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Didattica e tecnologia

Dopo la tre giorni di Futura a Bologna, l'intervento del professore Fabris consulente per il Piano Nazionale Scuola Digitale del Miur

pianodigitale.pngDal 18 al 20 gennaio a Bologna si è svolto "Futura", un evento organizzato da Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca (Miur) per fare il punto sui primi dueanni del Piano Nazionale Scuola Digitale e rilanciare le politiche per l’innovazione del sistema educativo. Fra i partecipanti ai lavori c'era anche Andriano Fabris, ordinario di Filosofia morale al dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere, che in questi anni è stato consulente del MIUR per il Piano Nazionale Scuola Digitale sul tema dell'etica delle tecnologie, con particolare riferimento al loro utilizzo in ambito didattico.

Pubblichiamo di seguito un suo breve intervento.

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In che modo l’utilizzo dei dispositivi tecnologici può contribuire all’apprendimento nel caso delle giovani generazioni? Lo può fare per tutte le discipline? Lo può fare qualunque sia l’età degli studenti? Sono domande che da tempo interessano non solo gli studiosi dell’educazione, ma anzitutto gli insegnanti.

Le risposte che a tali domande sono state fornite, in vari paesi del mondo, risultano talvolta diverse fra loro. Comune, però, è la consapevolezza che sia necessario affrontare il problema. Ecco perché il MIUR ha istituito un gruppo di lavoro che ha individuato alcune linee guida sull’argomento. Ho fatto parte di questo gruppo – composto da scienziati, filosofi, pedagogisti, insegnanti, ricercatori – e ho contribuito a redigere il “decalogo” che è stato presentato lo scorso fine settimana.

Di che cosa si tratta? Il punto di partenza è dato dalla constatazione che gli strumenti tecnologici non sono semplicemente dei mezzi di comunicazione, ma costituiscono le chiavi d’accesso a un ambiente che è caratterizzato da una grande attrattività, che incide in maniera profonda nelle vite degli studenti e che non può essere semplicemente rigettato o messo in concorrenza rispetto all’ambiente formativo. La competizione, infatti, sarebbe già perduta in partenza.

Perciò è necessario pensare a una didattica che includa, non già che escluda l’utilizzo dei devices tecnologici, e che se ne serva. Dev’essere perseguita cioè una vera e propria integrazione del loro uso nel contesto della formazione. La questione centrale, però, riguarda come dev’essere concepita e realizzata questa inclusione. Ci dev’essere infatti un punto di equilibrio tra le esigenze dell’apprendimento e le opportunità a cui danno accesso gli apparati tecnologici. Si tratta di opportunità che hanno di solito risvolti ludici o commerciali. L’apprendimento è certo altra cosa. Proprio perciò è necessario distinguere un uso pubblico e un uso personale degli strumenti digitali, e regolamentarli in maniera adeguata e condivisa.

Su questi punti il dibattito si sta oggi sviluppando. Ed è un bene: perché sarebbe non solo illusorio, ma proprio sbagliato, assumere nei confronti delle tecnologie un atteggiamento proibizionistico. Sarebbe come, di fronte all’esistenza di disturbi alimentari, costringere tutti al digiuno, invece che educare a corrette forme di nutrizione.

Adriano Fabris

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