di un investimento in un settore che ha “ritorni” molto apprezzabili. Da questo punto di vista, sarebbe anche utile confrontare gli “indicatori di produttività” che si registrano nel settore universitario con quelli di altri settori che beneficiano di ingenti fondi pubblici: probabilmente si scoprirebbe che investire nell’alta formazione e nella ricerca vuol dire sì puntare sul futuro, della società e dei nostri giovani, ma anche dare un impulso forte e dai ritorni immediati alle economie locali e del paese in generale.
In definitiva, credo che questo lavoro possa svolgere una funzione importante come strumento di analisi e di valutazione - e, in ultimo, di governo - per chi sarà chiamato a gestire l'Università di Pisa nei prossimi anni, e potrà dare un utile contributo, se replicato ai diversi livelli, anche per quanto riguarda le politiche di sostegno al sistema universitario italiano.

Massimo Augello

sapienza copyNella seduta di giovedì 30 giugno, il Consiglio di Amministrazione dell’Università di Pisa ha affrontato la questione legata alla riapertura del Palazzo della Sapienza e in particolare della Biblioteca Universitaria Pisana, che anche in questi giorni sta avendo vasta eco sugli organi di stampa locale, attraverso la pubblicazione di appelli e la raccolta di firme tese a sollecitare la riapertura della Biblioteca stessa.

Condividendo le preoccupazioni emerse da queste posizioni, il CdA dell’Ateneo ricorda che, per espressa volontà del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo (MIBACT), l’intervento di riqualificazione funzionale della BUP rientra nella esclusiva sfera di competenza dello stesso Ministero, mentre l’Università si è fatta carico di tutti gli interventi di carattere generale sull’edificio, nonché di quelli relativi alle aree di propria competenza.

Partendo da queste premesse, il CdA ha approvato la seguente mozione:

“Il Consiglio di Amministrazione dell’Università di Pisa si unisce alle preoccupazioni provenienti dalla società civile e dal mondo accademico per le sorti della Biblioteca Universitaria Pisana ed auspica che, attraverso la fattiva partecipazione di tutte le Istituzioni competenti, il progetto di riqualificazione complessivo del Palazzo della Sapienza possa procedere senza indugi e secondo le modalità e i tempi concordati.

In proposito prende atto, tuttavia, che a tutt’oggi gli Uffici competenti del MIBACT, che ha la responsabilità della BUP, non hanno ancora presentato alcun progetto di adeguamento funzionale della stessa per cui la sua riapertura rischia di essere ulteriormente procrastinata nel tempo.

In questa situazione, per contribuire a risolvere i suddetti problemi, l’Università di Pisa è disponibile a valutare le richieste giunte dal Ministero di un maggiore coinvolgimento sui lavori che riguardano la BUP al fine di evitare il disallineamento temporale di tutta la procedura a discapito dell’intero progetto, essendo l’intervento di pertinenza dell’Ateneo giunto quasi a conclusione”.

protocollo1 copyÈ stato presentato nella Sala Giunta di Palazzo Gambacorti, venerdì 1° luglio 2016, il "Patto attuativo" tra il Comune e l'Università di Pisa, che recepisce e fa proprio il modello adottato nello scorso settembre dall’Associazione Nazionale dei Comuni d’Italia (ANCI) e dalla Conferenza dei Rettori delle Università Italiane (CRUI). Il documento è stato sottoscritto dal sindaco Marco Filippeschi e dal rettore Massimo Augello, alla presenza di una rappresentanza delle rispettive squadre di governo, assessori e prorettori.

Il Protocollo ANCI-CRUI si fonda sul riconoscimento che le università rivestono un ruolo cruciale nello sviluppo delle città e che, viceversa, le città rappresentano un quadro e una risorsa fondamentale per lo sviluppo delle università. Entrambe queste realtà hanno un interesse vitale alla crescita del capitale umano e delle risorse della conoscenza quali patrimoni fondamentali del nostro paese. La collaborazione tra città e università, che negli anni ha dato vita a esperienze positive e importanti, può dunque produrre ulteriori e significativi benefici sul piano della ricchezza materiale, così come su quelli degli stili di vita, della coesione sociale, dell’innovazione, della diffusione tecnologica e della valorizzazione del patrimonio culturale.

