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«Il mistero di Homo naledi. Chi era e come viveva il nostro lontano cugino africano»

L'antropologo Damiano Marchi racconta la storia della rivoluzionaria scoperta scientifica

Copertina homo naledi webIl 13 settembre 2013 due speleologi sudafricani scesi nel vasto sistema di gallerie di Rising Star, nei dintorni di Johannesburg, individuarono casualmente una «camera segreta», colma di ossa fossili, risultate poi essere circa 1550. È così, in modo del tutto fortuito, che avviene la scoperta di Homo naledi («naledi» significa «stella» in lingua locale sotho), una nuova specie ominine dalle caratteristiche uniche.

Dall’eccezionale ritrovamento prende il via un’entusiasmante avventura scientifica e umana, che apre scenari inediti sulla nostra storia più antica e ci spinge a guardare con occhi diversi anche il presente. A raccontarla - nel volume da pochi giorni in libreria “Il mistero di Homo naledi. Chi era e come viveva il nostro lontano cugino africano: storia di una scoperta rivoluzionaria” (Mondadori) - è uno dei suoi protagonisti, Damiano Marchi, paleoantropologo del dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa, l’unico studioso italiano chiamato a partecipare al workshop scientifico internazionale su Homo naledi.

Venerdì 20 maggio, alle ore 18.15, Damiano Marchi sarà ospite della trasmissione di Rai Tre Geo&Geo per presentare il suo volume.

Nel suo libro, Marchi ricostruisce il complesso lavoro del paleoantropologo che, con la pazienza di un detective scrupoloso, esamina ogni minimo frammento fossile per trovare nuove risposte alle domande che gli scienziati si pongono sull’origine del genere umano. In qualsiasi epoca sia vissuto, l’«uomo stella» ci costringe infatti a rivedere consolidate teorie sull’evoluzione e a riconsiderare anche noi stessi non più come rappresentanti privilegiati di un «mondo a parte», ma come il frutto di un processo che, attraverso gli stessi meccanismi, ha portato sia all’Homo sapiens sia a tutti gli esseri viventi con cui condividiamo il pianeta.

Qui di seguito pubblichiamo le prime pagine del volume, che introducono il lettore nell'avventura di una scoperta scientifica rivoluzionaria.

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marchi web

Avere l'opportunità di studiare ossa fossili mai viste prima, contribuendo a una scoperta che potrà rivoluzionare la storia dell'uomo, è il sogno di ogni paleoantropologo. Di solito, è destinato a restare tale. Io, invece, quel sogno ho avuto la fortuna di realizzarlo, per un mese, in un laboratorio blindato come una cassaforte, fianco a fianco con una cinquantina di colleghi elettrizzati quanto me, ho ricostruito, classificato e analizzato i resti fossili di una specie lontana cugina dell'uomo moderno. Una specie finora sconosciuta, l'Homo naledi, la cui scoperta dischiude inediti scenari sulle nostre origini, ma riserva anche affascinanti misteri irrisolti, costituendo una sfida tuttora aperta per noi scienziati.

Ogni grande avventura è conseguenza di una serie di avvenimenti che l'hanno resa possibile. Eppure, c'è sempre un singolo evento che determina il punto di svolta decisivo. Se, dunque, mi guardo indietro per ripercorrere a ritroso l'impresa cui ho contribuito, non posso fare a meno di visualizzare la schermata del mio portatile dove campeggia l'avviso di un nuovo messaggio di posta elettronica in arrivo. Sono le 11.15 di mattina del 24 febbraio 2014 e mi trovo nel mio ufficio di ricercatore nella sede del dipartimento di Biologia dell'Università di Pisa, dove lavoro da circa un anno e mezzo. La email proviene da Johannesburg, una città che conosco bene perché ci ho vissuto tra il 2011 e il 2012, quando ho avuto un contratto sempre come ricercatore presso la locale Università del Witwatersrand, familiarmente chiamata Wits da studenti e professori, dove si trova uno dei più prestigiosi istituti di antropologia evolutiva del mondo, l'Evolutionary Studies Institute. Il testo della email è breve ma esauriente: la mia candidatura al workshop per lo studio dei fossili rinvenuti nelle caverne di Rising Star è stata accettata! Mi chiedono, dunque, se intendo confermare la mia partecipazione.

Il tempo di assimilare la notizia e di condividerla con i colleghi, e all'una confermo. Quindi, chiudo il portatile e me ne torno a casa. Riprendere quello che stavo facendo prima, ovvero preparare la mia prossima lezione del corso sull'evoluzione dei primati, mi risulta impossibile: quel giorno non sarei più riuscito a pensare ad altro.

Il sogno di ogni paleoantropologo nel mio caso si sarebbe dunque presto realizzato, e in più avendo la straordinaria opportunità di studiare una quantità considerevole (si parlava di centinai adi reperti, eccezionalmente ben conservati) di fossili appartenenti a una specie che, stando agli esami preliminari, pareva essere del tutto nuova e la cui scoperta, avvenuta solo pochi mesi prima, stava già tenendo con il fiato sospeso l'intera comunità scientifica mondiale. Ed è così che attraverso un breve messaggio online, una tipica comunicazione del mondo temporaneo, ho compiuto il primo passo verso la conoscenza di Homo naledi, affascinante ed enigmatica creatura emersa delle viscere della terra per fare nuova luce sul nostro più remoto passato. Del resto, naledi (che deriva dal nome del sito Rising Star) significa “stella” nella lingua locale sotho. Una stella nascente i cui misteri ancora insoluti portano a interrogarci sulle origini dell'uomo e a mettere in discussione convinzioni che fino a ieri sembravano assodate.

Damiano Marchi

Ne hanno parlato:
Corriere della Sera "La Lettura"
il Giornale
Geo&Geo
QN 
National Geographic
Tirreno
Il Centro 
Archeologia Viva
ArcheologiaViva.it 
Radio 3 Scienza 

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