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Studio del DNA rivela l'imprevedibilità dell'evoluzione

Cosa succederebbe se potessimo riavvolgere e far ripartire il nastro dell’evoluzione? Le forme di vita primordiali si svilupperebbero comunque nello stesso modo? E la vita sulla terra, come noi la conosciamo, sarebbe la stessa? Per la prima volta una ricerca internazionale a cui hanno partecipato i biologi dell’Università di Pisa descrive un processo evolutivo che sembra essersi ripetuto più volte indipendentemente in natura. Lo studio, condotto insieme ad un team internazionale, è stato pubblicato su “Nature Ecology and Evolution”, una nuova rivista del gruppo “Nature”.
“Il sistema da noi studiato è unico perché rappresenta quanto di più simile si possa osservare in natura alla ripetizione di un evento evolutivo – spiegano Claudia Vannini e Vittorio Boscaro del dipartimento di Biologia dell’Ateneo pisano.
I ricercatori hanno analizzato in parallelo l’evoluzione di uno specifico sistema simbiotico costituito da un protozoo (Euplotes) e da un batterio ospite (Polynucleobacter). Il meccanismo è tale che le due specie microbiche non sopravvivono se separate, eppure non beneficiano allo stesso modo dalla relazione: l’Euplotes “intrappola” e mantiene il batterio simbionte finché gli è utile, dopodiché lo rimpiazza con un nuovo “schiavo” il che rende la simbiosi un vicolo cieco evolutivo per il Polynucleobacter. I batteri a vita libera “catturati” dall’Euplotes sono estremamente simili tra loro, e si evolvono poi nelle stesse condizioni all’interno del protozoo.
“La sfida era di capire se gli eventi si succedevano sempre nello stesso modo a partire da presupposti straordinariamente simili – continua Vannini – La risposta che abbiamo trovato in questo sistema modello è “no”, ovvero tutti i simbionti degenerano, ma con modalità in gran parte casuali e seguendo traiettorie diverse”.
I biologi dell’Ateneo pisano studiano da diversi anni le simbiosi microbiche e in particolare il sistema Polynucleobacter-Euplotes oggetto dello studio. La prima fase della ricerca si è svolta a Pisa nei laboratori del dipartimento di Biologia ed ha comportato il campionamento degli organismi, l’allestimento delle colture in laboratorio, l’identificazione dei microrganismi coinvolti e la messa a punto e l’esecuzione dell’estrazione del DNA dei batteri simbionti. La fase successiva di sequenziamento dei genomi e analisi dei dati è stata invece eseguita presso la University of British Columbia sia da ricercatori dell’Università di Pisa che degli istituti partner.
“L’unicità del Polynucleobacter, cioè l’esistenza di ceppi diventati simbionti più volte e con eventi indipendenti e confrontabili con ceppi affini a vita libera, lo rende un modello che permette di rispondere a domande evolutive che altrimenti non possono trovare risposta – conclude Claudia Vannini - in questo articolo abbiamo investigato solo una diatriba fra le tante, quella sui meccanismi evolutivi che portano alla degenerazione dei genomi nei simbionti, ma le potenzialità di ricerca sono moltissime”.
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Didascalia foto:
Figura 1: il protozoo Euplotes con i suoi batteri simbionti marcati in rosso (A, piccolo ingrandimento; B, forte ingrandimento).
Figura 2: alcune cellule del protozoo Euplotes con i loro batteri simbionti; in blu sono visibili i nuclei del protozoo e i batteri (A, piccolo ingrandimento; B, forte ingrandimento).
Figura 3: il protozoo Euplotes visto con il microscopio elettronico a scansione.

Link all’articolo scientifico:
https://www.nature.com/articles/s41559-017-0237-0

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