Nell’ambito delle rispettive competenze, il Comune di Pisa e l'Ateneo si ripromettono di sviluppare una progettualità condivisa su innumerevoli temi, molti dei quali andranno a incidere in maniera decisiva sul futuro della città e della sua area vasta, e puntano a far crescere le ricadute di queste sinergie in termini di sviluppo sociale, culturale ed economico del territorio. Il punto di partenza è rappresentato dagli oltre 60 tra protocolli, progetti e azioni in corso, che coprono diversi ambiti, dalla diffusione delle conoscenze al sostegno al trasferimento tecnologico, fino alla valorizzazione del patrimonio museale e edilizio.

protocollo2 copy

Gli obiettivi complessivi indicati dal Patto sono dieci. Solo per limitarci ad alcuni dei temi citati, si possono ricordare, oltre alle politiche di accoglienza degli studenti e all’inserimento lavorativo dei laureati, il sostegno all’imprenditoria giovanile, l’introduzione di processi produttivi avanzati, la diffusione della cultura e dello sport, la mobilità cittadina, la pianificazione urbanistica e l’ottimizzazione dei rispettivi patrimoni immobiliari.

"Le istituzioni pisane - ha dichiarato il rettore Massimo Augello - sono le prime in Italia ad aver ripreso e rilanciato l'importante accordo sottoscritto alcuni mesi fa da ANCI e CRUI. Con questo Patto, il Comune e l'Università di Pisa intendono consolidare la loro centralità nel sistema locale di governance, rafforzando nello stesso tempo la rete di relazioni che unisce tutti gli altri soggetti istituzionali presenti sul territorio, che naturalmente potranno condividere e aderire allo spirito e ai contenuti del protocollo".

"Siamo primi in Italia a tradurre il protocollo nazionale. Con 64 progetti di collaborazione attivi Comune e Università collaborano insieme per lo sviluppo della città, per l’innovazione economica e dei servizi, per la “città intelligente” portando avanti le applicazioni della conoscenza e della ricerca, della cultura, dell’ambiente, della mobilità, della tecnologia al servizio dei cittadini – ha commentato il sindaco Marco Filippeschi - questo patto rafforza la nostra collaborazione dà nuovi obiettivi e dunque la proietta nel futuro".

internazionalizzazioneÈ appena arrivato a conclusione il corso sull’internazionalizzazione dei sistemi universitari, organizzato dalla direzione Ricerca ed Internazionalizzazione dell’Ateneo in collaborazione con il Centro di Informazione sulla Mobilità e le Equivalenze Accademiche (CIMEA). Sono stati circa settanta i partecipanti che dal 23 al 29 giugno si sono ritrovati al Polo Piagge per seguire le lezioni, fra personale docente e tecnico amministrativo dell’Università di Pisa e degli Atenei del consorzio TUNE (Tuscany University Network).

“Il corso, che si inserisce all’interno dell’accordo quadro UNIPI-CIMEA, firmato lo scorso anno, ha rappresentato un’occasione molto interessante di confronto e apprendimento, per costruire e per condividere, su uno stesso piano, i processi di internazionalizzazione nell’ambito universitario”, ha spiegato la professoressa Antonella Martini, docente di management alla Scuola di Ingegneria dell’Università di Pisa e presidente di CIMEA.

L’obiettivo dell’iniziativa era di fornire conoscenze sui sistemi di istruzione superiore a livello italiano e internazionale, ed analizzare la normativa e le caratteristiche principali dei corsi e titoli congiunti, oltre alle modalità di progettazione e di gestione degli stessi. Ha inaugurato il corso, il 27 giugno un workshop sull’impatto strutturale delle politiche di internazionalizzazione, a cui hanno partecipato la professoressa Alessandra Guidi, prorettore all'internazionalizzazione dell’Università di Pisa, il professore Lyu Huaqing della Zhejiang Ocean University, il dottor Luca Lantero, direttore del CIMEA ed esperto di valutazione delle qualifiche estere e di comparazione dei sistemi d'istruzione superiore e, sempre per l’Ateneo pisano, le dottoresse Paola Cappellini, Laura Nelli e Susanna Bianchi dell’Ufficio Internazionale.

In particolare, Luca Lantero ha parlato del futuro del finanziamento degli Atenei nell’ambito dell’Internazionalizzazione, Alessandra Guidi ha analizzato il percorso intrapreso dall’Università di Pisa sull’internazionalizzazione nel corso del mandato dell’attuale Rettore, ed infine Lyu Huaqing che ha analizzato un caso pratico, presentando le relazioni sviluppate fra l’Ateneo pisano e la sua Università.

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